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MEDIOEVO ERETICALE |
a cura di Andrea Moneti |
Il
movimento del Libero Spirito
Il
movimento del Libero Spirito (Liber spiritus, spiritus libertatis, e
così via) si affermò nella Francia settentrionale, in Belgio, nei Paesi
Bassi, in Renania, principalmente a Colonia, nella Germania meridionale e
nell’Italia settentrionale e centrale, in un lungo periodo durante la
transizione dall’alto al basso medioevo. Noto anche come i Fratelli del
Libero Spirito, fu un movimento disomogeneo che restò per lungo tempo in
secondo piano rispetto ad altri movimenti ereticali, per lo più legato agli
ambienti beghini. I suoi aderenti professavano l’indipendenza dall’autorità
ecclesiastica e la possibilità di vivere secondo una vita apostolica, poiché
erano convinti di essere pervasi dallo Spirito Santo. Rifacendosi al detto di
San Paolo per cui “tutto è puro per i puri” (Lettera a Tito 1,15),
ritenevano di essere talmente perfetti da poter commettere qualsiasi atto
senza correre il rischio di peccare.
I
Fratelli del Libero Spirito avevano molti punti di contatto con la dottrina di
Amalrico dal Bene e i suoi seguaci, gli almariciani, un magister di
teologia a Parigi e allontanato dalla cattedra nel 1204 per volere di
Innocenzo III che aveva condannato come eretiche i suoi insegnamenti. Di lui
rimane ben poco; si sono, però, conservate tre affermazioni fondamentali che
permettono di inquadrare la sua interpretazione del Cristianesimo:
1.
Dio
è tutto
2.
Tutto
è uno, poiché tutto ciò che esiste è Dio
3.
Chi
segue la legge dell’amore è al di sopra di ogni peccato
Sulla
base di queste formulazioni i seguaci di Amalrico sostenevano che, attraverso
l’estasi e la meditazione, sarebbero riusciti a unirsi con Dio poiché lo
Spirito Santo s’incarnava in loro allo stesso di Cristo. E la conseguenza
principale di queste asserzioni era che uomini che avevano raggiunto una
siffatta condizione spirituale non potevano più peccare, perché ogni loro
gesto era volontà di Dio, e, quindi, erano superiori alla legge.
I
Fratelli del Libero Spirito, partendo da posizioni teoriche similari, essendo
l’essenza dell’anima di origine divina, ammettevano per ogni uomo la
possibilità di “trasfigurarsi in Dio”. A questo scopo, per poter
raggiungere lo stato “divino” e diventare un “libero spirito”,
l’iniziato doveva superare un lungo noviziato rinunciando a ogni proprietà,
alla famiglia, e vivere di elemosine. Raggiunto questo stato di perfezione e
unione con Dio, lo “spirito libero” si affrancava da ogni limitazione, o
legge, etica e morale poiché il suo volere coincideva con il volere di Dio e
il peccato non aveva per lui più alcun senso. Per questo, sicuramente in
chiave polemica, vari autori cattolici riportarono che i Fratelli del Libero
Spirito, forti di questi convincimenti, si lasciavano andare nei loro rituali
ad atti contro la morale, soprattutto nella sfera sessuale. Ovviamente,
perseguendo una logica di questo tipo, per i seguaci del movimento del Libero
Spirito gli strumenti salvifici offerti dalla Chiesa cattolica, come il
pentimento, la confessione, la remissione dei peccati e l’eucaristia non
ricoprivano più un ruolo importante.
Il
movimento conobbe una certa diffusione in Italia centrale, e in particolare in
Umbria. Ma soprattutto ci furono molti punti di contatto con il movimento dei
Begardi e delle Beghine, le cui comunità erano particolarmente sensibili alla
comunanza dei beni che i Fratelli del Libero Spirito professavano. E non è un
caso se una delle personalità di maggior spicco del movimento del Libero
Spirito fu la Beghina Margherita Porete, arsa a Parigi nel 1310, autrice del
controverso ed enigmatico libro Miroir des simples âmes, uno tra più
importanti testi della mistica medievale francese, che conobbe una vasta diffusione.
Per quanto riguarda le vicende italiane il principale rappresentante dei
Fratelli del Libero Spirito fu Bentivegna da Gubbio (condannato nel 1307 al
carcere a vita da Ubertino da Casale). Il movimento fu definitivamente
dichiarato eretico da Papa Clemente V (1305-1314) nella bolla Dilectus
Domini del 1311.
Il
movimento del Libero Spirito, sostenuto in prevalenza da laici, si rivolgeva
contro il potere e la corruzione delle gerarchie ecclesiastiche. Alla base
c’era il concetto di libertà “ubi autem spiritus domini, ibi
libertas”, apertamente diretto contro le prescrizioni della Chiesa, teso
al perseguimento di un ideale di cristianesimo austero ed elitario. Il
movimento del Libero Spirito è spesso considerato panteistico, perché assume
un ruolo fondamentale la personificazione divina in tutte le sue forme.
Aspetti comuni, anche se confusi, di una mistica che ammetteva per l’anima
pervasa da Dio l’assenza di peccato, la superfluità dei sacramenti
ecclesiastici e dei mezzi salvifici, e l’inosservanza dei precetti
ecclesiastici. È probabile che nel movimento del Libero Spirito siano
confluite precedenti concezioni eterodosse del XIII secolo, come quelle degli
Arnaldisti, degli Speronisti, o dei seguaci del teologo e mistico Ortlieb di
Strasburgo; non si possono escludere anche influssi orientali, specialmente
di origine bizantina. Va comunque ricordato che le informazioni in nostro
possesso sul movimento del Libero Spirito provengono dagli interrogatori
inquisitoriali e, pertanto, vanno prese in considerazione con cautela. Ancora
oggi non è chiaro sia stata una setta a sé stante: durante le indagini
avviate nel 1317 dal vescovo di Strasburgo contro i Begardi, risulta che essi
si autodefinivano fratelli e sorelle della setta del Libero Spirito e della
volontaria povertà.
Margherita
Porete, la mistica Beghina
Della vita di Margherita Porete sappiamo
poco o nulla. Nacque nella regione di Hainaut, in Belgio, intorno al
1250-1260. Tra il 1296 ed il 1306 scrisse il suo famoso libro Le miroir des
simples âmes (lo specchio delle anime semplici), che ebbe una vastissima
diffusione, con ben quattro traduzioni, e che influenzò il mistico tedesco
Meister Eckhart (inizialmente attribuito a Santa Margherita d'Ungheria,
1242-1270). Dalla complessità del testo si percepisce che doveva trattarsi di
una donna colta, sicuramente una beghina. Nel 1306 l’inquisizione riuscì a
risalire a Margherita come la vera autrice del libro. Venne accusata di eresia
e il suo libro venne bruciato in sua presenza, ma la Beghina se la cavò con
la condanna al silenzio e a non predicare le sue idee. Nel 1308, però,
Margherita venne trovata relapsa, cioè recidiva, e
fu nuovamente accusata di eresia e portata a Parigi per essere
processata dal vescovo di Cambrai, Philip de Marigny. Rifiutandosi di
ritrattare, Margherita venne consegnata, il 31 maggio del 1310 al braccio
secolare, per essere bruciata sul rogo il giorno successivo, in Place de Grève,
nella città parigina, alla presenza di una grande folla.
Le
miroir des simples ames fu
bruciato con Margherita, ma non tutte le copie del libro si ridussero in
cenere. Nonostante il concilio di Vienne avesse condannato lo Specchio
come opera eretica, questo non impedì che alcuni manoscritti continuassero a
circolare in Europa, per giungere fino al Rinascimento ed oltre, influenzando
teologi, filosofi, e uomini di Chiesa, come Meister Eckhart. Il testo era in
volgare e in forma di dialogo tra personaggi allegorici, secondo la tradizione
della letteratura cortese: Dama Amore, Cortesia, Ragione, Anima e le Virtù.
Trattava il tema del “Ritorno” dell’anima e aveva come argomento la
crescita dello spirito attraverso sette stadi successivi fino al
ricongiungimento finale con Dio. Non è difficile ritrovare il “fine
amour”, l’amore idealizzato, dei trovatori, trasposto in una
dimensione spirituale, la Dama Amore, che non rappresenta altro che
l’essenza di Dio. In diversi passaggi Margherita usa espressioni molto
vicine a quelle dei Fratelli del Libero Spirito come, ad esempio, quando
sostiene che “un’anima, annichilita dall’amore per il Creatore, può
e deve garantire alla natura tutto ciò che desidera”. Secondo la
Beghina Dio doveva e poteva essere scoperto dentro noi stessi (“la verità
del credere consiste nell'essere quel che si crede”).
Margherita, con largo anticipo sui tempi,
introduce la salvezza per mezzo della fede e non le opere. Per raggiungere
questo grado di perfezione, infatti, l’anima doveva completamente
annichilirsi, annullarsi e non desiderare nient’altro che la volontà
divina, liberarsi dai lacci del vivere quotidiano. Solo così, con l’anima
completamente passiva, la volontà divina poteva operare “in lei senza di
lei” e permetterle di ritrovare il suo essere primario ed originale. In
estrema sintesi, nel libro Anima e Amore tentano di convincere Ragione, che
non accettando ciò che considera paradossi, muore. Ed è proprio la morte
della Ragione che può portare ad una più profonda comprensione di Dio. Il
non volere diviene la chiave fondamentale del non avere e del non sapere, del
superamento della conoscenza razionale e dell’egoismo. Ma questo non è
sufficiente. Per raggiungere lo stadio di perfezione, infatti, bisogna andare
oltre al sapere dogmatico e passare attraverso tutte le Virtù per poi
innalzarsi al di sopra di esse e superarle. Questo perché solo quando
l’Anima viene a trovarsi nello stadio di “annichilimento”, di distacco e
morte dello spirito, è possibile raggiungere una capacità di comprensione
alla quale non possono arrivare né Ragione, né Filosofia e neppure la
Teologia.
Quello di “vita annientata
illuminata” è un istante di
perfezione, o moment d'heure, un’esperienza di trascendenza su cui
non è possibile speculare perché il pensiero non ha più nessun potere
sull’Anima, ormai affrancata e annientata completamente in Dio: è
l’attimo in cui il meno dell'Anima lascia spazio al più di
Dio. Termina, così, il suo pellegrinaggio e riacquista le sue facoltà perché
da questo momento in poi non saprà più farne un uso egoistico ed
egocentrico. L’Anima affrancata attraverso un percorso di amore vivrà di
semplicità e avrà raggiunto quel punto di perfezione per cui si può dire,
con le parole di Agostino, “ama e fa ciò che vuoi”. È questa la vera
eresia di Margherita. Non per errori dogmatici, ma perché la sua mistica
prevedeva l’essenzialità della libertà dell’anima, ed era indifferente
alle pratiche religiose e alle virtù, come ai sermoni e alle prescrizioni. Il
tutto per di più espresso in lingua volgare. In tutto questo la Chiesa avvertì
un grave pericolo e per questo condannò Margherita e il suo libro.
Della vita di Johannes Eckhart, uno dei
più famosi teologi e fondatore della scuola mistica tedesca noto soprattutto
col nome di Meister (maestro) Eckhart, abbiamo poche notizie. Probabilmente
nacque intorno al 1260 nei dintorni di Hochheim in Turingia. Entrò nel
convento domenicano di Erfurt all’età di quindici anni e studiò le Arti
all’Università di Parigi e teologia nello Studio Generale di Colonia.
Ottenne l’incarico di lector sententiarum a Parigi tra il 1293 e il
1294 e divenne priore del convento domenicano di Erfurt e vicario Provinciale
dell’ordine in Turingia. Nel 1300 si trasferì nuovamente a Parigi per
insegnare e nel 1302 si vide assegnare dal suo ordine il titolo di Magister
Sanctae Theologiae. Nel 1303 divenne Provinciale della Sassonia e nel 1307
Vicario Generale per la Boemia fino al 1311. Dopo una nuova attività di
insegnamento a Parigi dal 1311 al 1313, dal 1314 al 1317 insegnò allo Studio
Generale di Strasburgo con il titolo Magister actu regens, quindi, dal
1320 al 1324, fu docente allo Studio generale dell'Ordine Domenicano di
Colonia, fino a quando, nel 1325 e nel 1327, accusato di simpatie verso il
movimento delle Beghine, ma soprattutto vicino ai principi dei Fratelli del
Libero Spirito e di Margherita Porete, non venne coinvolto in due inchieste
tese ad accertare la sua ortodossia. Nella prima, condotta da Nicola
di Strasburgo, Vicario Provinciale e Visitatore della Teutonia, venne
scagionato, ma nella seconda, condotta dall’arcivescovo di Colonia, Enrico
II da Virneburg, nonostante un atto di sottomissione di Eckhart alla Santa
Sede, la sua teologia basata sul principio di un’unione mistica dell’anima
con Dio, attraverso un percorso di perfezione verso Dio fu condannata come panteismo.
Giovanni XXII, invitato il teologo a difendersi contro l’accusa di eresia ad
Avignone, con la bolla In agro Dominico del 1329, dichiarò eretici 17
punti dei suoi insegnamenti e altri 11 punti sospetti di eresia.
Quando venne istituito il processo per
eresia contro di lui, nel 1327, Maestro Eckhart aveva 66 anni. Tra i motivi
dell’accusa nei suoi confronti vanno chiaramente individuati i contatti che
tratteneva con i Begardi e le Beghine. Eckhart si rivolse al papa manifestando
la sua disponibilità a rinunciare a tutti gli errori che gli venivano
contestati. Ma quali sono gli errori e le ambiguità dottrinali che, il 27
marzo del 1329, il papa Giovanni XXII condannò nella bolla In agro
dominico? Eckhart sosteneva che tutti gli uomini possedevano una scintilla
di luce divina nelle loro anime che era possibile risvegliare mediante
profonde meditazioni, che lui chiamava il “fondo dell'anima, un distacco dal
mondo e dalle sensazioni materiali. Inoltre affermò che Dio era presente in
tutte le cose, o meglio, che al di fuori di Dio non avessero realtà poiché
dipendevano dalla Sua presenza. Queste tesi si rifacevano a quelle
panteistiche di Amaury di Béne già condannate come dottrine eretiche nel
1225 dal Concilio di Sens. E questa fu la motivazione principale delle accuse
da parte dell’arcivescovo di Colonia contro Eckhart. Il predicare di Eckhart
può essere riassunto in uno dei suoi sermoni: «Quando predico, io sono
solito parlare sempre del distacco, e di come l’uomo debba essere libero da
se stesso e da tutte le cose. In secondo luogo, che l’uomo deve essere di
nuovo conformato al Bene semplice, che è Dio. In terzo luogo, che si ricordi
della grande nobiltà che Dio ha posto nell’anima, in modo che giunga
meravigliosamente fino a Dio. In quarto luogo io parlo della purezza della
natura divina, quale splendore sia nella natura divina, è inesprimibile».
Per
raggiungere il distacco puro (Gelassenheit) Eckhart sosteneva che lo
spirito doveva permanere «insensibile a tutte le vicissitudini della
gioia e della sofferenza, dell'onore, del danno e del disprezzo, quanto una
montagna di piombo è insensibile a un vento leggero». Solo un esercizio
spirituale di questo genere può condurre l’uomo alla purezza e alla
semplicità, svincolato dalla creatura e dalle virtù che, in qualche modo,
mirano sempre all’essere. Facendo un paragone con l’umiltà, ad esempio,
Eckhart afferma che l’umiltà può esistere senza il distacco, mentre il
distacco non può esistere senza l’umiltà. Stessa cosa si può affermare
per la misericordia, che può agitare il cuore umano, mentre il principio del
distacco perfetto implica che il cuore sia al di fuori di ogni agitazione. Per
conseguire questo abbandono mistico sono necessari abbandono, distacco come
liberazione da ogni amore di sé, da ogni egoismo. In un passo spesso citato
egli stesso affermò che: «Quando io predico, sono solito parlare della
vita ritirata e affermare che l'uomo deve diventare libero da se stesso e da
tutte le cose. In secondo luogo, che occorre immaginarsi l'unico bene, che
è Dio. In terzo luogo, che occorre considerare la grande nobiltà che Dio
ha riposto nell'anima, affinché l'uomo con essa meravigliosamente giunga a
Dio. In quarto luogo, circa la purezza della natura divina: è inesprimibile
quale splendore vi sia nella natura divina. Dio è una parola, una parola
inespressa».
Eckhart
descrive la “nascita di Dio nell'’anima” secondo un processo di
perfezione che, attraverso esercizi ascetici, prevede sei gradi di sviluppo.
Il primo grado è equiparato al bambino che, imparando a camminare, si
appoggia a diversi sostegni, e corrisponde all’uomo che vive prendendo come
riferimento vari modelli cristiani (in particolare i santi). Il secondo grado
si raggiunge quando l’uomo abbandona i suoi modelli esteriori per rivolgersi
alla saggezza divina (“volge così le spalle all’umanità e il volto al
Padre celeste”). Il terzo grado corrisponde al momento in cui l’uomo si è
liberato da ogni preoccupazione e da ogni paura; egli è così unito dallo
zelo e dall’amore verso Dio che gli risulta inaccettabile tutto ciò che non
tende a Lui. Nel quarto grado si radica l’amore per Dio, tanto da esser
pronto sopportare ogni avversità, anche le sofferenze più profonde. Il
quinto grado si ottiene quando uno raggiunge la più alta e indescrivibile
Sapienza. A questo punto, quando l’uomo si è del tutto spogliato di sé
stesso, comincia il sesto grado, lo stato più alto, quello che Eckhart chiama
il “fondo dell’anima”, in cui si raggiunge la consapevolezza del proprio
essere divino. Per poter raggiungere questo stato, o grado, le forze esteriori
non hanno nessun merito, salvo il loro annullamento totale (Vernichtung),
possibile soltanto attraverso l’ascesi.
L’uomo
che ha raggiunto questo stato di distacco (“morte mistica”) è a
tal punto lontano dai vincoli terrestri e esistenziali che “niente vuole”,
“niente sa” e “niente ha”. Solo così è possibile raggiungere
l’unificazione con il principio divino, la conoscenza, cioè, di sé stessi,
che Eckhart la indica con l’espressione: “La nascita del Figlio di Dio nel
cuore dell'uomo”. Chiaramente non si riferisce alla figura storica di Gesù
di Nazaret, ma al fatto che tutto ciò che è necessario per l’unificazione
dell’anima con Dio è già in ogni singolo uomo. Conoscere Dio è la stessa
cosa che conoscersi in Dio, ma non per similitudine, per uguaglianza (conformitas
- Einförmigheit). Per il raggiungimento di questa conformità, o
unione divina, bisogna possedere l’umiltà perfetta, ossia il perfetto
distacco da noi stessi, liberi da ogni volontà propria e da tutte le cose. Se
uno ama qualcosa, non è esercitato all’ascesi, e prova in esso un piacere
cui la volontà cede (cibo, bevanda, atto sessuale o altro) egli è destinato
inevitabilmente a fallire. La percezione dell’armonia del mondo e vivere
dell’unità con Dio, richiede di essere un uomo “giusto” e, quindi,
libero dal male e dal peccato: “Nello stesso modo in cui opera Dio, così
anche il giusto agisce senza perché; e come la vita vive per se stessa e non
cerca alcun perché per cui vive, così anche il giusto non sa di alcun perché
per cui compiere qualcosa”. Questa stessa concezione la ritroviamo
quando Eckhart parla della creazione del mondo: “Dio crea questo intero
mondo completamente nell’istante presente. Tutto quel che Dio ha creato
seimila e più anni fa, quando fece il mondo, lo crea altrettanto oggi”.
È una visione panteistica per cui Dio crea il mondo incessantemente. Questo
perché l’unione mistica tra l’uomo e Dio è una relazione dinamica e
l’uomo spiritualmente risvegliato partecipa alla concreazione divina del
mondo. E trattandosi di una conoscenza divina vive solo dell’istante
presente, poiché nell’eternità non ha senso parlare né di ieri né di
domani.
In
estrema sintesi quello sopra esposto è l’impianto teorico introdotto da
Eckhart nei vari manoscritti tedeschi (più di trecento), soprattutto le prediche,
e opere latine. Maestro Eckhart era un buon conoscitore della scolastica e
della teologia e filosofia del suo tempo. Sappiamo anche che fu instancabile
predicatore e che tenne molti discorsi. Grazie al processo indetto contro di
lui e alla bolla di condanna, purtroppo la ricostruzione del suo pensiero ci
è giunta in maniera anonima e frammentaria. Tra i testi in tedesco ricordiamo
“Die Reden der Unterscheidung” (ovvero “Discorsi sul
discernimento”), tramandato in numerosi manoscritti, e “Buch der
goettlichen Troestung” (il “Libro della consolazione divina”, scritto
per la regina Agnese d'Ungheria, figlia,del re tedesco Alberto I d’Asburgo
(assassinato nel 1308). Va citato anche il trattato sul “Distacco”
(“Abegeschiedenheit”). Agli inizi del processo di Colonia
appartiene il cosiddetto Scritto di difesa, in cui Maestro Eckhart si
pronuncia sugli articoli a lui contestati come eretici dalla commissione
nominata dall’arcivescovo di Colonia, Enrico II di Virneburg.
©2005 Andrea Moneti