LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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A
sinistra: Angione; a destra: Lorusso
Oggi queste cose non ci sono più |
e sono contento, perché siamo stati noi… |
Dunque l'umanità cammina e questa storia resta sempre. |
Alfredo Casucci, bracciante |
Ricostruire, a quasi trent'anni di distanza, un'esperienza
totalizzante come la ricerca compiuta, da chi scrive con Paola Sobrero, tra i
braccianti agricoli del Basso Tavoliere di Puglia è già di per sé un
esercizio di memoria. Sarà essenzialmente una riflessione autobiografica che
potrà solo essere più narrativa che saggistica, in quanto piena di concrete
emozioni, passione personale, scelte politiche e culturali, che fecero di quei
nostri anni un'immersione totale in un mondo quasi parallelo al nostro, ma
apparentemente invisibile.
Partivamo, nel 1973-'74, dalle esperienze universitarie al Dams di
Bologna, con l'itinerario drammaturgico de "il Gorilla Quadrumano"
guidato da Giuliano Scabia
[1], che traeva origine dai testi popolari emiliani
del 'teatro di stalla' (scoperti da Remo Melloni) che utilizzavamo come
occasione e provocazione per un viaggio alla ricerca delle nostre radici
profonde, della nostra cultura, delle stesse motivazioni dell'agire sociale. «Ricerca e interrogazione, anziché
risultato e risposta. La parte interna della maschera, anziché quella
esteriore. … Non tanto e non solo il prodotto, dunque, ma prima di tutto il
procedimento, il viaggio» (Scabia, 1974)
[2]. La domanda ricorrente che
ponevamo nei nostri interventi di teatro di strada era cosa, nelle comunità che
ci ospitavano, si raccontava, si cantava, si faceva per non dimenticare la
propria storia, la propria memoria. E quali erano i mezzi, le forme, le
caratteristiche e soprattutto i protagonisti di questa narrazione. Ne veniva
fuori un vero e proprio 'scambio di doni': canti fotografie danze ricordi
scritti che poi riproponevamo allo stesso pubblico che li aveva fatti riemergere
dai cassetti e dagli angoli nascosti della propria memoria.
I braccianti. Una
storia invisibile
Questa esperienza è stata fondamentale nell'approccio e
nell'ideazione di un progetto di ricerca per il territorio di Capitanata.
Durante e successivamente all'esperienza del
"Gorilla quadrumano" tornando a Cerignola e in Capitanata
l'elemento più evidente di paragone con il territorio emiliano era l'apparente
invisibilità del mondo popolare che ci circondava. Un'invisibilità e un
silenzio costanti che solo nelle cerimonie collettive e nei riti religiosi e
festivi (e in particolare a Cerignola nella grande allegoria collettiva del
Primo Maggio) sembravano trovare sfogo liberatorio e volontà di apparire.
A Cerignola i braccianti erano ancora la classe che permetteva alla
sinistra di amministrare con quasi il 60% dei voti la città. Ma erano la classe
dimenticata, uomini analfabeti i cui figli non mostravano più l'orgoglio di un
tempo nel parlare della storia dei padri.
Prima ancora dell'avvio del grande progetto di ricerca denominato Archivio
della Cultura di Base cominciammo a girare per le case, per le sezioni di
partito, alla Camera del Lavoro, chiedendo semplicemente di ascoltare cosa
avevano da raccontare i braccianti più anziani. Il nostro solo progetto in quei
primi anni era quello di divenire, con il microfono e un registratore, il
megafono di coloro che noi credevamo essere stati 'zittiti' ed allontanati dal
centro della scena. Una scena che li aveva visti protagonisti di lotte per la
conquista di diritti minimi e per il superamento di condizioni di sfruttamento
schiavistico del lavoro.
L'altra domanda a cui volevamo rispondere era come e quanto
l'esperienza stessa del vissuto quotidiano e la sua narrazione avesse prodotto
di codificato in simbologia, iconografia e rappresentazione collettiva: anche
negli studi sulla cultura popolare di Capitanata infatti i braccianti sembravano
non esistere.
Giuseppe Angione e i compagni del Circolo giovanile di Di Vittorio
Come scrisse
Campanella / nella sua città del Sol / la pensava ricca, bella / prodigiosa che
consol. // |
La umanità intera /
che costruisce una via / senz'intoppi, di un'era / nuova, piena d'armonia // |
Pien di gioia, pien d'amor / gonfia di felicità, / né più servi, né signor, / né più ricchi e povertà |
Giuseppe Angione, bracciante,
da Il terr'acqueo
nostro mondo. |
Dopo alcuni primi incontri occasionali, chiedendo ai sindacalisti
della Camera del lavoro di Cerignola di farci conoscere i coetanei di Di
Vittorio ancora viventi e che lo avevano potuto conoscere da vicino, arrivammo
nella casa di periferia di Giuseppe Angione. Peppino, laringectomizzato, ci ha
letteralmente dischiuso un mondo sepolto. La ricchezza del suo patrimonio di
memoria e narrazione epica del passato [3], reso quasi favolistico attraverso
decine di poemi in rima scritti su qualsiasi supporto cartaceo, le storie e i
racconti dei primi anni del Circolo Giovanile Socialista (poi Anarchico
Rivoluzionario) di Di Vittorio (insieme a Michele Balducci e Alfredo Casucci) ci
stupirono e ci convinsero che la ricerca aveva già dimostrato la sua prima
utilità. Se per Di Vittorio, dirigente sindacale e leader politico di
importanza internazionale, gli storici avevano apparentemente raccolto tutto
quanto utile alla sua biografia personale e politica, nulla era stato fatto per
ricostruire la biografia collettiva delle migliaia di uomini e donne salariati
agricoli che non solo ne avevano condiviso gli obiettivi di riscatto ed
emancipazione ma, come nelle parole raccolte al microfono, lo avevano
letteralmente aiutato a 'costruirsi' come leader e guida.
Il mito, ricostruito nello splendido poema su Di Vittorio scritto
da Angione [4], era nato nella rappresentazione orale codificata e omogenea dei
tanti racconti che dopo Angione abbiamo raccolto dalle centinaia di braccianti
incontrati. Siamo partiti quindi dal gruppo 'storico' di compagni di Di Vittorio
per estendere poi il lavoro e gli incontri sino ai più giovani braccianti. Gli
incontri non erano basati su questionari o scalette predefinite: in questa prima
fase della ricerca avevamo la necessità di conoscere profondamente queste
persone e con loro passare più tempo possibile. Spesso raccontavamo anche noi,
dei nostri studi e delle nostre esperienze; con gli strumenti musicali li
accompagnavamo in interminabili suonate collettive. In quel momento per noi la
storia orale era imparare a disporci consapevolmente all'ascolto, capire cosa
avevano di più importante da raccontare, non selezionare a priori quello che
secondo noi era più importante, tornare sui temi trattati solo successivamente
alle trascrizioni effettuate per poter ampliare e precisare. Le trascrizioni
erano sempre effettuate subito dopo gli incontri proprio per non perdere la
memoria sensoriale di come le parole erano state espresse ed anche per poter
disporre di un immediato canovaccio su cui lavorare per gli incontri successivi.
Una delle prime riflessioni prodotta da questi primi incontri fu il ribaltamento
della concezione assembleare del protagonismo politico. Negli incontri sindacali
e politici a cui spesso partecipavamo a Cerignola, difficilmente la capacità
personale di esprimersi dei braccianti permetteva una loro disponibilità
all'intervento in pubblico, mentre nel momento dell'incontro nelle proprie
abitazioni o in disparte nelle sezioni di partito il problema spariva e la
voglia di parlare e di raccontare prendeva il sopravvento superando anche il
timore iniziale per il microfono. Dopo molti incontri e sedute di registrazione,
quando in un incontro pubblico o in una visita improvvisata in qualche casa di
compagni ci presentavamo senza registratore ci chiedevano ormai il perché di
questa dimenticanza. Se all'inizio eravamo noi a cercare le persone giuste da
interrogare dopo i primi due anni di ricerca ci venivano letteralmente a
prendere per raccogliere la testimonianza di chi sentiva la necessità di
fissarla su nastro magnetico. Allo stesso modo ci chiamavano per documentare con
filmati o fotografie qualsiasi manifestazione (sindacale, politica e spesso
anche un incontro familiare) si dovesse svolgere.
Quello che cominciava a scaturire sin dalle prime interviste era
l'idea di un'autobiografia collettiva che andasse in parallelo con i segmenti
biografici dell'avventura umana e sindacale di Di Vittorio e di ripercorrere
questo itinerario storico partendo dallo sfruttamento dell'infanzia agli inizi
del secolo fino ai primi passi di presa di coscienza della non ineluttabilità
dello sfruttamento con la verifica concreta della possibilità di ribaltamento
delle condizioni di vita e di lavoro e ai primi atti organizzativi e di
ribellione.
L'Archivio della Cultura di Base
Dal 1977 la ricerca si allarga e, con l'occasione data dalla
Biblioteca Provinciale di Foggia, su iniziativa e provocazione di Guido Pensato
che ce ne propose la progettazione, diviene ricerca estesa sul territorio
provinciale con l'obiettivo di realizzare un vero e proprio Archivio
della Cultura di Base che, in quanto struttura interna alla Biblioteca,
contenesse e rendesse fruibili pubblicamente i materiali originali delle
ricerche effettuate
[5]. Con il progetto Archivio
della Cultura di Base la ricerca fa un salto di qualità: al registratore si
affiancano la cinepresa, la macchina fotografica, il videotape e soprattutto la
realizzazione di grandi mostre fotografiche e documentarie itineranti.
L'utilizzo dei nuovi mezzi tecnologici, reso possibile dall'intervento
istituzionale, migliora la qualità delle rilevazioni ed estende il raggio
d'azione della ricerca a tutti i paesi della Capitanata che, aderendo al Sistema
Bibliotecario provinciale, diventano dei veri e propri terminali dell'Archivio,
creando una vasta rete di collaboratori, associazioni, ricercatori e storici
locali. Il progetto stesso a questo punto si estende all'obiettivo di
rappresentare attraverso tutte le fonti disponibili le specifiche
caratteristiche della memoria popolare dei diversi territori indagati. In
parallelo quindi con la ricerca sul bracciantato del Tavoliere si avviano
indagini sulle forme di teatro popolare nel Gargano (con la scoperta di una
tradizione drammaturgica scritta quale il 'ditt'
di San Nicandro Garganico
[6], sulla cerimonialità religiosa e rituale (con al
centro il grande rito collettivo della Cavalcata degli Angeli al Santuario
Incoronata, confrontato con l'altro rito, laico, del Primo Maggio a Cerignola)
[7].
La multimedialità nella ricerca di storia orale
Come la memoria è tessitura di linguaggi, adattamento al nuovo,
metodo, pratica, narrazione così con l'ampliamento delle tecniche di
rilevazione, divenute multimediali, iniziammo un percorso nuovo, non
necessariamente tecnico, ma al contrario specifico strumento di adesione alla
soggettività intera e non solo espressa in parole dei nostri interlocutori.
Inoltre i materiali multimediali divennero il primo strumento di diffusione
della ricerca stessa nell'ambito della collettività. Le diaproiezioni, i
filmati super8, il videotape, divennero occasione costante ed immediata di
provocazione a riprendere collettivamente e in contesti differenti i temi
trattati dai singoli intervistati. La proiezione a più riprese del filmato
sulla festa del Primo Maggio in contesti diversi quali le sezioni di partito, la
Camera del lavoro, l'ANPI, la Comunità Valdese, ma anche piazzette e androni
del rione Terra Vecchia, provocava una
eccezionale occasione di raccolta di altre testimonianze orali ed anche una
profonda riflessione collettiva sulla capacità di questo metodo di indagine
storiografica e antropologica di portare più gente possibile a prendere la
parola. In alcuni casi la colonna sonora stessa del filmato [8] (con le grida, i
canti, con le sonorità e i rumori della festa in atto) venivano ricreati dal
pubblico durante le proiezioni. Questo metodo di intrecciare i materiali, con le
fotografie usate per sollecitare i ricordi, esposte ed ingrandite in mostre
documentarie che ospitavano a più riprese tra i grandi pannelli incontri e
colloqui con braccianti e studenti, le stesse foto riprese ed inserite nei
filmati in contrasto con le immagini attuali, le voci delle testimonianze orali
in parallelo con i materiali della tradizione storiografica scritta, ci sembrava
rispondere al meglio all'esigenza che le stesse testimonianze esprimevano: di
rappresentare simbolicamente e iconograficamente, con una narrazione codificata
in maniera 'esemplare', il vissuto quotidiano e l'epopea storica in cui Di
Vittorio si stagliava come figura principale e carismatica che includeva
sincreticamente valori e sentimenti che erano di tutti.
I braccianti, da molti ritenuti ignoranti e senza storia, in quanto
apparentemente non produttori folcloristici di bei canti, di manufatti
artigianali adatti ai musei delle tradpop,
avevano al contrario costruito collettivamente durante un lungo secolo di fatica
e di lotta una grande storia narrativa che aspettava solo qualcuno (il
sindacato? il partito? le istituzioni? gli intellettuali?) che la scrivesse o la
rappresentasse. Lo specifico apporto del Tavoliere di Puglia nella storia
popolare italiana è quello di aver creato (e di averlo purtroppo dovuto tenere
nascosto) un patrimonio di storie personali e collettive, di gesti e di parole
(anche scritte come nei casi di Angione, Sacco, Gualano e altri) che si
fondevano intorno a due punti focalizzanti: da un lato la rappresentazione
(lineare ed organizzata drammaturgia di massa) della festa del Primo Maggio come
sintesi delle immagini, dei suoni e dei colori dell'organizzazione di classe
[9]; dall'altro Giuseppe Di Vittorio come somma individualizzata e carismatica
delle mille storie di ognuno di questi sconosciuti lavoratori della terra. Nel
Primo Maggio si rappresentava la capacità aggregante e l'orgoglio di essere
produttori e organizzatori di cultura, di dimostrare pubblicamente alle altri
parti sociali di essere in tanti, capaci di individuare i futuri obiettivi
sentendosi orgogliosi delle proprie origini (proprio perché in parte superate).
Nei racconti su Di Vittorio si sintetizzavano le migliori immagini di se stessi
e delle proprie capacità di superamento anche culturale delle originarie
inumane condizioni di vita. Di Vittorio è stato anche il 'partito ideale',
quello che si sarebbe voluto come partito: un'organizzazione che desse a tutti
gli stessi suoi associati possibilità di espressione e partecipazione reale,
senza la vergogna della difficoltà espressiva
[10]. Sono questi, che abbiamo
sommariamente espresso, alcuni degli «…interrogativi preliminari a un possibile uso contemporaneo della
'memoria che resta', non di un programma di raccolta di 'storia dei vinti'.
…come mai gli storici del movimento operaio si sono occupati quasi
esclusivamente della cultura e dell'azione delle organizzazioni anziché della
cultura e delle condizioni materiali di esistenza della classe? Come mai, cioè,
la storiografia del movimento operaio si è modellata su quella borghese?»
(Bermani, 1999)
[11].
Dal silenzio folclorico al silenzio delle istituzioni
Sono trascorsi quasi trenta anni, accompagnati da un lungo silenzio seguito alla chiusura forzata di un progetto che chiedeva in particolare che le istituzioni si aprissero realmente alle istanze di base, che si creasse un equilibrio tra organizzazione culturale dal basso e disponibilità istituzionale a creare rapporti e strutture che mantenessero vive le reti già esistenti nel territorio. Un progetto che chiedeva anche ai partiti e ai sindacati di non considerarsi unicamente delegati della collettività ma occasione concreta di espressione e partecipazione. Un progetto che tentò di porre nuovamente (dopo Di Vittorio che in Parlamento rivendicava con orgoglio il suo essere 'cafone') al centro della storia di Capitanata la classe bracciantile quale principale protagonista della crescita collettiva e democratica. Ma i braccianti non servono negli anni Sessanta (Di Leo, 1961) [12] e con loro anche i ricercatori che hanno tentato, negli anni Settanta, di occuparsene e di farli parlare, cantare, gridare. Nel 1979, proprio al culmine di un'attività quasi frenetica che aveva visto il grande gemellaggio tra la cultura popolare di Capitanata e quella del Ferrarese [13], il progetto viene definitivamente chiuso, un po' per miopia culturale dell'apparato istituzionale che lo sorreggeva ma soprattutto per la miopia politica di chi quell'apparato doveva indirizzare e qualificare. «Registrare e riflettere su questo versante negativo della vicenda dell'Archivio della Cultura di Base significa sostanzialmente ribadire, 'alla prova dei fatti', un principio in linea teorica acquisito e 'pacifico' del rapporto politica-cultura: non basta che le acquisizioni 'culturali' che sono alla base dell'intervento in settori determinanti e specifici restino tali - 'culturali' - e, soprattutto acquisite/delegate al 'quadro tecnico-professionale'; è indispensabile che esse diventino, in quanto politiche, per i presupposti e le implicazioni politiche cui sono strettamente connesse, patrimonio pienamente consapevole del quadro politico-amministrativo, in grado perciò e solo allora di compiere scelte di fondo coerenti; o meglio: di inserire quelle acquisizioni, quelle scelte di intervento 'di settore' nel quadro di scelte generali corrette e coerenti di politica culturale» (Pensato, 1981) [14].
I nuovi braccianti
Così mi
deprezzarono al / mercato della carne, ormai / |
ero un oggetto senza
alcun valore, / la mia schiena non convinse / |
colui che stava per comprarmi, e mi lasciò / come uno straccio sotto il marciapiedi… |
Michele Sacco, bracciante,
da Addio terra mia. |
In questi decenni il lavoro, che, come falsamente avevano previsto,
sarebbe dovuto diventare puramente intellettuale e quasi virtuale, al contrario
si è articolato in mille 'flessibilità', in nuove precarietà. Gli immigrati
extracomunitari dei lavori stagionali ma anche i tanti giovani utilizzati a
comando e periodicamente espulsi sono tornati sulla scena del mercato del lavoro
come i nuovi braccianti. Di nuovo le
soggettività sembrano tornare anonime e il lavoratore sembra incarnare
unicamente la sua capacità di fornire braccia e non anche intelligenza,
mestiere, disponibilità a crescere professionalmente e ad esprimersi come
persona.
In questi decenni i materiali originali di quella ormai quasi
antica ricerca tra i braccianti del Tavoliere (raccolti nel libro La
memoria che resta…, 1981) [15]
sono stati custoditi nell'archivio di chi
li aveva raccolti. Anch'essi, come i braccianti, invisibili agli enti, alle
istituzioni e alle organizzazioni politiche e sindacali che pure in questi
lunghi anni hanno spesso e volentieri parlato di memoria, identità, radici,
territorio e patrimonio culturale. In che modo questo secolo di storia del
lavoro e dell’emancipazione dallo sfruttamento, per la conquista dei diritti,
potrà coinvolgere le nuove generazioni, non solo in senso razionale e
scientifico, ma anche emozionale e partecipato? Al bombardamento quotidiano di
immagini, notizie, suoni e sollecitazioni multimediali cui quotidianamente sono
sottoposte le nuove generazioni, blandite da un’idea di modernità legata più
al mezzo di trasmissione che ai contenuti, si può rispondere senza la capacità
di saper usare anche dalla nostra parte tutti i possibili mezzi a disposizione?
Trasmettere un’idea di memoria delle classi lavoratrici in Capitanata
significa in primo luogo mettere al centro della comunicazione i lavoratori
stessi: i loro volti, le immagini dei loro momenti quotidiani e di quelli
eccezionali; le loro voci, le loro parole (perché parlano, e scrivono) che
narrano delle loro vite, delle loro fatiche e delle loro vittorie; la loro
cultura, perché solo una grande cultura collettiva e solidale ha permesso loro
di raggiungere obiettivi che sembravano irrealizzabili. Facendo parlare
nuovamente gli uomini e le donne ai quali spesso non si dà parola, si dovrebbe
riprendere un metodo, probabilmente da alcuni ritenuto velleitario, poco
scientifico o demodé, che mette al primo posto l’esigenza non solo di
divenire protagonisti di storia ma anche di acquisire la capacità di narrarla e
tramandarla, senza deleghe e senza pericolosi vuoti di memoria. Spesso tutto
questo lavoro è stato svolto più da gruppi di base, singoli ricercatori,
laboratori didattici, militanti politici che si sono assunti il ruolo di
operatori culturali e di animatori di una politica culturale che nemmeno le
istituzioni erano in grado di programmare. In quegli anni così Renato Sitti
definiva queste nuove figure sociali: «Nel corso del duro, continuo lavoro
di questi ricostruttori della memoria storica del mondo operaio e popolare, è
venuta formandosi una nuova figura di ricercatore e operatore culturale insieme:
lo storico delle culture. Questa figura, in possesso di capacità di
approfondire una serie di tematiche nelle situazioni culturali più diverse, si
propone fondamentalmente due obiettivi: a) instaurare un rapporto non subalterno
fra le masse popolari con un nuovo concetto di cultura che includa e generalizzi
la partecipazione attiva individuale a forme organizzate e collettive di
produzione culturale; b) elaborare e concretizzare strutture e metodologie
operative di ricerca, di analisi e di utilizzazione di queste che consentano di
realizzare sintesi con la partecipazione più ampia possibile di soggetti
sociali» [16].
Nel 1981, con Paola Sobrero, chiudevamo La memoria che resta con queste parole: «così come non si
conclude né si arresta il meccanismo della memoria, così come non si conclude
né si delimita la tensione del ricercatore, non si conclude l'impegno nei
confronti di una aspettativa, di un bisogno che si sono voluti e alimentati; non
si conclude la certezza di aver individuato e praticato un tracciato possibile
nonostante e malgrado le riluttanze a praticarlo, i tentativi di dimostrarne
l'impraticabilità; non si conclude lo sforzo di continuare a sostenere la
validità e la necessità di un progetto culturale che ponendo i suoi
riferimenti nel passato ha consolidato le sue radici nel presente promettendone
la futura, concreta prospettiva» [17]. Questa prospettiva si è
ripresentata come conclusione di un ciclo, che dal teatro era partito per
tornarci, e che ha visto rivivere le voci e le immagini dei testimoni di un
tempo all'interno di un nuovo progetto, teatrale e multimediale, che in questi
mesi viene rappresentato nei teatri italiani (BRACCIANTI. La memoria che resta, Armamaxa) [18] e in rete
attraverso un sito internet (www.progettobraccianti.it).
In quasi due anni di lavoro i nastri magnetici originali, le stampe fotografiche
sono stati per la quasi totalità digitalizzati e trasferiti su supporto
informatico. E' stato possibile così inserirli quasi integralmente nel sito
internet che presenta quindi la possibilità di leggere tutte le trascrizioni
delle testimonianze, ascoltare o scaricare (in mp3) le voci e i canti dei
testimoni, di visionare tutte le sezioni fotografiche. Per realizzare uno
spettacolo è stato quindi finalmente possibile 'trasferire' online
un vecchio archivio con un'estensione all'infinito delle possibilità di accesso
prima negate. Nello spettacolo (di Enrico Messina e Micaela Sapienza) le voci
originali dei testimoni incontrati tanti anni fa emergono dal buio e dialogano
con le voci degli attori, i quali fisicamente attraversano le immagini
videoproiettate delle vecchie foto (volti, occhi, mani, luoghi e folle). Una
'festa' della memoria ma anche un rito laico che ci fa capire l'immensa
potenzialità della ricerca di storia orale, che se già nella fase di raccolta
si articola in maniera multidisciplinare, con tecnologie di qualità, senza
barriere accademiche e con una motivazione profonda che non miri solo ad una
nuova forma di erudizione, può in momenti successivi e apparentemente lontani
trasformarsi in nuova creatività e sollecitare nuove forme espressive. Un
tentativo di portare in primo piano i veri protagonisti della storia
bracciantile con «le loro emozioni, i loro odi, i loro sdegni, le loro
fatiche, la loro fame, i moti della solidarietà e i sacrifici, [i quali] non
hanno ottenuto un riconoscimento socio-emotivo che superficiale da parte degli
altri gruppi sociali, non sono riusciti a stabilizzarsi in sentimenti collettivi
capaci di entrare in sintonia con i valori morali e nazionali di un intero
popolo» (Monti, 1998) [19]. Il tentativo, inoltre, di far riconoscere in
quelle antiche storie i rischi e le difficoltà di quanti oggi rischiano di
rivivere le medesime condizioni. L'idea stessa del Progetto
Braccianti è quella di provocare nuova memoria, di riprendere il microfono,
di riprendere la parola. «Questo
progetto è nato dall'asfissia. Ci mancava l'aria, per respirare, per vivere,
per pensare, per sognare. Apparteniamo a una generazione cui hanno portato via
non solo i sogni, ma anche l'appartenenza, le utopie; ce le hanno impacchettate,
etichettate; ci hanno messo su un codice a barre, e cercano di rivendercele. …
Ecco, eravamo a caccia di senso quando è nato Braccianti. Era il tempo in cui
si parlava di lavoro, diritti, giustizia. E se ne era appena andato luglio…»
[20].
NOTE
1 GRUPPO DI DRAMMATURGIA 2 DELL'UNIVERSITA' DI BOLOGNA, Il Gorilla Quadrumàno. Fare teatro / fare scuola. Il teatro come ricerca delle nostre radici profonde, Feltrinelli, Milano 1974.
2 GIULIANO SCABIA, Fare teatro / fare scuola, Introduzione a Il Gorilla Quadrumàno cit., p. 9.
3 GIUSEPPE ANGIONE, La città del sole. Realtà e sogno di un bracciante, a cura di GIOVANNI RINALDI e PAOLA SOBRERO, Laboratorio culturale G. Angione, Cerignola 1982.
4
GIUSEPPE ANGIONE, Piccolo poema
sulla vita del compianto compagno / Giuseppe Di Vittorio / dal 1899 quand'egli
aveva sette anni / alla fine del 1914 quando ne aveva ventuno, in ANTONIO
TATO' (a cura di), Di Vittorio, l'uomo, il
dirigente, vol. I: 1892-1944, Editrice Sindacale Italiana, Roma 1968, pp.
41-96.
5 Resoconti più dettagliati sull'articolazione e la consistenza dell'Archivio della Cultura di Base si trovano in: GIOVANNI RINALDI - PAOLA SOBRERO, Per una gestione di massa degli strumenti culturali tra istituzione pubblica e lavoro culturale di base. Un'esperienza meridionale, in «I Giorni Cantati», Storia Memoria Immaginario, La casa Usher, Firenze, I, n. 1 (giu. 1981), pp. 165-174; PAOLA SOBRERO, Ritualità popolare, fonti orali e documentazione audiovisiva nella Puglia settentrionale, in «Fonti Orali», II, n. 3, dic. 1982, pp. 24-29; GIOVANNI RINALDI, Archivi (rubrica), ivi, pp. 30-34.
6
GIOVANNI RINALDI - PAOLA SOBRERO, Comico
Maschera Oralità. Elementi drammaturgici dei rituali carnevaleschi in
Capitanata, in CENTRO STUDI SUL TEATRO MEDIOEVALE E RINASCIMENTALE, Rappresentazioni arcaiche della tradizione popolare. Atti del VI Convegno di Studio. Viterbo, 27-31 maggio 1981,
Viterbo 1982, pp. 317-369.
7
ROBERTO CIPRIANI - GIOVANNI RINALDI - PAOLA SOBRERO, Il
simbolo conteso. Simbolismo politico e religioso nelle culture di base
meridionali, Ianua, Roma 1979.
8
La trascrizione integrale della colonna sonora del filmato La
festa del Primo Maggio. Cerignola 1977 (documentario super8, col., sonoro, 1
h., a cura di G. Rinaldi e P. Sobrero) è riportata in Braccianti Storia e Cultura. Di Vittorio, il lavoro, le lotte, il Primo
Maggio, a cura dell'Archivio della Cultura di Base della Biblioteca
Provinciale di Foggia, Amministrazione Provinciale, Bari 1978, pp. 76-88
(catalogo della mostra omonima ospitata dalla Biblioteca Provinciale De Gemmis a
Bari).
9
GIOVANNI RINALDI (a cura di), Primo
Maggio. Protagonisti e simboli della festa del lavoro a Cerignola e in Puglia.
Documenti testimonianze immagini, Laboratorio culturale G.
Angione - Comune di Cerignola, Cerignola 1982; PAOLA SOBRERO, Primo
Maggio e fonti orali. Una ricerca nell'area pugliese, in AA.VV., Storie
e immagini del 1° Maggio, Lacaita, Manduria 1990, pp. 293-324.
10 GIOVANNI RINALDI - PAOLA SOBRERO, Mito e carisma nel simbolo Di Vittorio, in GIOVANNI RINALDI - PAOLA SOBRERO (a cura di), La memoria che resta. Vissuto quotidiano, mito e storia dei braccianti del Basso Tavoliere, Amministrazione Provinciale di Capitanata, Foggia 1981, pp. 269-279; Il sole si è fatto rosso. Giuseppe Di Vittorio, Edizioni Bella Ciao, I Dischi del Sole, DS 316/18, 1978 (montaggio a cura di Maria Luisa Betri e Franco Coggiola con libretto accluso a cura di Maria Luisa Betri, Franco Coggiola, Giovanni Rinaldi) Milano 1978; CESARE BERMANI, Di Vittorio, in Id., Spegni la luce che passa Pippo. Voci, leggende e miti della storia contemporanea, Odradek, Roma 1996, pp. 208-212.
11
CESARE BERMANI, Introduzione alla
storia orale, vol. I, Storia,
conservazione delle fonti e problemi di metodo, Odradek, Roma 1999, p. 38.
12
RITA DI LEO, I braccianti non
servono. Aspetti della lotta di classe nella campagna pugliese,
Einaudi, Torino 1961.
13
Nel 1979 l'Archivio della Cultura di Base di Foggia e il Centro
Etnografico di Ferrara realizzarono uno dei più importanti scambi di iniziative
sulla cultura popolare dei due territori: PROLETARIATO AGRICOLO IN CAPITANATA E
NEL FERRARESE. Il lavoro, la donna, la
festa. Mostre documentarie e fotografiche, incontri con gruppi di portatori
ed esecutori, proiezioni di documentari, convegni e laboratori didattici fecero
incontrare e conoscere due culture alternando le iniziative tra la provincia di
Ferrara e quella di Foggia nell'arco di interi mesi, dall'8 marzo al Primo
Maggio.
14
GUIDO e RINO PENSATO, Storia
locale, cultura popolare e biblioteca: il caso dell'Archivio della cultura di
base, in La memoria che resta
cit., p.22.
15
Il libro La memoria che resta
cit., dopo una prima diffusione nel territorio provinciale, nella rete
nazionale bibliotecaria, tra gli addetti ai lavori di varie università e
istituti di ricerca, oltre naturalmente ai protagonisti ed interlocutori
privilegiati della ricerca, esaurì molto presto la modesta tiratura. Da allora
è praticamente introvabile e solo oggi, sulla scia di un rinnovato interesse
per la storia orale che in parte investe anche la Puglia (principalmente nel
Salento), sembra aver trovato le occasioni giuste per una sua riedizione [il
volume è stato infatti riedito dalle Edizioni Aramirè di Lecce nel settembre
2004].
16
RENATO SITTI, Prefazione a
GIOVANNI RINALDI (a cura di), Primo maggio: Protagonisti e simboli cit. pp.
12-13.
17 GIOVANNI RINALDI - PAOLA SOBRERO (a cura di),
La memoria che resta
cit., p. 90.
18
Lo spettacolo e l'intero Progetto
Braccianti della Compagnia Armamaxa
sono co-prodotti con la Provincia di Foggia (Assessorato Pubblica Istruzione e
Politiche Sociali), la Provincia di Bologna (Assessorato alla Cultura) - Invito
in Provincia, con Tracce di Teatro d'Autore, col Comune di Argelato, con la
Corte Ospitale di Rubiera, col sostegno del Museo della Civiltà Contadina di
San Marino di Bentivoglio, del Centro Etnografico Ferrarese e della Biblioteca
Provinciale di Foggia. Lo spettacolo (liberamente
ispirato al libro La memoria che resta)
è scritto, diretto e interpretato da Enrico Messina e Micaela Sapienza. Il
progetto e il coordinamento di Enrico Messina e Federico Toni. La consulenza scientifica di Giovanni Rinaldi.
19
ALDINO MONTI, I braccianti, Il Mulino,
Bologna 1998.
20
ENRICO MESSINA - MICAELA SAPIENZA, Che
lavoro fai?, in Progetto Braccianti,
catalogo che accompagna lo spettacolo Braccianti.
La memoria che resta, Milano 2003, p. 11.
©2006
Giovanni
Rinaldi. Articolo pubblicato a
stampa in «il
De Martino», Rivista
dell'Istituto Ernesto de Martino per la
conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario,