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Cultura e mentalità

Innovativo nel campo delle istituzioni politiche e dei rapporti economici, il Basso Medioevo lo è stato anche sul piano della cultura e della mentalità. La Chiesa iniziò a perdere il monopolio dell’istruzione e del sapere e, di fronte alla crescente articolazione della società, nella quale i ceti medi produttivi andavano acquistando un peso maggiore, il latino cominciò a perdere spazio a favore delle varie lingue volgari. Nascono nuovi linguaggi artistici, fino ad arrivare a un nuovo umanesimo. La stessa geografia dell’Aldilà cristiano, troppo rigida per chi deve mediare tra morale e denaro, viene ridisegnata (l’introduzione del Purgatorio appartiene a questo periodo).

I centri di elaborazione e irradiazione culturale non sono più i monasteri e le scuole cattedrali, ma divengono le città, un ambiente senz’altro più vivace e dinamico. A partire dall’XI secolo, e più ancora da quello successivo, comincia a prendere forma una nuova figura: l’intellettuale urbano. All’inizio questi era ancora essenzialmente un chierico che utilizzava le Scritture e i testi degli antichi, ma il suo ruolo e il suo ambito culturale comincia a mutare. I contenuti del sapere cominciano a spaziare e a disegnare confini nuovi. La riscoperta dell’opera di Aristotele, resa possibile dal lavoro dei traduttori e dei commentatori arabi ed ebrei presenti a Palermo, Barcellona, Saragozza e Toledo, portò nella tradizione filosofica medievale elementi eterodossi, che riaprirono il dibattito teologico (grazie anche all’opera e interpretazione di Abelardo, 1079-1142, il più grande intellettuale del tempo).

Il XII secolo fu anche un’epoca di forte ripresa degli studi giuridici, stimolata dal conflitto fra Papato e Impero, che il concordato di Worms non aveva eliminato, e la nascita dei Comuni. Rielaborato nelle Università (prima fra tutte Bologna), sulla base del Corpus iuris civilis di Giustiniano, venne riscoperto il diritto romano. In alcune città, soprattutto in Italia, accanto alle scuole cattedrali cominciarono ad apparire altri centri d’insegnamento che potremmo definire laici. La crescita economica urbana e l’affermarsi di una società più articolata suscitarono la necessità di notai, scrivani, uomini di legge e insegnanti. I mercanti, i banchieri, gli imprenditori sentivano sempre più forte la necessità di saper leggere e scrivere, saper fare di conto, conoscere altre lingue che non fossero il latino. A questa domanda dai contenuti nuovi le scuole ecclesiastiche, ancorate alla tradizione, non erano in grado di dare risposte soddisfacenti. Su iniziativa dei ceti produttivi, nacquero e si svilupparono scuole pubbliche laiche destinate a una cultura prevalentemente pratica, permettendo un sensibile progresso del livello di istruzione. Una delle novità del XII secolo italiano fu la comparsa delle storie o annali cittadini in volgare. Dal Duecento accanto ai notai e ai cancellieri, ai giudici e ai medici, ai podestà e ai nobili, cominciamo a trovare scrittori anche mercanti e talvolta artigiani. Esempi significativi sono la Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi di Dino Compagni (1255 ca.-1324) e la celeberrima Cronica di Giovanni Villani (1280 ca.-1348). Ovviamente questi discorsi non valgono per la maggior parte della popolazione, le donne e i ceti meno abbienti, settori sociali dove l’analfabetismo restava dilagante.

Come risultato di questo processo assistiamo alla nascita dell'Università, o Studium Generalis, sia come evoluzione di alcune scuole cattedrali, sia per l’iniziativa autonoma di alcuni intellettuali. Organizzate sulla base di Corporazioni di maestri e di studenti, le università comparvero tra XI e XII secolo, per poi diffondersi soprattutto durante il Duecento. Fu nel corso di questo secolo che cominciarono a essere riconosciute, o addirittura fondate, da imperatori, re e papi. Nel XIII secolo, lo Studium più famoso era quelli di Parigi, dove erano particolarmente famosi gli studi filosofici e teologici, con quelli di Bologna, dove operavano i più principali maestri del diritto, e di Oxford, particolarmente nota per l’insegnamento delle scienze. Città universitarie erano anche Napoli, dove lo Studium era stato creato dallo stesso Federico II, Arezzo, Padova, Orléans, Tolosa, Montpellier, Cambridge e Lisbona. Nel corso del XIV e XV secolo a queste si affiancarono molte nuove sedi, soprattutto in Germania, in Boemia e nei Paesi scandinavi. Alla metà del Duecento sorsero anche le prime biblioteche universitarie, nelle quali si raccoglievano i libri scritti dai magistri e numerose copie delle opere utili all’insegnamento, in formati meno costosi e più maneggevoli di quelli che per tanto tempo erano stati copiati nei monasteri dagli amanuensi.

Come conseguenza di questo processo culturale e mentale si affermano valori più terreni. Il disprezzo di fondo che la società cristiana nutriva per il mondo terreno, copia imperfetta di quello celeste, si attenuò per lasciare il posto a una visione più positiva dell’uomo (per poi arrivare alla cosiddetta letteratura umanistica inaugurata da Francesco Petrarca, 1304-1374). Uno degli esempi più eclatanti è la nuova valutazione e legittimazione che si ha del lavoro e delle attività manuali, già ascese per merito della Scolastica al rango di artes. Il lavoro lo troviamo sempre più rappresentato nelle raffigurazioni sia in edifici pubblici che religiosi, al diffondersi degli ordini mendicanti specializzati in una predicazione adatta agli artigiani e ai mercanti, dalla crescita dei giuristi e notai e dal numero sempre maggiore di Santi reclutati nel “popolo”. Un analogo mutamento lo ritroviamo anche nella concezione del tempo che, a lungo considerato come patrimonio esclusivo di Dio e gestito dalle gerarchie ecclesiastiche, subì un progressivo processo di laicizzazione, grazie soprattutto alla spinta verso la razionalizzazione e la standardizzazione determinata dalle nuove realtà produttive e culturali dei mercanti. Non a caso (come ha descritto in maniera mirabile lo storico francese Jacques Le Goff) la nascita del Purgatorio è di questo periodo e la sua affermazione va correlata con lo slancio economico e la crescita della “borghesia” urbana, riflesso di una nuova visione del mondo, nella quale il destino dell’uomo non è più tragico.

Che il clima culturale fosse mutato è testimoniato anche dalla fortuna della novellistica. Fino al Basso Medioevo il riso era stato giudicato sconveniente dalla Chiesa ed ebbe a lungo scarsa cittadinanza nella letteratura. Ma fra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII inizia a ritrovare una prima rivincita nei fabliaux, brevi racconti comici in versi, di solito anonimi, di contenuto anticlericale e antisignorile. Più tarda, e tematicamente più complessa, è la tradizione della novella, genere letterario basato sull’intreccio e finalità d’intrattenimento. Figlia della società comunale, la novella si sviluppò a partire dall’ultimo ventennio del XIII secolo, soprattutto nell’ambiente fiorentino, fino a raggiungere la sua piena maturità artistica nel Trecento per opera di Giovanni Boccaccio (1313-1375) e del suo Decameron che, descrivendo i suoi personaggi in un preciso contesto sociale ed economico, divenne un modello di riferimento per tutta la novellistica successiva.

Verso la metà del XII secolo, con l’immagine di Dio sempre meno terribile e sempre più misericordiosa e salvatrice, la costruzione delle chiese trovò un nuovo impulso, crebbero in altezza e si aprirono alla luce. Questo fu possibile grazie all’introduzione dell’arco a sesto acuto e degli archi rampanti esterni, che attenuavano il peso destinato a gravare sulle mura perimetrali. Si arricchiscono di portali più grandi, di forme più ardite e di ampie finestre e rosoni impreziositi di vetrate. Nasce l’architettura che i suoi successivi detrattori (a partire dall’umanista Lorenzo Valla nel Quattrocento) venne definita “gotica”, nel senso spregiativo di barbarica. La sua diffusione non fu uniforme: dalla Francia, dove ci sono esempi mirabili come Notre-Dame a Parigi, Chartres, Reims e Bourges, essa si diffuse rapidamente in Inghilterra, ma penetrò assai in ritardo in Germania e in Italia. Nella Penisola italiana venne importata soprattutto per impulso dell’ordine dei Cistercensi. Le realizzazioni gotiche più importanti furono le grandi abbazie di Fossanova, San Galgano e Casamari, i cui modelli, talvolta trasformati, ispirarono la costruzione di molte chiese cittadine (in primis le cattedrali di Siena, Orvieto, Firenze, Milano).

La nuova architettura ebbe conseguenze anche sulle decorazioni, in particolare per le vetrate, alle quali spettava il compito di illuminare decorando (un esempio su tutti sono el vetrate sublimi della cattedrale di Chartres). Ma il gotico dette impulso anche alla scultura e alla pittura. E qui il primato appartiene all’Italia. L’affermazione dei Comuni, soprattutto in Italia settentrionale e centrale, favorì la nascita di scuole artistiche locali. A questo contribuì anche la nascita degli ordini mendicanti che dettero vita a una larga diffusione delle immagini dipinte e, in particolare, dei grandi cicli ad affresco. Nella seconda metà del Duecento Nicola e Giovanni Pisano realizzarono le sculture dei pulpiti del Battistero di Pisa, del Duomo di Siena e di quello di Pistoia; nella stessa epoca iniziava l’attività di Giotto (1267-1337), che, con gli affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova, di Santa Croce a Firenze e della basilica di San Francesco ad Assisi, si allontanava definitivamente dalla pittura bizantina per ritrovare i valori dell’arte classica. Nella seconda metà del XIV secolo, con il mutare della situazione politica italiana verso una progressiva trasformazione del potere comunale in signorile, si assiste alla nascita di un arte di corte, caratterizzata da una raffinata espressione decorativa che si afferma soprattutto alla fine del secolo con i maestri del Gotico Internazionale.

Tra i vari autori ricordiamo Benedetto Antelami (?1150 ca.-?1230; tra le sue opere principali ricordiamo la costruzione e la decorazione del Battistero di Parma, per il quale realizzò anche gli splendidi rilievi policromi dei portali e la decorazione interna con sculture di tema religioso e profano, quali la raffigurazione dei “mesi” e delle stagioni), Nicola Pisano (1215/20-1278/ 1284; tra le sue opere ricordiamo il pulpito eretto nel Battistero di Pisa, quello nel Duomo di Siena e la Fontana Maggiore di Perugia), Giovanni Pisano (Pisa 1248 ca.-Siena dopo il 1314; figlio di Nicola, oltre ad avere collaborato con il padre e aver lavorato nella sua bottega, lo troviamo a Siena come capomastro della cattedrale, nel 1301 scolpì il pulpito della chiesa di Sant’Andrea a Pistoia e il pergamo del Duomo di Pisa), Arnolfo di Cambio (Colle Val d’Elsa 1245 ca.-Firenze 1302; autore della Fontana Minore di Perugia e di numerose commissioni dalla chiesa romana; a lui sono tradizionalmente attribuiti anche i progetti architettonici della chiesa di Santa Croce e del Palazzo dei Priori, meglio noto come Palazzo Vecchio).

La pittura si avvalse dell’opera insigne di maestri come Cenni di Pepo detto Cimabue (Firenze 1240 ca.-Pisa dopo il 1302; citato da Dante nella Divina Commedia, nonostante fosse ben noto ai suoi contemporanei, abbiamo pochissime notizie sulla sua vita e sulle sue opere; ricordiamo il Crocifisso eseguito per la chiesa di San Domenico ad Arezzo, databile verso il 1265-1270 e la Croce per la chiesa di Santa Croce a Firenze, oggi nel vicino Museo dell’Opera, ma soprattutto gli affreschi che eseguì nella Basilica superiore di San Francesco ad Assisi), Duccio di Buoninsegna (Siena 1255 ca.-1318/19; tra le varie opere vanno ricordate il dipinto noto con il nome di “Madonna Rucellai”, l’altar maggiore del Duomo di Siena e la grande pala dell’altare commissionata per la stessa chiesa).

Ma l’artista senz’altro più famoso fu Giotto di Bondone (Vespignano, Vicchio di Mugello 1267 ca.- Firenze 1337). Imparò l’arte della pittura a Firenze, probabilmente nella bottega di Cimabue. Sicuramente le Storie di San Francesco affrescate nella navata della Basilica superiore di Assisi nel corso dell’ultimo decennio del XIII secolo sono la testimonianza più importante della sua attività giovanile. Nel 1300 l’artista è chiamato da papa Bonifacio VIII a Roma in occasione del giubileo per dipingere la Loggia delle Benedizioni in San Giovanni in Laterano. Fra il 1303 e il 1305, a Padova, Giotto eseguì gli affreschi della cappella Scrovegni, giustamente ritenuti il suo capolavoro e una delle opere capitali della pittura gotica europea. Nel 1311 Giotto è di nuovo a Firenze (a questo periodo risale probabilmente la Madonna in Maestà per la chiesa di Ognissanti, oggi agli Uffizi) e poi di nuovo ad Assisi dove eseguì altri lavori nella Basilica inferiore. Alternando rientri a Firenze, durante i quali Giotto affrescò prima le Storie di San Giovanni Battista e di San Giovanni Evangelista nella cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze, tra il 1328 e il 1333, troviamo il maestro fiorentino a Napoli, al servizio del re Roberto d’Angiò. Nel 1334, nominato capomastro dell’opera del Duomo di Firenze, Giotto fondò il campanile, continuato dallo scultore Andrea Pisano. Nel 1335 fu chiamato a Milano dove eseguì opere oggi scomparse nel palazzo di Azzone Visconti.

Autori a lui contemporanei furono i fratelli Pietro (Siena 1280/85 ca.-1348?) e Ambrogio Lorenzetti (Siena 1285-1348?; autore dei monumentali affreschi con le allegorie e gli effetti del Cattivo e del Buon Governo nella Sala della Pace nel Palazzo Pubblico a Siena, dipinti nel 1340), entrambi morti durante la terribile pestilenza del 1348, e Simone Martini (Siena 1284 ca.-Avignone 1344; autore affermato e conosciuto, nel 1336 venne chiamato a lavorare ad Avignone, alla corte papale; dei lavori eseguiti, purtroppo rimangono solo pochi frammenti di affreschi).

 

 

      

©2007 Andrea Moneti

   


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