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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 15 |
Il Regno dei Cazari tra X e XI secolo
La
steppa è un mondo immenso e misterioso. Visitandola la prima volta, l’avevo
contemplata giusto nel suo aspetto locale in Mongolia. Mi aveva quasi
spaventato: una distesa pianeggiante di terreno duro e fessurato dai frequenti
terremoti e dalla secchezza, un suolo di color bruno e battuto da un sole senza
tregua! Dalla
steppa mongola a sudovest si scorgono le montagne dell’Altai, di là del
deserto di Gobi, quando scoppiano tempeste improvvise con fulmini e lampi in
lontananza che sembrano illuminare la scena di
un enorme teatro. A nord invece
c’è la taigà che si attraversa con la Transiberiana, prima di
arrivare ad Ulan Baator, una foresta altrettanto deserta quanto la steppa, ma
terribile per la sua fredda temperatura invernale e per la fittezza dei suoi
alberi. Nel
deserto stepposo, se di giorno c’era il sole cocente, la sera ci vuole qualche
ora, per passare dal caldo, che il suolo continua ad emanare dopo il tramonto
del sole, al freddo pungente della sera. Qui di notte, infatti, tutto si
raffreddava e solo al caldo, nella jurta degli amici nomadi, si sta veramente
bene… Oggi
si va in camionetta in questa steppa ed in questo deserto, se si vuol andare in
fretta, ma secoli fa? In quel tempo, occorre immaginarsi file di cammelli e
mandrie di cavalli dalla lunga criniera in corsa, seguiti da presso da uomini,
donne e bambini, su carri con due o quattro ruote, dalle guance cotte dal sole
che magari cantano, mentre vanno in carovana verso occidente. Questo
è il mondo dei nomadi, da qui essi partono puntando sulla lontanissima Europa
ad ovest o verso la Cina, a sud oltre le montagne. Stando con loro ci si può
render pure conto che questa gente vede il nomadismo non come un fatale modo di
vita, non conoscendone altri, ma come una scelta di lavoro per esistere. In
altre parole se potessero preferirebbero avere un’economia più sicura e una
giornata meno solitaria, che non quella comune d’ogni pastore-allevatore. I
nomadi amano la compagnia e di sera ci si raccoglie sempre intorno al fuoco
alimentato con lo sterco seccato, per ascoltare e raccontare, per ore ed ore, di
tutto e di tutti. Riscopri nella steppa la civiltà del parlare, perché
la parola qui ha un peso enorme, non più immaginabile nella nostra! Non esiste
forse al mondo una lingua con fraseologia e giri di parole più ricchi del
mongolo! Chi sapeva raccontare meglio, accompagnando le parole ai gesti, poi,
era il più ascoltato, senza badare troppo al contenuto di ciò che dice, e le
risate frequenti fra gli astanti, sono il sintomo dell’allegria che si sfoga
quando non c’è più da badare alle mandrie degli animali. E
tutti erano invitati a dire la loro, senza differenza, grandi e piccini! All’altro
estremo della steppa eurasiatica, c’è la puszta (si legge pusta
ed è una vecchia parola slava passata nell’ungherese, che significa vuota,
deserta) d’Ungheria e qui il paesaggio è molto diverso. Le coltivazioni
hanno preso il sopravvento sui pascoli per le mandrie d’animali ed il cavallo,
ancora in branchi, serve solo per mostrare ai turisti i caroselli dei cavalieri
dell’Hortóbágy. Eppure
questo era l’ultimo lembo occidentale di quella steppa vista in Mongolia anni
prima e qualcosa deve pure unire questi paesaggi e questi uomini così distanti
fra di loro, oltre 10 mila km in linea d’aria! In
altri viaggi nell’ex URSS ci si rende pure conto che la steppa tuttavia non è
un paesaggio continuo ed uniforme, assolutamente semidesertico ed ostile, come
la si vede le prime volte, no! Essa è interrotta ad intervalli da fiumi enormi,
da laghi immensi che creano delle oasi altrettanto gigantesche in cui il nomade
s’immerge, quasi consolandosi del duro modo di vita che ogni giorno deve
affrontare. L’oasi è la fine del viaggio! La meta dei piaceri e degli
incontri che affascina i nomadi asiatici oggi come affascinava tanto i nomadi
ebrei quando parlavano dell’Eden o della Terra di Canaan, dove nei fiumi
scorrono latte e miele… E
proprio qui, nelle oasi della Steppa Asiatica, sorgono città famosissime ed
importanti storicamente, come ad esempio Samarcanda, la città d’Avicenna e
del Tamerlano!
Samarcanda Una
di queste oasi è proprio la striscia fertile del bacino del Volga che taglia la
steppa, come un gigantesco colpo d’ascia, prima di versare le sue acque nel
Mar Caspio. E il Volga è una specie di Nilo per queste regioni… Queste
due masse d’acqua, Volga e Caspio, sono strettamente legate una all’altra. L’81%
delle acque del Mar Caspio proviene dalla corrente del Volga. Se consideriamo
che la superficie del Caspio è di circa 100 mila kmq con una profondità che
raggiunge un massimo di 1025 m nelle vicinanze delle sponde iraniane, possiamo
immaginarci l’enorme volume d’acqua che insieme, fiume e lago, rappresentano
per questa regione, l’una corrente e dolce e l’altra poco salata e
pescosissima (non dimentichiamo gli enormi storioni e il loro carissimo
caviale!). Se non fosse per il massiccio del Caucaso sulla riva ovest ed il
Demavend sulla riva sud, la sola enorme massa liquida del Caspio potrebbe
modificare radicalmente il clima di tutto il Mediterraneo, fino alle nostre
coste pugliesi! Ed
è sulle rive di questo fiume e di questo mare che i dimenticati Cazari vissero,
prosperarono e decaddero… Purtroppo da allora, dal tempo di questi Cazari, sono passati ben oltre 10 secoli e molto è cambiato in quest’area del mondo, giacché il clima non è sempre uguale col passar degli anni e persino le genti non sono le stesse di una volta. Alcuni fiumi hanno cambiato letto e corrono in un’altra direzione, come il fiume d’Urghenc’ che una volta sfociava nel Caspio ed oggi invece va a finire nel Mar d’Aral, col nome d’Amu-darya, o il Kuban che in quei secoli si gettava nel Mar Nero ed ora invece nel Mar d’Azov. Oggi la steppa intorno al Caspio non fa più impressione a chi l’attraversa, perché gran parte è coltivata ed i nomadi sono ormai sedentari, ma una volta era il mondo in cui i Cazari avevano trovato l’ambiente necessario per crescere come popolo e diventare una potenza regionale. Secondo L. N. Gumiljov sono proprio le oscillazioni del clima che hanno talmente condizionato la vita di questo stato cazaro… da farlo sparire, ahimé! Ed è il clima che ancor oggi rende difficile il lavoro all’archeologo, alla ricerca di questo antico popolo. Allora
che cosa può esser accaduto al sistema Volga-Caspio per causare la la
distruzione di un’intera civiltà? Qui
siamo fortunati perché negli ultimi anni, dopo accurati e lunghi studi da parte
della Stazione d’Osservazione d’Astrakhan ed in collaborazione con
l’Università di Baku, si è riusciti a comprendere abbastanza sul regime
delle acque del “maggior fornitore” del Caspio, cioè del Volga. Si è
capito che i cicloni delle Azorre, che tanto condizionano il nostro clima
europeo, hanno una grandissima influenza sul regime delle piogge e delle nevi
che nutrono il Volga. Inoltre, il fiume, col suo bacino immenso, muove volumi
d’acqua tanto enormi, che confluiscono nel Mar Caspio, oggi lago, ma che
milioni d’anni fa era ancora parte del Mar Nero. Tutta quest’acqua però non
sempre riesce a sollevare molto il livello del Caspio, poiché l’evaporazione
della sua grande superficie riesce a mantenere l’equilibrio evitando lo
straripamento sulle rive. Che
cosa succede però se il Volga è in piena oppure è in magra? Ci
sono dei casi clamorosi, registrati dalla storia, su intere strutture
inghiottite dalle acque del Caspio, mentre il mare era in regime
d’innalzamento del livello. Ad esempio la fortezza costruita da Ivan il
Terribile nel XVI secolo sulla foce del Terek dovette essere ricostruita sempre
più a monte, d’anno in anno, perché era continuamente sommersa dalle acque
caspiche che lentamente salivano. L’avvenimento, registrato nel 1304 dal
geografo persiano Naggiati, racconta come il porto d’Abezgun (città
importante che rincontreremo nella nostra storia e che oggi si dovrebbe trovare
nella zona di Gümüs Tepe, in Turkmenistan), vicino alla foce del fiume
Giurgian sulla riva sudorientale, fosse inghiottito completamente dalle acque e
scomparisse per sempre. Nel
1400 ancora si narra che a Baku una torre e parte delle mura della fortezza,
erano finite sotto l’acqua. Altro caso nelle vicinanze, comprovato da Gumiljov
nel 1961, era la parte di mura di Derbent che oggi sono sotto l’acqua e, via
via, tanti altri. è
dunque a causa dell’oscillazione del livello del Caspio che Itil e Semender,
le due più importanti città cazare, sono rimaste introvabili fino ad oggi? Può
darsi… C’è però un altro mistero che avvolge le acque del Caspio. Se
guardate sulla carta geografica a sud-est delle coste caspiche, noterete una
specie di golfo chiamato Kara Boghaz Göl, ossia nel dialetto turco
dell’Azerbaigian, Lago della Gola Nera. Qui esistono delle correnti fortissime
che vanno dal centro del Mar Caspio… verso il fondo di questo golfo!! Cioè
qui le acque sono letteralmente “inghiottite” e spariscono sotto terra per
andare a finire chissà dove! E, si dice, che sia questa gola nera a
mantenere il livello del Caspio in equilibrio, più che l’evaporazione! Se
così fosse, che cosa variò macroscopicamente nel regime corrente di questo
misterioso e profondissimo “pozzo” per provocare, più a nord, la scomparsa
delle città cazare più importanti? Forse la Gola Nera invertì il solito
regime e rigettò tanta acqua da sommergere in breve tempo il delta del Volga,
più a nord? Tutto ciò forse deve avere attinenza diretta con i Cazari e
comunque rende la scenografia, almeno molto misteriosa! In
definitiva, occorre riflettere meglio sulla scomparsa della civiltà cazara,
leggendo e rileggendo le fonti, e non solo le opere di Gumiljov in particolare! Chissà,
si può persino scoprire qualche cataclisma spaventoso, finora sfuggito
all’attenzione degli studiosi. Cominciamo
invece dalla fonte storica più importante sul mistero cazaro. Ancor
oggi essa è rappresentata dalla famosa Lettera di Hasdai ben Shaprut, un
nobile ebreo al servizio del grande califfo omeyyade di Cordova, Abd-ur-Rahman
III, detto il Vincitore (an-Nasir in arabo). Questo
sovrano regnò in Andalusia dal 912 al 961 d.C., succedendo a suo nonno
Abd-ul-Lah, e si distinse come statista e stratega di gran levatura. Nel 929 si
arrogò il titolo di Califfo, costatando la decadenza del califfato abbaside di
Baghdad, dopo la morte del grande Harun ar-Rashid e contro i Fatimidi di Tunisi.
Con questa nuova veste, stabilì proprie relazioni diplomatiche e commerciali
con quasi tutti gli stati europei del tempo a lui vicini. Fu contemporaneo
d’Ottone I e d’Olga di Kiev. Anzi una sua ambasciata inviata
all’Imperatore Germanico rimase famosa perché Ottone la tenne nell’attesa
d’udienza per ben tre anni, prima di abbassarsi a riceverla! Questo
era l’ambiente ed il tempo in cui Hasdai ben Shaprut (nato forse nel 915 e
morto nel 970) aveva concepito l’idea di scrivere al sovrano dei Cazari, in
quel lontano secolo! Hasdai
era nato da una ricca e nobile famiglia cordovana di religione israelita, i Banu
Ezra. Suo padre Isacco gli aveva insegnato, oltre all’ebraico, l’arabo ed il
latino. Col tempo Hasdai, divenuto esperto di medicina, era addirittura arrivato
a curare i malanni del califfo. Ciò gli procurò le confidenze e la fiducia di
quell’illuminato sovrano tanto che Hasdai, pur non rivestendo una qualifica
ufficiale negli affari di stato, portò a termine molti incarichi diplomatici
per suo conto, a livello di un vero e proprio visir. Il dotto ebreo era famoso a
Cordova per il suo salotto d’eruditi che aveva saputo raccogliere intorno a sé.
Quando morì, la comunità degli ebrei e quella dei musulmani di Cordova ne
onorarono la memoria con lo stesso cordoglio. Al-Andalus
(ossia la Spagna araba nel X secolo) era in buoni rapporti dunque con Bisanzio e
col suo imperatore Costantino VII Porfirogenito. Costui, pure uomo colto e di
tutto rispetto, aveva onorato Abd-ur-rahman III regalandogli una copia
illustrata della Materia Medica di Dioscoride di grandissimo valore e,
pensate un po’!, della traduzione in arabo di questo apprezzatissimo e
preziosissimo libro di medicina era stato incaricato proprio il medico di corte
Hasdai ben Shaprut (949). Il grande ebreo, in collaborazione con un erudito
bizantino per la consulenza scientifica e con l’aiuto d’altri medici locali,
la portò meritatamente a termine. Da
tutto ciò e dalla corrispondenza di questo ebreo con la corte bizantina, potei
capire che l’autore della Lettera ai Cazari appariva, ed in realtà
era, serio ed affidabile. Il documento scritto da lui, principale fonte di
storia cazara, era assolutamente fondamentale, da leggere, rileggere e capire. Che
cosa allora poteva aver suscitato l’interesse, in una tale personalità
andalusa ed ebrea, per questo popolo della lontanissima steppa russa?
Sicuramente la cosa più sorprendente di tutte: i Cazari erano ebrei e
c’era quindi un Regno Ebraico, fuori della Terra di Canaan! Per
quanto Hasdai ne sapesse fino a quel momento, le comunità israelitiche della
Diaspora si erano sempre occupate di religione, studio ed attività varie, fra
cui commercio e banche, ma mai avevano organizzato uno Stato fuori della Terra
d’Israele, dove ogni ebreo invece sperava sempre di tornare. Certo, a volte le
comunità potevano rappresentare quasi un piccolo Stato all’interno della
nazione in cui vivevano, circondati ed isolati dalla gente d’altra fede.
C’erano stati dei re ebrei nella Penisola Arabica, ma uno Stato ebraico vero e
proprio, fuori d’Israele, come gli raccontavano essere il Regno dei Cazari,
era un’assoluta novità. Hasdai
ben Shaprut quindi, alla notizia dell’esistenza di questa realtà
(“incredibile” per un ortodosso Sefaradi come lui), dovette esserne
profondamente impressionato! Si era rotta una tradizione, era stato violato un
insegnamento talmudico! O forse era nata una stella nuova in Oriente… Era
un interrogativo assillante: come avevano fatto degli ebrei a conquistare una
posizione di così alto rango da porsi addirittura a capo di uno Stato? Ammesso
che questo Stato esistesse con quel peso politico che gli si attribuiva, si
poteva sperare in esso per la futura riscossa di tutti i figli d’Israele, ora
sparsi per il mondo?
Gli
ebrei erranti Nel
X secolo furono famosi certi ebrei, che si occupavano di commercio
internazionale, cui era stato affibbiato l’appellativo persiano di Rahdaniti
(in arabo ar-Rahdaniya) che probabilmente significava “coloro che
conoscono la rotta” (qualche studioso francese sembra preferire
l’etimologia di “uomini del Rodano”, poiché questo era un fiume
frequentatissimo dai loro convogli). L’epiteto persiano indicava dunque che
questi ebrei “viaggiatori” o “erranti” erano dei fuoriusciti della
florida comunità babilonese, sfuggiti alle persecuzioni del Califfo
Abd-ul-Malik del 690 e che operavano come mercanti e guide per carovane. A loro
poi, in questo traffico, si erano uniti ebrei bizantini e delle Marche
germaniche. Tutti insieme avevano formato una specie di Compagnia Internazionale
di Mercanti, la quale, finché ci furono disordini intorno al Mar Caspio,
mantenne i suoi traffici su tragitti brevi, ma poi, quando i tempi divennero più
favorevoli, cominciò a percorrere itinerari sempre più lunghi, fino a toccare
paesi lontanissimi. Questi
ebrei acquistarono una tale fama di affidabilità che, col traffico delle
pellicce, il commercio della richiestissima seta e soprattutto con gli schiavi,
diventarono l’élite mercantile più importante del IX e del X secolo
dall’Atlantico al Pacifico! Erano
loro che trasportavano le richiestissime materie prime, dalla Pianura Russa fino
alle coste spagnole, attraverso itinerari che solo loro conoscevano e che erano
ben lungi dal rivelare a chiunque, neppure ai propri correligionari. I tragitti
più importanti attraversavano la Cazaria, al tempo di Hasdai e ciò rendeva
questi dinamici uomini molto influenti nelle città cazare. Erano loro a pagare
gli alti balzelli richiesti per gli accessi in quei territori, e perciò a
sostenerne l’economia locale. Questi
percorsi erano così ben consolidati che lo stesso Marco Polo, ricordiamolo!,
qualche centinaio d’anni dopo, li ripercorse proprio per recarsi a Pechino,
nella Città del Khan (in turco Khan-balyk, la Cambaluc del
Milione)… Dato
dunque un rapido sguardo alle rotte del commercio “ebraico” del IX-X secolo
disegnate dal medievalista inglese W. Durant ci si accorge quanto essi erano
davvero notevoli! Anche
lo studioso delle steppe eurasiatiche, Gumiljov, ne aveva identificate molte
altre dal Mar Rosso alla Cina dei Tang, e ben 200 diverse, tutte rasenti il Mar
Caspio! La
più importante delle rotte rimaneva intanto quella che attraversava la steppa
degli Uiguri, venendo dalla Cina. Aggirava il Balkhash e l’Aral giungendo fino
ad Urghenc’ (l’Organza delle repubbliche marinare italiane, famoso centro
tessile), in Choresmia ed in altre parole, seguendo la celebre Via della Seta. Da
Urghenc’ si continuava o verso sud per Baghdad o per il fiume Jaik (oggi Ural)
per poi entrare nel bacino del Volga. Questa parte d’itinerario era la più
difficile perché c’era da attraversare la Steppa della Fame. Una volta
superata, i Rahdaniti si fermavano finalmente per far mercato, incontrare i
propri correligionari, cazari ed altri, e per festeggiare le feste d’autunno. Si
racconta di festini grandiosi, in quelle occasioni, per la gioia di essere
arrivati sani e salvi alla fine della prima metà del viaggio: il vino scorreva
a fiumi, insieme a latte e kumis, carne, pesce ed altri piatti prelibati
(kasher?) e, naturalmente, con belle schiave slave per allietarsi la
notte. Per
quanto riguarda il Mediterraneo, questi “ebrei erranti” andavano da Cordova
a Tangeri e poi lungo l’Africa settentrionale giungevano fino a Kairuan in
Tunisia ed ancora a Fustat (oggi parte dell’odierno Cairo). Di qui si
ripartiva per Baghdad proseguendo per le mete ancor più lontane. Un’altra
rotta famosa risaliva il Rodano fino a Lione, proveniente da Alessandria e da
Costantinopoli, una da Verdun, attraverso la Germania del sud (Via Danubio e
Regensburg), passando per Kiev giungeva nella capitale cazara, via fiume Don e
Volga. Purtroppo
poche cose si sanno della storia economica del mondo musulmano di quei tempi.
Quel poco che si conosce dei suoi traffici orientali risale, per gran parte,
all’opera del gran geografo persiano Ibn-Khurdadbeh, redatta intorno
all’847: Libro delle strade e dei reami. Anche la Ghenizà del Cairo,
cui accennerò più avanti, ha fornito molti documenti del X e XI secolo sul
ruolo degli ebrei nel Mediterraneo in cui si evidenzia già il grande ruolo che
avevano cominciato ad assumere questi commercianti. Diciamo
subito che il commercio su così lunghe e faticose rotte era naturalmente
concentrato su oggetti di grandissimo valore e su clienti facoltosi, come
potevano esserlo solo le corti reali e principesche del tempo, che ordinavano e
pagavano con sicurezza. Se
si riflette bene, si vede che i tre poli della ricchezza europea e del mondo
mediorientale, nel IX-X secolo, erano proprio le tre grandi corti quali: Cordova
(in arabo Qurtuba), città di circa 100 mila abitanti, Baghdad di circa
200 mila e Costantinopoli con forse più di 200 mila abitanti. Tutti gli altri
acquirenti, re e corti di ruolo minore, erano pur sempre importanti, anche perché
in queste corti più piccole i Rahdaniti potevano esprimere meglio la potenza
del loro denaro, prestando e sponsorizzando da esperti banchieri. Nelle
tre grandi capitali che abbiamo menzionato sopra, risiedevano i più ricchi
sovrani di quel tempo ed erano loro in definitiva che, da clienti compratori,
sostenevano i Rahdaniti. Oltre a ciò, se pensiamo all’influenza abbaside su
tutto il Mediterraneo e alla concezione dell’universalità, sia nel mondo
musulmano sia in quello cristiano d’Oriente e d’Occidente, si può affermare
che i Rahdaniti viaggiavano tranquilli. Essi, pur attraversando terre e mari che
riconoscevano alternativamente o il potere del Califfo o quello dell’imperatore
bizantino o ancora dell’imperatore cristiano germanico (Carlomagno ed i
successori Ottoni), rimanevano equidistanti – e perciò liberi – da queste
tre ideologie totalizzanti. Insomma avevano tutti i titoli per muoversi, senza
disturbare troppo cristiani o musulmani e pretendere la protezione da tutti i
potentati locali. Secondo
l’islamista Maurice Lombard i Rahdaniti del X secolo nascono e si organizzano
come tali proprio dall’emirato di Cordova dove, pagando la tassa speciale
prevista per gli “uomini del Libro” (come qui erano chiamati dagli arabi i
fedeli delle religioni derivate dalla Bibbia), avviarono verso il successo la
loro attività mercantile e dove acquistarono per la prima volta la loro fama
d’affidabilità, dimostrando di saper far giungere da lontano tutto quello che
il sovrano chiedeva (specialmente gli schiavi!), senza troppe difficoltà...
purché si pagasse il giusto prezzo! I
Rahdaniti però, non si limitarono a percorrere il Mediterraneo o attraversare
la Germania, perché addirittura andavano oltre la Cazaria, come abbiamo detto.
Essi aggregavano nelle loro carovane anche mercanti non ebrei ed insieme
oltrepassavano il Mar Caspio ed il Mare d’Aral. Giunge notizia che i loro
contatti fin col regno cinese dei Tang, seguendo la Via della Seta o le strade
imperiali persiane dell’Asia Centrale e aggirando deserti come quello di Kara
Kum e Kyzyl Kum (Sabbia nera e Sabbia rossa, rispettivamente in
turco) o il Takla Makan, fossero molto importanti. Addirittura questi mercanti
provenienti dalla Cazaria sono probabilmente da identificarsi con i Turchi di
Kho-sa delle fonti cinesi… Purtroppo
il IX e il X furono secoli di pace molto precaria per le comunità ebraiche in
territorio cristiano (e a volte anche musulmano). La posizione e la ricchezza da
loro acquisite suscitavano ovunque pesanti invidie che sfociavano frequentemente
nelle persecuzioni e nella richiesta di conversione forzata, pratiche quasi
continue esercitate dall’autorità cristiana con perverso piacere, ma
soprattutto allo scopo di poter partecipare ai proventi. Carlomagno
in verità li aveva posti sotto la personale protezione, proprio per sostenere
questa loro attività commerciale e mediatrice-bancaria, tanto utile
all’Impero, sempre a corto di denaro. Non
dimentichiamo, inoltre, che i mercanti erano talvolta impiegati dai re come
ambasciatori (e affidabilissimi interpreti) delle corti (persino di quelle corti
minori che non potevano permettersi grandi spese). Certamente
incuriosito dalle poche notizie passategli dai mercanti del Chorasan su questi confratelli
ebrei lontani e sconosciuti, padroni di uno stato autonomo e
rispettato in terre così lontane, Hasdai decise di scrivere, dopo aver avuto
una riconferma dai messi di Bisanzio della realtà del Regno Cazaro, al loro
“re” Giuseppe. Scrisse una lunga lettera, con oltre trenta domande di
spiegazioni e di informazioni “logistiche” sul Regno Cazaro, col fine di
rafforzare in seguito i contatti ufficiali e renderli più proficui. Sembrerebbe
un fatto strano, un’iniziativa arbitraria da parte di un funzionario
intraprendente… ma non lo è, se si considera la posizione di Hasdai alla
corte cordovana. D’altronde il fatto di scrivere ad un correligionario era una
cosa normale e sicuramente Hasdai aveva l’intenzione, una volta ricevute le
risposte giuste, di farne partecipe Abd-ur-Rahman III al fine di stabilire delle
relazioni diplomatiche dirette, oltre ad incrementare il traffico commerciale già
esistente, come Cordova aveva già fatto con altri stati non islamici. Pare
che Hasdai avesse capito bene che questo lontano regno dominava la zona a nord
del Mar Nero, in concorrenza con Bisanzio, e perciò poteva aver
immaginato che un alleato di religione ebraica potesse sicuramente operare a
vantaggio del suo emiro, in una zona posta strategicamente ai confini fra mondo
arabo e mondo cristiano. Il
primo passo di Hasdai fu di far recapitare la lettera attraverso i canali
bizantini, affidandola ad un suo fidato amico, Isacco ben Nathan, con un buon
corredo di doni per l’imperatore Romano I Lecapeno, affinché concedesse
l’autorizzazione, a farla proseguire fino in Cazaria. Purtroppo
in quegli anni gli ebrei di Costantinopoli si trovavano in situazioni difficili.
Così, quando alla moglie Elena dell’imperatore succeduto a Romano I,
Costantino VII Porfirogenito, fu chiesta una nave che dirigesse per il Mar d’Azov,
nonostante le buone relazioni dell’imperatrice con gli ebrei, l’imperatore
rifiutò di concedere privilegi a gente di fede diversa da quella cristiana.
Quindi, sicuramente a causa della situazione d’ostilità momentanea con la
Cazaria, si negò l’invio della lettera ed Isacco ben Nathan tornò a Cordova
con le pive nel sacco. Hasdai
tuttavia era un tipo caparbio e pensò di utilizzare un altro itinerario,
alternativo, pure frequentato dai Rahdaniti: la rotta attraverso l’Egitto,
Gerusalemme, la Mesopotamia (l’Iraq d’oggi), esclusivamente toccando il
mondo arabo. L’occasione giusta, invece, si presentò all’improvviso con la
visita di due eruditi ebrei che giungevano attraverso la Germania e che di buon
grado accettarono il compito di far recapitare la lettera, nel viaggio di
ritorno, che sarebbe avvenuto attraverso l’Ungheria e Kiev. In
breve la missiva giunse a destino poiché, ad ogni buon conto, c’è una
risposta… La
Lettera di Hasdai e la Risposta di Giuseppe (di quest’ultima addirittura ne
sono state scoperte due redazioni), le loro ricopiature ed i commentari
successivi, sono redatti in antico ebraico e sono accessibili oggi, tradotte sia
in inglese sia in russo, nella Biblioteca Civica di San Pietroburgo. Nella
famosa Lettera il funzionario cordovano descrive a grandi tratti la Spagna
islamica, cioè l’Emirato d’al-Andalus, ed anche in quali modi e con quali
vie Hasdai spera di mettere in contatto più diretto Cordova con la Cazaria.
Assicura che ha saputo dagli amici mercanti che dal Regno dei Cazari provengono
navi che trasportano pesce secco e pelli pregiate in gran quantità, insieme a
tantissima altra merce e che i Cazari stimano i mercanti Rahdaniti e sono con
loro in grand’amicizia e pace, proprio perché anche i Cazari obbediscono alla
Legge di Mosè. La
curiosità di Hasdai è però chiaramente focalizzata su un problema: qual è la
provenienza del popolo cazaro? è
forse una delle tribù perdute d’Israele? E
come mai questa tribù è giunta fin lì, dove si trova ora la Cazaria? Più
di tutto, come mai un popolo d’origini barbare ubbidisce alla Legge di Mosè
ed è riuscito a creare uno stato indipendente, così lontano dalla Terra dei
Padri? Il
re cazaro Giuseppe darà le sue risposte con molti particolari, sebbene
tergiversi su alcune domande fatte da Hasdai, forse perché ha paura di rivelare
segreti di Stato che non vorrebbe. Una
cosa non è chiara e rimarrà forse un mistero per sempre: Hasdai ricevette e
lesse questa risposta? Perché, ad onor del vero, la lettera di risposta dovette
essere composta circa una decina d’anni dopo il primo tentativo di spedizione
di Hasdai! Se così fu, essa giunse, perché sicuramente giunse, a Cordova
quando Hasdai era purtroppo già morto. Di
qui il Mistero dei Cazari comincia a prendere corpo e diventa affascinante,
proprio perché ci sono molte “macchie bianche” nella “corrispondenza”
cordovo-cazara, e cercando di saperne di più così si può scoprire prima di
tutto che la questione dei Cazari ebrei affascinò tutto il mondo della Diaspora
del X secolo e dei secoli immediatamente seguenti e si discusse moltissimo, in
conformità a quella parte della Risposta di Giuseppe che fu fatta circolare (le
altre informazioni si ritennero riservate), su questo misterioso popolo che
aveva abbracciato la Legge di Mosè. Chissà quante fantasie si costruirono su
di loro, chissà quante leggende e quante fiabe circolarono… La
questione dei Cazari divenne così problematica fra gli intellettuali ebrei
spagnoli che il filosofo e letterato Yehuda (Giuda) Halevi, nato nella Vecchia
Castiglia nell’XI secolo, scrisse addirittura un trattato sull’Ebraismo
sotto forma di dialogo, in cui uno degli interlocutori è proprio un re Cazaro
che vuole esser persuaso a convertirsi. L’argomento
però rimase un soggetto di riflessione solo per gli Ebrei, tanto da dissolversi
col tempo in leggende meravigliose e senza che il mondo cristiano ne fosse
minimamente interessato. Nel 1577 (e poi nel 1660) fu pubblicata la Lettera di Hasdai e la Risposta di Giuseppe (redazione corta), ma solo con il XIX secolo le ricerche archeologiche in Russia s’infittirono, quando la regione del Volga entrò a far parte definitivamente dell’Impero Russo. Poi la storiografia russa dell’Ottocento, che prima di quel fatidico XVII secolo non si era mai occupata seriamente dei Cazari, sollecitata dal fatto che a loro si accennava nelle Cronache Russe in relazione alla nascita del primo stato russo, cominciò a nutrire qualche curiosità per questo popolo. Si cercò nelle numerose, ma frammentarie, menzioni degli Arabi e dei Bizantini, nella steppa in territorio russo, ma non si trovò nulla di veramente interessante su questo popolo. Qualche cosa venne ancora alla luce, ma fino alle spedizioni archeologiche del XX secolo niente d’importante fu pubblicato.
Cavaliere Cazaro Gumiljov
e i Cazari Purtroppo,
a quanto sembra, neppure l’archeologia moderna ha dato i frutti che ci si
aspettava, poiché lo storico archeologo sovietico Fjodorov-Davydov
affermava molto chiaramente in un suo articolo divulgativo degli anni '60: «Fino
a questo momento Itil, la capitale della Cazaria sul Volga, non è stata
ritrovata. Le regioni centrali dello stato, le steppe del Basso Volga, si
trovano pressoché prive di monumenti archeologici che risalgano al Kaghanato
dei Cazari. Un deserto in pratica, in mezzo a cui si dovrebbero trovare un
grande centro urbano e allo stesso tempo l’accampamento d’inverno del kaghan». Ritornando
così alle opere del professor L. N. Gumiljov ed alle sue campagne di ricerca
archeologica nella corrente bassa del Volga, è probabile che proprio qui si
trovasse la capitale (o una delle capitali) del Regno Cazaro, Itil. Forse
ha ragione questo storico russo nell’affermare che non dobbiamo cercare
oggetti e monumenti che fanno grande impressione sul pubblico, quanto invece gli
oggetti più comuni in uso ogni giorno: «I Cazari come tutti gli altri
uomini mangiarono e bevvero e certamente ruppero stoviglie, ma dove sono andati
a finire i cocci, quei materiali che sono i primi ad essere trovati negli scavi
archeologici? I Cazari avevano due grandi città: Itil sul fiume Volga e
Semender sul fiume Terek … ma dove sono i resti di queste città? I Cazari
sono morti, ma dove sono le loro tombe? I Cazari si saranno riprodotti, ma con
chi si fusero i loro discendenti?». Mi
rimasero impresse queste sue riflessioni molto semplici, ma razionali, lui che i
Cazari li aveva studiati con passione e sacrificio. Tuttavia esse accrescevano
maggiormente il mistero, anche se questo suo modo di vedere il problema fu utile
allo stesso archeologo per convincere l’autorità sovietica a finanziare le
campagne di ricerca nelle paludi impervie e difficili del più grande fiume
europeo. Ecco
dunque dove risiedeva la questione! Di quanto si raccontava dei Cazari, non si
avevano né conferme né riscontri evidenti negli scavi archeologici! Bisognava
continuare a cercare più reperti degli “introvabili” Cazari poiché, quei
rari che si erano raccolti finora, non erano attribuibili con sicurezza a loro,
né erano sufficienti a ricostruire una storia cazara! Ed inoltre, non
trovandosi i monumenti che gli osservatori contemporanei avevano descritto, non
equivaleva a dire che i Cazari erano soltanto una favola medievale? Ma come! Si parlava delle loro imprese militari, di vittorie e sconfitte, poiché con loro si erano scontrati Armeni, Georgiani, Arabi, Persiani e Bizantini, eppure come vivessero e da dove venissero, non riuscivamo a saperlo con certezza!
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©2004 Aldo C. Marturano