Dopo
la morte di Umar, un altro figlio di Abd al-Malik, Yazid II
(720-24) divenne califfo. Yazid è conosciuto soprattutto per
il suo "editto iconoclasta", che ordinò la distruzione di
tutte le immagini cristiane nei territori del Califfato ma,
in effetti, dal punto di vista islamico, il suo più grande
merito fu quello di sedare, nei primi mesi del suo breve
regno, una nuova grande rivolta sorta in Iraq e guidata da
Yazid ibn al-Muhallab.
Alla morte prematura di Yazid II
il trono passò all'ultimo figlio di Abd al-Malik, Hisham
(724-43), il cui lungo e movimentato regno fu soprattutto
segnato da un deciso rallentamento dell'espansione militare.
Hisham stabilì la sua corte nella città di Resafa, nel nord
della Siria, che era più vicina al confine bizantino
rispetto a Damasco, per riprendere le ostilità contro i
Bizantini, in quel momento in una fase di decadenza a
seguito del fallimento dell'ultimo assedio di
Costantinopoli. La nuova campagna sfociò, dopo una serie di
vittoriose incursioni in Anatolia, in una grande sconfitta
(la battaglia di Akroinon), e non portò a nessuna
significativa espansione territoriale [1].
Al contrario, la sconfitta
dell'esercito arabo dai Franchi nella battaglia di Tours nel
732 segnò la fine dell'espansione in Occidente, nel 739 una
grande rivolta berbera scoppiata in Nord Africa venne domata
con estrema difficoltà e anche le campagne verso oriente,
allorché l'esercito califfale tentò di sottomettere sia
Tokharistan, con
centro
a Balkh, che Transoxiana, con centro a Samarcanda, furono
tutt'altro che vittoriose: dopo numerose sconfitte Hisham
riuscì a conquistare parzialmente le nuove province, che
rimasero però riottose e difficili da governare.
Ancora una volta, una particolare difficoltà riguardava la
questione della conversione dei non-arabi, in particolare
dei Sogdiani di Transoxiana: dopo la sconfitta degli
Omayyadi nella battaglia del "Giorno della sete" nel 724,
Ashras ibn 'Abd Allah al-Sulami, governatore di Khorasan,
arrivò a promettere sgravi fiscali per coloro tra i Sogdiani
che si fossero convertiti all'Islam, ma dovette rivedere la
sua proposta, quando essa si rivelò troppo popolare e
cominciò a minacciare di ridurre le entrate fiscali.
Conseguentemente alla delusione della promessa rimangiata,
nel 734, al-Harith ibn Surayj guidò una rivolta dei Sogdiani,
catturando Balkh ma non riuscendo a prendere Merv. Dopo
questa sconfitta pare che il movimento di al-Harith si
dissolse, ma il problema dei diritti dei non-Musulmani arabi
continuò ad affliggere gli Omayyadi lungo tutto il loro
Califfato [2].
A
Hisham succedette Al-Walid II (743-44), figlio di Yazid II.
Al-Walid era noto per essere più interessato ai piaceri
terreni che alla religione, una reputazione che può essere
confermata dalle decorazioni dei cosiddetti "palazzi del
deserto" (compresi Qusayr Amra e Khirbat al-Mafjar) a lui
attribuite. Il suo stile di vita gli attirò subito
l'inimicizia di molti, che prima si opposero alla sua ascesa
al trono e, dopo la sua nomina, si rifiutarono di
riconoscerlo Califfo: già nel 744, Yazid III, figlio di
al-Walid I, fu proclamato Califfo a Damasco al suo posto e
il suo esercito rintracciò e uccise al-Walid II. Yazid III,
noto per la sua religiosità e per la sua pietà, avrebbe
potuto essere, da quanto leggiamo nelle
fonti,
un buon Califfo, ma purtroppo morì a soli sei mesi
dall'inizio del suo regno.
Yazid aveva nominato successore suo fratello Ibrahim ma
Marwan II (744-50), nipote di Marwan I, guidò un esercito
dalla frontiera settentrionale e, nel dicembre del 744,
entrò a Damasco, dove fu proclamato Califfo, per poi
immediatamente trasferire la capitale a Harran, nel nord
dell'attuale Turchia. Quasi subito, probabilmente a causa di
risentimento per il trasferimento della capitale, una
ribellione scoppiò in Siria e, nel 746, Marwan si vide
costretto a radere al suolo le mura di Homs e Damasco per
rappresaglia. I suoi problemi, però, non erano finiti:
dovette ancora affrontare una forte opposizione da parte dei
Kharigiti in Iraq e in Iran, che prima si ribellarono
guidati da Dahhak Qays Ibn Abu Dulaf e poi si proposero come
Califfi rivali. Solo nel 747 Marwan riuscì a ristabilire il
controllo dell'Iraq, ma solo per dover immediatamente
affrontare una minaccia ancora più grave sorta in Khorasan
[3].
Per comprendere cosa
accadde in questa regione della Persia
settentrionale dobbiamo fare un passo indietro. Il
movimento Hashimiyya (una sotto-setta degli Sciiti
Kaisaniti), era guidato dalla famiglia abbaside. Gli
Abbasidi erano membri del clan Hashim, rivale degli
Omayyadi, ma la parola "Hashimiyya" sembra riferirsi
specificamente ad Abu Hashim, nipote di Ali e figlio
di Muhammad ibn al-Hanafiyya: secondo alcune
tradizioni Abu Hashim morì nel
717
a Humeima, nella casa di Muhammad ibn Ali, capo
della famiglia abbaside, e prima di morire nominò il
suo ospite suo successore, permettendogli di
radunare intorno al suo clan molti sostenitori della
rivolta fallita di Mukhtar [4].
A partire circa dal 719, alcune missioni Hashimiyya
cominciarono a cercare seguaci in Khorasan con la
scusa di fare proselitismo (dawah) presso le
popolazioni locali. Con la promessa di sostenere un
"membro della famiglia" di Maometto, senza fare
esplicita menzione agli Abbasidi, queste missioni
ebbero un notevole successo sia tra gli Arabi che
tra i non Arabi ("Mawali"), che pare poi giocassero
un ruolo particolarmente importante nella crescita
del movimento.
Intorno al 746 Abu Muslim assunse la guida degli
Hashimiyya in Khorasan e, l'anno successivo, sotto
il segno della bandiera nera del clan abbaside,
diede inizio ad una una aperta rivolta contro il
califfato omayyade, ottenendo ben presto il
controllo del Khorasan (il cui governatore omayyade,
Nasr ibn Sayyar, venne espulso e rimandato verso
ovest da un imponente esercito). Kufa cadde in mano
degli Hashimiyya nel 749 e nel novembre dello stesso
anno Abu al-Abbas venne riconosciuto come il nuovo
Califfo nella moschea di quella città.
A questo punto Marwan mobilitò le sue truppe da
Harran e avanzò verso l'Iraq. Nel gennaio 750 i due
eserciti contrapposti si scontrarono nella battaglia
di Zab e gli Omayyadi furono sconfitti: Damasco
cadde in mano agli Abbasidi in aprile e nel mese di
agosto Marwan venne catturato e ucciso in Egitto.
I vincitori non solo dissacrarono le tombe degli
Omayyadi in Siria (risparmiando solo quello di Umar
II) ma, per evitare di avere rivolte da parte di
sostenitori del clan rivale, rintracciarono e
uccisero la maggior parte dei membri della famiglia
omayyade in tutto il mondo arabo. Un nipote di
Hisham, Abd ar-Rahman I, però, sopravvisse e fondò
il regno di Al-Andalus (il Regno Moresco d'Iberia),
proclamando che con lui riprendeva vita il Califfato
omayyade che, comunque, era storicamente terminato [5].
Ha con ogni probabilità ragione il grande storico
Charles Previte-Orton [6]
quando afferma che le ragioni del declino degli
Omayyadi risiedessero nella troppo rapida espansione
dell'Islam: durante il periodo omayyade si ebbero
conversioni di massa di Persiani, Berberi, Copti, e
Aramei all'Islam e questi "mawali" ("clienti") erano
spesso più istruiti e più civile dei loro padroni
arabi, tanto da riuscire, sulla base
dell'uguaglianza di tutti i Musulmani, a trasformare
il panorama politico, che risultò, in un periodo
aggravato dalla faida tra Siria e Iraq, che indebolì
ulteriormente l'impero, troppo fluido per essere
tenuto sotto controllo dalla vecchia e
tradizionalista famiglia califfale. Proprio su
questa base, ci si impone, al termine di questo
capitolo, una breve osservazione sul sistema sociale
dell'Islam omayyade.
Uno
dei primi compiti che si era assunto Muawiya fu
quello di creare un'amministrazione stabile per
l'impero: decise di seguire l'esempio dell'Impero
Bizantino che aveva in precedenza governato le
regioni appena conquistate, e divise le attività
amministrative in tre rami principali, incentrati su
affari politici e militari, riscossione delle
imposte e amministrazione religiosa, ognuno dei
quali ulteriormente suddiviso in più rami, uffici e
dipartimenti.
Geograficamente, l'impero venne diviso in province
diverse, i confini delle quali vennero modificati
più volte durante il regno omayyade. Ogni provincia
aveva un governatore, nominato direttamente dal
Califfo, che era a capo dei funzionari religiosi e
dei capi dell'esercito, della polizia e degli
amministratori civili nella sua area di competenza.
Le spese locali venivano pagate con le tasse
provenienti dalla provincia stessa e quello che
rimaneva era inviato ogni anno al governo centrale
di Damasco ma, nel momento in cui, negli ultimi anni
della dinastia, il potere centrale dei sovrani
omayyadi diminuì, alcuni governatori trascurarono
del tutto di inviare il gettito fiscale
supplementare a Damasco, creandosi così grandi
fortune personali.
Con la crescita dell'impero, il numero di lavoratori
arabi qualificati divenne troppo piccolo per t enere
il passo con la rapida espansione islamica e, di
conseguenza, Muawiya permise a molti dei lavoratori
pubblici locali nelle province appena conquistate di
mantenere i loro posti di lavoro sotto il nuovo
governo omayyade: il risultato fu che gran parte del
lavoro del governo locale veniva svolto in greco,
copto e persiano e fu solo durante il regno di Abd
al-Malik l'arabo si impose come lingua ufficiale
negli uffici governativi.
Gli imperi bizantino e sassanide, prima della
conquista musulmana, avevano basato i loro sistemi
economici sulla circolazione monetaria ed essa
rimase in vigore durante il periodo omayyade: le
monete preesistenti rimasero in uso, con la sola
aggiunta di frasi del Corano incise su un verso.
Oltre a questo, il governo omayyade iniziò a coniare
monete proprie (simili alle monete preesistenti)
Damasco: le monete d'oro vennero chiamate dinari,
mentre le monete d'argento dirhams.
A Damasco erano presenti, per aiutare il Califfo
nell'amministrazione imperiale, sei commissioni: il
Diwan al-kharaj (Consiglio delle entrate), il Diwan
al-Rasa'il (Consiglio della corrispondenza), il
Diwan al-Khatam (Consiglio del Sigillo), il Diwan
al-Bared (Consiglio dei messaggi), il Diwan al-Qudat
(Consiglio di giustizia) e il Diwan al-Jund ( Consiglio
Militare). Il Consiglio Centrale delle Entrate si
occupava dell'amministrazione delle finanze di tutto
l'impero e della raccolta di tasse e imposte; il
Consiglio della corrispondenza era il centro di
smistamento di missive e circolari ai funzionari
centrali e provinciali e fungeva da
"capo-segreteria" e coordinamento per tutte le altre
commissioni; il Consiglio del Sigillo era una sorta
di Cancelleria dello Stato predisposta per
verificare ogni possibile falsificazione di
documenti e, a tal fine, conservava una copia di
ogni documento ufficiale prima di sigillare
l'originale e spedirlo a destinazione; il Consiglio
dei messaggi era un servizio postale regolare creato
da Abd al-Malik per coprire tutto il suo impero e,
nel tempo, si estese a dismisura con la costruzione
di caravanserragli e la cura di una rete stradale
suddivisa in tronconi di 19 km, ciascuno con un
proprio ufficio postale; il Consiglio di giustizia
era un servizio sviluppato al termine della prima
fase islamica (in cui erano i Califfi i persona ad
amministrare la giustizia) per l'amministrazione
generale e la nomina dei "qadi" (giudici locali),
che formavano la classe dirigente dei governi delle
province; il Consiglio Militare, infine, era, per
ovvie ragioni, l'unità amministrativa più antica,
nata già sotto Umar per stabilire le rendite da
assegnare a tutti i soldati arabi e di altre razze,
ma, nelle mani degli Omayyadi, si fece carico di una
serie di incombenze quali l'assegnazione di pensioni
e di indennità di trasferta e, sul modello
bizantino, dell'organizzazione militare vera e
propria. Tale organizzazione comprendeva,
inizialmente, la divisione dell'esercito in cinque
corpi (il centro, due ali, l'avanguardia e la
retroguardia) ma Marwan II abbandonò tale la vecchia
ripartizione e introdusse il "Kurdus" (coorte), un
corpo piccolo e compatto, vestito e armato secondo
il sistema bizantino. A loro volta i Kurdus
formavano tre divisioni: fanteria, cavalleria e
artiglieria (armata di balista e arieti) [7].
Tutte le popolazioni dell'impero erano raggruppate
in quattro grandi classi sociali:
1.Musulmani arabi;
2.Musulmani non-arabi (clienti degli arabi);
3.non-Musulmani liberi (Cristiani, Ebrei,
Zoroastriani);
4.schiavi.
Gli Arabi musulmani erano al vertice della società e
vedevano come loro dovere di governare le zone
conquistate: nonostante il fatto che l'Islam
insegnasse l'uguaglianza di tutti i Musulmani, i
Musulmani arabi si ritenevano superiori ai Musulmani
non-arabi e generalmente non si mescolavano con
loro. Fu proprio la disuguaglianza tra Musulmani
all'interno dell'impero a portare a disordini
sociali, tanto più gravi in quanto, con il
diffondersi dell'Islam, la maggioranza della
popolazione musulmana era diventato non-arabi.
Queste tensioni riguardavano, in particolare, il
fatto che ai nuovi convertiti non venissero concessi
gli stessi diritti degli Arabi musulmani, in
particolare in termini di esenzioni dalle tasse (per
paura di una diminuzione troppo rilevante del
gettito fiscale) e finirono per contribuire a
causare la rivolta degli Abbasidi.
I gruppi non-Musulmani del Califfato, che
comprendevano Cristiani, Ebrei, Zoroastriani e
pagani berberi, formavano la categoria dei "dhimmi",
che godeva di uno status giuridicamente protetto
come cittadini di seconda classe, purché i suoi
componenti accettassero e riconoscessero la
supremazia politica dei Musulmani sentenza: i dhimmi
avevano il permesso di avere propri tribunali e
veniva loro data libertà di culto. Anche se un
dhimmi non poteva poteva ambire alle più alte
cariche pubbliche dell'impero, in generale poteva
occupare molte posizioni burocratiche all'interno
del governo, cosa che, nel quadro di una volontà di
migliorare le proprie possibilità di carriera, portò
molti a convertirsi (prima apparentemente, poi
sostanzialmente) all'Islam [8].
(1) G. R.
Hawting,
The
First Dynasty of Islam: The Umayyad
Caliphate AD 661-750, Routledge
2000, pp. 94 ss
(2) P. Crone, M. Hinds,
God's
Caliph: Religious Authority in the First
Centuries of Islam, Cambridge
University Press 2003, p. 126.
(3) G. R.
Hawting,
Citato,
pgg. 184 ss.
(4) J.
Lassner,
Islamic Revolution and Historical Memory:
An Inquiry into the Art of Abbasid
Apologetics, Eisenbrauns 1987,
pgg. 26-38.
(5) S.S.
Agha,
The Revolution Which Toppled the
Umayyads: Neither Arab Nor Abbasid,
Brill Academic 2003, pgg. 83 ss.
(6) C.W.
Previte-Orton,
Outlines of Medieval History,
Nabu Press 2010, pgg. 111-114.
(7) Abd Al-Aziz Duri,
Early
Islamic Institutions: Administration and
Taxation from the Caliphate to the
Umayyads and Abbasids, I. B.
Tauris 2011, passim.
(8) A.M. Emon,
Religious Pluralism and Islamic Law:
Dhimmis and Others in the Empire of Law,
Oxford University Press 2012, passim.
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