LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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Famiglie di regime/la grande storia
Gli abitanti delle zone limitrofe al lago di Varano non aderivano all’autarchia del
Regime in fatto di scelta dei tessuti. Ma reclamavano i premi per le famiglie. Singolare una lettera di protesta del 1937 per un mancato “premio” di natalità.
Un figlio della lupa di solo un anno.
Il fascismo, in vista all'autarchia, aveva incoraggiato le ditte che
producevano prodotti tessili sintetici. Dalla guerra etiopica in poi la qualità
dei tessuti era progressivamente degradata. Secondo Venè, l'italiano medio
continuò ad associare mentalmente il senso di calore con la lana, quello del
fresco con il cotone, quello della robustezza con il cuoio e forse usò ancora
per poco le stesse parole per definire la stoffa dell'abito pesante, della
giacchetta estiva, le buone scarpe. Ma nei fatti capì che, per un tempo
indefinito, forse per sempre, non avrebbe più potuto permettersi indumenti
fatti con quei prodotti.
Fu Andrea Ferretti, Commendatore e poi Cavaliere del lavoro, il primo a
studiare l'utilizzo dei cascami del cuoio, dalla cui lavorazione inventò il
"cuoio rigenerato" che brevettò con il nome di salpa. Fu ancora lui a
scoprire che dalla caseina del latte si poteva ricavare un prodotto tessile,
qualitativamente simile alla lana: il lanital.
Niente
più seta, ma raion; niente più cotone, ma cafioc, ossia fiocchi di canapa.
Questi nuovi tessuti si imposero presso i ceti medio-bassi come espressione
tangibile della modernità italiana, come conquista il cui merito, oltre che al
genio nazionale, andava a tutta la nuova Italia.
Nel dicembre del 1940 arrivò, nel comune di Cagnano, una lettera della ditta
Leumann di Torino: «Nell'Aprile scorso, il Duce, cui abbiamo l'onore di
sottoporre tessuti autarchici al 100% di nostra nuova produzione, ci impartì
precise direttive per la divulgazione di questi nostri tessuti in tutta Italia,
direttive che egli rese di pubblica ragione con il suo comunicato Stefani del 7
aprile scorso. Con questa consegna di "andare verso il popolo",
abbiamo messo a disposizione della battaglia autarchica tutta la nostra
organizzazione produttiva e, poiché lo svolgimento di un simile programma
richiede un meticoloso lavoro di penetrazione presso tutti i rivenditori di
tessuti del Regno, ci rivolgiamo alla vostra cortesia, per conoscere i
nominativi di tutti i negozi di stoffe e dei rivenditori di piazza (con banco),
siti nel vostro comune. Vi ringraziamo sin d'ora per le comunicazioni che
vorrete favorirci».
Fino
a che punto l'invito della ditta Leumann fu accolto dai Cagnanesi? Forse non lo
fu affatto perché non c'era bisogno di tessuti autarchici.
Nelle
zone limitrofe al lago Varano, nella stagione primaverile veniva seminato, oltre
al cotone ed alla canapa, il lino. Questo fatto è testimoniato da un documento
del 26/12/1924 dell’Archivio comunale di Ischitella.
La
Giunta Comunale si era riunita per deliberare sulla chiusura della Foce di
Capoiale. Conseguenza dell'apertura di questa era la iniziata salsedine del
lago, che influiva negativamente sulla macerazione del lino, lungo le rive del
lago stesso.
Le
piante del lino venivano carpite nel mese di agosto. Dopo aver tolto il seme,
usato per l'estrazione dell'olio "siccativo", che si impiegava
principalmente per la fabbricazione delle vernici e per la preparazione del
tessuto di juta, il lino si legava in fasci e si portava sulle rive del lago a
macerare. Per farlo ben sommergere dall'acqua, sopra si mettevano delle pietre.
Dopo una quindicina di giorni il processo di macerazione era aumentato e così
si toglievano le pietre e i fasci, si portavano in un prato e si lasciavano
asciugare sotto il sole cocente. Finita questa operazione il lino si portava a
casa e si metteva sotto qualche capanna, fino a che non si asciugava
completamente. Avvenuto questo, veniva maciullato con un arnese creato per
l'occasione, poi si pettinava e si ammatassava. In seguito, la stoppa si metteva
nella rocca e veniva filata dalle nostre donne durante le sere invernali. Infine
si ordiva il telaio e si tesseva la tela.
I
tessuti fatti in casa, con prodotti naturali, avevano qualità di robustezza che
le stoffe di città certo non eguagliavano.
L'autarchia
casalinga dei braccianti e contadini garganici produceva lini, maglie e calze in
lana di pecora che l'autarchia statale, quella dei lanital e del cafioc, aveva
di fatto e per principio, sacrificato. Certo, il contadino che, all'inizio della
giornata lavorativa, infilava maglia e pantaloni non aveva gran che da
scegliere, ma la sua tenuta era forse più protettiva di quella di un impiegato
e con meno toppe di quella di un operaio.
La
fatica delle massaie tessitrici era confortata dalla tradizione che le voleva,
fin da bambine, intente alla preparazione del loro corredo, spesso prezioso per
qualità di stoffa e raffinatezza di ricami.
L'artigianato
delle campagne diventò un privilegio inaspettato negli anni di precipitosa
decadenza del regime, dopo la dichiarazione della seconda guerra mondiale: i
contadini diventarono arbitri del mercato nero di qualsiasi genere di prima
necessità.
Nel
1935, dichiarata la guerra d'Etiopia e avutone come contropartita le sanzioni
internazionali, Mussolini ebbe l'idea propagandisticamente più felice di tutto
il Ventennio, per dimostrare non solo agli stranieri, ma anche agli Italiani
tiepidi, quale fosse la forza del consenso che lo circondava:
"Oro alla patria".
Gli
sposi furono invitati a donare le fedi d'oro e di argento allo stato in cambio
di fedi di ferro. E' risaputo. Pochi invece ricordano - come ci informa Vené -
che in quella occasione decine di migliaia di genitori-donatori chiesero
qualcosa di più: l'iscrizione, all'Opera balilla, dei figli che non avevano
ancora compiuto gli otto anni regolamentari.
Probabilmente le richieste furono guidate. è certo che, in questo caso, la ricevuta delle fedi, recante la
grammatura delle offerte in metallo e la caratura di eventuali pietre, era
accompagnata da una lettera intestata Partito nazionale fascista, il cui testo,
firmato dal segretario del fascio locale, diceva: «Pregiatissimo signor... Le
rimetto la ricevuta per il versamento dell'oro da lei effettuato e La ringrazio
vivamente. Ho dato disposizioni all'Opera Balilla perché il suo piccolo... sia
iscritto con la data del... corrente
mese. La prego perciò di rivolgersi alla Presidenza dell'Opera Balilla per il
ritiro della tessera».
Sul
finire del 1935, Mussolini decise, dunque, che la iscrizione all'Opera poteva
essere estesa anche ai neonati. Da quel momento, le puerpere e i loro mariti
ricevettero a ogni nascita di figlio un biglietto di auguri prestampato, che
vale la pena di rileggere per intero, anche perché, come l'atto di ricevuta
dell'oro alla patria, non risulta sia menzionato dagli storici. «L'Opera
balilla di... ha appreso con vivo
piacere la nascita del bambino... venuta ad allietare la sua famiglia ed a
portare il suo promettente sorriso nella gaia schiera dei ragazzi di Mussolini,
e, certa di far cosa gradita, porge insieme agli auguri più sinceri la tessera
di iscrizione all'Opera Balilla per l'anno». In carattere molto più piccolo
seguiva un "nota bene": «Le SS.LL. vorranno versare la somma di lire
5, corrispondente al prezzo della tessera, a mezzo dell'unito modulo di
versamento in c.c. postale, alla tesoreria dell'Opera Balilla in via... . In
caso diverso la tessera sarà cortesemente restituita al Comitato provinciale
dell'Opera Balilla in via...».
Probabilmente,
nei nostri paesi, pochi ebbero la possibilità di versare le cinque lire per
comprare questa tessera.
Il
Regime, condizionato dal Concordato del
Anche
nei nostri paesi furono concessi premi per la campagna demografica.
Le
somme disponibili per i premi di nuzialità venivano usate, però, più a scopi
assistenziali, che per l'intensificazione della campagna demografica disposta
dal Governo.
Le
domande erano sempre numerose; molte venivano respinte perché non ricorrevano i
termini per la concessione dei benefici richiesti.
I
Cagnanesi non si scoraggiavano per le mancate concessioni e, in modo abbastanza
polemico, si rivolgevano alle autorità superiori per avere spiegazioni e per
ottenere “giustizia”. Lo testimoniano le lettere ritrovate nell’archivio
comunale di Cagnano Varano
Il
fatto che i premi di natalità non fossero distribuiti a tutte le famiglie con
nascituri è dimostrato da una
lettera di protesta che Papantuono Grazia scrive all'Opera Maternità e Infanzia
di Foggia il 20-01-1937. La donna fa presente la situazione di favoritismo nei
confronti di altre mamme che ricevono dei premi, mentre lei ne è esclusa: «Nello
scorso anno uscì al pubblico un decreto che tutte le donne che partorivono nel
mese di ottobre li spettava il premio. In questo paese il 18 corrente mese tutte
le buone donne e le moglie dei ladri che sono sgravidate dal mese di ottobre
fino a tutto dicembre li hanno segnato quasi tutto perché sono messi di accordo
non solo con questa assistenza che sono tutte moglie di signori e anche la
levatricia fa il suo porco comodo».
La
sua vuole essere una denuncia contro le ingiustizie verso i poveri: «Chi avi di
sua proprietà una casa a un solo vano è proprietario e lo stesso chi avi un
pezzo di terra e proprietario, le moglie dei ladri anno capri pecore e altri
cosi sono tutti povere, le mali donne anno fino a un palazzotto di fabbricato
con 4 o 5 stanzi, sono tutti povere perché così vogliono tutti questi signori
di questo paese». Lei invece che è "proprio sgravidata" non li può
avere perché possiede giusto una casa per riparare la testa dalla pioggia.
La
chiusa è rivendicativa: «Prego la S.V. Ill.ma di darmi tale schiarimenti a me
povera donna che questo premio mi tocca o pure non mi tocca e voglio risposta
quanto prima se non mi dati tali schiarimenti io scriverò più avanti. Saluti
fascisti anticipati da me Papantuono Grazia fu Giovanni».
©2008 Teresa Maria Rauzino. L’articolo è stato pubblicato sul quotidiano foggiano «L’Attacco» del 10 gennaio 2008. La foto d’epoca fa parte della collezione privata dell’Autrice.