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           MEDIOEVO ERETICALE

    a cura di Andrea Moneti


 

    

Comincia la persecuzione.

L’Inquisizione Spagnola, pur essendo una derivazione diretta di quella medievale, ebbe caratteristiche e dinamiche proprie che la contraddistinsero. La Spagna era un paese particolare con una storia distinta dal resto dell’Europa. Fin dall’VIII secolo, a partire dalla prima jihad, o guerra santa, musulmana, la penisola iberica era stata ininterrottamente un teatro di guerra tra musulmani e cristiani. Man mano che le conquiste del regno di Aragona e dei principi cristiani si consolidavano, si poneva il problema della convivenza religiosa che, per tutto il Medio Evo, senza particolari problemi rispetto ad altri paesi europei (pensiamo, ad esempio, ai sanguinosi pogrom nelle città tedeschi dopo la peste nera), riuscì a far convivere musulmani, cristiani ed ebrei. Ma già sul finire del XIV secolo la situazione per gli ebrei iniziò a peggiorare, quando a Barcellona e in altre città spagnole, nell’estate del 1391, un’ondata di antisemitismo sconvolse i quartieri ebraici per colpa di gruppi di facinorosi ed esaltati che costrinsero gli abitanti di fede ebraica a scegliere tra il battesimo o la morte, dando luogo, per la prima volta, al fenomeno generalizzato dei “conversos”, i neoconvertiti con la forza. A Siviglia ci un massacro impressionante (alcune fonti parlano di 4000 morti). Lo stesso Papa Nicolò V, con la bolla Humani generis inimicus, arrivò a condannare questi comportamenti, affermando che la razza e la discen­denza non potevano essere usati come pretesti per discriminare gli ebrei.

Dopo questi fatti, non furono pochi quelli di loro che, nonostante il re d’Aragona fosse intervenuto decretando che un battesimo ottenuto con la forza non avesse valore e che, pertanto, potevano tornare alla loro religione, decisero di rimanere cattolici. Ci fu chi lo fece perché convinto che l’apostasia di cui si era macchiato gli impediva di al giudaismo. Altri per convenienza e timore, nella speranza di essere, in questo modo, al riparo da eventuali aggressioni future. In seno alla collettività spagnola venne così a crearsi questa componente sociale giudaico-cristiana, numericamente non indifferente, di famiglie e gruppi di individui che conducevano una vita ibrida, seguendo usi e costumi cristiani ed ebrei allo stesso tempo. Molti conversos , ad esempio, continuarono a vivere nei quartieri ebrei per mantenere i legami e tradizioni familiari, pur battezzando e allevando come cattolici i loro figli. Questo fu anche causa di non poche tensioni tra coloro che rimasero fedeli alla tradizione e religione giudaica e quelli che si fecero cattolici.

La convivenza fra le diverse comunità religiose restò comunque difficile, soprattutto fra gli strati sociali più bassi. Infatti, nei territori del regno iberico, gli ebrei e i conversos, molto numerosi, a cui era consentito di effettuare prestiti a interesse, godevano di una particolare attenzione da parte dei sovrani. Numerosi erano i conversos che arrivarono a ricoprire ruoli di primaria importanza nell’economia e nella cultura, rivestendo anche prestigiose cariche ecclesiastiche. Questa situazione produsse a più d’una frizione, soprattutto fra la vecchia aristocrazia e i ceti mercantili cristiani. Cominciarono anche a circolare scritti antisemiti, in cui si diceva che i conversos facevano parte di un disegno degli ebrei preparato per infiltrarsi tra la nobiltà spagnola e la Chiesa cattolica e cospirare contro di loro. Lo stesso nome di “marrani” (porci) con cui venivano indicati gli ebrei e i conversos testimonia inequivocabilmente il clima antisemita generalizzato nel paese. Ad aggravare la situazione era l’evidenza che in molti casi i conversos avevano aderito alla fede cattolica per convenienza che erano rimasti intimamente giudaici.

Quando salì al trono, nel 1474, Isabella di Castiglia (1451-1504), la convivenza fra ebrei e cristiani si era fortemente deteriorata. Il caso che fece esplodere una vera e propria “caccia all’ebreo” fu provocato dal rogo di due conversi nel 1477 a Llerena; il domenicano Alonso de Hojeda, priore del convento di Siviglia, aveva condotto un’in­chiesta ed era giunto ad affermare che quasi tutti gli ebrei convertiti in realtà avessero continuato a praticare il giudaismo di nascosto. Questo fu il pretesto che attendeva Ferdinando per dare il via alle persecuzioni. Ferdinando d’Aragona (1452-1516) e Isabella richiesero a papa Sisto IV (1471-1484) la facoltà di indagare i loro sudditi di origine ebraica e quelli convertiti. Il pontefice emanò la bolla, il 1 novembre del 1478, in cui autorizzò la Corona spagnola ad istituire un tribunale che avesse giurisdizione esclusivamente sui cristiani battezzati, ovvero i conversos. Questo atto fu la nascita dell’Inquisizione Spagnola. Il 6 febbraio del 1481 viene celebrato il primo “auto da fé”, con il rogo di sei notabili conversi. Nello stesso anno, un’ordinanza obbligò gli ebrei che vivevano nella Castiglia a rinchiudersi nei ghetti, mentre numerosi giudei andalusi vennero espulsi. Poteva così iniziare quella feroce persecuzione in nome della fede per cui la questione religiosa era un fatto puramente secondario ri­spetto a quello politica, paravento al quale i domenicani nel Regno di Spagna si prestarono sen­za troppe remore.

Torquemada

 

Torquemada, l’inquisitore per eccellenza

In questo clima d’odio in tutta la Spagna fiorirono le denunce e le accuse contro i conversos, disprezzati sia dai cristiani che dagli ebrei, sommergendo il lavoro stesso degli inquirenti. In questa prima fase convulsa, e negli anni a venire, molti furono gli abusi, toccando livelli inusitati di isteria e esaltazione fanatica. Lo stesso papa Sisto IV intervenne per porre un freno agli eccessi scrivendo, in una missiva del 18 aprile del 1482, ai vescovi spagnoli: «In Aragona, Valenza, Maiorca e Catalogna, l'Inquisizione è stata talvolta mossa non da zelo per la fede e per la salvezza delle anime, ma da avidità di ricchezza. Molti veri e fedeli cristiani, sulla base della testimonianza di nemici, rivali, schiavi ed altri individui d'infima condizione, sono stati, senza alcuna prova legittima, gettati in prigione, torturati e condannati come eretici recidivi, privati dei loro beni e delle loro proprietà e consegnati al braccio secolare per essere giustiziati, mettendo a repentaglio le anime, offrendo un esempio pernicioso e generando disgusto in molti».

Re Ferdinando, oltraggiato dal contenuto di questa lettera rispose con asprezza a papa Sisto, insinuando perfino che i conversos avessero corrotto anche Roma: «Mi sono state riferite cose, Santo Padre, che, se vere, sembrerebbe meritare il più grande stupore. [...]. A queste dicerie, comunque, noi non abbiamo dato credito, sembrando cose che in nessun modo possano provenire da Sua Santità, che ha il dovere dell'Inquisizione. Ma se, per caso, alcune concessioni sono state fatte, grazie alla tenace ed astuta persuasione dei conversos, io non intendo in alcun modo permetter loro di avere effetto. Faccia perciò attenzione a che la questione non proceda oltre, revochi eventuali concessioni e ci affidi interamente la cura di questo problema». Da questo momento in poi il Papato non ricoprì più alcun ruolo nell’Inquisizione spagnola, che divenne a tutti gli effetti uno strumento della monarchia spagnola e indipendente dall’autorità ecclesiastica. Le ragioni di questa scelta vanno ricercate non solo nella difesa della fede cattolica, ma anche, e soprattutto, nel tentativo del cristianissimo re Ferdinando d’Aragona di riunire sotto un’unica corona il paese, fino ad allora diviso in due regni, quello di Castiglia e quello d’Aragona, sconvolto da aspri contrasti, anche militari, sostenuti da una parte della nobiltà con pesanti ripercussioni economiche. Infatti, l’inquisizione era già presente in Spagna da almeno 250 anni (introdotta dal vescovo Bernard a Lerida), ma ai tempi di Ferdinando era fortemente indebolita. Il re, però, intuì il potere coercitivo che un’istituzione come quello del Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione, o più meglio noto come il Consiglio della Suprema, poteva dargli.

Il Consiglio della Suprema era un vero e proprio “Consiglio di governo” sotto il controllo diretto della corona, che si aggiungeva agli altri Consigli che fissavano leggi e de­creti sul territorio spagnolo (come, ad esempio, il Consiglio di Aragona, quello di Pastiglia e quelli dello Stato e delle Finanze). Tra i suoi numerosi compiti, i principali erano dettare le normative e le procedure per i tribunali che agivano nelle pro­vince del regno, controllarne l’attività, esaminare i rapporti del­le varie visite inquisitoriali, sorvegliare la condotta dei vari inquisitori e detenere il potere decisionale per le cause in appello o quelle più gravi. Per arginare le violenze e gli abusi di cui molti inquisitori e pubblici ufficiali si macchiarono, agendo, spesso,al di fuori delle garanzie canoniche, nel 1483 Ferdinando nominò Tomás de Torquemada (1420-1498) inquisitore generale del Regno, senz’altro uno dei più famosi, se non il più famoso inquisitore della storia e che, tra realtà e mito, incarnò l’essenza stessa dell’inquisizione. Nato ad Avila, intorno al 1420, giovanissimo, divenne frate predicatore nel convento domenicano di San Paolo in Valladolid, col nome di Tommaso, in onore del santo domenicano e filosofo d’Aquino. La sua fu una carriera folgorante; prima priore del convento di Santa Cruz, a Segovia, quindi confessore e confidente del tesoriere di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Pastiglia, per poi divenire con­sigliere della stessa Isabella. Le notizie che ci sono giunte parlano di un uomo integerrimo, quasi un asceta, eloquente e capace di impressionare chiunque con la sua predicazione. In altre parole la perfetta incarnazione del difensore della fede. Tra i suoi compiti ci fu quello di regolamentare la procedura inquisitoriale e unificarne la prassi tra le città e i possedimenti sotto la giurisdizione spagnola (arrivando a promulgare il “Codice” dell’Inquisizione il 29 ottobre 1484).

L’azione inquisitoriale presieduta da Torquemada, forte dell’appoggio e del sostegno del re, imperversò in ogni angolo del Regno: dal 1480 al 1484 erano presenti tribunali inquisitoriali a Siviglia, Cordoba, Valencia, Ciudad Real, Jaen e Sara­gozza, nei sette anni successivi in tutta l’Andalusia e in buona parte della Castiglia. Questa rapida diffusione fu possibile non solo per l’interesse della corona, ma anche grazie alla capacità organizzativa di Torquemada e al fatto che questi tribunali avevano una struttura itinerante (nel 1493 arrivarono ad essere in funzione ben 25 tribunali, poi divenuti sedentari per ridurre le spese, lasciando a degli incaricati il compito di battere le province e di istruire i processi). Quando gli inquisitori arrivavano in una zona, entrando nel­le città in gran pompa, con i propri procuratori e notai, annunciavano l’Editto di Grazia, un periodo di 30 o 40 giorni durante il quale i falsi conversos potevano uscire allo scoperto e fare penitenza. Passato l’intervallo di tempo prefissato, che, nel frattempo, veniva impiegato dagli inquirenti per acquisire informazioni sui falsi cristiani che continuavano a praticare il giudaismo in segreto, chi veniva trovato colpevole correva il rischio di essere bruciato sul rogo. Questa procedura creò un’ondata di panico tra i conversos, perché quasi tutti avevano dei nemici che potevano testimoniare contro di loro, anche il falso.

L’accusato, nella maggior parte dei casi, infatti, si trovava dinanzi al tribunale senza sapere ancora per cosa doveva essere inquisito, né chi erano i suoi accusatori e delatori. Obbligato a giurare la verità delle sue affermazioni, veniva interrogato sulle sue usanze, sui suoi comportamenti, sulle sue conoscenze tenuti ultimamente. Oltre al rogo, poteva essere condannato alla memoria dell’infamia, all’ostensione, cioè, dei “sanbenitos”, tuniche di colore giallo (o nero, nel caso delle condanne a morte) con una croce rossa al centro, che dovevano essere portate, in molti casi, per tutta la vita (oppure venivano appesi nella chiesa con, ricamati in modo visibile a tutti, i nomi dei penitenti). Altra pena temuta era la dichiarazione di inabilità, ovvero la privazione dei diritti civili e, quindi, la possibilità di svolgere professioni pubbliche civili o religiose. Infine potevano essere confiscati anche tutti i suoi beni, facendo cadere sul lastrico intere famiglie. A onor del vero va detto che la Chiesa si oppose ai metodi portati avanti dall’Inquisizione spagnola. Molti furono gli ecclesiastici che si indignarono contro i suoi procedimenti brutali. Lo stesso successore di Sisto, Innocenzo VIII, scrisse, invano, due volte al re per invocare compassione e clemenza per i conversos.

In questo vortice crescente di abusi giuridici e civili da parte dell’Inquisizione spagnola, crebbe anche il risentimento popolare contro gli ebrei e, un po’ in tutto il paese, cominciarono a circolare voci infondate per cui gli ebrei stavano segretamente riconducendo i conversos alla loro vecchia fede. Queste voci giunsero anche alla corte di Ferdinando e Isabella ne e ne furono fortemente influenzati, nonostante entrambi i monarchi avessero amici e confidenti ebrei. A partire dal 1482, cominciarono le espulsioni degli ebrei nelle zone di maggiore influenza e diffusione, fino ad arrivare all’editto del 31 marzo 1492 in cui veniva decretata l’espulsione indiscriminata di tutti gli ebrei dal Regno di Spagna (tra i colpiti ci fu anche uno dei finan­ziatori della spedizione di Cristoforo Colombo). Questo editto costrinse migliaia di ebrei alla conversione e al battesimo forzato, ma molti furono quelli che, senza rinnegare la propria fede, abbandonarono tutto. Giusto per fornire alcuni esempi significativi del clima di intolleranza a cui si era potuti arrivare, ricordiamo che nella sola Saragozza, tra il 1486 e il 1490, ben 307 persone vennero sottoposte ad auto da fé, mentre nella sola Maiorca, tra il 1488 e il 1499, i roghi furono ben 347. Dopo la riconquista di Granada, nel 1492, si pose anche il problema dei rapporti con la popolazione di origine araba, ormai divenuti a pieno titolo parte integrante della popolazio­ne e della società spagnola. La guerra ispanico-araba si era, infatti, conclusa con la stipulazione di patti che accordavano agli islamici la libertà di culto. Ma, passati dieci anni dalla Riconquista, Isabella di Castiglia si fece promotrice di un’ordinanza con la quale obbligava i cittadini di fede musulmana a scegliere, come gli ebrei, tra esilio e battesimo, ricreando con i “moriscos”, gli arabi convertiti, lo stesso problema dei conversos.

 

Questa forma di isterismo nei confronti dei giudei durò fino ai primi anni del Cinquecento. Sotto la direzione di Torquemada, più di 2.000 conversos vennero condannati al rogo e bruciati. Fu con il suo successore, il cardinale arcivescovo di Toledo Francisco Jiménez de Cisneros, che si iniziò a riformare l’Inquisizione. Ad ogni tribunale, sotto la guida di due inquisitori domenicani, vennero affidati ufficiali reali, esperti e colti primo fra tutti un consulente legale, un conestabile, un accusatore e un certo numero di assistenti. Sempre più le condanne inflitte dall’Inquisizione spagnola consistettero in confische piuttosto che roghi o altre forme di repressione cruenta e spettacolare. Le esecuzioni e le torture si fecero più rare (fra il 1540 e il 1700, secondo degli studi dello storico danese Gustav Henningsen, su oltre quarantamila casi di inquisiti, circa l’1% di essi fu giustiziato); piuttosto la sua attenzione si rivolse nelle terre spagnole del Nuovo Mondo, dove, comunque, vennero commesse atrocità di ogni tipo. Gran parte dell’immagine negativa sull’Inquisizione spagnola dei secoli successivi, dalla seconda metà del XVI secolo in poi, la si deve anche alla propaganda protestante. L’aspetto forse più curioso dell’Inquisizione spagnola fu la relativa mitezza tenuta nei confronti della stregoneria, mentre un po’ in tutta Europa dilagava la caccia alle streghe. Questo si spiega, in parte, per il fatto che la stregoneria fu un problema secondario rispetto a quello, molto più pressante, della presenza dei conversos e dei moriscos.

      

    

©2005 Andrea Moneti

     


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