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di Lawrence M.F. Sudbury

        

AlìDopo l'assassinio del terzo califfo, Uthman ibn Affan, ucciso mentre era seduto a leggere il Corano nella sua casa di Medina, la città che fungeva da capitale dell'Islam cadde nel caos con numerosi episodi di violenza da parte di bande di sostenitori di diversi leader. A questo punto, i cittadini si rivolsero a Ali ibn Abu Talib, cugino di Maometto e suo genero, leader rispettato della comunità, che era stato scavalcato nella contesa per la leadership per ben tre volte dopo la morte di Maometto, chiedendogli di assumere il califfato. Inizialmente riluttante a causa delle circostanze della morte del califfo precedente, alla fine Alì scelse di accettare la nomina. Poco dopo, il nuovo califfo esautorò diversi governatori provinciali, alcuni dei quali erano parenti di Uthman, e li sostituì con suoi collaboratori di fiducia, come Malik al-Ashtar e Salman il Persiano. Il passaggio successivo per segnare una netta rottura con il passato fu quello di trasferire la capitale da Medina a Kufa, la città-fortezza musulmana in quello che oggi è l'Iraq [1].
Il capoluogo della provincia di Siria, Damasco, era, però, saldamente nelle mani di Mu'awiyah, il governatore della Siria parente di Uthman, il predecessore di Ali la cui morte era stata tragica per molti motivi, non ultimo il fatto che era stato il primo califfo islamico ad essere ucciso da Musulmani.
In qualche modo, questo fatto non è senza significato, dal momento che, dopo l'assassinio di Uthman ebbe inizio la prima guerra civile musulmana, che si protrasse durante tutto il breve califfato di Ali ibn Abu Talib e si concluse con quella che può essere considerata, nel complesso, la vittoria dell'ipotesi di assunzione di Mu'awiya del califfato, un evento che avrebbe poi gettato le basi dell'Impero Omayyade. Questa guerra civile, o "Fitna", viene da molti considerata come la fine dell'unità iniziale della ummah ("nazione") islamica.
  • L'INIZIO DELLA "FITNA"

Moneta di Al-ZybayrSubito dopo la sua nomina, infatti, Ali fu contestato da una fazione guidata da Talhah, Al-Zubayr e dalla moglie di Maometto, Aisha bint Abu Bakr.

Questi oppositori del califfo si erano, in un primo momento, riuniti alla Mecca per poi trasferirsi a Bassora con l'aspettativa di trovare laggiù, in quello che oggi è l'Iraq, le forze e le risorse necessarie per mobilitare un esercito di oppositori contro Alì, cosa che apparve riuscirgli abbastanza agevolmente prendendo contatto con quelli che erano stati i più vicini alleati di Uthman. Aisha

I rivoltosi, dunque, si accamparono vicino a Bassora e quando Alì mandò loro alcuni inviati per parlamentare, l'incontro si riscaldò immediatamente per le proteste degli oppositori contro la legittimità della successione del genero del Profeta e, ben presto, lo scontro durante le trattative passò dalle parole ai fatti  con conseguente perdita di vite umane da entrambe le parti, cosìcché, allorché Alì chiese esplicitamente l'obbedienza dei rivoltosi e un pegno della loro fedeltà, essi rifiutarono decisamente. Ali, allora, cercò di negoziare con la sola Aisha,  considerando che una pacificazione con  la moglie di Maometto, rispettata e persino venerata da tutta la comunità, avrebbe indebolito la causa dei rivoltosi fino a dissolverne le fila, ma anche Aisha rifiutò di accettare qualsiasi accordo.

Alla fine le due parti, come era prevedibile, dovettero risolvere le loro divergenze con uno scontro armato durante la cosiddetta "battaglia di Bassora" (o "battaglia del Cammello") nel 656, Battaglia di Bassoradalla quale Ali emerse vittorioso [2].

Il pericolo maggiore per il califfato di Alì doveva ancora giungere nella  figura di Mu'awiyah I, governatore del Levante e cugino di Uthman, che  da subito aveva rifiutato le richieste di giuramento di fedeltà di Alì e che chiedeva che fosse fatta vendetta per l'uccisione di Uthman.

Alì aveva già avviato negoziati con lui con la speranza di riacquistarne la fedeltà, ma Mu'awiyah insisteva per ottenere un'ampia autonomia del Levante sotto il suo governo. Al netto rifiuto del califfo il governatore rispose con la mobilitazione dei suoi sostenitori levantini e rifiutando di rendere omaggio ad Ali con il pretesto che il suo contingente non aveva partecipato alla sua elezione.

Ancora una volta, dunque, la prospettiva più probabile era una nuova guerra. I due eserciti si accamparono a Siffin per più di cento giorni e la maggior parte del tempo venne speso in trattative.

Anche se Alì aveva tentato la via della mediazione con scambi di corrispondenza con Mu'awiyah, comunque quest'ultimo aveva rifiutato di scendere a qualsiasi patteggiamento e di farsi convincere a giurare fedeltà a colui che riteneva essere almeno il mandante morale dell'omicidio del cugino. Inevitabilmente le continue schermaglie tra le due parti portarono alla guerra aperta, che prese forma con la "battaglia di Siffin" del 657. Dopo una settimana di lotta culminata con il violento episodio noto come "al-Laylat harir" ("la notte del clamore"), l'Muawiyahesercito di Mu'awiyah era sul punto di essere sbaragliato ma la leggenda narra che, per ottenere un arbitrato,  il consigliere del governatore del Levante, ʿAmr bin al-ʿĀṣ, conquistatore dell'Egitto e suo primo governatore (per altro deposto proprio da Uthmàn) abbia suggerito a Muʿāwiya di far innalzare 500 copie del Corano sulla punte delle lance dei suoi guerrieri: con questo, Muʿāwiya voleva far intendere che solo Allāh avrebbe potuto decidere chi avrebbe dovuto legittimamente guidare la comunità islamica fondata dal Profeta [3].
La tradizione, pur affascinante, è quanto mai irrealistica. Innanzi tutto per l'impossibilità di avere con sé tante copie del Corano, da poco fatto fissare per iscritto da Uthmān, oltre che per il diffusissimo analfabetismo delle truppe, formate per lo più da beduini, e per l'implausibilità che i soldati combattenti avessero la capacità di mettersi a leggere un arabo scritto con caratteri assai piccoli e ancora di ardua interpretazione (vista la mancanza dei punti diacritici in grado di differenziare fra loro i grafemi) e, infine, in ogni caso, per l'impossibilità di mantenere elevato il livello di raziocinio in un momento di battaglia intensissima.

Abu MusaComunque stiano le cose, di fatto, gran parte delle truppe di Ali concordarono sulla necessità di risolvere il conflitto tramite arbitrato pur avendo avuto quello che molti storici moderni definiscono un chiaro sopravvento sulle forze nemiche.
A questo punto i due eserciti finalmente decisero di risolvere la questione su chi dovesse essere califfo tramite un giudizio, ma la decisione doveva aprire una nuova frattura in seno alle forze del califfo in carica, facendo sorgere la  questione se l'arbitro del califfato dovesse rappresentare i partigiani di Ali o gli abitanti di Kufa, che formavano la gran parte del suo esercito. Ash'ath ibn Qays (governatore di Kufa) e alcuni altri respinsero i candidati di Alì, `Abd Allah ibn` Abbas e Malik al-Ashtar, e insistettero sul nome di Ash'ari Abu Musa, che si era opposto ad Ali dal momento in cui questi aveva posto il veto sulla sua scelta come negoziatore. Ad Alì non restò, visto la preponderanza dei Kufaiti, che accettare ed inviare Abu Musa a discutere con ʿAmr bin al-ʿĀṣ, scelto come arbitro dal partito di  Muʿāwiya. [4].

 

  • I KHARIGITI
KharigitiI sostenitori di Abu Musa assunsero il nome di Kharigiti (scismatici) e, sebbene inizialmente avessero costretto Ali di accettare il ruolo arbitrale del loro prescelto, ben presto si dimostrarono scontenti dei risultati ottenuti da questi, che ritenevano si fosse fatto ingannare da ʿAmr bin al-ʿĀṣ in accordi di autonomia politico-religiosa quasi totale del Levante, ovviamente favorevoli ad un futuro califfato di Mu'awiya.
Piuttosto paradossalmente, dunque, i Kharigiti (o Khwarij), avendo visto che l'arbitrato non era andato a loro favore, si rivoltarono, ribellandosi contro Alì, colpevole, a detta loro, di non essersi opposto alla loro domanda di accettare l'arbitrato stesso. La loro ribellione, che si risolse in una faida sanguinosissima, cominciò quando alcuni di loro attaccarono e uccisero alcuni dei più ferventi seguaci di Ali, compresa, secondo quanto narrano le cronache, la moglie incinta di uno di essi, alla quale fu addirittura aperto in due il grembo per poter estrarre ed uccidere anche il nascituro.
A questo punto, per far sì che la ribellione non dilagasse in tutti i territori dell'Islam, NaharawanAli dovette prendere in mano la situazione e affrontare i Kharigiti in campo aperto nella cosiddetta "battaglia di Nahrawan" che, per altro, segnò la fine dei suoi sogni di sottomettere Mu'awiya. Prima della battaglia di Nahrawan, infatti, Alì si stava preparando ad attaccare le truppe levantine, ma, con la dispersione di forze conseguente alla ribellione di parte del suo esercito, la spedizione in Siria di un forte contingente arabo dovette essere annullata [5].
Come conseguenza di ciò, l'esercito di Mu'awiyah riuscì ad invadere e occupare molti territori e città, senza che i governatori califfali potessero fare nulla per impedirlo (anche perché, a quanto risulta da numerose cronache, in molti casi le popolazioni non supportavano minimamente Ali e si rifiutavano di opporsi Mu'awiyah, che poté, dunque, facilmente sopraffare l'Egitto, lo Yemen e numerose altre aree di recente conquista) [6].
  • LA FINE DI ALI'
Senza più la possibilità di essere difese dalle truppe califfali, impegnate nella guerra civile, ampie sezioni del nuovo impero islamico creato nei ventiquattro anni (632-656) precedenti, si resero completamente indipendenti. Tra esse, particolarmente dolorose furono le perdite della Islam nel  656Sicilia, del Nord Africa, delle zone costiere della Spagna e di alcune fortificazioni in Anatolia.
Ciò che risulta evidente, però, è che  i bizantini tendevano a non ri-catturare le terre da loro precedentemente perdute, in particolare per quanto riguarda le zone un tempo dell'Impero occidentale. è probabile che a Bisanzio si volesse, più che altro, evitare una dispersione di forze derivante dalla necessità di difendere aree così lontane dal cuore dell''Impero, ma secondo la storiografia musulmana la spiegazione di questo comportamento risiede in una lettera inviata da Mu'awiya  all'imperatore bizantino in cui il governatore minacciava Bisanzio che se avesse tentato di recuperare le terre ormaiHassan islamiche, egli avrebbe fatto pace con i suoi parenti  (riferendosi chiaramente ad Ali) e i loro eserciti congiunti avrebbero distrutto l'Impero Bizantino [7].
Questo periodo convulso e nefando per l'Islam terminò nel 661 d.C., quando Ali fu assassinato nella moschea di Kufa da Ibn Muljam, un parente di uno dei soldati ribelli Kharigiti che aveva sconfitto e fatto massacrare a Nahrawan. Le tradizione vuole che le sue ultime parole fossero "Fuztu wa rabb al-Ka'bah" ("Per il Signore della Ka'bah, ce l'ho fatta").
Suo figlio Hasan ibn Ali, nipote di Maometto, assunse brevemente il califfato al quale era stato preparato dal padre, che lo aveva nominato suo successore. Per evitare ulteriori spargimenti di sangue musulmano o, più probabilmente, trovandosi nell'impossibilità di fronteggiare un nemico numericamente molto superiore, egli si affrettò a trovare un accordo con Mu'awiya, secondo il quale si stabiliva la divisione del popolo musulmano in due gruppi, ciascuno fedele a uno dei due uomini (Hasan e Mu'awiya). In realtà, tale accordo significava la progressiva (e rapida) fine del Califfato Rashidun e l'ascesa di  Mu'awiya, che in breve tempo acquisì il controllo di tutti i territori islamici fondando l'Impero Omayyade [8].
 
 
NOTE:
(1)W. Madelung, The Succession to Muhammad: A Study of the Early Caliphate, Cambridge University Press 1998, pp. 169 ss.
(2) F.Ahmad, Ali: the Fourth Caliph of Islam,Sh. Muhammad Ashraf 1973, passim.

(3) R.S. Humphreys, Mu'awiya ibn abi Sufyan: From Arabia to Empire, Oneworld 2006, pp. 37 ss.
(4) Ivi, pp. 72 ss.

(5) T. El-Hibri, Parable and Politics in Early Islamic History: The Rashidun Caliphs,Columbia University Press 2010, pp. 304 ss.
(6) E.L. Petersen, Ali and Mu'awiya in Early Arabic Tradition: Studies on the Genesis and Growth of Islamic Historical Writing until the End of the Ninth Century, ACLS Humanities 2008, pp. 128 ss.
(7) L. Jones, Between Islam and Byzantium, Ashgate 2007, pp. 61-63.
(8) E.L. Petersen, Citato, pp. 163 ss.
  
    

    

    

   

©2012 Lawrence M.F. Sudbury

  


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