Muhammad
ibn Abdullah Ibn Abdul Muttalib, Ibn Hashim, Ibn Abdul Munaf,
Ibn Qusayy, Ibn Kilab, Ibn Murra, Ibn Kab Ibn Luayy, Ibn
Ghalib, Ibn Fihr, Ibn Malik, Ibn al-Nadr, Ibn Kinana, Ibn
Khusayma, Ibn Mudrika, Ibn Ilyas, Ibn Mudar Ibn Nizar Ibn
Maadd, Ibn Adnan, noto in Italiano come Maometto, è
considerato da un miliardo e 800.000 persone nel mondo il
"sigillo dei Profeti" il cui nome non può essere scritto o
pronunciato senza aggiungere locuzioni quali "sia la pace su
di lui", il "messaggero", il "servo di Dio" ('abd), il
"presentatore" (bashir), l'"ammonitore" (nathir), il
"promemoria di Dio" (mudhakkir), la "testimonianza vivente"
(shahid), il "portatore di buone notizie" (mubashshir),
"l'uomo che chiama Dio" (Da'i) e la "lampada che dà luce" (Siraj
Munir) [1], la più
alta espressione umana della storia e il tramite tra umanità
e divino.
Ma chi era Maometto, l'uomo che con la sua predicazione ha
cambiato come pochi altri la storia dell'umanità?
- LE FONTI DELLE NOSTRE CONOSCENZE
Naturalmente ricostruire la vita di un uomo, per quanto
venerato già in vita, nato circa 1.500 anni fa non è impresa
semplice. Il rischio maggiore è fidarsi eccessivamente delle
fonti musulmane, cadendo inevitabilmente nell'agiografia,
ma, purtroppo, quelle stesse fonti sono anche le uniche
realmente "dirette" o legate a testimonianze non mediate in
nostro possesso.
Quali sono, dunque, tali fonti?
Naturalmente
il Corano è la nostra fonte principale di informazioni per
tutto quanto riguarda l'Islam, essendone il testo fondativo,
che i Musulmani credono rappresenti la parola di Dio
rivelata a Maometto stesso attraverso l'angelo Gabriele.
Anche se nel Corano si parla di Maometto direttamente solo
quattro volte, numerosi dei suoi versi possono essere
interpretati come allusioni alla vita del Profeta.
Appena minori per importanza sono le opere storiche di
scrittori dei secoli III e IV dell'epoca musulmana, che
includono le biografie tradizionali musulmane di Maometto
(la cosiddetta "letteratura della Sira") e che forniscono
ulteriori informazioni sulla sua vita. Il più antico tra
tali testi è una Vita del
Messaggero di Dio scritta
da Ibn Ishaq nel 767 circa: l'opera in sé è perduta, ma è
stato lungamente ripreso alla lettera da Ibn Hisham e
Al-Tabari in epoche appena successive, mentre altre fonte
pressoché dirette sono la Storia
delle Campagne di Maometto di
al-Waqidi (morto nel 207 dell'era musulmana) e il lavoro del
suo segretario Ibn Saad
al-Baghdadi (morto nel 230 dell'era musulmana). Molti
studiosi accettano l'accuratezza di queste prime biografie
anche se la loro precisione è indeterminabile: recenti
studi hanno portato gli studiosi a distinguere tra le
tradizioni che toccano questioni legali e quelle puramente
storiche: nel primo caso le tradizioni avrebbe potuto essere
oggetto di invenzione, mentre in ambito puramente storico, a
parte casi eccezionali, il materiale può essere ritenuto
"tendenzialmente corretto" [2].
Un'altra fonte meno prossima è rappresentata dalle
collezioni di "Hadith", cioè di racconti tratti dalla
tradizione verbale sui fatti e discorsi della vita di
Maometto, che datano diverse generazioni dopo la sua morte:
in qualche modo esse potrebbero essere definite come una
sorta di biografia di Maometto perpetuata dalla memoria a
lungo termine della sua comunità come ammaestramento e
monito all'obbedienza. Gli storici occidentali tendono a
considerare questi racconti come solo parzialmente utili
alla ricostruzione storica: studiosi come Madelung [3] non
respingono in toto tali narrazioni compilate in epoche
successive, ma ritengono che esse debbano essere giudicate
nel contesto delle conoscenze certe in nostro possesso e
sulla base della loro compatibilità con eventi e figure
note. Nonostante questo è indubbio che la tradizione orale svolga un ruolo importante nella
comprensione islamica di Maometto.
Diverso è il discorso per quanto riguarda le fonti non
arabe. Le prime conoscenze in ambito cristiano su Maometto
derivano da fonti bizantine e, pur rivestendo una qualche
importanza come "cartina tornasole", sono di norma così
tarde, lacunose e piene di elementi pregiudiziali da poter
essere solo di scarso aiuto: in generale essi indicano che
sia gli Ebrei che i Cristiani vedevano Maometto come profeta
ingannevole e, così, ad esempio nel Jacobi
Doctrina Nuper Baptizati del
634 Maometto è ritratto come "ingannevole [...] dal
momento che è impossibile che dei profeti vengono con spada
e carro da guerra [...
e tale per cui] si
scopre che nulla di vero è stato detto dal profeta ad
eccezione dello spargimento di sangue umano [derivante
dalla sua dottrina]" e non diversi sono i toni utilizzati
dal cristiano-siraco Johannes ben Penkaye nel VII secolo o
dal greco Teofane nel IX [4].
Facendo la "tara" alle fonti che possediamo è, comunque,
possibile tracciare una biografia piuttosto precisa di
Maometto, a partire dalla sua infanzia.
Secondo le menzionate
biografie e le Hadith [5] Abdul
Muttalib, del clan dei Banu Hashim, capotribù dei
Quraysh, ebbe dieci figli, tra i quali Abdullah, che
egli diede in sposo a Amina, figlia di Ibn Wahb Abdu
Munaf, capoclan dei Bani Zuhra, con i quali egli
voleva stipulare un'alleanza perpetua.
Abdullah morì in giovane età durante un viaggio a
Yathrib ma sei mesi dopo la sua morte Amina diede
alla luce (non dopo aver assistito a grandi presagi
secondo le Hadith) suo figlio, la cui data di
nascita è tradizionalmente datata Lunedi 12 (17
secondo gli Sciti) del mese di Rab'i-ul Awwal
(approssimativamente marzo) dell'anno dell'Elefante
(normalmente inteso come il 570 d.C. anche se alcuni
studiosi hanno recentemente parlato del 568 o del
569 [6]),
così chiamato dal fallito tentativo di distruzione
della Mecca da parte del re aksumita Abraha che
aveva nel suo esercito un certo numero di elefanti.
Dopo
la nascita del piccolo, come consuetudine Amina
mandò qualcuno ad informare suo suocero e la
leggenda narra che questi "venne,
guardò il bambino con amore e lo portò alla Kaba
dove lodò Allah e pregò per il bambino. Infine Abdul
Muttalib gli diede il nome di Muhammad", che
significa colui che è lodato, un nome effettivamente
sconosciuto alla tradizione araba fino a quel
momento[7].
Thuwaybah, una schiava dello zio del futuro Profeta,
Abu Lahab, allattò il neonato per qualche giorno,
mentre Abdul Muttalib cercava una balia per nutrire
il sua "nipote preferito". Era consuetudine alla
Mecca dare i lattanti a balie delle tribù bedu del
deserto, dove i bambini potevano crescere liberi,
lontano dagli intrighi della città e imparando le
tradizioni secolari dei beduini, in particolare
l'eloquenza dalle loro tradizioni orali.
Proprio per la
particolare ricchezza nell'eloquio tra i beduini i
più noti erano i Bani Sad e per questo la scelta
di Abdul Muttalib cadde su di essi.
Sfortunatamente quello era stato un anno di carestia
per i Bani Sad e, pur essendo la tribù giunta alla
Mecca proprio perché le donne trovassero lavoro come
balie, molte di esse rifiutarono di accogliere il
piccolo Muhammad, temendo che una giovane vedova non
potesse ripagarle, ma la tradizione vuole che Halima
Sadiya, una delle componenti della tribù, dopo un
primo rifiuto, sentisse un'attrazione tale verso il
piccolo da non poter rifiutare di allattarlo e per
questo ottenesse da Dio prosperità per i suoi
greggi, tanto che, sebbene come consuetudine essa
dovesse svezzare il bambino e riportarlo alla madre quando
il piccolo aveva due anni, la balia chiese ed
ottenne da Amina di poter tenere il futuro Profeta
per altri mesi. E' molto probabile che questa
leggenda abbia un fondo di verità: le condizioni
economiche delle vedove nel mondo arabo erano
piuttosto precarie ed è possibile che Amina, non
potendo provvedere al figlio, avesse semplicemente
ottenuto dalla balia di occuparsi del piccolo ancora
per qualche tempo, offrendo in cambio la promessa
che questi si occupasse delle greggi della famiglia
ospite [8].
Certamente la vita nel deserto segnò molto Muhammed
che, come riportato da molte fonti, durante l'età
adulta era solito affermare: "io
sono il più arabo di tutti voi, perché io sono di
origine Quraysh e sono stato allattato tra i Bani
Sad ibn Bakr" [9].
Tornato alla Mecca, quando il futuro Profeta aveva
sei anni, sua madre lo po rtò
a Yathrib a far visita alla tomba di suo padre ma
sulla via del ritorno la giovane donna morì (alcuni
pensano per un ictus [10])
in un luogo chiamato Abwa e la schiava abissina di
Amina, Umm Ayman Barkah, lo dovette portare da suo
nonno alla Mecca. Abdul Muttalib lo adottò ma solo
due anni dopo anch'egli morì, lasciando il piccolo
Muahammad completamente orfano fino a che le
autorità cittadine lo posero sotto la tutela di suo
zio Abu Talib, il nuovo leader dei Banu Hashim.
Secondo Watt, a causa della generale indifferenza
dei guardiani nel prendersi cura dei membri deboli
delle tribù della Mecca nel VI secolo, "le
autorità fecero semplicemente in modo che Maometto
non morisse di fame, ma era difficile per loro fare
di più per lui, tanto più che le sorti del clan
degli Hashim sembravano essere in declino in quel
momento" [11].
All'età
di nove anni, sapendo che Abu Talib aveva
programmato di andare con una carovana mercantile in
Siria, Muhammad insistette per accompagnarlo. La
leggenda (attestata da numerosissime fonti) narra
che, essendosi la carovana fermata presso Busra in
Siria per un breve soggiorno, un monaco eremita di
nome Buhaira si fece incontro a Maometto avendo
avuto una profezia sulla sua gloria futura e lo
mettesse in guardia dalle tribù ebree della Mecca e
ammonisse Abu Talib di prendersi cura del giovane.
Probabilmente è una costruzione a posteriori, ma
tutti i resoconti attestano che dopo quel viaggio,
probabilmente essendosi Abu Talib reso conto delle
capacità del nipote, Maometto continuò a lavorare co
lo zio come carovaniere, evidentemente fino a
divenire un membro rispettato del clan e della tribù
dei Quraysh se ogni fonte attesta che il giovane
Muhammad si guadagnò il soprannome comune di Al-Amin
("colui che è
degno di fiducia") e se in breve tempo fu in grado,
dopo aver partecipato, forse intorno ai 14 o 15
anni, alla guerra tra Quraysh e Qays nota come "ul-Harb
Fijar", di procurarsi un gregge di pecore e capre [12].
Sappiamo molto poco degli anni successivi, se non
che Muahammad lavorò per qualche anno come pastore
insieme a due suoi fratelli di latte dei Bani Sad.
Evidentemente gli affari non andarono inizialmente
molto bene se, intorno ai 20 anni, ritroviamo
Muhammad non più come proprietario ma come pastore
salariato e carovaniere a contratto [13].
Ma ciò fu, per molti versi, la sua fortuna perché in
questo modo il futuro profeta conobbe la donna che
avrebbe cambiato la sua vita: Khadijah.
Khadijah, figlia del capoclan Khuwaylid, era una
vedova di 40 anni che aveva ereditato dal suo ultimo
marito, Abu Hala,
una ricca attività commerciale carovaniera. Come
altri mercanti della Mecca era solita assumere
uomini per trasportare la sua merce al di fuori del
Paese sulla base di un sistema di partecipazione
agli utili e avendo saputo delle esperienze di
Maometto con suo zio, assunse il giovane, finendo
per innamorarsene.
Anche se la ricca vedova aveva già rifiutato diverse
offerte di matrimonio da alcuni dei capi più
importanti dei Quraysh, quando Muhammad, allora
venticinquenne, le chiese, per bocca di suo zio
Hamza, di sposarlo, acconsentì, dimostrandosi in
seguito una ottima sposa per il Profeta e una
perfetta madre per i suoi numerosi figli, ma anche
dando a Maometto una sicurezza economica che questi
non aveva mai conosciuto fino a quel momento.
(1) D.C.
Peterson, K. Mohammed, Muhammad,
Prophet of God, Eerdmans
Publishing Company 2007, p. 9.
(2) M. Lings, Muhammad:
His Life Based on the Earliest Sources,
Inner Traditions 2006, pp.18 ss. passim.
(3) W.
Madelung, The
Succession to Muhammad: A Study of the
Early Caliphate, Cambridge
University Press 1998, p. 23.
(4) M.
Lings, Citato.
(5) Qui e
in seguito ci si è basati in particolare
sul racconto di Ibn Hisham, ampiamente
riportato in Ibn Warraq, The
Quest for the Historical Muhammad,
Prometheus Books 2000, passim.
(6) I.
Ishaq, A. Guillaume, The
Life of Muhammad, Oxford
University Press 2002, p. 31.
(7) D.C.
Peterson, K. Mohammed, Citato,
p. 19.
(8) K. Armstrong, Muhammad:
A Prophet for Our Time, HarperOne
2007, p. 49.
(9) Ibn
Warraq, Citato, p.
54.
(10) K.
Armstrong, Citato,
p. 62.
(11) W.M. Watt, Muhammad
at Mecca, Kazi Pub. Inc. 1993, p.
73.
(12) K.
Armstrong, Citato,
pp. 74 ss.
(13) W.M. Watt, Muhammad:
Prophet and Statesman, Oxford
University Press 1974, pp. 31 ss.
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