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Gli
ultimi anni di Mohammed rappresentano il periodo di grande espansione
dell'Islam nella Penisola araba: poco a poco tutte le sacche di
resistenza contro la penetrazione musulmana vengono vinte e la
predicazione del Profeta s'impone ovunque.
È, però, alla morte di Maometto che, pur mantenendo la sua spinta espansiva, l'Islam conosce, almeno in relazione alla teologia sviluppata dal suo fondatore, la sua prima grande sconfitta, con la divisione, legata a questioni di successione califfale, tra una maggioranza sunnita e una minoranza sciita. Cosa provocò tale insanabile frattura? In quali condizioni essa si generò? Per comprendere questi elementi dobbiamo partire dalla parte finale della vita del Profeta e dallo sviluppo dell'autorità dei Califfi. è
Subito
dopo la conquista della Mecca, Maometto dovette fronteggiare la
minaccia
militare proveniente dalla confederazione tribale degli Hawazin, che
stava assemblando un
esercito almeno doppio rispetto a quello degli Islamici. I Banu Hawazin
erano vecchi nemici dei Quraysh e si erano uniti ai Banu Thaqif (che abitavano la città di
Ta'if)
nello sviluppare una politica anti-meccano, probabilmente a causa del
declino, negli anni delle lotte anti-islamiche, del
prestigio della Mecca. Il Profeta, però, da abilissimo stratega
militare quale era, decise che la soluzione migliore era quella di non
attendere che i suoi nemici si rafforzassero e, appena ottenuto il
controllo della sua città, condusse un contingente di spedizione che
attaccò le truppe della confederazione prima che il loro esercito fosse
pronto a muovere sulla Mecca, sconfiggendole e sottomettendole nella
Battaglia di
Hunayn [1]. Nello
stesso anno, il Profeta condusse la cosiddetta "spedizione di Tabuk"
contro
alcune tribù dell'Arabia settentrionale, indebolite da una precedente
sconfitta nella
battaglia di Mu'tah e note per l'atteggiamento ostile
adottato nei confronti dei Musulmani. Con estrema difficoltà Maometto
riuscì a raccogliere un esercito di trentamila uomini, metà dei quali,
tuttavia, il secondo
giorno dopo la partenza dalla Mecca, tornò con Abd-Allah ibn
Ubayy, non turbata dai versi terribili che Maometto scagliò, in
quell'occasione, contro i "disertori". Le forze rimanenti, in ogni
caso, furono sufficienti al Profeta per incutere timore ai capi tribali
(che non si erano organizzati in una vera e propria alleanza) delle
tribù nemiche e, senza colpo ferire, solo schierando i suoi uomini nei
pressi di Tabuk, egli ricevette l'omaggio e la sottomissione dei
leader della zona [2].
Nel frattempo, molti beduini si stavano presentando a Muhammad al fine
di sottomettersi per essere al sicuro contro i possibili attacchi
islamici e di beneficiare dei bottini delle guerre condotte dal Profeta.
Tuttavia, tali beduini erano ben lontani dal pensiero islamico e
volevano mantenere la loro indipendenza, il loro codice di norme legali
e le loro tradizioni ancestrali. Il profeta, allora, chiese loro
unicamente di sottoscrivere un accordo militare e politico secondo il
quale «riconoscere
la sovranità di Medina, astenersi dagli attacchi ai Musulmani e ai loro
alleati, e di pagare la zakat, la tassa religiosa
musulmana» [3]. Comunque
stessero le cose, pochi mesi dopo il "pellegrinaggio di addio",
Maometto si ammalò e
soffrì per diversi giorni di terribili dolori di testa, estrema
debolezza e febbre alta. Lunedi 8 giugno 632, a Medina, all'età
di 63, il Profeta moriva
con la testa appoggiata sul grembo di Aisha, mormorando le sue ultime parole
subito dopo averle chiesto di disporre dei suoi beni terreni (sette monete): «O Allah, con la compassione dell'Altissimo». Fu sepolto all'interno della casa di Aisha, ora ospitata
all'interno della Moschea del Profeta nella città di Medina [7].
Nel corso di una riunione a Saqifah a cui partecipò un piccolo gruppo di Musulmani si decise di nominare a capo della comunità un compagno della prima ora di Maometto di nome Muhammad Abu Bakr. La nomina ricevette il sostegno di un buon numero di gruppi e, conseguentemente, Abu Bakr venne eletto come primo califfo dell'islam. La scelta non fu, però, unanime e, anzi, fu da subito contestata da alcuni dei compagni del Profeta, che affermavano che Ali, il genero del Profeta, fosse stato designato come successore da Maometto stesso. I Sunniti in seguito sostennero che Ali avesse personalmente accettato la nomina di Abu Bakr e dei califfi successivi Umar e Uthman, ma gli Sciiti (che in arabo significa "partigiani" con riferimento ad Ali) narrarono che dopo la sua elezione al califfato, Abu Bakr, Umar e alcuni loro compagni si sarebbero diretti a casa di Fatima (l'unica figlia di Maometto) per ottenere l'omaggio formale di Ali e dei suoi sostenitori che si erano li radunati e, una volta giunti, Umar avrebbe minacciato di dare la casa alle fiamme a meno che gli occupanti non fossero venuto fuori e avessero giurato fedeltà al nuovo califfo. Anche se la minaccia di Umar di bruciare la casa di Fatima è ampiamente registrata in molti testi sunniti e sciiti, c'è un notevole disaccordo tra le fonti riguardo a quanto accadde in seguito: alcune sostengono che nel vederli Ali uscì con la spada sguainata, ma venne disarmato da Umar e dai suoi compagni, altre fonti sciite narrano che Umar appiccò fuoco alla porta della casa di Fatima e la prese a calci facendola andare in frantumi addosso a Fatima, che cercava di tenerla chiusa, causando l'aborto di Mohsin, il figlio del quale la donna era incinta, e la rottura di numerose costole (e, poco tempo dopo, la morte di Fatima stessa). Ali, che aveva ricevuto dal Profeta l'ordine di non reagire, non poté fare nulla per evitare spargimenti di sangue e venne catturato e messo in catene. Quando la selezione di Abu Bakr al califfato venne presentata come un fatto compiuto, Ali si trattenne dal pronunciare il suo giuramento di fedeltà fino a dopo la morte di Fatima né lottò per affermare il suo diritto "dinastico", perché non voleva gettare la nascente comunità musulmana nel caos di una lotta intestina. Sia le fonti sunnite che sciite registrano, comunque, che Fatima rimase adirata con Abu Bakr e Umar per quello che avevano fatto fino al giorno della sua morte, tanto che dovette essere sepolta di notte da Ali senza che nessuno dei sostenitori di Abu Bakr fosse presente e che il luogo della sua sepoltura è ancora in discussione. Ali certamente era fermamente convinto della sua legittimità del suo diritto alla successione al califfato basato sulla stretta parentela con Maometto, la sua intima associazione con il Profeta, la sua conoscenza dell'Islam e dei suoi meriti nel servire la causa. Dopo la morte di Fatima disse ad Abu Bakr che il suo ritardo nel giuramento di fedeltà (bay'ah) al califfo era basato sulla sua convinzione di dover essere lui il legittimo erede al titolo né, secondo le fonti sciite, egli cambiò mai idea (neppure dopo aver giurato fedeltà ad Abu Bakr e poi a Umar e Uthman), ma si sottomise solo per il bene dell'unità dell'Islam e nel momento in cui divenne chiaro che la maggior parte dei Musulmani non stava dalla sua parte [8].
Di rimando, i Musulmani sunniti riferiscono vari "hadith" o tradizioni orali, in cui si narra che Maometto avesse raccomandato la "shura", o consultazione elettorale, come metodo migliore per prendere delle decisioni comunitarie e che proprio per questo non avesse nominato nessun successore, aspettandosi che la comunità si sarebbe scelta un nuovo leader come era usanza in Arabia al tempo. Alcuni Sunniti sostengono, inoltre, che Maometto avesse indicato il suo far affidamento su Abu Bakr come secondo in comando in molti modi, avendolo chiamato a guidare la preghiera e avendogli chiesto di prendere decisioni in sua assenza. Ci sono anche alcune hadith che affermano che il Profeta avesse previsto che molti sarebbero desiderosi di salire al potere alla sua morte, ma che sapeva che Dio (e i Musulmani) avrebbero scelto Abu Bakr come prossimo leader e che la riprova di ciò stia nel fatto che la maggioranza del popolo accettò Abu-Bakr come califfo senza nessun problema. Ad esempio, nel "Siyar" di Aoqbah Ibn Mousa troviamo: «... Allora Ali e Al-Zobair dissero: vediamo che Abu Bakr è più degno di essere il legittimo successore del profeta di chiunque altro ...» [10]. Gli Sciiti, ovviamente, sostengono che qualsiasi narrazione che affermi che Ali accettò la scelta di Abu Bakr è falsa e menzionano spesso un hadith della collezione conosciuta come "Musnad" cui si afferma che Maometto abbia tenuto un discorso a Ghadir Khumm e abbia detto: «Di chiunque io sono il mawla, Ali è il suo mawla»: per gli Sciiti è questo il messaggio più chiaro dal Profeta che conferma come Ali avrebbe dovuto essere il suo successore. Anzi, molti studiosi sciiti ricordano come in quell'occasione Omar Ibn Khattab fosse stata la prima persona a congratularsi con Ali per la scelta di Maometto di renderlo suo successore e gli avesse giurato fedeltà davanti a tutti i presenti [11]. L'haddith del Musnad è accolta anche dai Sunniti ma essi sottolineano come la parola "mawla" abbia molti significati in arabo e che, mentre gli Sciiti la interpretano come "maestro" o "sovrano", in realtà Maometto stesse semplicemente dicendo che chiunque fosse suo amico doveva anche stringere amicizia con Ali [12]. Anche dal punto di vista prettamente "politico" la successione viene interpretata in due modi radicalmente differenti: mentre in una versione Sciita del "discorso di Ghadir" si sottolinea come quando a Maometto fu comandato da Allah di dichiarare il califfato di Ali tutti era un po' preoccupati perché la gente avrebbe potuto pensare che la decisione del Profeta fosse dettata da nepotismo ma Allah dichiarò al suo Messaggero che se questo compito non fosse stato eseguito essi avrebbero subito l'ira divina, negli haddith originali medinesi sunniti si sottolinea come l'"Ansar" chiamata a scegliere il nuovo califfo avesse pensato che il nuovo leader dovesse essere del clan Quraysh e che le prime ipotesi fossero state indirizzate a Abu Umar Ubayda ma questi, immediatamente avesse afferrato la mano di Abu Bakr e gli offerto una "bay'ah" (una dichiarazione di fedeltà in uso tra le tribù arabe) portando subito il resto degli uomini a fare lo stesso, a riprova che la scelta comunitaria era giunta per diretta ispirazione divina. Per altro, un certo numero di racconti sunniti ricordano che dopo un periodo durante il quale si era ritirato dagli affari pubblici, Ali avesse deciso di collaborare con Abu Bakr e giurargli fedeltà e in una tradizione orale raccolta da Muhammad al-Bukhari la cooperazione Ali con i primi tre califfi risulta evidente dal fatto che egli avrebbe assistito tutti e tre predecessori nel prendere decisioni ufficiali. Ancora una volta gli Sciiti interpretano tutto ciò non come una accettazione della nomina di Abu Bakr e dei suoi successori (mai accettata come si evince dai suoi scritti e detti ora compilati nel "Nehjul Balagha"), ma come un atto di fedeltà di Ali alla causa, dal momento che la sua opinione era indispensabile per ottenere una unanimità di giudizio tra i fedeli nei momenti più importanti della vita della proto-comunità islamica [13]. Di fatto resta il diverso atteggiamento di Sunniti e Sciiti nei riguardi degli astanti dell'intera vicenda: mentre i Musulmani sunniti considerano Ali come uno dei compagni di spicco di Maometto, tra i dieci a lui più vicini ai quali il Profeta aveva promesso il dono del paradiso, gli Sciiti continuano a considerare la successione di Abu Bakr non solo ingiusta ma anche immeritata [14].
NOTE: (1) K. Armstrong, Islam: A Short History, Modern Library 2002, pp. 64 ss.
(2) Ivi, pp. 78 ss. (3) T.W. Lippman, Understanding Islam: An Introduction to the Muslim World, A Meridian Book 1995, p. 47. (4) G.R. Hawting, The Development Of Islamic Ritual, Variorum 2006, pp. 53 ss. (5) Ivi, pp. 66-68. (6) W. Madelung, The Succession to Muhammad: A Study of the Early Caliphate, Cambridge University Press 1998, pp. 96 ss. (7) K. Armstrong, citato, pp. 82-85. (8) W. Madelung, citato, passim. (9) C.F. Robinson, Islamic Historiography, Cambridge University Press 2002, pp. 61-62. (10) Ivi, pp. 83 ss. (11) M. Momen, An Introduction to Shi`i Islam: The History and Doctrines of Twelver Shi`ism, Yale University Press 1987, pp.37 ss. (12) A. al-Muftari, Reading the Sunna, Mead Press 1997, pp. 84-85. (13) C.F. Robinson, citato, passim (14) H. Dabashi, Shi'ism: A Religion of Protest, Belknap Press of Harvard University Press 2011, pp. 26-27. |
©2012 Lawrence M.F. Sudbury