LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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A 92 anni, l’imprenditore di Presicce ha donato alla città dove vive e lavora dal dopoguerra, La Spezia, la sua raccolta d’opere d’arte e reperti archeologici oggi esposta in un museo civico che porta il suo nome.
Amedeo Lia
«I mercanti dovevano tenere in grande considerazione Lia, se tra le mille opere che abbiamo passato in rassegna non c’è neppure un falso». è una battuta, volutamente spiritosa ma sintomo di grande ammirazione, che - alla vigilia dell’inaugurazione del Museo «Amedeo Lia» della Spezia, nel 1996 - si lasciò sfuggire Federico Zeri (1921-1998), famosoe focoso storico dell’arte. Quelle mille opere d’arte - che secondo lo stesso Zeri rappresentano una delle collezioni private più ricche d’Europa e la più importante per i dipinti tra Duecento e Quattrocento - dal 3 dicembre 1996 sono esposte nel museo, realizzato dal Comune nel giro d’un anno, a tempo di record.
Da allora il pugliese Amedeo Lia, di professione ingegnere, legato d’amicizia a Zeri, la sua collezione se la guarda e se la coccola, confortato dai tantissimi visitatori. Perché Lia è nato a Presicce (Lecce) nel 1913 e vive a La Spezia dal 1949, con la moglie pavese Ariella Moretti, di ventidue anni più giovane, affiancato dai tre figli. Oggi sfoggia i suoi novantadue anni con il dinamismo e la vivacità di chi dimostra almeno un quarto di secolo in meno, continuando per giunta a lavorare nella sua azienda almeno otto ore al giorno («Una volta arrivavo anche a 14 ore quotidiane»), viaggiando spesso per affari, non disdegnando di guidare l’automobile. E non rinnegando le radici nel Tacco d’Italia: «Vivo a La Spezia dall’immediato Dopoguerra - afferma - ma mi sento ancora pugliese. Anzi, in verità mi sento salentino più che pugliese… Nessuno s’offenda, ma è noto che gli abitanti della mia regione sono molto eterogenei».
La collezione firmata Lia comprende un’enorme varietà di opere: documentano il gusto e la cultura dell’arte in Italia e in Europa dall’epoca classica, al tardo antico, al Medioevo fino all’età moderna. Dipinti, miniature, sculture in bronzo, argento, rame, avorio, legno, vetri, maioliche, objets d’art di tutti i generi, reperti archeologici. Il tutto raccolto con passione e acume nell’arco di oltre cinquant’anni dall’industriale pugliese naturalizzato spezzino. Il pezzo forte è rappresentato dai cosiddetti «primitivi»: oltre settanta tavoledi Pietro Lorenzetti, Bernardo Daddi, Lippo Memmi, Lippo di Benivieni, Lorenzo di Bicci, Barnaba da Modena, del Maestro di Città di Castello, Paolo di Giovanni Fei, Giovanni Bonsi, Il Sassetta; e molte tempere e tele di Vincenzo Foppa, Antonio Vivarini, il Bergognone, Ludovico Mazzolino, un probabile Raffaello giovane, Pontormo, Tiziano, Tintoretto, Sebastiano del Piombo, Giovanni Cariani, Giovanni Bellini, il Romanino, Alessandro Magnasco, Bernardo Bellotto, Pietro Longhi, Michele Marieschi.
Sono ospitate nel centro storico cittadino, in un edificio nato all’inizio del Seicento come convento dei frati minimi di San Francesco da Paola, appositamente ristrutturato e allestito. Tanto che il museo «Amedeo Lia» (http://www.castagna.it/mal) è stato per molti versi il nucleo intorno al quale la città ligure ha fatto rinascere il centro storico, in precedenza piuttosto trascurato, realizzando, nel corso degli ultimi anni, anche un nuovo museo archeologico, il restauro del castello di San Giorgio e il nuovo museo d’arte contemporanea.
Ma come si diventa collezionisti d’arte? Sul fronte delle risorse economiche - ovviamente - l’ingegner Lia è stato agevolato dalla sua attività di imprenditore: l’azienda che ancora governa assieme ai figli è una delle più importanti e innovative nel campo degli impianti navali. Per il resto, racconta, «è stato un po’ un’iniziativa nata per caso». In che senso? «Un giorno di cinquant’anni fa vidi un’opera che mi piaceva, presso un antiquario. Premetto che io allora non capivo nulla d’arte e di storia dell’arte. Solo che quell’opera mi piaceva. Così la comprai. Fu l’inizio di una passione che man mano mi ha coinvolto sempre più. Così di opere d’arte ne ho comprate più di mille, nel corso degli anni, vendendone alcune in cambio d’altre, in qualche caso. Di ogni pezzo ricordo esattamente, ancora oggi, il prezzo e l’anno d’acquisto». Fatto sta che una decina d’anni fa l’ingegnere cominciò a preoccuparsi del futuro della sua collezione, esposta, fitta fitta, in alcune stanze della sua villa, sui colli spezzini. «Non volevo correre il rischio che, dopo di me, potesse essere dispersa, spezzettata... Così mi presentai in municipio e proposi quanto segue: io vi cedo tutto, purché realizziate una sede espositiva di mio gradimento entro un anno e mezzo da oggi».
La facciata del Museo
Il Comune della Spezia prese la
palla al balzo e, con un colpo di reni, mantenne l’impegno. Un felice
quanto raro esperimento di simbiosi tra pubblico e privato che ha incontrato il grande favore della comunità
locale e dei tanti turisti, in precedenza poco inclini a soffermarsi a La Spezia durante i loro soggiorni
nelle vicinissime Cinque Terre, a Portovenere e Lerici o nella non lontana
Versilia.
Domanda: l’ingegner Lia non
pensò mai, a suo tempo, di proporre la stessa operazione alle istituzioni
salentine, visto il forte legame con il Salento? «Ci ho pensato. Ma consideravo
la mia terra d’origine troppo lontana per consentirmi di seguire la realizzazione del
museo e la gestione della collezione da vicino, come posso fare stando qui a La Spezia.
Una valutazione che riguarda anche i miei figli, nati a La Spezia e legatissimi alla Liguria». Quel legame mai reciso con la
Puglia offre però l’occasione per chiedere al collezionista com’è capitato
in questa città sul Mar Ligure, distante 1034 chilometri da Presicce, il paese natale a un tiro di schioppo
dal Capo di Leuca.
«Beh, è stato proprio il mare a portarmi fin quassù», replica. «Mio padre aveva un piccolo stabilimento in cui produceva olio e vino. Io ho studiato a Lecce, dove ho frequentato il liceo scientifico. Mi sono diplomato nel 1931. E siccome ero da sempre affascinato dalle navi, entrai all’Accademia navale di Livorno, dove presi anche la laurea in ingegneria meccanica. Avrei voluto fare l’ufficiale di vascello, ma avevo qualche decimo di vista meno del necessario. Così mi proposero di occuparmi di armi navali. Così feci».
S’imbarcò ben presto sulla corazzata Littorio e conquistò durante la guerra anche una medaglia al valor militare sul campo: «Quarantanovemila tonnellate d’acciaio, bellissima. Fu demolita, nel rispetto delle sanzioni di guerra, nel 1949. Un evento tristissimo per me». Nel 1947 si congedò col grado di tenente di vascello. E si ritrovò a La Spezia, che allora come oggi contende a Taranto il primato di principale porto militare italiano. Nel 1950 fondò la sua azienda, che tuttora va a gonfie vele, la Ifen (Industria Forniture Elettriche Navali). Nello stesso periodo cominciò, per caso, anche la sua passione di collezionista d’arte. Una «carriera» più che soddisfacente.
Il segreto? «Consiste nell’amore che si deve mettere nel fare qualsiasi cosa. Il mio lavoro l’ho fatto per amore. E così è andata anche per l’arte». Un amore che non si è affatto perso per strada. Oggi non è difficile incontrare Amedeo Lia nelle sale del «suo» museo, tra i visitatori, pronto ad offrire qualsiasi chiarimento. Fa pure parte del consiglio direttivo, col sindaco Giorgio Pagano e il direttore dei musei civici Raffaele Torracca. «Rimpianti?», dice, sorridendo. Anche se uno forse ce l’ha. Gli chiediamo dov’è la prima opera d’arte che acquistò, dando il via alla sua passione. Lui risponde un po’ mesto: «L’ho venduta, a un certo punto. Ero ancora all’inizio. Me la ricordo bene, eccome. Ma non mi ci fate pensare».
©2005 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» del 15/12/2004.