Sei in: Mondi medievali ® Immaginario medievale |
a cura di Felice Moretti |
Parte I
San Francesco e gli animali (1280-1290, Marsiglia, Biblioteca Municipale, ms. 111, f. 139r)
Il Medioevo è molto lontano da noi, ma la forza d’irradiazione dell’umanità di Francesco d’Assisi vince i secoli. E da secoli gli studiosi francescani si chiedono che cosa avesse voluto veramente, che cosa avesse reso così grande un uomo che cambiò il mondo senza aver avuto l’intenzione di cambiarlo. L’indimenticabile
Roaul Manselli, nel discorso conclusivo al primo Convegno per l’VIII
centenario della nascita di San Francesco, invitò i presenti a tenere
nel debito conto i dati certi della vita del santo di Assisi, che sono
più numerosi di qualunque altro santo del Medioevo. «San Francesco -
aggiunse Manselli - è riuscito a sfuggire, attraverso questi fatti,
al rischio di venire fermato in un’agiografia elogiativa,
encomiastica, anedottica, senza peraltro perdere il suo fascino
carismatico, anzi, aiutando a capirne le ragioni profonde. è,
insomma, un uomo concreto, vissuto in un tempo storico preciso, in
circostanze umane determinate, tali da poter essere, in ognuna delle
sue componenti, collocato in una dimensione in cui queste componenti
trovano, ad un tempo, la loro collocazione e la loro giustificazione
storica» Ma
è possibile ricostruire il vero San Francesco storico sulle fonti che
disponiamo? Se partiamo da un assunto imprescindibile, quello cioè
che un personaggio storico non è mai riproducibile nella sua realtà
empirica perché egli è quale lo ha forgiato e plasmato la società
nella quale è vissuto e nella quale ha agito e reagito, dovremmo
concludere - per dirla con Gabriele Pepe - che l’individuo storico è
solo un fantasma del pensiero, qualcosa di ineffabile: «[…]la sua
personalità non attraversa i secoli nella limpidezza del secolo che
fu suo, ma giunge a noi nella stratificazione dei miti e in una
ragnatela di interessi ideologici. S. Francesco d’Assisi non sfugge
a questo destino»
[2]. Il fenomeno Francesco va molto oltre i suoi limiti biografici e oltre le vicende istituzionali che a lui fanno riferimento. Lo avvertirono anche i contemporanei e i posteri che, più o meno oscuramente, capirono di trovarsi dinanzi ad un uomo che visse un’esperienza religiosa senza collegamenti e riferimenti nella tradizione ecclesiastica del suo tempo. La sua stessa esperienza di vita e di fede e i suoi rapporti con le creature non sono codificabili in schemi risultanti da fonti esterne ed interne, ufficiali o non ufficiali alla religio francescana, tutte suscettibili di interpretazioni di parte, e pertanto, inadeguate a cogliere appieno la novitas [3]. Dinanzi a difficoltà di questo genere, lo storico moderno deve operare delle scelte non solo di simpatia - come suggerisce Alfonso Marini - «ma in base a criteri di maggiore o minore veridicità storica, che non vuol dire assoluta obbiettività o completezza di quadro, ma la possibilità di accostarsi maggiormente alla comprensione di quel grande “avvenimento” storico e religioso che fu Francesco d’Assisi con la sua prima comunità» [4]. Per
san Francesco d’Assisi, più che per altri mai, occorre partire dal
fatto che il problema delle sue fonti non si risolve in un dato
erudito, ma è prima di tutto storico, e lo studio storico così come
la vita spirituale si nutrono di fonti. Quando queste tacciono,
sarebbe bene che tacesse anche lo storico. Ma dinanzi ad una fonte lo
storico deve interagire con essa, avvicinarsi ad essa con umiltà e
gratuità, creare un dialogo con la consapevolezza e disposizione di
ricevere solo ciò che essa può dare, senza la protervia di piegarla
al suo volere. Solo così essa darà il meglio di sé, aprendo allo
storico vie insospettate. Premesso che non v’è intenzione di affrontare in questo lavoro la cosiddetta questione francescana, desidero solo far riferimento a quanto aveva già scritto Raoul Manselli sull’importanza del ruolo storico svolto da Paul Sabatier nella ricostruzione biografica del Poverello d’Assisi. Se prima del Sabatier, infatti, per tale ricostruzione biografica e per la storia delle origini francescane venivano adoperate la prima e poi la seconda Vita di Tommaso da Celano e quella di San Bonaventura, non tenendo in alcun conto altre fonti, quando erano conosciute, o addirittura guardate con sospetto come materiale spurio, tardivo e leggendario, con il Sabatier prima e con l’Esser poi, si ha un rovesciamento della ricerca storica sanfrancescana. Il punto di partenza non sono più le Vite celaniane e quella bonaventuriana, ma le fonti esterne, quel coacervo di materiale ritenuto prima tardivo e privo di ogni consistenza storica. Per i due storici sospette erano proprio le biografie ufficiali: quelle celanesi scritte per ordine del papa e dei frati e quella bonaventuriana scritta per adattarla alla nuova realtà dell’Ordine a seguito della sua trasformazione nella seconda metà del XIII secolo. Ora, proprio tutto quell’altro materiale ritenuto spurio e perciò rifiutato, costituiva l’unico che dava di Francesco l’immagine viva, palpitante e autentica pur se in contesti non sempre limpidi. è da questa nuova impostazione dello studio che ha inizio “la questione francescana” [5]. Sta qui il grande merito del Sabatier, nel fatto cioè di aver segnato un’orma incancellabile e aperto una strada nella quale tutti , sia pur nei modi e con risultati più diversi, si sono mossi e continuano a muoversi. Da qui lo stimolo di Raoul Manselli allo storico del Medioevo che, parlando anche di San Francesco, dovrà insistere sulla necessità di impostare un discorso rigorosamente scientifico nell’indicare direzioni di ricerca di questa eccezionale figura di uomo e di santo; scoprire gli atteggiamenti essenziali e fondamentali della sua personalità, colti anche in episodi che, al di là dell’elemento folclorico o popolare che li caratterizzano, mettono a nudo l’anima del Santo. Certamente, è cosa ovvia che la sua sensibilità è rapportata alla realtà della vita sociale, economica, religiosa e storica del suo tempo che ci consente di approfondire e porre in luce non solo il ruolo delle strutture e dello sviluppo istituzionale e politico delle forme di potere ma anche i rapporti di lavoro e gli scontri di classe ad Assisi come in tutta l’Italia dei comuni. Per cui, è da questa realtà fuori di Francesco che si ricavano e si analizzano i problemi che sono posti dalla sua percezione, non già dai suoi eventi biografici. Ecco perché gli scritti agiografici che vanno sotto il nome di «Fonti francescane» sono da qualificarsi come fonti in quanto non solo riportano l’azione e il pensiero di Francesco, ma anche e soprattutto perché riflettono tracce di quel tempo nella sua quotidianità, nei suoi costumi, nelle abitudini delle popolazioni, nei quadri ambientali e geofisici, nel modo di pensare, nei comportamenti e nei risvolti psicologici di quella collettività in cui i loro autori sono vissuti e hanno testimoniato con i loro scritti. Sono tracce individuabili- è bene ricordarlo- anche nelle fonti non francescane, come nelle lettere di Giacomo di Vitry, nelle quali si colgono testimonianze di prima mano della genesi del Francescanesimo e dell’agire di Francesco nella società del suo tempo [6]. Solo
nella disanima dei problemi del suo tempo, drammaticamente presenti al
suo spirito, potremmo cogliere il significato storico di Francesco,
perché è in questi problemi generali, in questo conflitto tra
spirito e storia presente nei suoi scritti, che si comprende la
profondità della sua anima e la sua vicenda umana e spirituale. Da
qui, la particolare importanza che assume la rilettura delle fonti
tradizionali da cui emergono con sempre più rilievo gli aspetti della
sua personalità e, in modo particolare, quelli relativi alla sua
religiosità, sulla base di una interpretazione diretta ed immediata
del testo evangelico vissuto fino alle estreme conseguenze. In questa
sua religiosità Francesco non solo porta una ventata di sentimento,
ma anche una concretezza del reale: sentimento e concretezza che si
colgono a piene mani nei tanti episodi nei quali il Santo è a stretto
contatto con gli animali in una intensità di rapporti, trasmessi
dalle fonti biografiche che, pur nella prevalente finalità
agiografica, trasmettono immagini, pensieri, episodi del « Francesco
storico» [7]. Partendo
dall’analisi della Legenda Perugina, nel riscontrarne i passi
con altre fonti francescane parallele, Manselli si prefiggeva lo scopo
di «porre in luce quali dei testi giunti fino a noi possa essere
considerato il più antico e , quindi, più meritevole di fede» [11]. Le
ricerche del Manselli hanno costituito un modello di partenza per
altre esperienze di studio individuabili nel libro di Alfonso Marini
sul rapporto di Francesco con la natura e con le creature
[12]. Numerosi
sono stati gli studi relativi a Francesco e gli animali, passati in
rassegna dal Marini che ne ha messo in evidenza anche i limiti nella
loro impostazione e nelle premesse ideologiche. E questo vale sia per
l’uso delle fonti esterne ed interne, sia per quelle ufficiali o non
ufficiali alla «religio»
francescana. Non va trascurata in proposito l’importanza delle fonti
«non ufficiali», certo anch’esse di parte, «ma di quella parte
che – con punte polemiche più o meno spinte- si qualificava proprio
per volere una maggiore fedeltà all’esempio della primitiva fraternitas
e all’intentio di Francesco, quali traspaiono anche dai suoi
scritti, primo fra tutti il Testamento»
[13].
Per di più, lo studio delle biografie cosiddette non ufficiali ha
fornito agli storici francescani risultati prima non sospettati,
rovesciando posizioni consolidate, mettendo in luce le convergenze più
che le opposizioni tra gli scritti ufficiali e altri scritti. Nella
Vita del povero et umile servo de Dio Francesco, fonte «non
ufficiale», il particolare rapporto di Francesco con le creature
viene goduto in modo diverso da quello presentatoci dalla tradizione e
devozione successiva, cioè più storicamente attendibile e meno
leggendario. Una prova è
data dalla gara di canto tra Francesco e l’ usignolo al cap. 63 su
cui si ritornerà. Qui
non si vuole tornare a parlare di questo rapporto, ma si vuole
affrontare sull’argomento uno studio che metta in evidenza aspetti
ludici di quell’amore naturale e spontaneo di Francesco verso gli
animali, che procede dall’ ispirazione e non dalla logica. Visto
sotto questa angolazione, il rapporto Francesco-animali assume
connotazioni nuove: l’animale non è più strumento passivo di
gioco, soggetto all’ arbitrio della volontà e degli umori, ma
assume un ruolo attivo e paritetico a quello dell’ uomo. Ambedue
partecipano all’ armonia della creazione con reciproco diletto. In
modo diverso da altri frati, Francesco gioca e prega con gli animali
[14].
San Bonaventura scrive che «i fratelli uccelli stanno lodando il loro
creatore; perciò andiamo in mezzo a loro a recitare insieme le lodi
del Signore e le ore canoniche»
[15].
Richerio di Sens racconta che Francesco «ammoniva gli uccelli perché
almeno loro, che erano creature senza ragione, si guardassero dal
trascurare l’ ascolto della parola di Dio, dal momento che gli
uomini, dotati di intelligenza e discernimento l’avevano a
noia[…]. E continuò a lungo a discutere con loro della parola di
Dio, come se avesse davanti creature ragionevoli»
[16].
è
proprio questo rapporto di affetto, di simpatia e di complicità fra
Francesco e gli animali a suscitare interesse, perché è da qui che
procede il senso del gioco che costituisce la componente principale
della personalità del Santo. è
poeta e gioca con le parole; è attore e gioca con la sua facilità
della messa in gioco; è cavaliere e gioca con le armi; è diacono e
improvvisa un gioco liturgico sulla Natività. Questa tensione
interiore si combinava in un tutt’uno con quella esteriore che influì
sulla predicazione francescana esercitando trasformazioni impensabili
nei decenni precedenti la conversione del Poverello. Solo l’intensità
della fede può infatti giustificare la forma esteriore della sua
predicazione, altrimenti interpretabile come degenerazione del
pensiero e della vita religiosa o, tuttalpiù, come pagine di ingenua
poesia.
Nel
suo consumarsi nell’amore, Francesco ha giocato con tutti gli
elementi e componenti del creato. Con la sua immaginazione di poetica
cavalleria ha corteggiato il dolore, la povertà e la croce ed ha
giocato con i misteri gaudiosi e dolorosi di Cristo; ha corteggiato
come un amante Madonna Povertà; ha goduto dello spettacolo del creato
giocando con le sue forze e gioiendo con esse, «schiudendo alla
spiritualità cristiana la cultura laica cavalleresca dei trovatori e
la cultura laica popolare del folclore paesano con i suoi animali, il
suo universo naturale»
[17].
Con i suoi modi cavallereschi il Poverello d’Assisi ha spalancato
le porte in cui erano prima serrate le sclerotiche sensibilità
infarcite di accidia e tristezza, monopolio di monaci incapaci di
respirare i profumi della natura e della vita, chiusi com’erano,
nella cappa dei loro pianti masochisti, a passare in rassegna e a
descrivere i terrori dell’ inferno al terrorizzato e denutrito
popolo dei fedeli. E per di più, per evitare che questo popolo di
fedeli cadesse vittima delle insidie del diavolo, i grassi e cirrotici
monaci raccomandavano ancora digiuni ai loro corpi già sfibrati dalla
fame, aprendo ad essi la strada maestra verso la follia. Loro, invece,
ingrassando gli animali, attendevano pazienti e obbedienti alla
evoluzione dei loro ritmi biologici per essere poi scannati e divorati
[18]. Tra
Francesco e i monaci era l’obbedienza che faceva la differenza: a
Francesco obbedivano gli animali, a questi obbedivano i monaci. Se
l’avidità di carne giustificava la loro pazienza in attesa del loro
ingrasso, con Francesco ci troviamo in una dimensione diametralmente
opposta, fatta di colori, di luce, di vita e di gioco col mondo
animale: «Tutta la figura del Poverello d’Assisi è piena di figure
e fattori puramente ludici che gli danno il suo aspetto più bello e
attraente»
[19].
La pregnanza di questa felice espressione, riconsiderata da D. Gagnan
[20],
R. Manselli [21]
e F. Cardini [22],
ci fa meglio comprendere il linguaggio ludico di Francesco in tutte le
sue forme comportamentali, considerate non solamente nella loro forma
esteriore perché, in tal caso, si correrebbe il rischio di
comprendere poco della spiritualità medievale che, a partire proprio
da Francesco, è impregnata di un misticismo popolato di figure e
fattori puramente ludici, non più compresi dalla sensibilità
moderna. La consapevolezza di difficoltà di questo genere non potrà
certo impedire allo storico di arrivare a Francesco storico attraverso
gli schemi ideologici, letterari o mentali dei suoi biografi e con
altri strumenti di indagine che la critica storica può mettere a
punto volta per volta. Ce ne hanno dato una chiara prova R. Manselli
[23],
G. Miccoli [24],
A. Marini
[25],Th.
Desbonnets
[26]. è bene precisare che il rapporto ludico di Francesco con gli animali non è privilegiato rispetto a tutto il resto del creato, tuttalpiù lo si può circoscrivere come un tema specifico con una sua autonomia. Mentre il mondo inanimato, il sole, le stelle, il fuoco, l’acqua vanno esaltati per la gloria di Dio, nell’uomo e in tutti gli esseri viventi Francesco sente la sofferenza e se la fa propria per poi riscattarla attraverso quelle azioni naturali e spontanee che si traducono in modo giocoso nelle carezze del pensiero e dell’azione. Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco, Maestro di San Francesco, Predica agli uccelli (1257-1259). Anche
gli animali possono soffrire, ma possono anche essere capaci di
vincere le sofferenze nella rassegnazione e persino nella gioia: «possono
persino essere di esempio all’uomo di come si vinca il dolore e la
sofferenza, di come si accetti la vita e la morte nelle cose belle e
nelle cose brutte»
[27].
Per essi Francesco nutriva un amore tenero e un rispetto straordinario
«perché in loro sentiva, più ancora che nella realtà materiale
dell’universo, l’azione creatrice, ad un tempo, di bellezza e di
potenza di Dio»
[28].
Questo suo effluvio d’amore per gli animali e, in particolare, per
gli uccelli, veniva da essi percepito e contraccambiato con un
rapporto confidenziale, colloquiale e giocoso. Ne è testimonianza
l’ episodio narrato dalla Legenda Perugina, così come ce lo
hanno trasmesso i compagni di Francesco che, soprattutto negli ultimi
due anni della sua vita, furono a lui assiduamente vicini perché il
Santo «haec fere per duos annos in omni patientia et humilitate
sustinuit […], quibusdam fratribus, merito sibi valde dilectis,
commiserat curam sui». Essi riferiscono del volo delle allodole sul
tetto della casa in cui egli giaceva morente, mentre quelle si
muovevano in circolo cantando, come a manifestare gratitudine al loro
antico amico e compagno di giochi , attorno al quale «non multum alte
volabant et faciebant rotam ad modum circoli cantando. Nos vero qui
fuimus cum beato Francisco, qui de ipso hec scripsimus, testimonium
perhibemus quod […]»
[29]. Questo
cantare in circolo delle allodole su Francesco morente non era da
considerarsi un fatto eccezionale, ma direi ordinario nella sua
eccezionalità o, se vogliamo, di eccezionalità ordinaria rapportata
alla confidenziale familiarità di lunga data fra il Santo e gli
uccelli. Da questa particolare corrispondenza affettiva nasceva in lui
il desiderio di voler parlare all’ imperatore perché potesse
ordinare che nessuno osasse fare del male alle allodole e che i
reggitori delle città fossero tenuti, ogni anno, il giorno di Natale,
ad obbligare tutti a dare frumento e grano agli uccelli e alle
allodole per festeggiare la nascita del Bambino Gesù; che in quella
notte solenne fosse dato da mangiare al bue e all’asino, e che tutti
i poveri fossero saziati dai ricchi. A questo banchetto generale
avrebbe dovuto partecipare ogni specie animale come ad un gioco
fantastico scaturito dall’ immaginazione che solo la profonda
spiritualità del Poverello poteva e sapeva concepire: spiritualità
che fu caratteristica della sua religiosità popolare e non teologica
[30]. Quel
gioco della mente e dello
spirito gli ricordava che l’allodola, come il religioso, ha il
cappuccio, e che anch’essa, come
il religioso, va per la sua strada alla ricerca di qualcosa con
cui nutrirsi, ed è umile perché si accontenta del chicco di grano
beccato fra lo sterco degli animali. Da qui la creazione di un effetto
giullaresco, connotato proprio dal cappuccio dell’allodola e dal suo
volo cantato a lodare il Signore: «Soror lauda habet caputium sicut
religiosi […] Volando laudat Dominum, sicut boni religiosi
despicientes terrena, quorum semper in celis est conversatio». Se
nella Legenda Perugina 14 la pericope relativa al volo delle
allodole sul tetto della Porziuncola, la vigilia della morte di
Francesco, offre un’immagine giocosa racchiusa in quelle poche
parole «…non multum (alte) volabant et faciebant rotam ad modum
circoli, cantando…», in Tommaso da Celano il gioco ha una venatura
di tristezza. Le allodole si sono levate in volo piroiettando a lungo
sul loro amico morente in un ultimo saluto («et diu cum magno
rotantes strepitu»), ma non si riesce a comprendere se lo
strepito delle allodole esprima gioia o dolore («an gaudium an
tristitiam suo modo cantando monstraverint, ignoramus»):« Esse
cantavano un gioioso pianto e una gioia dolorosa, quasi piangessero il
lutto dei figli o volessero indicare l’entrata del Padre
nell’eterna gloria»
[31].
Avevano comunque intuito che nessun altro come Francesco avrebbe
potuto tanto amarle e comprenderle. è lo stesso Tommaso da Celano ad evidenziare come questo rapporto confidenziale e colloquiale con gli animali sia scaturito proprio dal fatto che Francesco era simplex gratia, non natura [32], e che gli animali presentissero quel dono di pietà e d’amore verso essi stessi [33]. Tant’è che alle sue parole di lode a Dio che ha creato gli uccelli nobili fra tutte le altre creature, proteggendoli e governandoli senza che essi se ne preoccupassero, quelli, nella famosa predica di Bevagna, si predisposero all’ascolto di Francesco in atteggiamento giocoso. Così, esultando, com’è nella loro natura, cominciarono ad allungare il collo, a protendere le ali, ad aprire i loro beccucci, a fissarlo negli occhi; né dettero segno di inquietudine quando al suo passaggio il saio toccava le loro teste e i loro piccoli corpi. Nel
segno di croce con cui Francesco licenzia le rondini a predica finita,
si coglie l’aspetto ludico del gesto, come a voler significare la
sospensione momentanea del gioco fra le parti e l’invito ai volatili
di continuare a giocare fra loro nel cielo. La sorpresa del Santo di
essere ascoltato ed obbedito dalle creature del cielo si tramuta in
entusiasmo che il suo spirito cavalleresco amplifica a dismisura. Se
gli uccelli di specie diverse, colombe, cornacchie e monachine
l’ascoltavano e gli obbedivano, a maggior ragione l’avrebbero
ascoltato gli uomini
[34].
Da questa fiducia nasceva e si sviluppava il suo spirito giocoso e
cavalleresco che prorompeva dal suo petto come i garriti e gli
strepiti delle rondini di Aviano. Era
credenza consolidata che il Santo, proprio per la sua obbedienza,
meritasse il potere di essere a sua volta obbedito dagli animali che
in lui riconoscevano Dio stesso
[35].
Questo potere aveva la facoltà di trasmettersi come dono a coloro che
invocavano il suo nome. San Bonaventura riporta in proposito un
curioso e divertente episodio relativo ad uno studente universitario
di Parma che, distratto nello studio dal garrire di una rondine, disse
ai suoi compagni che trattavasi di una di quelle che aveva importunato
Francesco e alla quale era stato ordinato di fare silenzio. La
rondine, udito il nome di Francesco, subito tacque e andò a
rifugiarsi con tutta sicurezza, come per gioco, nelle mani dello
studente che la restituì alla libertà
[36]. Note 1
R.
Manselli, Francesco d’Assisi nella storia. Secoli XIII-XV. Atti
del primo Convegno per l’VIII Centenario della nascita di san
Francesco (1182-1982), a cura di Servus Gieben, Roma 1983. 2
G.
Pepe, Francesco d’Assisi tra Medioevo e Rinascimento, Manduria
1965,64. Le fonti infatti non sono da considerarsi infallibili e
sempre esplicite solo perché fonti. Spesso sono viziate da pregiudizi
e interessi personali o di gruppo che deformano quanto registrato.
Occorre quindi fare operazione di chirurgia dei documenti, o
ingaggiare con essi quella che Bloch chiamava «la lotta col documento»
perché essi possano essere compresi nel loro linguaggio originale,
liberi da vizi o ambiguità. E non è detto che l’operazione riesca
sempre. Su questi aspetti, M. Bloch, Apologia della storia,
Torino 1950, 81; S. Tramontana, Capire il Medioevo, Roma 2005,
115-117. 3
A. Marini, Introduzione
alla Vita del povero et humile servo de Dio Francesco, dal
ms Capponiano-Vaticano 207, a cura di Marino Bigaroni,
Santa Maria degli Angeli-Assisi 1985, VII-XLVI. 4
A.
Marini, Ibidem, X. Sulla convergenza tra fonti ufficiali
e quelle non ufficiali, R. Manselli Introduzione allo Speculum
Perfectionis (minus), a cura di Marino Bigaroni, Città di
Castello 1983, VII-XIX. 5
R.
Manselli, Paul Sabatier e la “questione francescana”, in Idem,
Francesco e i suoi compagni, Roma 1995, 93-107. In proposito,
astratta e fuorviante fu ritenuta dal Miccoli la proposta di Kajetan
Esser di privilegiare, per la storia delle origini francescane le
testimonianze esterne all’Ordine perché ritenute quelle interne
condizionate da contrasti al suo interno: K. Esser, Anfänge und
ursprüngliche Zielsetzungen des Ordens der Minderbrüder, Leiden,
1968, 2 ss. Cfr.
G. Miccoli, Francesco
d’Assisi. Realtà e memoria di una esperienza cristiana, Torino
1991, 190-247, qui 194; Stanislao da Campagnola, Le origini
francescane come problema storiografico, Perugia 1974, 285
ss. 6
R.
Manselli, San Francesco d’Assisi. Orientamenti della ricerca
storica, in Idem, Francesco e i suoi compagni, 21-35;
E. Prinzivalli, Un santo da leggere: Francesco d’Assisi nel
percorso delle fonti agiografiche, in Francesco
d’Assisi e il primo secolo di storia francescana, 1997, 71-115. Sulle
testimonianze di Giacomo di Vitry, Lettres de Jacques de Vitry
(1160/ 70-1240), évèque de Saint- Jean- d’Acre. Edition
critique par R.B.C.
Huygens, Leiden 1960. 7
G.
G. Merlo, Intorno a frate Francesco,Milano 1993, 77-85; G.
Miccoli, Francesco d’ Assisi. Realtà e memoria, 197. 8
G.
Miccoli, Francesco d’Assisi. Realtà e memoria, 190-198;
cf. anche C. Leonardi (a cura di), Le agiografie francescane, in
Letteratura francescana, II, Le vite antiche di San
Francesco, Milano 2005, XV-XLIV; C. Dolcini, Francesco
d’Assisi e la storiografia degli ultimi vent’anni: problemi di
metodo, in Frate Francesco d’ Assisi. Atti del XXI
Convegno internazionale della Società internazionale di Studi
francescani, Spoleto 1994, 5-35. 9
K.
Elm, La Vita franciscana. Una forma di vita religiosa tra
innovazione e adattamento, in Idem, Alla sequela di
Francesco d’Assisi. Contributi di storia francescana ( Medioevo
francescano. Saggi 9), Santa Maria degli Angeli- Assisi 2004, 47-67,
qui 59. 10
R.
Manselli, Nos qui cum eo fuimus. Contributo alla questione
francescana, Roma 1980, passim. 12
A.
Marini, Sorores alaudae. Francesco d’Assisi, il creato, gli
animali, Santa Maria degli Angeli-Assisi 1989. 13
A. Marini, Introduzione
alla Vita del povero, XI-XII. 14
Salimbene
de Adam, Cronica, a cura di F. Bernini, Bari 1942, 2 voll., II,
211-212. Il frate e cronista parmense biasimerà i comportamenti
ludici degenerati di « alcuni frati dotti, letterati e di grande
santità (che) si intrattengono a scherzare con un topolino e un
cagnolino o qualche uccelletto: ma non alla maniera con la quale il
beato Francesco parlava e giocava col fagiano e la cicala,
dilettandosi nel Signore». 15
Cfr.
Legenda
maior VIII, 9 : FF 1154; Ff, 850. 16 Cfr.
Gesta
Senonensis Ecclesiae: FF 2307. Cfr.
P. Magro, Francesco
d’ Assisi nel pianeta animale. Il bestiario francescano fra simboli
e realtà, in San Francesco11 (2004), 36-43. 17
J.
Le Goff, Francesco d’ Assisi, Milano 1998, 120. 18
Per
una visione della vita all’interno delle mura di un monastero e
sulle abitudini alimentari dei monaci : G. C. Alessio (a cura di), Cronache
di San Gallo, Torino 2004, in partic. 81, 153, 265-267, 299-305.
Il ritratto del monaco col viso sprofondato nel cibo come cane
famelico è realisticamente tracciato da San Bernardo: Sancti
Bernardi Abbatis primi Clarae-Vallensis Opera Omnia, a cura di D.
J. Mabillon, 3 voll., Mediolani 1850-1852, I, Apologia ad
Guillelmum abbatem, 805-824, in partic. 816-818 e III (1852), Sermo
XV, 1012-1016. Cfr.
F. Moretti, La ragione
del sorriso e del riso nel Medioevo, Bari 2001, 42-43. 19
J.
Huizinga, Homo ludens, Torino 1973, 164. 20
D.
Gagnan, Saint François, batisseur d’eglises, in Ètudes
franciscaines XX, nn. 55-56 (1971), 380-381 e passim. 21
R.
Manselli, La povertà nella vita di Francesco d’Assisi, in Francesco
e i suoi compagni, 201-222, qui 207. 22
F.
Cardini, L’avventura di un cavaliere di Cristo, in Studi
francescani 73 (1976) 127-198 qui 129-131. 23
R.
Manselli, Nos qui cum eo fuimus, passim. 24
G.
Miccoli, La proposta cristiana di Francesco d’Assisi, in Studi
medievali. 3s,
24 (1983) 17-73. 25
A. Marini, Sorores alaudae,
20-21. 26
Th.
Desbonnets, De l’intuition à l’institution. Les
franciscains, Paris 1983
(trad. it.Dalla intuizione alla istituzione. I francescani,
Milano 1986). 27
R.
Manselli, Nos qui cum eo fuimus, 271-272. 28
R.
Manselli, San Francesco d’Assisi (editio maior), Torino 2002,
404. 29
R. Manselli, Nos qui cum eo
fuimus, 77-83; cf. Leg. per. n.14, 44-48 ; Spec.
Perf., 113-114. Su quest’opera quale fonte autonoma
scoperta nel 1898 da Paul Sabatier e sulla sua fortuna, L. Pellegrini,
Introduzione allo Speculum perfectionis, in Ff,
1829-1847; F. Uribe, Lo Speculum perfectionis, in Idem,
Introduzione alle fonti agiografiche di San Francesco e santa
Chiara d’Assisi (secc. XIII-XIV), (Medioevo francescano. Saggi
7), Santa Maria degli Angeli-Assisi 2002, 337-365; F. Accrocca, «Viveva
ad Assisi un uomo di nome Francesco».Un’introduzione alle
fonti biografiche di san Francesco, Padova 2005, 121-128); SpecL.19:
Ff, 1777-1779; III Cel. 32 : FF 855 ; Ff, 668. L’episodio
è omesso nella II Cel. Sulla assidua vicinanza dei compagni a
Francesco, cf. I Cel. 102: FF 498; Ff, 379-380. 30
R.
Manselli, Nos qui cum eo fuimus, 79. 31
Cfr.
III Cel.32 : FF 855 ; Ff, 668. 32
Cfr.
I Cel.58: FF 425; Ff, 334. 33
Cfr.
I Cel.59: FF 426; Ff, 334-335. 34
La
famosa «predica agli uccelli» fu interpretata sotto una luce diversa
dai cronisti di Sant’Albano, Ruggero di Wendover e Matteo Paris.
Per questi, la predica agli uccelli sarebbe stata un gesto minaccioso
nei confronti del popolo romano, che si rifiutava di ascoltare la
predicazione di penitenza. Respinto dagli uomini, Francesco si rivolse
agli uccelli che non erano le miti colombe, ma i rapaci dell’
Apocalisse. Cfr.
F. D. Klingender, St.
Francis and the Birds of the Apocalypse, in Journal of the
Warburg and Courtauld Institutes 16 (1953), 13-23; G. Miccoli, La
storia religiosa, in Storia d’Italia, II: Dalla caduta
dell’Impero romano al secolo XVIII, Torino 1974, 740-741; C.
Delcorno, Origini della predicazione francescana, in Francesco
d’Assisi e francescanesimo dal 1216 al 1226. Atti del IV
Convegno Internazionale della Società Internazionale di Studi
francescani, Assisi 1977, 125-160, in partic. 153-154; C. Frugoni, Francesco
e l’invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino
a Bonaventura e Giotto, Torino 1993, 246-252. 35
Cfr.
W. J. Shot, Hagiographical Method in Reading Franciscan Sources.
Series of Francis and Creatures in Thomas of Celano's “Vita prima”,
in Laurentianum XXIX (1988), 462-495. 36
Cfr.
Legenda maior XII, 5: FF 1208; Ff, 883.
|
©2007 Felice Moretti. Il saggio è stato pubblicato a stampa in «Il Santo», 46 (2006).