Sei in: Mondi medievali ® Medioevo Islamico |
Dopo
l'assassinio del terzo califfo, Uthman ibn Affan, ucciso mentre era
seduto a
leggere il Corano nella sua casa di Medina, la città che fungeva da
capitale dell'Islam cadde nel caos con numerosi episodi di violenza da
parte di bande di sostenitori di diversi leader. A questo punto, i
cittadini si rivolsero a Ali ibn Abu Talib, cugino di
Maometto e suo genero, leader rispettato della comunità, che era
stato scavalcato nella contesa per la leadership per ben tre volte dopo
la morte di
Maometto, chiedendogli di assumere il califfato. Inizialmente
riluttante a causa delle circostanze della morte del califfo
precedente, alla fine
Alì scelse di accettare la nomina. Poco dopo, il nuovo califfo esautorò
diversi governatori
provinciali, alcuni dei quali erano parenti di Uthman, e li sostituì
con suoi collaboratori di fiducia, come Malik al-Ashtar e
Salman il Persiano. Il passaggio successivo per segnare una netta
rottura con il passato fu quello di trasferire la capitale da Medina a
Kufa, la
città-fortezza musulmana in quello che oggi è l'Iraq [1].
Il capoluogo della provincia di Siria, Damasco, era, però, saldamente nelle mani di Mu'awiyah, il governatore della Siria parente di Uthman, il predecessore di Ali la cui morte era stata tragica per molti motivi, non ultimo il fatto che era stato il primo califfo islamico ad essere ucciso da Musulmani. In qualche modo, questo fatto non è senza significato, dal momento che, dopo l'assassinio di Uthman ebbe inizio la prima guerra civile musulmana, che si protrasse durante tutto il breve califfato di Ali ibn Abu Talib e si concluse con quella che può essere considerata, nel complesso, la vittoria dell'ipotesi di assunzione di Mu'awiya del califfato, un evento che avrebbe poi gettato le basi dell'Impero Omayyade. Questa guerra civile, o "Fitna", viene da molti considerata come la fine dell'unità iniziale della ummah ("nazione") islamica.
Subito dopo la sua nomina, infatti, Ali fu contestato da una fazione guidata da
Talhah, Al-Zubayr e dalla moglie di Maometto, Aisha bint Abu Bakr. Questi oppositori del califfo si erano, in un primo momento, riuniti alla Mecca per poi trasferirsi a Bassora
con l'aspettativa di trovare laggiù, in quello che oggi è l'Iraq, le
forze e le risorse necessarie per
mobilitare un esercito di oppositori contro Alì, cosa che apparve
riuscirgli abbastanza agevolmente prendendo contatto con quelli che
erano stati i più vicini alleati di Uthman.
I rivoltosi, dunque, si accamparono vicino a Bassora e quando Alì mandò
loro alcuni inviati per parlamentare, l'incontro si riscaldò
immediatamente per le proteste degli oppositori contro la legittimità
della successione del genero del Profeta e, ben presto, lo scontro
durante le trattative passò dalle parole ai fatti con
conseguente perdita di vite umane da entrambe le parti, cosìcché,
allorché Alì chiese esplicitamente l'obbedienza dei rivoltosi e un
pegno della loro fedeltà, essi rifiutarono decisamente. Ali, allora,
cercò di negoziare con la sola Aisha, considerando che una
pacificazione con la moglie di Maometto, rispettata e persino
venerata da tutta la comunità, avrebbe indebolito la causa dei
rivoltosi fino a dissolverne le fila, ma anche Aisha rifiutò di
accettare qualsiasi accordo. Alla fine le due parti, come era prevedibile, dovettero risolvere le loro divergenze con uno scontro armato durante la cosiddetta "battaglia di Bassora" (o "battaglia del Cammello") nel 656, dalla quale Ali emerse vittorioso [2]. Il pericolo maggiore per il califfato di Alì doveva ancora giungere nella figura di Mu'awiyah I, governatore del
Levante e cugino di Uthman, che da subito aveva rifiutato le richieste di giuramento di
fedeltà di Alì e che chiedeva che fosse fatta vendetta per l'uccisione di Uthman. Alì aveva già avviato negoziati con
lui con la speranza di riacquistarne la fedeltà, ma Mu'awiyah
insisteva per ottenere un'ampia autonomia del Levante sotto il suo governo. Al netto rifiuto del califfo il governatore rispose
con la mobilitazione dei suoi sostenitori levantini e rifiutando di
rendere omaggio ad Ali con il pretesto che il suo contingente non aveva
partecipato alla sua elezione. Ancora una volta, dunque, la prospettiva più probabile era una nuova guerra. I due eserciti si accamparono a Siffin
per più di cento giorni e la maggior parte del tempo venne speso in
trattative. Anche
se Alì aveva tentato la via della mediazione con scambi di
corrispondenza con Mu'awiyah,
comunque quest'ultimo aveva rifiutato di scendere a qualsiasi
patteggiamento e di farsi convincere a giurare
fedeltà a colui che riteneva essere almeno il mandante morale
dell'omicidio del cugino. Inevitabilmente le continue schermaglie tra
le due parti portarono alla guerra aperta, che prese forma con la
"battaglia di
Siffin" del 657. Dopo una settimana di lotta culminata con il violento
episodio noto come "al-Laylat harir" ("la notte del clamore"), l'esercito
di Mu'awiyah era sul punto di essere sbaragliato ma la leggenda narra
che, per ottenere un arbitrato, il consigliere del governatore
del Levante, ʿAmr bin al-ʿĀṣ, conquistatore dell'Egitto e suo primo
governatore (per altro deposto proprio da Uthmàn) abbia suggerito a
Muʿāwiya di far innalzare 500 copie del Corano sulla punte delle lance
dei suoi guerrieri: con questo, Muʿāwiya voleva far intendere che solo
Allāh avrebbe potuto decidere chi avrebbe dovuto legittimamente guidare
la comunità islamica fondata dal Profeta [3].
Comunque
stiano le cose, di fatto, gran parte delle truppe di Ali concordarono
sulla necessità di risolvere il conflitto tramite arbitrato pur avendo
avuto quello che molti storici moderni definiscono un chiaro
sopravvento sulle forze nemiche.
Piuttosto paradossalmente, dunque, i Kharigiti (o Khwarij), avendo visto che l'arbitrato non era andato a loro favore, si rivoltarono, ribellandosi contro Alì, colpevole, a detta loro, di non essersi opposto alla loro domanda di accettare l'arbitrato stesso. La loro ribellione, che si risolse in una faida sanguinosissima, cominciò quando alcuni di loro attaccarono e uccisero alcuni dei più ferventi seguaci di Ali, compresa, secondo quanto narrano le cronache, la moglie incinta di uno di essi, alla quale fu addirittura aperto in due il grembo per poter estrarre ed uccidere anche il nascituro. A questo punto, per far sì che la ribellione non dilagasse in tutti i territori dell'Islam, Ali dovette prendere in mano la situazione e affrontare i Kharigiti in campo aperto nella cosiddetta "battaglia di Nahrawan" che, per altro, segnò la fine dei suoi sogni di sottomettere Mu'awiya. Prima della battaglia di Nahrawan, infatti, Alì si stava preparando ad attaccare le truppe levantine, ma, con la dispersione di forze conseguente alla ribellione di parte del suo esercito, la spedizione in Siria di un forte contingente arabo dovette essere annullata [5]. Come conseguenza di ciò, l'esercito di Mu'awiyah riuscì ad invadere e occupare molti territori e città, senza che i governatori califfali potessero fare nulla per impedirlo (anche perché, a quanto risulta da numerose cronache, in molti casi le popolazioni non supportavano minimamente Ali e si rifiutavano di opporsi Mu'awiyah, che poté, dunque, facilmente sopraffare l'Egitto, lo Yemen e numerose altre aree di recente conquista) [6].
Ciò che risulta evidente, però, è che i bizantini tendevano a non ri-catturare le terre da loro precedentemente perdute, in particolare per quanto riguarda le zone un tempo dell'Impero occidentale. è probabile che a Bisanzio si volesse, più che altro, evitare una dispersione di forze derivante dalla necessità di difendere aree così lontane dal cuore dell''Impero, ma secondo la storiografia musulmana la spiegazione di questo comportamento risiede in una lettera inviata da Mu'awiya all'imperatore bizantino in cui il governatore minacciava Bisanzio che se avesse tentato di recuperare le terre ormai islamiche, egli avrebbe fatto pace con i suoi parenti (riferendosi chiaramente ad Ali) e i loro eserciti congiunti avrebbero distrutto l'Impero Bizantino [7]. Questo periodo convulso e nefando per l'Islam terminò nel 661 d.C., quando Ali fu assassinato nella moschea di Kufa da Ibn Muljam, un parente di uno dei soldati ribelli Kharigiti che aveva sconfitto e fatto massacrare a Nahrawan. Le tradizione vuole che le sue ultime parole fossero "Fuztu wa rabb al-Ka'bah" ("Per il Signore della Ka'bah, ce l'ho fatta"). Suo figlio Hasan ibn Ali, nipote di Maometto, assunse brevemente il califfato al quale era stato preparato dal padre, che lo aveva nominato suo successore. Per evitare ulteriori spargimenti di sangue musulmano o, più probabilmente, trovandosi nell'impossibilità di fronteggiare un nemico numericamente molto superiore, egli si affrettò a trovare un accordo con Mu'awiya, secondo il quale si stabiliva la divisione del popolo musulmano in due gruppi, ciascuno fedele a uno dei due uomini (Hasan e Mu'awiya). In realtà, tale accordo significava la progressiva (e rapida) fine del Califfato Rashidun e l'ascesa di Mu'awiya, che in breve tempo acquisì il controllo di tutti i territori islamici fondando l'Impero Omayyade [8]. NOTE: (1)W. Madelung, The Succession to Muhammad: A Study of the
Early Caliphate, Cambridge University Press 1998, pp. 169 ss.
(2) F.Ahmad, Ali: the Fourth Caliph of Islam,Sh. Muhammad Ashraf 1973, passim. (3) R.S. Humphreys, Mu'awiya ibn abi Sufyan: From Arabia to Empire, Oneworld 2006, pp. 37 ss. (4) Ivi, pp. 72 ss. (5) T. El-Hibri, Parable and Politics in Early Islamic History: The Rashidun Caliphs,Columbia University Press 2010, pp. 304 ss. (6) E.L. Petersen, Ali and Mu'awiya in Early Arabic Tradition: Studies on the Genesis and Growth of Islamic Historical Writing until the End of the Ninth Century, ACLS Humanities 2008, pp. 128 ss. (7) L. Jones, Between Islam and Byzantium, Ashgate 2007, pp. 61-63. (8) E.L. Petersen, Citato, pp. 163 ss. |
©2012 Lawrence M.F. Sudbury