Al
di là di qualsiasi considerazione teologica (che, comunque,
come ovvio, risulta centrale nello studio della vita del
Profeta dell'Islam), è impossibile non notare come Maometto
si configuri storicamente non solo come un grande leader
religioso, ma anche come un accorto e lungimirante politico
e un ottimo stratega militare.
Questi elementi appaiono immediatamente evidenti se
analizziamo brevemente il decennio, assolutamente
fondamentale per il successo della predicazione musulmana,
che va dal 620 al 630, cioè dal periodo immediatamente
precedente all'Egira (o, più propriamente, "Hijra"), la fuga
di Muhammad dalla Mecca a Medina, e la conquista della Mecca
da parte dei Musulmani.
Nonostante
la durissima persecuzione da parte dei clan meccani contro
l'Islam e il clan del suo Profeta, la fama della
predicazione musulmana si stava rapidamente diffondendo
nella Penisola Araba e, pariteticamente, il prestigio
personale di Maometto stava velocemente crescendo.
Questi elementi, non disgiunti probabilmente dalla volontà
di surclassare la Mecca come centro religioso e commerciale
[1], spinsero
Yathrib (in seguito rinominata Medina - "La Città"), una
città a nord della Mecca abitata inizialmente da tre tribù
di esuli ebrei e due tribù arabe, ad inviare una delegazione
composta dai rappresentanti dei dodici clan più importanti
dell'oasi dal Profeta per chiedergli di trasferirsi e di
fungere da arbitro "super partes" nelle frequenti dispute
inter-tribali che affliggevano la comunità. In realtà, la
data dei primi contatti tra clan di Yathrib e Musulmani non
è certa, sussistendo già dal 614-5 un discreto flusso
migratorio ("Piccola Egira"), evidentemente voluto da
Maometto stesso, di fedeli islamici meccani verso il centro
commerciale settentrionale, ma, certamente, fu nel 620, dopo
che la battaglia di Bu'ath, che aveva coinvolto tutti i clan
medinesi e che si era risolta in un inutile bagno di sangue
rendendo evidente che le vecchie concezioni tribali di faida
non erano più praticabili, che al Profeta fu rivolta la
richiesta di trasferirsi promettendogli,
in cambio, una totale accettazione della sua fede
all'interno della comunità e una protezione contro ogni
nemico "come se egli
fosse un membro di ogni clan di Yathrib" [2].
Il Profeta, inizialmente,
preferì restare alla Mecca ma ordinò ai suoi seguaci a
emigrare a Medina tanto che praticamente tutti i suoi
seguaci si spostarono, per lo più segretamente e a piccoli
gruppi, nell'oasi settentrionale.
Secondo la tradizione fu proprio a seguito di questa strisciante
migrazione che i leader Quraish decisero di eliminare Muhammad
fisicamente ma il Profeta, venuto a conoscenza del complotto, con
l'aiuto del cugino Ali, riuscì a ingannare i Meccani che lo
sorvegliavano e a fuggire segretamente nella città
settentrionale: era, secondo il computo del califfo Umar ibn
al-Khattab (basato su una scansione temporale di tipo perfettamente
lunare), il 1° muharram dell'anno 622, corrispondente al 16 luglio,
giorno 1 dell'anno 1 dell'era islamica (sebbene, in realtà,
storicamente è più probabile che
l'Egira si svolgesse tra il 26 safar - 9 settembre - e il 12
Rabi' I - 24 settembre) [3].
Appena giunto a Yathrib
Maometto, come gli era stato richiesto dai capiclan locali,
mise mano alla redazione di un documento denominato
"Costituzione di Medina", «che
stabilisce una sorta di alleanza o federazione tra le otto
tribù ora residenti nella città e i musulmani emigrati dalla
Mecca e che specifica i diritti e i doveri di tutti
cittadini e il rapporto tra le diverse comunità» [4] (comprese
quella musulmana, gli Ebrei e gli altri "popoli del Libro").
è in questo scritto che troviamo per la prima volta il
concetto di "umma", cioè della comunità di tutti i credenti
affratellati dalla fede in Allah ma è interessante notare
che, sebbene la "Costituzione" assumesse, ovviamente, una
prospettiva principalmente religiosa, essa era anche
modellata su considerazioni pratiche e, sostanzialmente,
conservava le forme giuridiche delle antiche tribù arabe,
adottando, però, alcune caratteristiche del culto ebraico e
dei suoi costumi, come il digiuno nel giorno dello Yom
Kippur (secondo Alford Welch, ad esempio, fu la pratica
ebraica di avere tre preghiere quotidiane a portare alla
introduzione della preghiera islamica di mezzogiorno, mentre
in precedenza Muhammad teneva le preghiere solo alla mattina
e alla sera, così come l'uso ebraico a indurre alla prima "qibla",
il rituale di pregare con la fronte rivolta a Gerusalemme,
sebbene usanze similari circolassero già in precedenza in
Arabia [5]).
Il primo gruppo di pagani convertiti all'Islam a Medina
venivano dai clan che non aveva prodotto grandi leader per
se stessi ma aveva sofferto per colpa dei leader bellicosi
di altri clan, ma, in seguito, l'Islam venne accettato da
tutta la popolazione, con solo alcune eccezioni, grazie, a
quanto scrive Ibn Ishaq, all'influenza di Saad ibn Mua'dh,
uno dei più importanti leader tribali dell'oasi.
In questo periodo si cominciano a delineare anche i rapporti
tra l'Islam e le altre religioni: nel corso del proselitismo
meccano Maometto aveva visto i Cristiani e gli Ebrei
(entrambi definiti come "Gente del Libro") come alleati
naturali, parte delle religioni abramitiche, che
condividevano il nucleo principe dei suoi insegnamenti e lo
avevano anticipato con la loro accettazione e il loro
sostegno all'insegnamento divino. In quest'ottica, nella
Costituzione di Medina, il Profeta aveva chiesto agli Ebrei
lealtà politica in cambio di autonomia religiosa e culturale
sebbene i clan ebraici si fossero sempre tenuti lontani
dall'Islam, con ben poche conversioni al loro interno. Fu,
probabilmente questo perdurante rifiuto che fece sì che
l'atteggiamento di Maometto nei confronti di Cristiani ed
Ebrei cambiasse notevolmente. Afferma Norman Stillman: «Durante
questo periodo fatale e carico di tensione dopo l'Egira,
quando Muhammad incontrò contrasto, ridicolo e rifiuto da
pare degli studiosi ebrei a Medina, egli venne ad adottare
una visione radicalmente più negativa dei Popoli del Libro
che avevano ricevuto in precedenza le Scritture; questo
atteggiamento si stava già evolvendo nel terzo periodo
meccano quando il Profeta è diventato più consapevole della
antipatia tra Ebrei e Cristiani e dei contrasti e delle
lotte tra i membri della stessa religione» [6].
Dal punto di vista
economico la situazione dei Musulmani a Medina non
era certo delle migliori, essendo essi, in fin dei
conti, degli sradicati senza alcun lavoro: anche per
la necessità di
fornire sostentamento alle famiglie, oltre che
per il desiderio di vendicarsi contro i loro
persecutori, essi diedero luogo ad una serie di raid
contro le carovane meccane, iniziando un conflitto
armato contro i Quraish pagani della Mecca con il
beneplacito del Profeta (che autorizza gli attacchi
nel Corano, alla Sura 22), con l'obiettivo sia di
acquisire ricchezza, potere e prestigio, sia,
soprattutto, di indurre la
Mecca alla
sottomissione alla nuova fede.
Nel marzo del 624, Maometto stesso guidò circa
trecento guerrieri in un raid contro una carovana di
mercanti della Mecca, organizzando un agguato presso
la località di Badr. Venuti a conoscenza del piano,
i capi carovanieri, però, riuscirono ad eludere i
Musulmani e i meccani inviarono un contingente
militare ad intercettare le truppe del Profeta. Lo
scontro tra le due forze, passato alla storia come
"la battaglia di Badr", vide i Musulmani, guidati da
Muahammad e da Abu Bakr, pur in inferiorità numerica
(erano circa un terzo dei meccani), vittoriosi e
portò all'uccisione di 45 Quraish (contro solo 14
Musulmani), tra i quali molti importanti capitribù
(fra cui uno dei più feroci oppositori dell'Islam,
Abu Jahal) e alla cattura di circa 70 prigionieri [ 7].
Nelle settimane successive molti meccani furono
costretti a recarsi a Medina per riscattare i
prigionieri di Badr e, essendo molti di questi
ultimi di famiglia benestante, l'intera operazione
fruttò ai fedeli di Maometto una somma
considerevole. Coloro che non erano abbastanza
ricchi o influenti vennero liberati senza riscatto,
a patto che ponessero termine ad ogni persecuzione
anti-islamica mentre solo due prigionieri (tra i
quali l'influente leader Uqba ibn Abu Mu'ayt)
vennero giustiziati perché erano coloro che avevano
personalmente tentato di uccidere Maometto alla
Mecca.
 La
vittoria di Badr, oltre a venir vissuta dai
Musulmani come una conferma del favore divino, ebbe
importanti risvolti politici: grazie al bottino
ottenuto i seguaci del Profeta assursero ad un ruolo
di primo piano nella comunità di Medina, tanto da
potersi vendicare, con il benestare di Maometto,
contro i loro oppositori, uccidendo Asma bint Marwan
e Abu 'Afak (che aveva composto versi insultanti
contro la nuova fede) per aver violato la
"costituzione di Medina" senza che i clan dei due
osassero reclamare vendetta (e anzi, molti del clan
Marwan, che precedentemente si erano convertiti
all'Islam in segreto, poterono ora professare
apertamente il loro credo), da metter fine ad ogni
opposizione all'Islam nella città e da porre il loro
leader alla guida dell'oasi.
è in questo periodo che Maometto espulse da Medina
i Banu Qaynuqa, una delle tre principali tribù
ebraiche insediate nell'area.
è incerto se le
ragioni di tale provvedimento siano state di natura
politica o religiosa ma appare probabile che si
trattasse di motivazioni di entrambi i generi dal
momento che gli Ebrei erano scettici sulla
possibilità di un profeta non-ebreo (nonostante
Maometto avesse risposto che anche Abramo non era
ebreo) e in molte occasioni avevano espresso
preoccupazioni circa la possibile incompatibilità
tra Corano e Torah (nonostante il Profeta avesse
dichiarato di voler ripristinare il monoteismo puro,
inquinato da contaminazioni successive) e,
conseguentemente avevano iniziato, secondo alcuni
studiosi come Peters, ad « essere
segretamente conniventi con i nemici di Maometto
alla Mecca per rovesciarlo» [ 8].
Dopo Badr, comunque, il Profeta era abbastanza
potente da cominciare a tessere una rete di alleanze
con un certo numero di tribù beduine per proteggere
la sua comunità dagli attacchi dalla parte
settentrionale di Hejaz e per creare un fronte
compatto contro i meccani, con i quali era ormai
guerra aperta. Per mantenere la loro prosperità
economica, infatti, questi ultimi avevano la
necessità di ripristinare il loro prestigio,
incrinato dalla sconfitta. A questo scopo avevano
immediatamente compiuto un piccolo raid su Medina,
utile più che altro a riacquistare fiducia e
conclusosi senza un vero combattimento. Nei mesi
successivi, Maometto rispose, con l'aiuto dei suoi
nuovi alleati bedu, con alcuni attacchi alle
carovane ed è a questo punto che il leader meccano
Abu Sufyan ibn Harb raccolse un esercito di  tremila
uomini e partì all'attacco di Medina. Fortunatamente
un esploratore di Muhammad avvistò il contingente e
avvisò i tempo i Musulmani, che si riunirono in un
consiglio di guerra. Le opinioni sul miglior sistema
di difesa apparvero immediatamente contrastanti:
Muhammad e molti dei leader islamici suggerivano che
sarebbe stato più sicuro combattere all'interno di
Medina e sfruttare le roccaforti cittadine,
pesantemente fortificate, ma i Musulmani più giovani
sostenevano che i meccani stavano distruggendo i
loro raccolti e che asserragliarsi nelle roccaforti
avrebbe distrutto il prestigio della nuova fede.
Alla fine questo secondo partito prevalse e Maometto
guidò le sue forze verso la montagna di Uhud dove
erano accampati i meccani. Qui, il 23 marzo 624, la
battaglia ebbe inizio: anche se l'esercito musulmano
ebbe la meglio nel primo scontro, un atto di
indisciplina da parte degli arcieri che
improvvisamente si erano riposizionati senza
attendere gli ordini dei loro comandanti portò ad
una sconfitta tattica dell'esercito del Profeta, con
75 musulmani uccisi, senza, tuttavia, che i meccani
riuscissero a raggiungere il loro obiettivo di
distruggere l'esercito islamico e occupare Medina
(anzi, dopo lo scontro, a causa delle perdite
militari, del morale basso e della possibilità dei
Musulmani di asserragliarsi in città i meccani si
ritirarono subito) [ 9].
In ogni caso, la "battaglia di Uhud" segnò il punto
più basso della parabola medinese del Profeta (che
nella sura "Al-i-Imran" indica la sconfitta come una
punizione per la disobbedienza dei fedeli ai suoi
comandi): in città i suoi detrattori ripresero forza
e, immediatamente dopo la battaglia, il leader
meccano Abu Sufyan cercò di sfruttare l'occasione
proponendo (spesso a suon di tangenti e promesse di
bottino) alleanze alle grandi tribù nomadi dislocate
a nord e ad est di Medina. I due anni successivi, di
conseguenza, furono dedicati da Maometto a evitare
come meglio poteva la formazione di alleanze contro
di lui, sia con ambasciate, sia con reazioni
violente contro chiunque manifestasse intenzioni
ostili contro l'Islam. Un esempio in questo senso è
fornito dall'assassinio, ordinato direttamente dal
Profeta, di Ka'b ibn al-Ashraf, un membro della
tribù ebraica dei Banu Nadir che era fuggito da
Medina alla Mecca e con le sue poesie aveva contrib  uito
a risvegliare nei meccani dolore, rabbia e desiderio
di vendetta dopo la battaglia di Badr e, circa un
anno dopo, dall'espulsione degli Ebrei Banu Nadir da
Medina. Nonostante i suoi sforzi, comunque, e
sebbene fosse in grado di aumentare le proprie forze
e mantenere molte tribù all'interno della
confederazione islamica, gli sforzi del Profeta per
impedire una alleanza contro Medina non ebbero
completamente successo: Abu Sufyan, con l'aiuto dei
Banu Nadir, riuscì a formare un esercito di circa
10.000 uomini da opporre ai 3.000 di Muhammad e si
preparò ad un nuovo attacco. A questo punto
Maometto, dietro suggerimento di Salman, un
convertito persiano, adottò una nuova forma di
difesa, sconosciuta in Arabia a quel tempo: i
Musulmani scavarono trincee ovunque intorno a Medina
per impedire alla cavalleria di attaccare in campo
aperto. Questa tattica si dimostrò vincente quando i
meccani, il 31 marzo 627, misero Medina sotto
assedio e costrinse i nemici dell'Islam, non
preparati contro fortificazioni di quel genere, a
ritirarsi dopo sole due settimane. Durante questa
"battaglia delle fosse" (così definita nel Corano
alla sura 33), la tribù dei Banu Qurayza, l'ultima
importante tribù ebraica di Medina, venne accusata
di  tradimento
e, dopo il ritiro delle truppe di Abu Sufyan, venne
assediata e vinta: tutti gli uomini, a parte alcuni
che si convertirono all'Islam, furono decapitati,
mentre tutte le donne e bambini furono ridotti in
schiavitù. Riguardo alle ragioni di un trattamento
così spietato, molti storici arabi e biografi di
Maometto vollero, in seguito, vedere l'episodio
come un richiamo alle punizioni vetero-testamentarie
contro coloro che rifiutavano gli antichi Profeti e
come un atto voluto da Dio contro chi trasgrediva il
Suo volere, ma numerosi storici occidentali (ad
esempio Peters e Welch [ 10])
hanno parlato di un atto straordinario e prettamente
politico (non legato ad alcun precetto coranico) di
rappresaglia contro coloro che non si sottomettevano
ai voleri del Profeta proprio in un momento in cui i
Musulmani vivevano il momento più pericoloso (e di
maggiori difficoltà economiche) della loro breve
storia e avevano bisogni di una totale coesione
ideologica intorno al loro leader.
In ogni caso, durante l'assedio di Medina i meccani
avevano raggiunto il culmine della loro pressione
per distruggere la comunità musulmana e il loro
fallimento in questo senso determinò una
significativa perdita di prestigio per i Quraish,
che nei mesi successivi, persero gran parte dei loro
volumi di scambio con la Siria. Approfittando di
ciò, Maometto intraprese due spedizioni verso il
nord che si è conclusero senza combattimenti ma con
la conversione di un buon numero di tribù alla nuova
fede. Proprio mentre era di ritorno da una di queste
due spedizioni, sua moglie Aisha venne accusata di
adulterio ma il Profeta annunciò di aver ricevuto
una rivelazione (sura An-Nur) e la  scagionò
completamente, istituendo, con l'occasione, il
precetto secondo il quale qualunque accusa di
adulterio debba sempre essere sostenuta da quattro
testimoni oculari [ 11].
Il rafforzamento successivo della coalizione
musulmana e la perdita di prestigio dei meccani
portarono a conseguenze notevoli. Anche se il Corano
comandava la Hajj (il pellegrinaggio alla Mecca), i
Musulmani non avevano a lungo potuto attendere a
questo precetto a causa della inimicizia dei Quraish
ma nel mese di Shawwal del 628, Maometto ordinò ai
suoi seguaci di procurarsi animali sacrificali e di
fare i preparativi per un pellegrinaggio ("umrah")
alla Mecca, dicendo che Dio gli aveva promesso la
realizzazione di questo obiettivo in una visione in
cui egli si radeva la testa dopo il completamento
dell'Hajj. Secondo Lewis, Muhammad si sentiva, a
questo punto, forte abbastanza per tentare un
attacco alla Mecca ma essendo chiaro che il
tentativo sarebbe stato prematuro trasformò
l'operazione in un pellegrinaggio di pace, mentre
Watt pensa, invece che il Profeta volesse dimostrare
ai meccani che l'Islam non rappresentava una
minaccia per il prestigio del loro santuario e che
esso rappresentava una religione completamente
araba [ 12].
Quali che fossero le motivazioni dei 1.400
pellegrini medinesi, i Quraish inviarono un
contingente di 200 cavalieri per fermarli ma
Maometto, percorrendo una strada più lunga, eluse le
truppe che gli erano state mandate contro, fino a
giungere ad al-Hudaybiyya, appena fuori dalla Mecca.
A questo punto furono intrapresi negoziati tra
leader meccani e leader musulmani per il libero
passaggio dei pellegrini ma, proprio mentre le
trattative erano in corso, si sparse la voce che uno
dei negoziatori musulmani, Uthman Ibn Affan, era
stato ucciso dai Quraish. Muhammad, allora, con un
proclama invitò i pellegrini a sottoscrivere un
impegno a non fuggire nel caso di una evoluzione
bellica della situazione (il cosiddetto "Pegno della
Albero"). Fortunatamente la notizia della morte di
Uthman si rivelò infondata e fu, conseguentemente,
possibile proseguire le negoziazioni fino alla
stipula di un trattato decennale  ("trattato
di Hudaybiyyah") con il quale le due parti
(Musulmani e Quraish) s'impegnavano (con i loro
alleati) a desistere da ogni ostilità, veniva
permesso, l'anno seguente, a Muhammad e ai suoi
seguaci di compiere l'Hajj con una evaquazione di
tre giorni della Mecca da parte di Quraish e il
Profeta si impegnava a rispedire alla Mecca tutti i
fedeli (minori o di sesso femminile) che si erano
recati a Medina senza il consenso dei loro
protettori.
In realtà, molti Musulmani non furono soddisfatti
dei termini del trattato ma la tradizione islamica,
alimentata dalla sura coranica Al-Fath ("la
Vittoria"), vedrà la sua firma come una grande
vittoria di Muhammad, finalmente riconosciuto su un
piano di parità dai Quraish e capace di dimostrare
ai meccani come i rituali del pellegrinaggio
potessero essere incorporati nella nuova religione
da lui creata [ 13].
Dopo
la firma del trattato, Muhammad organizzò una
spedizione contro l'oasi ebraica di Khaybar, nella
quale si erano rifugiati i Banu Nadir che incitavano
le tribù confinati a riprendere le ostilità contro i
Musulmani: probabilmente si trattava, da parte sua,
di una manovra per sviare l'attenzione dei fedeli da
quello che sembrava essere il risultato
inconcludente della tregua di Hudaybiyya, che
minacciava d'intaccare il crescente prestigio di
Muahammad, il quale, nel frattempo, era giunto ad
inviare lettere a molti governanti del mondo
(dall'imperatore bizantino Eraclio
a Cosroe di Persia, dal re dello Yemen
all'imperatore etiope), chiedendo loro di
convertirsi all'Islam. [14]
Negli anni successivi alla tregua di Hudaybiyya,
Muhammad inviò poi le sue forze contro gli arabi di
Mu'tah in Transgiordania in quanto secondo la
tradizione essi aveva ucciso l'inviato di Maometto
ma, per alcuni mesi, questa fu la sola operazione
militare musulmana. Due anni dopo la firma della
tregua, però, i Banu Bakr, alleati dei Quraish, con
la partecipazione anche di alcuni elementi meccani,
attaccarono la tribù dei Khuz'aah, che aveva
rapporti amichevoli con i Musulmani. Muhammad inviò
immediatamente alla Mecca un messaggio che conteneva
tre condizioni, richiedondo ai Quraish di accettare
almeno una di esse. Egli chiese:
1) che i Quraish rompessero ogni legame con i Banu
Bakr;
2) o che pagassero un prezzo per il sangue dei Khuz'aah;
3) o che dichiarassero nulla la tregua di
Hudaybiyya.
I
meccani risposero che avrebbero accettato solo la
terza condizione ma ben presto si resero conto del
loro errore e inviarono Abu Safyan a rinnovare il
trattato Hudaybiyya. Ora, però, la loro richiesta
venne rifiutata da Maometto che iniziò a prepararsi
per una campagna.
Nel 630, il Profeta marciò su Mecca con una forza
enorme, che si dice composta da più di diecimila
uomini e, con perdite minime, prese il controllo
della città. Subito dichiarò l'amnistia per i reati
passati, tranne che per dieci uomini e donne che lo
avevano deriso e preso in giro con canti e versi (e
anche alcuni di questi furono successivamente
graziati). La maggior parte dei meccani si convertì
prontamente all'Islam, e Maometto ordinò la
distruzione di tutte le statue di divinità arabe
dentro e intorno alla Kaaba, senza alcuna eccezione
[15].
(1) O.F. Aksoy, The
Blessed Cities of Islam: Mecca-Medina,
Tughra Books 2008, p. 73.
(2) A. Welch, Understanding
the Qur'an, Edinburgh University
Press 2008, pp. 19-21.
(3) Y. Emerick, The
Life and Work of Muhammad, Alpha
2002, pp. 107 ss.
(4) Qui e in seguito cfr.: M. Lecker, Constitution
of Medina: Studies in Late Antiquity and
Early Islam, Vol. 23, The Darwin
Press Inc. 2004, pp. 26 e passim.
(5) A.
Welch, Citato,
pp. 134 ss.
(6) N. Stillman, Jews
of Arab Lands: A History and Source Book,
The Jewish Publication Society 1998, p.
216.
(7) Qui
e in seguito cfr.: M.A.Bashumail, The
Great Battle of Badr, Kazi Pub.
Inc.1984, passim.
(8) F. E. Peters, Islam,
a Guide for Jews and Christians,
Princeton University Press 2005, p. 240.
(9) A. Kathab, The
Battles of Badr & Uhud, Ta-Ha
Publishers Ltd. 2007, pp. 68 ss.
(10) Citati,
rispettivamente pp. 287 ss. e pp. 142
ss.
(11) N. Abbott, Aisha:
The Beloved of Mohammed, Saqi
Books 1998, p. 174 ss.
(12) B. Lewis, The
Arabs in History, Oxford
University Press 2002, pp. 196 ss. e W.
M. Watt, Muhammad:
Prophet and Statesman, Oxford
University Press 1974, pp. 202-204.
(13) Y.
Emerick, Citato,
pp. 283 ss.
(14) M. A. Cook, Muhammad,
Oxford University Press, p. 82.
(15) T. Ramadan, Muhammad, Kiaros 2009,
pp. 206 ss.
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