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Il
Corano (che letteralmente significa "la recitazione"), è il
testo religioso centrale dell'Islam,
che i Musulmani considerano la parola letterale di Dio,
riportata per mezzo del Profeta Maometto. Il testo è da
molti considerato come il miglior pezzo di letteratura in
lingua araba di tutti i tempi.
Prima di proseguire, dunque, nella trattazione della storia dell'espansione islamica è il caso di soffermarci brevemente ad analizzare in che cosa consista questo libro che ha ispirato milioni di persone.
Come si è avuto modo di vedere,
la tradizione islamica riporta che Maometto ricevette la
prima rivelazione nella caverna di Hira durante uno dei suoi
ritiri isolati in montagna, e in seguito ricevette
rivelazioni per un periodo di 23 anni.
Secondo
l'Hadith e la storia musulmana, dopo che Maometto emigrò a
Medina e formò una comunità musulmana autonoma, ordinò a un
numero considerevole di "Sahabah" ("primi compagni") di
recitare il Corano e imparare e insegnare le leggi che gli
venivano rivelate continuamente. I compagni impegnati nella
recitazione del Corano vennero chiamati "Qari" ma poiché la
maggior parte dei Sahabah non era in grado di leggere o
scrivere, venne loro ordinato di imparare dai prigionieri di
guerra la forma più semplice di scrittura del tempo e, in
questo modo, un certo numero di discepoli divenne
gradualmente alfabetizzato [1].
Poiché le rivelazioni di
Maometto venivano da lui solo proclamate (secondo la
tradizione egli era un "ummi", un "analfabeta"), il Corano
venne inizialmente registrato su tavolette, ossa e grandi
foglie di palma da datteri, cosicché, sebbene la maggior
parte dei capitoli fossero ampiamente conosciuti tra i
Musulmani fin da subito (così come riportato da numerose
fonti sia sunnite che sciite), è tuttavia certo che, al
momento della morte del Profeta nel 632, il
Corano non esistesse in forma di libro [2].
L'islamista Welch, nella Encyclopaedia of Islam, ritiene che una tale descrizione
della condizione di Maometto in quei momenti possa essere
considerata autentica, perché da molte fonti risulta come
egli si sentisse gravemente disturbato dopo ogni
rivelazione, tanto che questo tipo di "attacchi" venivano
visti da chi lo circondava come una prova convincente
dell'origine sovrumana delle sue ispirazioni, ma alcuni
critici, fin dai primissimi tempi meccani, lo accusavano di
essere un uomo posseduto, un indovino o un mago in quanto le
sue esperienze erano simili a quelle vantate da tali figure
ben note nell'antica Arabia [4].
In ogni caso, secondo la più
comune tradizione sunnita, poco dopo la morte di Maometto il
Corano venne compilato in un solo libro per ordine del primo
califfo Abu Bakr e su suggerimento del suo futuro successore
Omar. A Hafsa, vedova di Maometto e figlia di Omar, venne
affidato il testo coranico dopo che il secondo califfo morì
ma quando il terzo califfo Uthman cominciò a notare lievi
differenze nei dialetti arabi, chiese il permesso Hafsa di
usare il testo come calco per impostare una lingua standard
che, nata dal dialetto Quraish, è ora conosciuta come
"fus'ha" (arabo standard moderno). Prima di restituire il
testo a Hafsa, Uthman fece anche produrre diverse migliaia
di copie della redazione di Abu Bakr per standardizzare il
testo, invalidando tutte le altre versioni esistenti del
Corano: questo processo di formalizzazione è conosciuto come
"recensione uthmanica" [5].
Secondo gli Sciiti, i Sufi e
qualche scarso studioso sunnita, fu Ali a compilare una
versione completa del Corano "mus'haf" subito
dopo la morte di Maometto e l'ordine di questo mus'haf
differiva da quello successivamente standardizzato durante
l'era di Uthman ma, nonostante questo, Ali non fece alcuna
obiezione o resistenza control'operazione
di standardizzazione, sebbene mantenesse il suo libro come
versione originale. Secondo questa tradizione, solo dopo che
settanta "recitatori" venero uccisi nella battaglia di
Yamama, il califfo Abu Bakr decise di raccogliere i diversi
capitoli e versetti in un unico volume, ordinando a un
gruppo di narratori, tra cui Zayd ibn Thabit, di produrre
diverse copie del libro completo [6]. Circa nel 650, comunque, nel momento in cui l'Islam si stava espandendo oltre la penisola arabica, in Persia, nel Levante e nel Nord Africa, come si è detto, il terzo califfo Uthman Ibn Affan ordinò la preparazione della versione standardizzata per preservare la sacralità del testo (e forse per mantenere l'impero unito): il Corano nella sua forma attuale è generalmente considerato dagli studiosi accademici come una registrazione fedele delle parole pronunciate dal Profeta perché la ricerca di varianti non ha prodotto alcuna differenza di grande significato e per questo, storicamente, la polemica sul contenuto del Corano è raramente diventano un problema, anche se continuano i dibattiti a tal proposito [7].
In generale, i capitoli più lunghi appaiono all'inizio del Corano, mentre quelle più brevi appaiono verso la fine: la disposizione dei capitoli non è, quindi, collegata alla sequenza della rivelazione ma nasce dalla redazione di Abu Bakr (o, nell'interpretazione religiosa, dal volere di Dio). Ogni sura, tranne la nona, inizia con il "basmala", una frase in arabo il cui significato è "Nel nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso" ma vi sono, comunque, 114 occorrenze del basmala nel Corano, a causa della sua presenza in 27:30 come incipit della lettera di Salomone alla regina di Saba. Ogni sura è formato da diversi "ayat" ("versi"), il cui numero viene, in alcuni casi, interpretato come un segno mandato da Dio e differisce da capitolo a capitolo: ciascun versetto può essere di solo poche lettere o più righe e generalmente tutti i versi sono considerati esempi di raffinata poesia arabo-preislamica sia per quanto riguarda il loro contenuto che le rime e i ritmi distintivi, pur differendo molto tra loro essendo l'intera struttura simile a quella delle profezie (segnate dalla discontinuità) delle Scritture sacre dell'Ebraismo e del Cristianesimo. Il numero effettivo di ayat presenti nel Corano è stata da sempre una questione controversa tra gli studiosi musulmani: alcuni ne riconoscono 6.000, altri 6.204 o 6.219, mentre l'edizione più popolare del Corano, che si basa sulla tradizione della scuola Kufa, contiene 6.236 ayat. Tradizionalmente esiste una divisione trasversale del testo in 30 parti pressoché uguali ("ajza"), ciascuna con due unità chiamate "Ahzab", ognuna delle quali è, a sua volta, divisa in quattro parti ("Rub 'al-Ahzab"), mentre un'altra divisione possibile comprende sette parti all'incirca uguali, "Manazil", perché l'intero testo possa essere recitato in una settimana [8]. Strutturalmente il testo coranico sembra non avere inizio, metà o fine: la sua struttura non lineare é simile ad una ragnatela o a una rete e la disposizione del testo è, a volte considerata come un indice di mancanza di continuità per l'assenza di qualsiasi ordine cronologico o tematico e la presenza di numerose ripetizioni. Quattordici lettere arabe diverse formano 14 differenti set di "Iniziali Coraniche" (il "Muqatta'at", come ad esempio "ALM" don cui inizia la sura 2) e il prefisso di 29 sure ma il significato e l'interpretazione di queste sigle è considerato sconosciuto dalla maggior parte degli studiosi musulmani. Nel 1974 il biochimico egiziano Rashad Khalifa ha affermato di aver scoperto un codice matematico basato sul numero 19, che è menzionato nella Sura 74:30 del Corano: questo codice si manifesta solamente in una versione del Corano che Khalifa ha pubblicato ma che si differenzia da quella accettata dalla maggior parte dei Musulmani. Il messaggio del Corano viene convogliato con varie strutture e dispositivi letterari: nell'originale arabo i capitoli e i versetti impiegano strutture fonetiche e tematiche che assistono gli sforzi del pubblico per richiamare il messaggio del testo, in uno stile che i Musulmani ritengono inimitabile [9]. Richard Gottheil e Siegmund Fränkel nell'Enciclopedia ebraica scrivono che le più antiche porzioni del Corano riflettono emozioni significative nella loro lingua, attraverso frasi brevi e brusche e improvvise transizioni, ma che il testo mantiene comunque attentamente la forma in rima, in stile oracolare, mentre le porzioni più tarde, pur preservando questa forma, mostrano un movimento più calmo ed espositivo [10]. Per quanto riguarda il significato trasmesso dal libro, i Musulmani guardano al Corano come al principale miracolo di Maometto, la prova del suo essere Profeta, e il culmine di una serie di messaggi divini che è iniziato con i messaggi rivelati ad Adamo, considerato dall'Islam il primo profeta, continuati con gli "Ibrahim Suhuf" ("Rotoli di Abramo"), il Tawrat ("Torah" o "Pentateuco") di Mosè, lo "Zabur" ("Tehillim" o "Libro dei Salmi") di Davide e il Vangelo di Gesù: non a caso il Corano assume una certa familiarità con i racconti più importanti delle Scritture ebraiche e cristiane, riassumendone alcuni, soffermandosi a lungo su altri e in alcuni casi presentando versioni e interpretazioni alternative degli eventi. In linea generale, il Corano si presenta come un libro di guida, a volte offrendo resoconti dettagliati di specifici eventi storici e spesso sottolineando il significato morale di un evento all'interno della sequenza narrativa. Lo sviluppo coranico nasce, nella concezione islamica e coranica, dal "Wahy", l'atto di Dio di rivolgersi a un individuo trasmettendogli un messaggio per un maggior numero di destinatari. Il processo attraverso il quale il messaggio divino arriva al cuore di un messaggero di Dio è il "tanzil" ("l'invio verso il basso") o il "nuzûl" ("la discesa"): secondo l'Hadith, i versi sono stati inviati verso il basso in circostanze speciali, le cosiddette "asbāb al-nuzûl" che, tuttavia, non corrispondono mai ad una discesa verso il basso di Dio stesso, che rimane trascendente. Il Corano afferma spesso all'interno del testo di essere divinamente ordinato e, in sostanza, la struttura che ne deriva è meta-testuale e auto-referenziale, riferendosi ad un pre-testo scritto prima della "tanzil", che è la registrazione della parola di Dio. In realtà, la questione se il Corano sia eterno o creato è stata una delle controversie cruciali tra i primi teologi musulmani: i Mu'tazilis credono che sia stato creato mentre l'opinione più diffusa tra i teologi musulmani è che sia eterno e increato. In ogni caso, tutti i Musulmani ritengono che l'attuale formulazione del testo coranico corrisponda esattamente a quello rivelato a Maometto stesso e che non sarebbe stato possibile per alcun essere umano per produrre un libro di questo genere. Conseguentemente, la filosofia islamica introduce la "profetologia" per spiegare come la parola divina passi attraverso l'espressione umana e questo porta ad una sorta di ermeneutica esoterica che cerca di comprendere la posizione del Profeta mediando sulle modalità del suo rapporto non con il suo tempo, ma con la fonte di eterna da cui il suo messaggio emana [11].
Il "tafsir" è una delle più importanti attività accademiche dei Musulmani: secondo il Corano, Maometto è stata il primo a descrivere il significato dei versi per i primi fedeli e tra i più antichi esegeti vengono inclusi alcuni dei compagni del Profeta, come Ali ibn Abi Talib, Abdullah ibn Abbas ibn Abdullah ibn Umar e Ubayy Kab . L'esegesi in quei giorni era limitata alla spiegazione degli aspetti letterari del verso dello sfondo della sua rivelazione e, occasionalmente, all'interpretazione di un verso con l'aiuto degli altri e solo se un versetto nasceva da un evento storico poteva accadere che venissero narrate anche alcune hadith per rendere chiaro il suo significato. Perché il Corano è scritto in arabo classico, molti dei successivi convertiti all'Islam (per lo più non arabi) non sempre capirono e capiscono il senso ultimo del testo, non cogliendo allusioni che erano chiare ai primi Musulmani, cosicché uno dei maggiori compiti dei commentatori eruditi sta nello spiegare tali allusioni e adattare il senso del testo a epoche diverse da quella di stesura. Ja'far Kashfi distingue due sistemi esegetici: il "ta'wil" che è il "ricondurre i versetti alla loro origine archetipica" grazie all'ispirazione divina, e il "tafsir" che è l'esegesi letterale del testo sotto la guida della scienza canonica islamica. Entrambe concorrono ad una interpretazione non è solo analisi del significato del versetto, ma piuttosto esposizione di ciò che traspare da esso, della realtà spirituale che è obiettivo principale di ordinare una legge o del descrivere un attributo divino e che forma il reale significato di ogni storia del Corano. Tuttavia Sciiti e Sufi da un lato e Sunniti dall'altro hanno posizioni completamente diverse sulla legittimità della "ta'wil": secondo gli sciiti, quelli che sono radicati nella conoscenza come il Profeta e gli Imam conoscono i veri segreti del Corano, mentre i sunniti credono che Dio solo li conosca completamente. La maggior parte degli studiosi di entrambi i rami, comunque, concorda nel ritenere che nessuna interpretazione corretta possa stravolgere il senso letterale di un verso e che ogni versetto esprima una realtà che è troppo sublime per le parole e che Dio ha "vestito" con parole per portarla un po' più vicino alla nostra mente: i versetti, dunque, sono come proverbi utilizzati per creare un'immagine nella mente e quindi aiutare l'ascoltatore a cogliere chiaramente l'idea che sta alla loro base. A differenza dei Sunniti, in particolare Salafiti, Sciiti e Sufi ritengono, però, che il significato del Corano non si limiti all'aspetto letterale e che il testo possieda un aspetto esteriore ed una profondità nascosta, un significato essoterico e un significato esoterico a più livelli (secondo i Sufi tali livelli sono sette, chiamati "i sette abissi di profondità nascosta") [12]. Proprio nell'ottica di mantenere inalterata la letteralità testuale, la traduzione del Corano è sempre stata una questione problematica e difficile, tanto che molti sostengono che il testo coranico non possa essere riprodotto in un'altra lingua o forma (anche perché quasi ogni parola araba può avere una gamma di significati diversi a seconda del contesto, rendendo una traduzione accurata ancora più difficile). Per questo la prima traduzione completa del Corano è stata completata solo nell'884 d.C. a Alwar, in India (oggi Sindh in Pakistan), per ordine di Umar bin Abdullah bin Abdul Aziz e su richiesta del Raja Hindu Mehruk. Nonostante queste remore, nel tempo il Corano è stato tradotto in numerose lingue africane, asiatiche ed europee. Storicamente il primo traduttore del Corano fu Salman il persiano, che tradusse la sura "Al-Fatiha" all'inizio dell'VIII secolo ma la tradizione narra che traduzioni siano state fatte per il negus di Abissinia e l'imperatore bizantino Eraclio sotto forma di lettere scritte da Maometto e contenenti versetti coranici. Oggi è comunemente accettato che si possano usare traduzioni anche nelle preghiere [13]. A proposito di preghiere, infine, va ricordato che il significato principale del Corano è nella sua "recitazione": in tal senso la "tajwid" ("dizione"), è un insieme di regole che governa come il Corano dovrebbe essere recitato ed è valutata in termini relativi a quanto la recitazione faciliti coloro intenti a concentrarsi sulle parole. Per eseguire la "salat" ("preghiera"), un obbligo vincolante per l'Islam, un Musulmano è tenuto a imparare almeno qualche sura del Corano a memoria, generalmente a partire dalla prima, "Al-Fatiha", per poi passare a quelle più brevi finali: fino a quando non ha imparato "al-Fatiha", un Musulmano può solo ripetere frasi come "lode a Dio" durante la salat. Una persona il cui repertorio recitativo comprende l'intero Corano si chiama, come detto, "Qari", mentre un memorizzatore del testo è chiamato "Hafiz" ("voce recitante" e "protettore", rispettivamente): Maometto è considerato il primo "Qari" della storia e ancora oggi la recitazione coranica ("Tilawa") viene considerata un arte nel mondo musulmano [14]. NOTE:
(1) I. Mattson, The
Story of the Qur'an: Its History and
Place in Muslim Life,
Wiley-Blackwell 2007, pp. 38 ss.
(2) Ivi, pp. 51 ss. (3) M.M. Khan, The Translation of the Meanings of Summarized Sahih Al-Bukhari: Arabic-English, Kazi Pub. Inc. 1995, passim. (4) AA.VV., Encyclopedia of Islam, ABC-CLIO 2004, voce "Muhammad", pp. 323-324. (5) I. Mattson, citato, pp. 74 ss. (6) G.H.A. Juynboll, Muslim Tradition: Studies in Chronology, Provenance and Authorship of Early Hadith, Cambridge U.P 2008, pp. 109 ss. passim. (7) A. Rippin, The Qur'an and Its Interpretative Tradition, Variorum 2002, pp. 16-18. (8) W.M. Watt, R. Bell, Introduction to the Qur'an, Edinburgh University Press 2001, passim. (9) Ivi. (10) AA.VV., Hebrew Encyclopedia, Ariel 2008, voce "Quran", pp. 1265-1267. (11) W.M. Watt, R. Bell, Citato, passim. (12) A. Rippin, Ccitato, passim. (13)S.A.A. Razwy, A.Y. Ali, The Qur'an Translation, Tahrike Tarsile Qur'an 2009, pp. IX-XVII. (14) P. Parshall, Understanding Muslim Teachings and Traditions: A Guide for Christians, Baker Books 2002, pp. 61-67. |
©2012 Lawrence M.F. Sudbury