LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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I divieti quaresimali in un Editto che il ventiseienne Vincenzo Maria Orsini, futuro papa Benedetto XIII, promulgò del 1676, quand’era vescovo di Manfredonia.
Pieter Bruegel detto il Vecchio, Combattimento tra il Carnevale e la Quaresima, 1559 (Kunsthistorisches Museum, Vienna).
La
Quaresima
dovrebbe essere il momento giusto per
rilanciare le pratiche del digiuno e dell'astinenza. Ma questa pratica ha ancora
un senso nel mondo di oggi? Trova ancora dei convinti sostenitori? E come veniva
regolata, nel passato?
Lo
abbiamo scoperto leggendo l'Editto per l'Osservanza della Quadragesima,
nell’Appendix Sinodi della diocesi sipontina, datato 7 febbraio 1676. Per
l’autore, il vescovo Vincenzo Maria Orsini,
Tutti
coloro che hanno un'età "obbligante" sono, quindi, tenuti a digiunare
ogni giorno, ad eccezione delle domeniche. Monsignor Orsini esenta da questi
obblighi soltanto le persone inferme, e quelle alle quali per legittime ragioni
è concessa dispensa da' sacri Canoni. Esse sono tenute a produrre
«una fede
giurata del Medico». Al certificato dovrà essere allegata la fede
giurata del confessore che «abbia cognizione della loro
coscienza». Solo dopo aver presentato questi documenti all'arcivescovo, o
al suo vicario generale o vicari foranei, presenti nei vari
centri della diocesi, sarà possibile, per
gli infermi, ottenere l’agognata licenza scritta che permetta loro di
assaporare i cibi vietati. Ma i divieti non finiscono qui: pur avendo la
dispensa scritta, gli infermi sono tenuti «ad usare detti cibi moderatamente e
priuatamente»: dovranno evitare di farsi vedere mentre mangiano cibi vietati,
in special modo da persone sconosciute. Per chi non osserverà queste cautele
è prevista una pena grave, a
discrezione dell'arcivescovo, e in sussidio di scomunica.
Orsini
ordina ai medici e ai confessori di non rilasciare, a meno che non siano
strettamente necessari, i suddetti certificati. Li minaccia di gravi sanzioni se
lo faranno con leggerezza. Ordina, infine, che nessuno venda pubblicamente cibi
vietati: «Tutti i bottegari, in tempo di predica, sono obbligati a tenere
chiuse le loro botteghe». Se non lo faranno, tutta la loro merce verrà
sequestrata.
Per
evitare che il digiuno possa essere un'occasione di vanto, dovrà essere
effettuato in segreto e nell’umiltà. La
tradizione cristiana è categorica su
questo punto: «Meglio mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare con la
maldicenza i propri fratelli» (Abba Iperechio); «Se praticate un regolare
digiuno, non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbite, piuttosto mangiate
carne, perché è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi» (Isidoro il
Presbitero). Anche l'Editto per l'osservanza della Quaresima si chiude con
una raccomandazione: «Melior est abstinenti a vitiorum, quam ciborum» (Meglio
l'astinenza dai vizi rispetto a quella dai cibi). Perciò, in questo “sagro
tempo”, si dovranno mettere da parte gli odi, e riappacificarsi col prossimo,
bisognerà astenersi dalle cacce, dai conviti, dai festini, seguire le prediche,
udire ogni mattina la santa messa, più volte confessarsi e comunicarsi, e fare
opere pie confacenti allo stato di buon cristiano. Affinché l'Editto sia noto a
tutti, Orsini ordina agli arcipreti della diocesi sipontina di pubblicarlo nella
domenica della Quinquagesima e nella seconda domenica di Quadragesima; e di
tenerlo affisso sulle porte delle chiese per tutto il tempo quaresimale: «Ed
in tal modo abbia forza, come se fosse personalmente intimato a ciascuno!
Nei giorni festivi si permetteva generalmente ai venditori di pane,
vino, frutti ed ortaggi, ai macellai, ai bottegai e albergatori, «ad
aromatarij e spetiali di poter vendere i loro generi acciò le feste non siano
gravi, ma celebrate con hilarità spirituale». Ma questo è vietato a Pasqua:
«Nelli giorni della Pascha di Resurrezione... non s'aprirà alcuna botegha, nè
si venderà, nè si opererà, o farassi alcuna cosa se non per mera &
evidentissima necessità di qualche infermo».
Nei
tempi recenti la disciplina ecclesiastica sul digiuno è stata attenuata. I
giorni prescritti sono rimasti soltanto due: il mercoledì delle Ceneri e il
venerdì santo. Ancora digiuno, dunque. Ma perché? La teologa Stella Morra ha
affermato che se un'indicazione affonda le radici nei secoli ha tutti i numeri
per essere valida. Privarsi coscientemente del cibo rende visibile una
condizione costitutiva dell'uomo: lo rende mendicante, non più onnipotente.
Autoregolazione utile in un mondo con eccessiva mania di protagonismo. Ma il
mangiare appartiene al registro del desiderio, supera la semplice funzione
nutritiva per rivestire un significato simbolico: moderando la fame, si moderano
tanti appetiti. Si disciplinano le
relazioni con gli altri, con la realtà esterna, relazioni tendenti
all'aggressività ed alla voracità. Il digiuno diventa “educazione del
desiderio”. Svolge la funzione di farci sapere qual è la nostra fame, di cosa
viviamo. In un tempo in cui lo stesso digiuno e le terapie dietetiche divengono
oggetto di business, l’uomo, cristiano e non, non dovrebbe mai dimenticare la
specificità del digiuno. Dovrebbe porsi una semplice domanda: "Uomo, di
che cosa vivi?”.
Il
PERSONAGGIO - Orsini dalle visite pastorali nel Gargano, a dorso di mulo o in
barca, al soglio pontificio
Pier Francesco Orsini, papa Benedetto XIII.
Pier Francesco Orsini nacque a Gravina di Puglia (BA) il 2 febbraio
1650, figlio di donna Giovanna Frangipane della Tolfa e del duca Ferdinando
Orsini, feudatario di Solofra. Vincendo la contrarietà dei familiari, entrò
nell’Ordine dei Predicatori (Domenicani), con il nome di fra Vincenzo Maria
Orsini. «Duca per nascita, frate per vocazione, cardinale per volere materno e
papa suo malgrado», incarnò nel Mezzogiorno il modello del vescovo
estremamente ligio alla “lezione” tridentina. Il 3 febbraio 1675, ad appena
25 anni, fu consacrato vescovo di
Siponto (Manfredonia, FG). Realizzò un ampio coinvolgimento ai problemi
della vita ecclesiale, riunendo in una periodica, solenne
assemblea, tutto il clero, che prendeva coscienza della realtà locale,
rendendosi più responsabile della cura delle anime. Effettuò due visite
pastorali, la prima nel 1675 e la seconda nel 1678, raggiungendo
i paesi dell’impervio Gargano a dorso
di mulo, ma anche in barca. Rinnovò le sedi ecclesiali, consacrò altari e
prescrisse arredi e suppellettili. Effettuò un’attenta ricognizione del
patrimonio fondiario, entrando in contrasto
con i funzionari del Viceregno e i Legati spagnoli. Innocenzo XI lo trasferì il
22 gennaio 1680 nella lontana sede di Cesena. Il 30 maggio 1686 Vincenzo Maria
Orsini, a dorso di un cavallo bianco, entrò nella città di Benevento: era
stato nominato arcivescovo metropolita. Vi resterà per 44 anni. Qui la sua
opera pastorale fu imponente: indisse 44 sinodi in 44 anni, i cui Atti,
come quello di Siponto, furono regolarmente stampati, e diffusi in ogni
parrocchia della diocesi.
Il giornale di Napoli «Avvisi Pubblici» n. 27 del 4 luglio 1724 rievocò
così la nomina di Orsini al pontificato: «è stato tale e tanto il giubilo inteso dalla Cittadinanza dello stato di
Solofra per la esaltazione al soglio Pontificio del di loro primo natural
Padrone, oggi Sommo Pontefice, che per dieci giorni continui quel pubblico lo
manifestò con estraordinaria allegrezza facendo vedere pareggiare la notte col
giorno per la quantità ben grande de’ lumi, ed altri fuochi di gioia accesi
nelle publiche strade, e nei palagi, in molti dei quali vedevasi esposto il
ritratto di S. Santità, e facendo sentire un continuo rimbombo di mortaretti,
salve d’archibuggi, e di varie sorti di fuochi artificiali».
Divenuto papa Benedetto XIII, Orsini morì il 21 febbraio 1730. Per non
disturbare il popolo romano, impegnato nelle strade a festeggiare il Carnevale,
per lui non suonarono neppure le campane a morto. Il suo fu un pontificato
molto “discusso”. Tra i demeriti, la persecuzione contro Pietro Giannone.
©2007 Teresa Maria Rauzino. Il presente saggio è stato pubblicato sul «Corriere del Mezzogiorno - Corriere della sera» del 19 marzo 2004.