LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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«Rodi
giace su di una scoscesa prominenza al lido del mare maestosamente aperto;
questa città è circondata non già da nudi scogli, ma da folti e ridenti
boschi di agrumi, in cui serpeggiano con placido mormorio argentei ruscelli
d’acque dolci».
La
descrizione risale a circa 200 anni fa, è di Michelangelo Manicone che,
rivolgendosi agli amici rodiani, continua: «
L’elogio
non gli impedisce, da buon illuminista, di elencare le cause “accidentali”
di inquinamento dell’epoca: strade strette e sporche, il cimitero dentro
l’abitato, l’antigienica sepoltura dei morti nelle chiese.
Tutte
le citazioni dei viaggiatori italiani e stranieri elogiano, comunque, l'“incantamento”
esercitato da questo tratto di costa garganica, una terra ricca di profumi e di
colori. Il Catasto Onciario del 1742 attesta la diffusione di colture pregiate
ed il relativo benessere degli abitanti, che emerge solo dal confronto con i
censiti di altri centri del Gargano e della Capitanata: Rodi si distingue per la
congrua presenza di contribuenti minori, il cui reddito supera di poco le 15
once: sono “bracciali” (braccianti), massari (detti anche “lavoratori”),
“vaticali”, artigiani, ma anche operai specializzati: “putatori, coglitori
e scartatori di frutti”. Il possesso degli agrumeti era una prerogativa, anche
se non esclusiva, dei professionisti. Purtroppo, l’estensione dei terreni
coltivati a “citrangoli, limongelli, e portogalli” ed il loro valore non
sono indicati.
A
quel tempo “i giardini” fecero la fortuna di Rodi: un continuo traffico
commerciale vide impegnati gli abitanti con i Veneziani e gli Schiavoni, che vi
approdavano ogni giorno a caricare vini, arance, limoni.
La
produzione ebbe il periodo di massimo splendore nella seconda metà
dell’Ottocento. L’inchiesta agraria di Stefano Jacini, promossa nel 1877 dal
Parlamento del Regno d’Italia per conoscere le condizioni economiche del Sud,
sottolinea il valore e la positività per l’economia garganica (Rodi e Vico in
particolare), di questa coltivazione.
I
giardini producevano 100 milioni di frutti all’anno, circa 150 mila
quintali.
Una
vera e propria “divisione del lavoro” impegnava gli operai specializzati.
Quando
si preparavano le cassette, gli agrumi non si pesavano, ma si contavano «a
manate di cinque ciascuna, ed ogni centocinque di esse van numerate per cento,
perché da tempo immemorabile si da l’abbuono del cinque per cento al
compratore».
Spesso
però i negozianti pretesero ed ottennero un abbuono del dieci per cento sui
limoni per tutto il corso dell’anno, e per le arance fino al 14 febbraio,
giorno di S. Valentino.
Le
incartatrici, sulla filiera del Canalone, prima di riporre gli
agrumi nelle cassette di legno di faggio, li avvolgevano in preziose veline e
carta-pizzo.
Le
veline e le carte pizzo avevano, già da allora, i logo delle ditte...
Una confezione accurata, che meravigliò i Savoia per la bella immagine del
prodotto. Il ministro Ponzio Vaglia nel 1905 si complimentò, a nome della
famiglia reale, con la premiata ditta Ricucci che aveva inviato loro in dono i
suoi fragranti e profumati frutti.
Coltivare
terreni fertili, ma accidentati, non era affatto semplice: bisogna convogliare
le acque sorgive in canalette, proteggere i terreni con parapetti in muro a
secco e difendere i giardini dai venti con vere e proprie barriere frangivento.
Padre
Michelangelo Manicone, ne La Fisica Appula (1806-1807), ricercando le
cause che provocavano le frequenti “gelate” degli agrumeti, individuò la
principale nel pungente vento “grecale”. Questo vento, frangendosi sulle
scogliere del Gargano nord, sollevava una polvere di acqua e vapore, il
cosiddetto “polverino”, che faceva avvizzire le piante.
A
Vico e a Rodi riparavano i giardini da questa salsedine vaporizzata con siepi di
leccio o lentisco o di alloro, ma questo accorgimento si rivelava spesso
insufficiente, perché a malapena proteggeva gli alberi più vicini. E così i
contadini dividevano il giardino in tanti “quadri” e tra l’uno e
l’altro, sul perimetro dei medesimi, vi piantavano delle canne.
«Ogni
quattro, cinque, sei anni si verificava la “gelata”: a due gradi partivano i
limoni e a tre gradi sotto zero marcivano le più superbe arance, con fallimento
non solo del raccolto in atto, ma pregiudizio per più anni per le piante ferite
nel tronco» (G.Cassieri).
A
determinare una quasi irreversibile crisi agrumaria fu, comunque, la perdita del
mercato statunitense. Una tariffa protezionistica, la Dingley, disposta
per difendere gli agrumi della California e della Florida dalla concorrenza
straniera, determinò pesanti conseguenze. La popolazione rodiana crollò nei
primi anni del secolo da 6400 a 4900 abitanti, decimata da un’emigrazione che
si rivolse verso l’America, verso l’area suburbana di New York. Là dove un
tempo si esportavano arance, si esportarono intere famiglie.
Gli
ex voto della marineria rodiana
Fino a tutta la seconda metà dell’Ottocento, il prodotto venne smistato per varie destinazioni estere. Da Rodi raggiungeva su dei barconi Manfredonia o Pescara da dove veniva caricato su carretti o sul treno per Napoli, per poi navigare alla volta degli Stati Uniti d’America. L’altro centro di smistamento dei trabaccoli rodiani e vichesi carichi di agrumi era il porto di Trieste, il più importante dell’Adriatico. Le “cassette” proseguivano il viaggio in ferrovia per raggiungere i paesi del Nord Europa e dell’Est e addirittura per la lontana Russia.
Per
le popolazioni costiere del Gargano il rapporto con il mare fu essenziale: un
rapporto di vita ma anche di costante pericolo di morte. San Nicola di Mira
oltre ad avere una funzione di culto, aveva un’utilità pratica. La sua torre
campanaria svettava sulle costruzioni di Rodi a segnalare il pericolo turco e
costituiva un punti di riferimento e di orientamento importante per i pescatori
ed i naviganti.
La costruzione del santuario fu portata a termine con offerte più o meno ricche a seconda dell’annata, nulle negli anni delle “gelate”. Spesso accadeva che uno si addormentava ricco ed il giorno dopo si svegliava povero.
Quelli che ne risentivano maggiormente erano i rodiani, i quali, non avendo un territorio esteso da coltivare, fondavano quasi tutta la speranza loro sugli agrumi. Il gelo, negli inverni del 1891 e del 1895 fece svanire il sogno di ricchezza di molte famiglie ...
Ed
«il paese radunava le sue lacrime e le sue preci dietro il manto della Vergine
della Libera, portata in processione dal Santuario al Belvedere, nella speranza
- mai assecondata, a detta dei memorialisti - che le falde di neve si posassero
impunemente sull’aurea scorza» (G. Cassieri).
Venuta
dal mare, la Madonna della Libera accompagnò la marineria rodiana nelle
storie quotidiane di traffici sul mare. Il santuario reca sul frontale
la dicitura: «A devozione dei naviganti».
Quando i trabaccoli carichi di agrumi scampavano ai naufragi sulle rotte
per la Dalmazia ed il raccolto veniva preservato dal flagello delle
gelate, ci si riversava a pregare e a sciogliere voti nel tempio alla
periferia del paese. Il soggetto delle tavolette votive è
prevalentemente il naufragio (14 tavolette su 24).
Secondo Annamaria Tripputi, esse costituiscono un documento importante della vita del popolo, in tutti i suoi aspetti. Dalla rassegna dei naufragi, infatti, si potrebbe trarre una breve ma accurata storia dell’imbarcazione da pesca, del costume dei marinai, delle attrezzature. Nelle imbarcazioni a tre alberi e tre vele, ciascun albero è rappresentato minuziosamente, dalle funi alle piattaforme alle coffe, e altrettanto cura il pittore dedica alla rappresentazione dei boccaporti e delle vele gonfie di vento; la divisa dei marinai è costituita da una giubba rossa o azzurra ed un ampio cappello scuro. L’equipaggio miracolato, stretto lungo la fiancata dell’imbarcazione, è ritratto nelle pose più svariate: c’è chi leva le braccia in alto, chi si mette le mani nei capelli. Il timoniere impavido al suo posto di manovra regge, con sforzo immane, il timone rotto. Scene vive, drammatiche, in cui il senso della tragedia viene rappresentato dai colori vitrei del cielo e del mare.
Il
vero protagonista è il mare, scuro, minaccioso, che s’incurva letteralmente
in onde dalle creste spumose bianchissime che all’orizzonte, là dove mare e
cielo si confondono, si disfano in una patina chiara. Alle curve delle onde
corrispondono, in alto, le rotondità delle nubi, in un cielo che da scurissimo
diventa sempre chiaro verso l’apparizione della Vergine.
Il culto del sacro quadro della Madonna della Colomba, negli ultimi decenni dell’Ottocento, dal Gargano fu portato a Melìa, un paesino di origini greche in provincia di Messina, legato a un movimento migratorio stagionale. Gli agrumeti avevano richiamato sul gargano industriosi commercianti siciliani come Pirandello, Baller, Gargiulo, che fecero affluire dalla Sicilia orientale manodopera specializzata nella lavorazione del prodotto agrumario. Qualche operaio, ritornando a casa, portò con sé una stampa dell’icona miracolosa.
La
pubblicità
Il
merito della grandiosa attività commerciale sviluppatasi a Rodi è di aver
cercato, comunque e sempre, approcci verso nuovi mercati, verso nuovi clienti
all’estero.
Le
"premiate ditte”agrumarie partecipavano con successo alle fiere
internazionali di Parigi, Londra e New York. E già dalla fine dell’Ottocento,
suggestive, coloratissime locandine in inglese, con in primo piano procaci “bellezze
al bagno” ne costituirono gli accattivanti promo.
Per
farsi conoscere e diventare originali davanti agli occhi dei potenziali
acquirenti del fragrante prodotto agrumario, quale mezzo migliore della
pubblicità?
Una
locandina della società De Felice & C. rappresenta un’aquila maestosa che
tra gli artigli “custodisce” i rami degli agrumi di Rodi, dominando le acque
dell’oceano. Simboleggia la maestosità di un vasto collegamento commerciale e
la pregiatezza del prodotto. La stessa immagine è diventata oggi il logo del
“Consorzio Agrumi del Gargano”.
Una
pubblicità della ditta Ricucci presenta una sfilata di personaggi. Ciascuno
porta una fascia con le parole-chiave dell’economia rodiana: commercio,
navigazione, industria.
Il
carro che li trasporta è sormontato da un globo sovrastato dall’aquila con
gli agrumi tra gli artigli e una fascia con la dicitura “L’union fait la
force”.
Era
grande, quindi, la fiducia che unendosi in società fosse possibile riuscire
meglio a pubblicizzare e a commercializzare il prodotto, sostenendo spese che il
singolo produttore non sarebbe mai stato in grado di fronteggiare.
Una
serie di locandine, create dalla società Ciampa & Sons, paragonabile ad uno
spot pubblicitario dei giorni nostri, è divisa in quattro figure unite da un
unico incisivo messaggio. In ognuna una parola-chiave: salute, pace, abbondanza
e felicità. L’originalità è evidenziata dalla grafica in Inglese, dai
disegni e dai tratti somatici.
“Frutta-salute, frutta-pace, frutta-abbondanza, frutta-felicità”: sono messaggi ricorrenti che si avvalgono di testimonial mitologici come Atlante, il Colosso di Rodi, oppure soggetti “storici” che potevano trovare credito negli Usa, come Cristoforo Colombo e George Washington.
...
O come le giovani indios desnude, che illuminano un improbabile scenario del Far
West americano.
Le
protagoniste degli spot sono soprattutto le belle donne. Con la ridente spiaggia
di Rodi Garganico sullo sfondo, attraverso il loro sorriso gioioso, danno
un’immagine accattivante del prodotto pubblicizzato. Sprigionano un’idea di
prosperità, floridezza, salute, serenità...
Bellezze
mediterranee, dal volto roseo e rotondo, con le gote simili a due piccole,
succose arance...
Bellezze
oggetto del desiderio di pretendenti non sempre danarosi che, nelle loro
“serenate”, rivendicavano, a viva voce, il “diritto” delle ragazze di
scegliersi l’innamorato liberamente, senza la pesante interferenza delle
madri, alla perenne ricerca di uno status sociale elevato per le proprie figlie.
...
Ed il canto, accompagnato da chitarra, dal mandolino e qualche volta
dall’organino, strumento prediletto dei marinai, aveva il seguente leit-motiv:
“Fronni limone /Bella mi fa muri di passione/ Li mamma ci hanna fa li
fatti loro / I figghi hanna spusà chi vonni loro / Fronni limone”...
©2004 Teresa Maria Rauzino. La foto di copertina è di Giovannelli; quelle delle locandine agrumarie sono tratte dall'album fotografico: Rodi Garganico. Splendori di un passato, a cura di Matteo Troiano, Bologna 1999.