LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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Peschici, S. Elia profeta
Con
le feste di S. Elia profeta, della Madonna di Loreto, di San Matteo e con le
processioni della Settimana Santa, Peschici celebra i suoi riti religiosi più
antichi e coinvolgenti.
Con
il rientro degli emigranti dall’estero, convenuti apposta per l’occasione,
si ripetono di anno in anno dei riti che con semplice, ma efficace teatralità,
esprimono i destini di questa terra garganica e la sua speranza di prosperità,
nel solco di una tradizione secolare. Elementi culturali ed etnografici, non
sempre avvertibili, concorrono a trasformare queste giornate in eventi religiosi
dominati dalla coralità: Peschici, perduta nel mare dell’esistenza senza
risposta, acquista soprattutto nel culto antico del santo profeta Elia che
libera i suoi poveri, pochissimi abitanti, dalle cavallette, dalla siccità,
dalle malattie e dalle incertezze della vita, la speranza di salvezza o quanto
meno la speranza consolatrice di un futuro migliore. I modelli della società di
massa e consumistici non hanno ancora scalfito questa realtà, consolidata da
secoli: un modo di fare e di essere collegato, nella sua dimensione più
profonda, alla misteriosa ricerca di sé, della propria identità, del minimo di
garanzia vitale.
Peschici, Madonna di Loreto
La
religiosità popolare, secondo il nostro concittadino monsignor Domenico
D’Ambrosio, è un mondo misterioso ed affascinante, al quale occorre
avvicinarsi con atteggiamento cauto ed interlocutorio, in punta di piedi; vi si
accede più facilmente formulando domande, anziché dando risposte. Va compresa
nelle sue intenzioni, nel suo linguaggio, nella sua genesi e nelle sue mutazioni
storiche. Molti sono i suoi valori, e occorre saper cogliere le sue dimensioni
interiori. è innegabile la ricchezza interna, tematica, espressiva e
d’ispirazione di questa forma di religiosità. Ma l’atteggiamento nei suoi
confronti non può essere basato su approcci rudi, interpretazioni semplificate,
accettazioni acritiche, spiantamenti violenti e immotivati.
La religione in cui siamo stati educati alla fede merita da noi il massimo rispetto, per quello che ci ha dato e per quello che ancora può darci, ma soprattutto perché costituisce la saggezza del nostro popolo: è la sua matrice culturale. Offre l’opportunità e l’occasione, talvolta unica, di trasmettere il messaggio del Vangelo, di approfondire la conoscenza della fede, di promuovere la vita religiosa a quelli che, abitualmente, non partecipano mai, o quasi mai, alla vita della Chiesa. Sono “i lontani”.
Chiesa e religiosità popolare a Peschici, a c. di Teresa Maria Rauzino e Liana Bertoldi Lenoci, Centro Studi Martella editore, Vieste 1999.
è
proprio seguendo queste indicazioni che i ricercatori del Centro Studi “G.
Martella” hanno elaborato la monografia Chiesa e religiosità popolare a
Peschici. Non presumiamo, con questo libro, di aver dato un quadro esaustivo
della storia sociale e religiosa. Per un'impresa del genere occorrono
approfondimenti metodologici e di scavo archivistico, da cui siamo ancora ben
lontani. Abbiamo effettuato, per il momento, dei sondaggi su aspetti poco
indagati della vita sociale e devozionale, aspetti che rientrano nella storia di
vicende collettive anonime, che sfuggono all'analisi politica o economica. Per
l’indagine, abbiamo utilizzato una serie di archivi periferici, ritrovandovi
dei documenti che, nel loro insieme, ci hanno consentito di cogliere la
continuità di certi comportamenti religiosi collettivi: i libri parrocchiali.
A queste fonti si sono aggiunti gli atti sinodali, e soprattutto i
resoconti ed i diari delle visite pastorali del cardinale V. M. Orsini, una
documentazione estremamente preziosa per la sua unicità.
Ogni
tentativo di capire la religiosità della popolazione peschiciana richiede una
premessa: la sua area territoriale vive in una situazione di isolamento dal
resto dell’Italia, una perifericità confermata ancora oggi da un assetto
viario precario. Il Gargano nord non era assolutamente toccato da una rete
stradale adeguata. Le sue sedi vescovili erano poco ambite. Muoversi in visita
pastorale era un'impresa, un rischio, un pericolo vero e proprio. La mancanza di
una rete viaria fra diocesi e parrocchie costringeva i vescovi a percorrere
itinerari tortuosi; a salire e a scendere impervi e scomodi sentieri sul dorso
di un mulo o di un asino, per raggiungere le zone più interne. Questi fattori
ne accentuarono l’isolamento.
Come
era Peschici
nel XVII e nel XVIII secolo? Le sue strade rotabili non si spingevano
all’interno del promontorio; chi era costretto al viaggio incominciava
l'avventura attraverso sentieri esposti a tutte le incertezze del terreno e del
clima, la via di comunicazione più comoda era sicuramente quella marittima. Il
paese, essendo costiero, era agevolato dal porticciolo, facile via d'accesso;
infatti, il cardinale Orsini, in occasione della sua visita pastorale del 1675,
raggiungerà Peschici in barca. Ma, fino a qualche anno prima, il mare aveva
rappresentato più un pericolo che un vantaggio, per le frequenti incursioni dei
predoni turchi. Il panorama era sicuramente suggestivo: pensiamo al Recinto
Baronale, nucleo del centro storico abbarbicato sulla Rupe e fortificato dalla
Rocca Imperiale, attuale Torre del Ponte. I boschi circostanti erano rigogliosi
di pini d’Aleppo, fonte di reddito per i pegolotti che ne sapevano
estrarre la pece. Il clima, a parte quello delle paludose zone pianeggianti,
abbastanza salubre. Ma, come vedremo per la fine del Cinquecento e tutto il
Seicento, regnavano ancora malattie, fame, insicurezza sociale per le continue
scorrerie dei Turchi, ed una certa violenza ambientale.
Nel Settecento si assiste ad una forte ripresa demografica, il trend positivo si stabilizzerà alla fine del secolo, ma l'organizzazione assistenziale risulta ancora insufficiente rispetto alle esigenze della popolazione. C'è un monte frumentario, che nel 1725 il vescovo Marco Antonio De Marco porta a 132 tomoli di dotazione, e che dopo un anno aumenta a 142 tomoli, ma manca il monte di pietà che potrebbe essere certamente di aiuto ai poveri. Una confraternita è attiva presso la Chiesa matrice di Sant'Elia profeta: quella del Corpus Christi, poi Santissimo Sacramento.
Dalle ricerche effettuate, è emersa una struttura della Chiesa molto legata alla storia del territorio. La parrocchia è una realtà sociale inserita non solo nella vita di pietà, ma anche nella vita materiale delle popolazioni locali: per secoli ne ha rappresentato il più importante punto di riferimento. La Chiesa matrice di Sant'Elia costituì per secoli un fattore di stabilità sociale: attorno alla “massa comune” dei beni della ricettizia - terreni seminativi, vigneti, oliveti e case - gravitava un numero considerevole di censuari e fittavoli. I parroci, già a partire dalla seconda metà del Seicento, guidarono spiritualmente impegnativi organismi assistenziali gestiti dai laici, indispensabili alla sopravvivenza dei disagiati: le confraternite e il monte frumentario. Tutto nasceva dalla logica della pietà: le confraternite per seppellire i morti, il monte di pietà del grano per aiutare i contadini nel momento della semina, ma soprattutto «per troncar la strada al detestabil peccato dell’usura». Infatti, frequentemente i poveri, non potendo fronteggiare necessità impellenti, «sono sforzati per poco perder molto, ò far ubbligazioni con interessi grauissimi, e le donne non potendosi aiutare, pongono in pericolo il proprio honore».
Ed
è proprio seguendo questi percorsi socio-devozionali che la ricerca chiarisce
aspetti inediti della vita socio-religiosa ed economica della cittadina di
Peschici, dal secolo XVII ai nostri giorni.
©2005 Teresa Maria Rauzino