Sei in: Mondi medievali ® La memoria dimenticata. Microstorie

       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


  


Nel 1917, durante l’eccidio di Santa Maria La Longa , morirono 16 soldati e non 28. Perì anche il fante Placido Malerba di Poggio Imperiale. 

La copertina del volume

      

Giovedì 5 ottobre [2006], a Poggio Imperiale, il giornalista Mario Saccà ha presentato il libro di Giovanni Saitto, Un fante in rosso e nero. Omaggio al soldato Placido Malerba, del 142° RGT. FTR. “Brigata Catanzaro”, pubblicato dalle Edizioni del Poggio.

Saccà ha incentrato il suo intervento sulle operazioni militari della “Catanzaro” nella Prima Guerra Mondiale e sul contesto politico in cui si dibatteva l’Italia nel primo ventennio del XX secolo.

Saccà, noto studioso delle vicende della “Catanzaro”, arrivato da Roma con dei documenti ufficiali inediti, ha reso noto, per la prima volta in Italia, le generalità dei dodici fanti fucilati. Quest’ultima notizia aprirà delle polemiche fra gli studiosi della “Catanzaro”: i fucilati furono 16 (4 ritenuti colpevoli in quanto sorpresi con le canne dei fucili ancora calde e 12 decimati) e non 28 come si credeva finora.

Alla manifestazione ha partecipato la dottoressa Giulia Sattolo, fresca di laurea, giunta per l’occasione da Santa Maria la Longa, centro della bassa friulana a pochi chilometri da Udine. Ha relazionato sull’episodio accaduto nel suo paese, che vide protagonista i fanti della Brigata più volte decorata nel corso della Grande Guerra:

Riepiloghiamo la vicenda.

A Santa Maria la Longa, importante base logistica del III Corpo d’Armata, è il 15 luglio del 1917. È domenica, e nei baraccamenti posti nelle immediate vicinanze del paese friulano stanno trascorrendo un periodo di riposo i fanti della “Brigata Catanzaro”, costituita dal 141° e 142° Reggimento Fanteria. I fanti sono stressati dal lungo tempo passato in prima linea e gli alti comandi hanno previsto per loro un lungo periodo nelle retrovie. All’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, accade qualcosa di inatteso. Un fonogramma, giunto nella tarda serata, richiama in trincea la Brigata. Esplode la protesta degli uomini in grigio-verde. Si spara con le mitragliatrici. Si lanciano addirittura alcune bombe a mano. Si manovra come se si avesse davanti il nemico. Sono prese di mira le baracche degli ufficiali e si spara ad altezza d’uomo, cercando di colpire chi tenta di fare da paciere. Alcuni militari si portano nei pressi dell’abitazione del conte di Colloredo Mels, dove si pensa risieda il poeta-soldato Gabriele D’Annunzio, sparando colpi di fucile all’indirizzo dell’abitazione. Si contano i primi morti e feriti, tra cui il fante poggimperialese Placido Malerba: una pallottola gli si è conficcata al basso ventre, provocandogli una ferita molto grave che, il giorno dopo, gli costerà la vita. La rivolta prosegue per tutta la notte e si placa al sopraggiungere di una Compagnia di Carabinieri, quattro automitragliatrici, due autocannoni e reparti della cavalleria. Nella notte, sedata la ribellione, il Comandante della Brigata ordina la fucilazione di quattro soldati, scoperti con le canne dei fucili ancora calde. Avviene quindi la decimazione del resto della Compagnia. All’alba del 16 luglio, sedici fanti (4+12 decimati) vengono passati per le armi a ridosso del muro di cinta del cimitero di Santa Cecilia e posti in una fossa comune. È il primo caso di ammutinamento nelle file del Regio Esercito, un’onta che ancora oggi macchia il nome di una delle Brigate di Fanteria più eroiche del nostro Esercito.

La vicenda suscitò impressioni sgomente nell’opinione pubblica. Gli echi sulla stampa furono ampi. Un ufficiale scrisse al quotidiano socialista L’Avanti una lettera, che fu pubblicata, senza firma, in prima pagina il 16 agosto 1919, due anni dopo l’eccidio. La riprendiamo integralmente dal libro di Saitto:

«Caro “Avanti!”

La campagna da te così coraggiosamente iniziata contro i fucilatori è sacrosanta e tutti gli onesti, a qualunque partito appartengano, devono approvarla. Ma se tu volessi registrare tutti i casi di barbarie verificatisi durante la guerra, del genere di quelli con tanto cinismo confessati da Graziani, dovresti pubblicare per parecchie settimane un numero quotidiano di 16 pagine. E nemmeno, forse, esauriresti la materia. Poiché la guerra, coi poteri straordinari e brutali conferiti a migliaia di delinquenti, degenerati, megalomani e prepotenti, investiti di comando e spesse volte premiati per l’energia dimostrata verso i disgraziati che erano alle loro dipendenze, ha giustificato dinanzi alle inumane leggi militari gli assassini compiuti freddamente, premeditatamente per puro spirito di malvagità.

Chi potrà mai descrivere l’orrore delle decimazioni ordinate da Comandanti di Corpi d’Armata e di Divisioni? Compagnie, battaglioni, reggimenti, brigate intere allineate per assistere alla nefanda scena dell’assassinio dei loro commilitoni, scelti dal caso. Tristissimi ricordi che la mente vorrebbe aver per sempre dimenticati.

Ti voglio citare soltanto il tragico fatto della brigata Catanzaro (così si chiamava quella composta dal 141 e 142 fanteria). Quegli infelici soldati, dopo oltre due anni di ininterrotta permanenza nell’inferno del Carso, dopo un turno di oltre quaranta giorni di trincea, scalzi, cogli abiti a brandelli, pieni di pidocchi, emaciati e stremati dalle fatiche e dalle privazioni, ridotti ad uno stato addirittura spettrale, furono finalmente mandati a riposo a Santa Maria la Longa. Nella brigata, da parecchio tempo, serpeggiava un vivo malcontento pel rancio scarsissimo e pessimo, pei lunghi turni di trincea, pei brevissimi periodi di riposo, per la mancanza o pei ritardi enormi delle concessioni di licenze (allora v’era la licenza annuale di quindici giorni, ma quattro quinti dei soldati non riuscivano ad averla nemmeno dopo 18 o 19 mesi ! ), per lo spettacolo demoralizzante che si ripeteva ormai da troppo tempo di reparti mandati al massacro – inutile massacro ! – da capi megalomani e cocciuti, che si facevano poi belli dell’ardimento e dello spirito di combattività da essi ( ! ) dimostrato per scroccare promozioni per merito di guerra e decorazioni!

Sono cose queste che tutti quelli che sono stati al fronte sanno benissimo.

Ma ritorniamo al 141 e 142. Dicevo dunque che i poveri fanti erano andati a riposo a Santa Maria la Longa. Per calmare la loro legittima esasperazione era stata sparsa fra i soldati la voce che dopo un lungo turno di riposo, tutta la brigata sarebbe stata trasferita su un fronte calmo: la Carnia o il Cadore. Passano quattro o cinque giorni ed arriva dalla Divisione un fonogramma che richiamava tutta la brigata in linea con la massima urgenza.

Vistisi turlupinati in modo così barbaro, i poveri fanti che non erano riusciti nemmeno ancora a spidocchiarsi, perdettero la pazienza e si ribellarono ai propri ufficiali.

Inutile dire quel che avvenne. Giudizi capitali pronunciati ed eseguiti a tamburo battente contro soldati, forse innocenti dell’ammutinamento, decimazioni, ecc. ecc. I sopravvissuti dei due reggimenti, incolonnati fra due file di automitragliatrici blindate con l’automobile del generale in testa, ricondotti, come un branco di pecore spaventate, in trincea. Sarebbe da meravigliarsi se tali soldati si fossero, alla prima occasione propizia, arresi al nemico?

Il fatto avvenne nei primi di luglio del 1917.

Che dire poi di ufficiali i quali si vantavano, pubblicamente in presenza di ufficiali e soldati, di aver ucciso a rivoltellate soldati ed ufficiali subalterni durante le azioni?».

Giovanni Saitto ha pubblicato anche la testimonianza di Gabriele D'Annunzio, presente alla fucilazione.

Per la cronaca, l’eccidio della Brigata “Catanzaro” si concluse con l'inevitabile trasferimento di alcuni comandanti e l’archiviazione del caso. Fu un episodio isolato, forse, ma fu un segno evidente del logoramento a cui le durissime condizioni di guerra avevano portato le truppe dell'esercito italiano. Lasciò una dolorosa impressione nell’opinione pubblica, in quanto era accaduto in una brigata come la Catanzaro, nota per la sua fama di eroica combattente, e più volte decorata per il suo valore. I fanti della Catanzaro, dopo questo sussulto rivoltoso, sarebbero tornati a morire con la rassegnazione e il coraggio di sempre.

 

Per approfondimenti sul web: http://www.cimeetrincee.it/longa.htm

 

GIOVANNI SAITTO: “Un fante in rosso e nero. Omaggio al soldato Placido Malerba, del 142° RGT. FTR. “Brigata Catanzaro”, Edizioni del Poggio, 2006, pp. 125, ill. euro 8.

          

          

©2006 Teresa Maria Rauzino.

    


 Torna su

La memoria dimenticata: indice Home