Sei in: Mondi medievali ® La memoria dimenticata. Microstorie

       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


 


L'ultima campagna di scavi a Egnazia - importante porto pugliese sulla via Traiana, sul litorale tra Fasano e Monopoli - restituisce tracce importanti della vita della città in età tardoantica. Spiccano tra i reperti testimonianze degli albori del cristianesimo.

L'anello attribuito al vescovo Rufentius.

   

C’era una volta il vescovo Rufentius. Reggeva Egnazia con autorevolezza e determinazione, la sua fama aveva varcato i confini dell’Apulia. I contenitori di vino e di cibo ne portavano il marchio. Pare che esibisse uno splendido anello in lamina d’oro, sormontato da un tempietto a pianta centrale, simile al Santo Sepolcro di Gerusalemme, culminante con un granato e probabile prodotto dai maestri orafi di Costantinopoli. La città era ricca: il suo porto commerciava con l’Oriente, l’Africa e con tutto il Mediterraneo. Tanto che ospitava le nundinae, importante mercato periodico.

Potrebbe sembrare l’incipit di una favola. Invece è tutto vero, anche se storici e archeologi dovranno concedere qualche licenza poetica al nostro linguaggio da non-addetti-ai-lavori. Rufentius è esistito ed era la massima autorità - nel VI secolo d.C. - di Egnazia. L’anello è stato trovato nel corso degli ultimi scavi, sotto un crollo, protetto da una tegola. E le rovine della città - con radici protostoriche, che poi diedero linfa al centro messapico, romano e tardoantico - sono visibili nell’ambito dell’omonimo Parco/Museo nazionale archeologico tra Monopoli (Bari) e Fasano (Brindisi), in epoca preromana confine tra Peucezia e Messapia.

Della vita tardo antica della città finora si sapeva poco. Erano noti quasi esclusivamente i ruderi monumentali paleocristiani e il nome di Rufentius. Invece ora è possibile delinearne meglio la storia. Grazie al lavoro del «Progetto Egnazia: dallo scavo alla valorizzazione», frutto della collaborazione tra Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Bari (diretto da Raffaella Cassano, che dirige anche il progetto), Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia (Giuseppe Andreassi) e Parco/Museo di Egnazia, d’intesa con il Comune di Fasano. Un lavoro avviato nel 2001, che prevede attività didattiche (rivolte agli studenti dell’ateneo barese e di alcune scuole superiori) di scavo stratigrafico, di ricognizione topografica, di classificazione preliminare dei reperti e di studio dei materiali conservati nel Museo. Col supporto di paleontologi, paleobotanici, numismatici e paleoantropologi.

Prima di Rufentius, Egnazia aveva avuto una storia importante: citata da Plinio, Strabone, Orazio, fu assai rilevante nel mondo antico per la sua posizione geografica; l’antica Gnatia, grazie al porto e alla via Traiana, era al centro di traffici e commerci. Della città, scavata solo in parte, si conservano le vestigia risalenti alla fase romana. Poi ci sono, appunto, i resti di basiliche paleocristiane. «Le testimonianze cristiane si riferiscono, sulla base dei dati finora acquisiti, al periodo compreso tra V e VI secolo e documentano un intenso radicamento del culto in una comunità numerosa e dotata di forte potere rappresentativo», ci ricorda la professoressa Cassano, accompagnata dal ricercatore Silvio Fioriello, sotto il sole cocente d’agosto, durante la visita dei nuovi scavi, quelli svolti nel 2004 per la quarta campagna (la quinta partirà a settembre). «Ma - aggiunge - i dati in tal senso, acquisiti nell’ambito della ricerca del secolo scorso, erano limitati solo ai tre grandi complessi basilicali. Mentre la gran parte dei resti riferibili alla frequentazione tardoantica erano stati sacrificati per evidenziare l’impianto della città di età romana».

Ecco dunque le prime due basiliche, costruite nel pieno V secolo: la basilica «episcopale», a tre navate, e la basilica civile, forse adattata al culto cristiano. Ed ecco Rufentius. «Agli inizi del VI secolo - racconta Cassano - il vescovo firma come Egnatinus gli atti dei Sinodi indetti nel 501, 502 e 504 da papa Simmaco. Durante lo stesso secolo è stato realizzato un nuovo edificio religioso monumentale, a testimonianza della crescita demografica ed economica: la cosiddetta “basilica Quagliati”, anch’essa a tre navate, pavimentata a mosaico».

Fin qui le notizie già note sulla base dei documenti. Ma la vitalità di Egnazia in quest’ultimo periodo ha trovato nuova e ricca documentazione nelle ricerche condotte nell’ambito del «Progetto Egnazia» e dello scavo diretto dalla professoressa Cassano (con l’apporto di Fioriello, responsabile del cantiere, di Rossella Conte, Giulia Finzi, Anna Mangiatordi, Gianluca Mastrocinque, Andrea Pedone). Indagine archeologica che sta interessando il settore Nord-Ovest, in particolare l’area della piazza lastricata e porticata, erroneamente identificata con il foro della città romana, e il quartiere abitatitivo e produttivo a Sud della Traiana.

La piazza, «messa in luce» in parte tra 1912 e 1913, era delimitata da un porticato dorico che verosimilmente ne trasformò una più antica d’età ellenistica. A partire dalla seconda metà del IV secolo, quando la piazza fu destrutturata forse a causa di terremoti (quello del 346 d.C. o quello del 365 d.C., che devastò Durazzo e Butrinto), sono documentate ristrutturazioni e riorganizzazioni che utilizzarono materiale di spoglio del porticato (colonne e fregi) e caratterizzarono l’area almeno fino al VI secolo. Lo scopo? «Attività commerciali, artigianali e agricole. Come documentano alcuni attrezzi rinvenuti - un maleppeggio, un vomere e un falcetto - legati alla gestione di prodotti immessi nel mercato anche attraverso il vicino porto».

E il vescovo Rufentius? «È verosimile - secondo la professoressa - che abbia avuto un importante ruolo, con la comunità che guidava. Paiono dimostrarlo i rinvenimenti ceramici, soprattutto il vasellame fine da mensa, anche d’importazione, che nella decorazione accoglie numerosi simboli cristologici: ad esempio, ci sono due frammenti di anfore di produzione orientale, databili tra fine del V e inizi del VI secolo, che recano rispettivamente una croce apicata dipinta e un chrismòn graffito, preceduto dalla lettera “N”. Potrebbero riferirsi agli approvvigionamenti vinari destinati al vescovo». Molti materiali erano importati? «Sono stati trovati vetri con forme che rimandano a bicchieri e lampade, nonché ad anfore, di produzione africana e orientale».

Le conclusioni, per ora? «Egnazia tardoantica appare assai attiva sul piano commerciale: importava prodotti ceramici dai mercati mediterranei, integrando con manufatti locali». Alcuni di questi realizzati nella fornace indagata nel 2004: attiva al momento del crollo, realizzata in blocchetti di pietra intonacati, produceva anforette da mensa sovraddipinte in vernice rosso-bruna». Poi: «Le quasi duemila monete rinvenute nelle campagne di scavo interessano un arco cronologico ampio: quelle del V-VI secolo potrebbero essere messe in relazione con le nundinae, ilmercato periodico che si svolgeva nell’ambito di sedi episcopali o ecclesiastiche. Una vitalità che sembra protrarsi fino alla fine del VI secolo d.C. e anche nel VII». 

Poi? «L’area indagata nelle recenti campagne di scavo subisce un evento traumatico, forse un grande incendio, testimoniato ovunque dai crolli delle strutture con vistose tracce di bruciato». “Merito” delle scorrerie longobarde? Forse. Di certo la città si spopolò, a favore di Monopoli. Non resta che attendere: Egnazia cela altre sorprese. Intanto, sarebbe bello se il museo e il parco potessero godere di un po’ più d’ossigeno: i finanziamenti sono centellinati. Non vorremmo avere troppa nostalgia di Rufentius...

ORAZIO NE PARLò NELLE SATIRE

Il Parco archeologico di Egnazia è considerato il più importante della Puglia. Posto di fronte ad un bellissimo tratto di costa, tra Fasano e Monopoli, il parco non comprende tutta l’area occupata dall’antica città, che è assai più vasta. Egnazia è stata citata da autori come Plinio il Vecchio nel I secolo d.C.; nel I secolo a.C. dal geografo Strabone e da Orazio, che nelle Satire scrive: «Gnatia Lymphis iratis exstructa dedit risusque iocosque, dum flamma sine tura liquescere limine sacro persuadere cupit» («Egnazia, eretta contro il volere delle ninfe, ci offrì motivo di risa e di scherni, perché volevano qui farci credere che l’incenso sulla soglia del tempio si consumava senza fiamma »). Era un centro importante per il suo porto e perché era lungo la via Traiana, di cui oggi si ammirano, tra gli scavi archeologici, i lastroni del II secolo d.C. e i solchi delle carreggiate.

Il primo insediamento sorse nel XV secolo a.C. (età del bronzo). Nell’XI secolo a.C. (età del ferro) dai Balcani
giunsero gli Iapigi, seguiti nell’VIII secolo dai Messapi. Questi ne furono a capo fino all’occupazione romana, iniziata nel III secolo a.C. La città farà parte prima della Repubblica e poi dell’Impero romano. Della fase messapica restano le mura e la necropoli. Notevoli le vestigia d’epoca romana e paleocristiana.

Museo e parco archeologico di Egnazia, Fasano (Brindisi). Tel: 080.4827895.


    

    

©2005 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» del 4/8/2005.

      


 Torna su

La memoria dimenticata: indice Home