LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
|
|
||
|
Il titolo della lectio doctoralis che Renzo Arbore ha
presentato il 19 ottobre
2005, presso l’Aula Magna di via Caggese, in occasione della cerimonia di consegna della
laurea honoris causa in Lettere e Filosofia conferitogli dall’Università di Foggia, è quello di un tema
assegnatogli dal professor Antonio Vivoli al Liceo classico Lanza.
Un liceo che ha inciso molto nella formazione di Arbore che qualche
tempo fa rilasciò la seguente testimonianza per il volume
Il Regio Liceo Lanza, dalle scuole pie agli anni del regime (Parnaso editore, Foggia, 2004): «è al Liceo Lanza che ho accarezzato i miei primi, fantastici sogni di
gloria: disegnavo formazioni di meravigliose orchestre jazz, completamente
ignaro dei problemi delle
discografie. Al Liceo è scoccata quella scintilla che mi ha reso consapevole del valore dell’artista. Fui sollecitato da un tema del
professor Vivoli: “L’arte non è fuori dalla vita. è essa stessa vita e consolatrice della vita”. Tema
difficile. Ricordo che dopo la dettatura della traccia ci fu un moto di
stupore, in classe. Non era il solito tema. Esprimeva pienamente un concetto
molto profondo. Il fatto stesso che io, dopo tanti anni, ricordi ancora il testo
significa che il tema mi aveva decisamente affascinato.
Per me l’arte è superiore alle scienze, alla storia… Considero
l’arte come suprema. Essere un artista è una cosa bella. Mi piace essere
definito “artista”, al di là di ogni gratificazione materiale».
Arbore ricorda, a proposito
dei temi scolastici assegnati quell’anno, un episodio che ancora lo fa
sorridere. «Si era ammalato il professor Vivoli e arrivò una supplente di
Italiano. Inconsciamente ci provocò con un titolo di tema quasi assurdo, in
confronto a quello dato dal nostro professore
nella prova precedente: “Din
don dan, le campane suonano a festa. è
Pasqua
di Resurrezione!”. Decisamente demenziale. Non capì, poverina, che per
quanto sguarniti, eravamo a un livello decisamente superiore. Potete immaginare
cosa successe in classe…».
Il ricordo di Arbore sul prof. Vivoli è molto vivo: «Ci intimoriva molto, ma aveva un suo rigore e non ostentava la sua sapienza. Ci fece studiare su un bel testo di Natalino Sapegno. Era comunista. Un solo giorno ci disse “questa cosa” che, in un certo senso ci sconvolse: fu nel 1953, quando morì Stalin».
Antonio Vivoli
Antonio Vivoli fu un docente impegnato nella politica «militante» di sinistra fin dai tempi del fascismo. Al «Poerio» e al «Lanza» di Foggia si manifestarono posizioni di resistenza culturale al conformismo e alla retorica dilagante del Regime, mantenendo fermo il modello di «serietà degli studi». Il professore Antonio Vivoli, a quel tempo docente di Lettere latine presso il Regio Istituto Magistrale Poerio, era il fiduciario di Tommaso Fiore e del nascente Partito liberal-socialista (futuro nucleo del Partito d’azione) che nel 1942 sarà oggetto di una dura repressione da parte dell'Ovra (polizia segreta) con arresti e invii al confino. Il 6 aprile 1942, infatti, nello stesso giorno in cui ci fu la perquisizione della casa editrice Laterza e l’arresto di Tommaso Fiore e dei figli Vittore e Graziano, il prof. Vivoli fu tradotto da Foggia nelle carceri di Bari insieme al prof. Francesco Perna, docente di lettere nella regia scuola media di Foggia annessa al regio liceo Lanza. Il 3 aprile 1942, l’ispettore di Pubblica sicurezza Giuseppe Console aveva comunicato all’Ovra, al ministero dell’Interno e al capo della Polizia che aveva avuto notizia, in via fiduciaria, dell’esistenza di «un occulto movimento liberal socialista, sorto tra gli intellettuali di varie città d’Italia e facente capo, in Puglia, al professor Tommaso Fiore. Il gruppo aveva finalità antifasciste e si proponeva di lottare per il ripristino delle libertà».
Tre dattiloscritti, inviati da Tommaso Fiore
alla cellula foggiana del PLS risultarono
determinanti per il capo d'accusa dell'Ovra contro i proff. Vivoli e Perna. Il
primo opuscolo, Lettera aperta del cittadino Settembrini, di contenuto
polemico, era la risposta al discorso tenuto a Praga di Dietrich, capo
dell'ufficio stampa del Reich. Vi si affermava che la rivoluzione nazional
socialista, lungi dall'incrementare le libertà rispetto al liberalismo, non era
altro che «una manifestazione dell'ideologia di una razza superba e
sopraffatrice, protesa alla conquista del dominio mondiale». Il secondo
opuscolo, Il fronte della libertà, incitava tutti, qualunque fosse il
loro orientamento politico-spirituale, «a schierarsi in un fronte unico, per
abbattere con ogni mezzo la tirannide fascista e restaurare in Italia le
essenziali libertà». Il terzo opuscolo accennava all'impreparazione
dell’esercito italiano e ai metodi brutali usati dai soldati tedeschi contro
la popolazione greca.
Nel corso delle indagini risultò che, a livello nazionale, Tommaso
Fiore, oltre che con la cellula foggiana guidata dai proff. Vivoli e Perna,
intratteneva rapporti con Tristano Codignola e con i professori Guido Calogero e
Capitini. Tra i simpatizzanti del movimento c'erano anche il professor Ernesto
de Martino, docente di Storia e filosofia nel Regio Liceo Scientifico "Scacchi” di Bari e
l'avvocato Michele Cifarelli.
Renzo Arbore
non conosceva questa vicenda di cui era stato protagonista il suo
professore di Italiano Antonio Vivoli. La sua scelta di dedicare la sua lectio
doctoralis al tema assegnatogli da Vivoli è forse un indiretto omaggio alla
incisiva figura di formatore che il docente rappresentò
per tutti gli studenti del Lanza che furono suoi allievi nel corso della
sua lunga carriera scolastica.
L’EPISODIO.
Al terzo anno cinque materie e poi la bocciatura
Renzo Arbore frequentò la sezione A, insieme
a studenti che gli «aprirono mondi diversi»: c’erano tanti ragazzi che
venivano da altri paesi della Capitanata e d’Italia, con il loro carico di
esperienze e di vita. Tra i compagni di scuola: Tonino Pandiscia, che arrivava
da Lacedonia; Accettullo di Orsara di Puglia, e tanti altri. Tra i suoi compagni
di banco Guglielmi, e soprattutto Antonio Morese (divenne poi noto come Toni
Santagata), che arrivava da un paese del Subappennino dauno.
Arbore ricorda uno scivolone, una fatidica bocciatura in quello che
doveva essere il suo ultimo anno a Foggia: «Quando si arrivò al terzo liceo
eravamo in quaranta, un numero elevatissimo per una classe
che, a detta dei professori, era “terribile”. Quell’anno a giugno
furono promossi soltanto sei studenti su quaranta... Una vera e propria
“strage”. L’ecatombe fu determinata soprattutto dalla nostra condotta
disciplinare, più che dal profitto di ognuno. In fondo studiavamo. Ma la classe
si distingueva per le sue “imprese”: c’era chi veniva a scuola anche per
divertirsi e fare casino, eravamo davvero scatenati. Io, rimandato a ottobre in cinque materie, non ce la feci a passare l’anno. Questa
inattesa bocciatura per me fu un grande dolore. La presi malissimo. Quando andai
a vedere i quadri ero timoroso più degli anni passati: sapevo che quel verdetto
avrebbe segnato il mio prossimo futuro: se andare a studiare a Napoli o tornare
a studiare con quelli della classe inferiore. Quella bocciatura fu davvero uno
choc violento per me, ma mi ha insegnato molto, nella vita.
Quando qualche anno fa sono tornato al Liceo Lanza, in occasione di un
incontro con gli studenti, sono stato accolto benissimo: per me è stata quasi
una revanche: ero tornato da
“vincitore”!».
©2005 Teresa Maria Rauzino. Articolo pubblicato dal «Corriere della sera-Corriere del Mezzogiorno» il 13 ottobre 2005.