LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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La Piasora (G. Vinaccia, 1691).
La devozione mariana,
soprattutto in ambito locale, stabilisce la totale prevalenza tra le scelte
coeve dell’immagine della Madonna sotto i diversi titoli. A Foggia tale culto
si estende alla Madonna del Carmine, alla Madonna Addolorata, alla Madonna della
Croce, all’Immacolata, all’Incoronata, alla Madonna della Pace, alla Madonna
della Neve, alla Madonna del Grano, alla Madonna delle Grazie e, per il passato,
a Santa Maria in Silvis la cui icona è custodita presso la chiesa delle Croci
ed infine, a Santa Maria di Costantinopoli alla quale fu intitolata una chiesa
in seguito demolita.
In
altri centri della Capitanata, come Bovino ad esempio, il culto di Santa Maria
di Valleverde fa confluire nella storia della religiosità popolare della città
le sue tradizioni, mentre a Cerignola il culto per la Madonna di Ripalta sull’Ofanto
ripropone il tema religioso pagano, dal quale trae origine quello cristiano.
Luigi Marra, in un articolo apparso recentemente sulla
rivista «Civiltà della tavola»
[1],
parlando delle donne dei pastori e delle difficoltà che questi
dovevano affrontare durante il periodo in cui dall’Abruzzo e dal Molise
scendevano a valle per la transumanza, conclude il suo pensiero con una
personale riflessione sul culto mariano e non solo, che recita:
«[…]
il culto così intenso in Abruzzo e in Molise, professato alla Vergine e a molte
Sante, non è altro che la proiezione della funzione e del ruolo preminente
esercitato dalla donna nella nostra società. Fra queste ultime vanno annoverate
soprattutto le Sante galattogene, come Sant’Agata, Santa Scolastica e Sant’Eufemia
preposte alla salvaguardia del seno materno, perché il latte della madre era
l’unico nutrimento su cui le donne dei ceti agro-pastorali potevano contare
[…]».
Emblematica
per il capoluogo daunio è certamente la presenza del culto per la Madonna
Iconavetere. Meglio
conosciuta come Madonna dei Sette Veli, è un’antica immagine raffigurante la
Vergine Kyriotissa [2]
o
Nicopeia
[3].
Secondo la tradizione, le origini della città di Foggia risalgono
intorno all’anno Mille con il rinvenimento della tavola raffigurante la
Madonna Iconavetere, affiorata sulle acque di un pantano nei pressi del quale
era stata occultata, avvolta in drappi o veli, forse per sottrarla alla furia
iconoclasta
La
sua provenienza è incerta. L’icona, che secondo la tradizione fu dipinta
dall’Evangelista Luca, cui sono riferite diverse icone mariane, fu portata nel
485 d. C. a Siponto dalla città di Costantinopoli, dove era oggetto di grande
venerazione. Sarebbe stata consegnata, in tale circostanza, al vescovo Lorenzo
Maiorano, che ne fece dono alla città di Arpi.
Durante
la distruzione della città risalente al 600 d. C. circa, il Sacro Tavolo fu
posto in salvo da un contadino del luogo che, avvoltolo in drappi, l’avrebbe
poi nascosto nel sito del suo rinvenimento.
L’Iconavetere fu ritrovata a Foggia nel luogo oggi denominato piazza del Lago, nei pressi della cattedrale, da alcuni pastori incuriositi alla vista di un bue genuflesso al cospetto di tre fiammelle posate sulle acque del lago; i pastori portarono l’icona nella vicina Taverna del Gufo o del bufo [5], divenuta poi una chiesa rurale, attorno alla quale si formò il primo nucleo abitativo che riunì gli abitanti dell’antica Arpi, dispersi nelle vicinanze dopo la sua distruzione [6].
Dai
paesani e dai forestieri La Taverna del
Gufo fu denominata «cappella di
Sancta Maria de Focis», a ricordo della Vergine Santa e delle tre
fiammelle apparse sulle acque dello stagno.
Alcuni
studiosi ritengono che il Sacro Tavolo dell’Iconavetere raffiguri l’immagine
dell’Assunta in cielo. Il Calvanese la descrive nel seguente modo:
«[…] La Vergine Assunta in Cielo, della quale se ne conserva l’antica Icone, volgarmente chiamata Iconavetere, e si adora coverta da sette veli, cioè tele greche intessute di seta di varii colori, oltre le preziose fatte da divoti cittadini, una di ricamo d’oro e d’argento, e l’altra tutta d’argento, e due dei regi Napoletani della Casa d’Angiò e della casa di Hohenstauffen con le loro imprese […]» [7].
Un
gruppo di storici dell’arte negli anni ’80 del Novecento ha effettuato un
restauro sul Tavolo dell’Iconavetere, riconoscendo la Madonna riccamente
abbigliata, seduta con il bambino in grembo.
In
tale occasione, è stato stabilito che, dal profilo dell’aureola che emerge,
è possibile collocare l’opera secondo modi diffusi in ambito abruzzese e
campano.
Le tracce di lapislazzuli e di oro, gli alveoli destinati ad ospitare pietre dure intorno alle aureole, emersi nel corso di un restauro precedente, risalente agli anni sessanta del Novecento, attestano la preziosità dell’icona, databile tra l’XI ed il XII secolo [8].
Nel
1080 Roberto il Guiscardo volle che sullo stagno dove era stato rinvenuto il
Sacro Tavolo fosse costruita una grande chiesa, che fu ampliata nel 1172 per
volere di Guglielmo II detto il Buono. Con la chiesa crebbe anche la
città, che divenne una delle più importanti del regno. La storia del santuario
si identificò con quella di Foggia. Diverse volte i principi regnanti scelsero
la chiesa di Santa Maria de Focis per
celebrare i loro matrimoni. Carlo I d’Angiò fece del tempio mariano la sua
cappella palatina, e qui volle che nel 1274 si celebrassero le nozze tra la
terzogenita Beatrice e Filippo di Courtenay. Furono devoti dell’Iconavetere
anche Carlo II lo zoppo, Roberto il saggio, Giovanna I, Giovanna II ed il
consorte Ladislao, Alfonso I e suo figlio Ferrante I d’Aragona.
La
prima ricognizione del Sacro Tavolo dell’Iconavetere fu effettuata nel 1667 ad
opera di Mons. Sebastiano Sorrentino, vescovo di Troia. Di questo avvenimento
non ci sono prove documentate fino al rinvenimento di un atto notarile risalente
al 1680. L’atto, un testamento olografo rogato dal notaio foggiano Giuseppe Di
Stasio, riporta le ultime volontà del canonico don Ignazio Fusco, arciprete
della chiesa di San Tommaso Apostolo.
Tale
documento è custodito presso la sezione dell’Archivio di Stato di Lucera, nel
fondo degli atti dei notai, e parla proprio della ricognizione del Sacro Tavolo
fatta di notte da don Ignazio Fusco accompagnato da due frati cappuccini, per
ordine del vescovo di Troia.
Nel
testamento il canonico sostiene che, tolti i veli, appare una tavola di cedro o
di pino con l’immagine della Madonna sbiadita a causa della vetustà. Don
Ignazio Fusco non specifica né il numero dei veli tolti né che la
Madonna è detta dei Sette Veli. Si può pertanto desumere che tale appellativo
sia stato dato alla sacra immagine in epoca seriore.
Nel
1731 la chiesa fu semidistrutta da un violento terremoto, ed il Sacro Tavolo fu
portato nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli dove il volto della
Madonna apparve per la prima volta dalla piccola finestra ogivale dell’icona.
Era il 22 marzo, giovedì santo, il popolo era raccolto nella partecipazione
della Santa Messa quando si verificò il prodigioso evento.
Sant’Alfonso
Maria de’Liguori, appresa la notizia, volle recarsi a Foggia per rendere
omaggio alla Vergine Santissima. Anche lui ebbe il privilegio di vedere la
Madonna che appariva come una giovinetta di 13 o 14 anni con il capo coperto da
un velo bianco. Le apparizioni si rinnovarono fino al 1745.
Nel
1767 Maria Carolina d’Asburgo, moglie di Ferdinando IV di Borbone, si recò in
pellegrinaggio a Foggia. Più tardi ella volle che le nozze tra suo figlio
Francesco I, principe ereditario, e Maria Clementina d’Austria, fossero
celebrate a Foggia. Correva l’anno 1797 e per un solo giorno la città fu
capitale e l’Iconavetere patrona del Regno.
Nel
1782 la sacra immagine fu incoronata con decreto del Capitolo Vaticano e nel
1806, per volere di Pio VII, la chiesa fu illustrata con il titolo di Basilica
Minore.
La corona d’oro fu sottratta da ignoti il 6 marzo 1977. Il popolo foggiano si offrì di provvedere all’acquisto della nuova corona, così la Madonna fu nuovamente incoronata il 22 marzo 1982 [9].
Infine,
nel 1855, con l’istituzione della diocesi di Foggia, la chiesa di Santa Maria de Focis fu elevata a cattedrale della nuova diocesi.
Vennero
a Foggia anche Vittorio Emanuele II di Savoia che venerò l’immagine della
Madonna nel 1863. Tre anni dopo fu la volta dei principi Umberto ed Amedeo di
Savoia, mentre nel 1928 venne anche Vittorio Emanuele III.
Molti
furono anche i santi venuti da lontano per venerare l’immagine della Vergine.
La tradizione ricorda i nomi di san Francesco d’Assisi, san Giovanni di
Matera, san Tommaso d’Aquino, san Pietro Celestino, san Vincenzo Ferreri, sant’Antonino,
san Gerardo Majella, oltre al già citato sant’Alfonso Maria
de’ Ligori ed i santi Guglielmo e Pellegrino di Antiochia
Le
celebrazioni festive si svolgono due volte all’anno: dal 20 al 22 marzo per
ricordare le apparizioni avvenute nel secolo XVIII. Per l’occasione il Sacro
Tavolo viene prelevato dalla Cappella e portato nel presbiterio e qui alla
presenza del popolo, è coperto da una teca d’argento cesellata e sbalzata: la
piasora,
eseguita dal famoso artista napoletano Giovan Domenico Vinaccia nel 1691 [11].
Poi la Madonna viene portata in processione nella chiesa di San Giovanni
Battista, dove ha sede la confraternita dell’Annunziata. In questa chiesa,
dopo il terremoto del 1731, la Madonna fu esposta alla venerazione.
Il
giorno seguente, dal duomo parte un’altra processione, con l’urna contenente
le reliquie dei Santi Guglielmo e Pellegrino diretta anche quest’ultima verso
la chiesa di San Giovanni Battista; da qui con l’urna ed il Sacro Tavolo si
snoda il corteo che percorre le principali vie della città fino alla
cattedrale. Il 22 marzo, anniversario della prima apparizione della Madonna,
l’arcivescovo presiede una solenne celebrazione eucaristica, cui assistono le
autorità civili. Pochi giorni dopo la festa, il Sacro Tavolo è spogliato della
piasora argentea e riposto nella sua cappella.
La
seconda celebrazione si svolge dal 13 al 16 agosto. In questa occasione si vuole
ricordare il rinvenimento dell’Iconavetere. Preceduta da un novenario, la
festa incomincia il 13 agosto con una processione durante la quale la Madonna,
avvolta in un lenzuolo bianco, è sorretta dai sacerdoti. La processione parte
dalla cattedrale; il Sacro Tavolo è portato nella chiesa di San Tommaso,
simboleggiante la Taverna del Gufo
[12].
Nel pomeriggio del 14 dal duomo si avvia la processione con le
reliquie dei Santi Guglielmo e Pellegrino, giunto il corteo a San Tommaso, viene
prelevata l’Iconavetere, e con essa si attraversa la città per ritornare
nella cattedrale. Il 15 agosto, con una solenne celebrazione religiosa si
continuano i festeggiamenti patronali
Per
la devozione di questa Sacra Immagine, la Chiesa ed Capitolo di Foggia ebbero
alcune rendite annue attraverso una serie di privilegi concessi già in epoca
angioina con i vari diritti quali quello sullo
scannaggio, la decima sopra il dazio e
la bagliva, alcune rendite sopra le gabelle della carne, della neve, della farina e forno, ecc. e tali
privilegi furono confermati anche dai Regi successori e fino agli albori del
secolo scorso
Dal
Catasto Onciario della città, risalente al 1741, si evince che il
Reverendissimo Capitolo di Foggia era proprietario di beni mobili ed immobili.
Tra questi ultimi sono evidenziati: palazzi, fondaci, stalle, masserie, terreni
coltivabili e vigne, dati in censuazione a terzi, su cui riscuoteva i canoni [15].
Molti commercianti erano tenuti al versamento di alcuni censi all’altare della
Cappella Iconavetere, o ad una quota che sarebbe servita per i festeggiamenti
della sua ricorrenza.
Dalla cospicua documentazione custodita presso l’Archivio di Stato di Foggia, nel fondo delle Obbliganze Penes Acta, si evince che per l’anno 1771 i fornitori di neve, che avevano stipulato i contratti di appalto con il Comune di Foggia, dovevano versare alla Cappella Iconavertere alcune libbre di cera. In particolare, nel documento è riportata una richiesta: poiché quell’anno il prodotto non era dei migliori, ed i guadagni erano insufficienti al fabbisogno delle famiglie dei fornitori di neve, questi ultimi chiedevano, solo per quell’anno, di essere esonerati dal pagamento delle once di cera dovute [16].
Sempre dai documenti d’archivio si evince che nel il 1810 Donato Rutigliano ed Antonio Paciello di Foggia stipulano un contratto con l’Università cittadina per vendere la neve al minuto nel posto detto largo Saggese. Tra i tanti obblighi imposti, nel documento si legge che essi devono versare la somma di 3 cavalli in favore dell’altare della Basilica Iconavetere [17].
Le quote versate dagli appaltatori di neve aumentarono con il trascorrere del tempo. Negli anni compresi tra il 1852 ed il 1855, si apprende che l’appaltatore Michele Gabriele di San Marco in Lamis, oltre a versare la quota ammontante a ducati 2400 annui all’Università di Foggia per garantirsi il diritto di privativa per la vendita del prodotto, è obbligato a versare anche la somma di 700 ducati a beneficio della Cappella Iconavetere ed altri 50 ducati per i festeggiamenti del 15 di agosto [18].
Riguardo all’appalto della gabella della farina e forno, per gli anni 1797-1798, si stabilisce che i gabellieri devono versare alla Cappella dell’Iconavetere la somma di due terzi della gabella in moneta d’argento ed un terzo in rame, oltre a corrispondere uno stajo di olio al mese occorrente per le lampade della chiesa madre e quanto altro, rispettando i soliti patti [19].
Nel
Rendiconto annuale delle spese per i festeggiamenti della Madonna relativo
all’anno 1888 [20],
nella voce “Commissioni nei Ceti” sono riportare le decime riscosse dalla chiesa presso varie categorie di
lavoratori. Una lunga lista, con gli introiti riportati, evidenzia il modo in
cui ciascuno contribuiva ai festeggiamenti patronali di quell’anno. Nel
documento si legge ad esempio che i massari
di campo corrispondevano la somma di 225 lire, era la quota più alta
versata in quell’anno. I venditori di
neve versavano lire 5,45 cent.; i versurieri
lire 57,10 cent.; i curatoli lire
39,30 cent.; gli orefici lire 27; i panettieri ed i venditori di
pasta lire 33,50 cent. E curiosità… non mancavano all’appello neppure i
ricevitori del lotto che versavano la
somma di lire 15. A queste categorie bisognava aggiungere anche quelle dei venditori
di carboni, i lavandai, i carrettieri,
gli acquaioli, i pescivendoli, i falegnami, i ferrai, i macellai, i pizzicagnoli,
ma anche gli agrimensori, e tante
altre.
Al
1° settembre 1888 il bilancio si chiudeva con un attivo in cassa di Lire
4.197,92 centesimi di cui lire 1.535,40 cent. rappresentavano gli introiti
complessivi rivenienti dalle “Limosine”.
Alla
banda musicale proveniente dalla città di Canosa per i festeggiamenti
dell’anno precedente furono versate dal cassiere della Congregazione, Michele Altamura lire 515 ed in più, altre 50 lire per l’alloggio
ai suoi componenti
[21].
Altre somme furono destinate ai lavori di falegnameria.
Nel
1888, per i fuochi d’artificio fu versata la somma di lire 1.000 più lire 400
per la batteria colorata, al fuochista
Gaetano Buonpensiero; e 12 lire per il
Padiglione a San Tommaso.
Un
altro aspetto interessante del culto per la Madonna dei Sette Veli emerge
dall’analisi della storia religiosa popolare, dalla quale si sviluppa il tema
attraverso l’espressione religiosa ed architettonica, volta al raggiungimento
di un unico obiettivo che introduce un nuovo capitolo nella storia patria: la
religiosità popolare attraverso le edicole devozionali e dei santi sotto
campana. Solo per Foggia si contano circa 13 edicole dedicate alla Madonna.
Per
quanto riguarda il culto dei santi all’interno del focolare domestico, emerge
la tradizionale usanza di creare gli altarini devozionali, preservando da
possibili danneggiamenti le statuette votive dei santi inserendole sotto le
campane di vetro.
A tale riguardo la tradizione narra che la famiglia devota era solita nascondere sotto le vesti del santo tutelare della casa, l’immagine ricamata o dipinta di un altro santo o di un’altra Madonna, quasi a voler scongiurare il pericolo che quel tal santo o Madonna potessero offendersi per la negata preferenza di metterli sotto campana [22].
L’usanza
di riunirsi la sera dopo cena, intorno al braciere per recitare il rosario,
rivolgendosi alla Madonna sotto campana, è osservata fino agli anni ‘20/’30
del secolo scorso. Ancora oggi, qualche famiglia foggiana conserva l’immagine
dell’Iconavetere sotto la campana di vetro, mentre l’abitudine di pregare
intorno al braciere è ormai scomparsa.
Per
quanto attiene alla diffusione dell’iconografia della Madonna dei Sette Veli,
si può affermare che essa è orientata in due momenti: il primo si basa sulla
raffigurazione del Sacro Tavolo, accompagnato o meno dai santi Guglielmo e
Pellegrino, portato in gloria dagli Angeli, sullo sfondo della città di Foggia,
scossa dal terremoto.
Il
secondo è costituito dalla rappresentazione della tavola nel momento in cui la
Madonna appare per la prima volta nell’ovale.
Artisti
come: Girolamo Starace, Cecilia Bianchi, Iannantuoni, Saverio Pollice, solo per
citarne alcuni, hanno lasciato una traccia visibile della loro vena artistica
attraverso dipinti, incisioni, acquerelli e quanto altro, aventi per oggetto il
tema dell’Iconavetere
Numerose sono inoltre, le preghiere dedicate alla Madonna. Tra le tante, si segnala quella del card. Salvatore De Giorgi, Vescovo Metropolita della Diocesi Foggia - Bovino dal 1981 al 1987, che recita:
O
Vergine Santissima dei Sette Veli, che |
nel
segno del Sacro Tavolo hai dato origine |
alla
nostra Città e le hai lasciato un pegno |
della Tua materna Presenza, ascolta la nostra |
preghiera. |
Tutto dobbiamo a Te noi Foggiani, o Maria! |
E
Tu hai voluto manifestare la Tua predilezione |
Per noi apparendo, confortatrice e sorridente, |
ai nostri padri, da quel segno di consolazione |
e di speranza, l’Iconavetere, meta di pellegrini |
e di santi. |
Nel ricordo di quelle Apparizioni, memoriale |
di
un passato che rivive nel presente, noi ci |
rivolgiamo fiduciosi al Tuo amore di Madre, |
affinché siamo liberati dai mali presenti non |
meno gravi di quelli del passato. |
Consapevoli
che essi hanno la radice nei |
Nostri cuori, Ti chiediamo anzitutto la grazia di |
Convertirci al Vangelo del Tuo figlio; solo così |
La nostra Città sarà ricostruita e rinnovata nella |
verità e nella giustizia, nell’onestà e nella pace. |
E fa’ che dopo il cammino sulla terra |
Possiamo raggiungerTi in cielo, nella Casa del |
Padre, per contemplare senza veli, il Tuo Volto |
Con quello di Gesù, il frutto benedetto del Tuo |
Seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. |
Spesso
il popolo durante le processioni era solito dedicare alla Madonna le canzoni in
vernacolo; questa tradizione si ripete anche ai giorni nostri.
Silvia
Marangelli e Roberto Carreca hanno voluto dedicare alla Madonna la canzone,
recentemente pubblicata nel volume di Rita Borgia
'A
Madònne d' 'i Sètte Vèle |
Gaitanine |
Bonasèra Madònne d' 'i Sètte Vèle, |
T' agghij purtàte quàtte cannèle. |
Nu garofàne rusce e iianghe, |
M'è
stà a sènd 'na vòta tand. |
Sope
e sotte è passàte a vita mia, |
Sènza
cunfort e così sia. |
Bijàte a tè chè stàij là 'ssòpe |
tutta
bèlle e sota sote. |
‘A
Madònne |
" Guarda un pò questa qua!" |
Chè se vène a lagnà. |
Pe
'na malasorte
"mendre la mia |
dura
l'eternità'" |
Te
vulèsse accuntà... |
Quànne
avèva brucià... |
Ind'
'u pandàne m'hànne ijettàte |
"Tanta secola fa". |
Gaitanine |
Quanda storije hagghij fàtte p' 'a figghija mia |
Chè
vulèva 'nu strazzafadighe. |
Mànche
'u padre se canuscève, |
e
'a vulèva pe' migghijèra. |
"
Figghia mia stàtte accòrte, t' he ruvenà". |
Mànche
pe 'a càpe se l'è fàtte passà. |
Mò
chè a Biànche s'è spremute, |
A
mucciùne se n'è gghijùte. |
|
'A
Madònne |
Nun
ce pòzze penzà |
M'hànne
avuta scurdà |
Trè
fiammàte c' agghij ' appicciàte |
Pe
venirme a pigghijà. |
Quànne
avèva guardà |
senza
vèle 'a rialta' |
'na
luce "improvvisa" a l'ucchij è salita, |
"Che
faceva" ceca'. |
|
Gaitanine |
'A
fùrtune Madònne me tène cuntrarij |
Mò
chè agghij pèrz 'u figghij Marij, |
Chè
'na bòtte l'è venute, |
'N
mizz 'e paccij se n' è gghijùte. |
'I
'nfirmijre hànne ditte chè s'e' sfrenàte, |
Cumme
a 'na bèstije l'hànne attaccàte. |
Pe
'na càpe arruvenàte, |
'Amma
ij pè numenàte. |
|
'Nzime |
Sòra
mia i disgrazije chè ce vuij fà, |
sò
'a semènze pè campà. |
Chi
pè pòche e chi pè sèmpe, |
Stime
tutte malamènde. |
La
presenza del culto mariano attraverso le icone è molto sentita anche in altre
parti d’Italia: un’immagine simile alla nostra Madonna dei Sette Veli, è
venerata a Bologna dove si trova un santuario sotto il titolo della Beata
Vergine di San Luca25.
Secondo
la tradizione il pellegrino greco Teocle Kmnega ricevette, dai canonici della
chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, una immagine della Vergine dipinta dall'Evangelista Luca. Si impegnò a portarla sul
Monte
della Guardia. Quando egli giunse a Roma, seppe che quel monte
si trovava a Bologna. Qui la tela giunse nell'anno 1160. In omaggio a quell'immagine
fu poi costruita la chiesa.
Le
origini del santuario che sorge sul Monte della Guardia risalgono all'anno 1192
quando Angelica di Caicle, poi Beata, donò il terreno ai Canonici di S. Maria
di Reno per la costruzione di un monastero. La costruzione iniziò con la posa
della prima pietra il 24 agosto 1194. All'interno si collocò l'immagine della
Madonna con Bambino.
Nel
1433 il popolo portò la Madonna in processione per implorare la cessazione
delle rovinose piogge. Giunti a porta Saragozza la pioggia cessò; per
ringraziamento gli anziani decretarono che la processione si sarebbe dovuta
ripetere ogni anno. La devozione aumentò ma la chiesa era in uno stato di
degrado tale che si decise di ristrutturarla ed ampliarla; la nuova chiesa fu
consacrata il 1 luglio 1481 dal vescovo di Sarsina. Tra il 1674 e il 1732 si
costruì il portico, progettato da Gian
Giacomo Monti, che si estende dalla chiesa fino a porta
Saragozza, lungo un tracciato di quasi 4 km coperto da 666 archi. Il 26 luglio
1723 su progetto dell'architetto Francesco
Dotti iniziò la costruzione del nuovo santuario che fu poi
consacrato il 25 marzo 1765.
Il culto della Beata Vergine di San Luca è presente anche a Bagolino (BS) ed a Guiglia (MO). Quello della Madonna Iconavetere a Ciorani (SA).
1 L. MARRA, Le donne dei pastori, in «Civiltà della Tavola», rubrica di Cultura & Ricerca, n. 154/2004, p. 74.
4 Tempera su legno di conifera, cm. 152x80, antica icona pugliese a figura intera regge il bambino con entrambe le mani. Cfr. G. CRISTINO, Foggia in mostra, in Saluti da Foggia, Amministrazione Provinciale, Foggia 1997, p. 22; e Icone di Puglia e Basilicata dal Medio Evo al Settecento, a cura di P. Belli D’Elia, Mazzotta, Milano 1998.
6 S. RUSSO, Dal Mille al Duemila, in Saluti da Foggia, Amministrazione Provinciale, Foggia 1997, p. 5.
7 G. CALVANESE, Memorie per la città di Foggia, Leone Editrice, Foggia 1991, rist. anast. 1932, pp. 74 e 75.
8 R. BIANCO, La Madonna celata di Foggia. Culto e diffusione dell’iconografia della Madonna dei Sette Veli, in AA.VV., Atti del 20° Convegno di Preistoria, Protostoria e Storia della Daunia, San Severo 1999, pp. 27 e ss.
9 R. BORGIA, La religiosità popolare di Foggia, le edicole devozionali, Parnaso, Foggia 2002, p. 43.
10 E. D’ANGELO, Brevi appunti sull’Iconavetere, Patrona di Foggia, in D'Angelo - A.P. Ruscillo (a cura di), Arte, devozione e musica in onore di S. Maria dell’Iconavetere, Foggia 2003, passim.
11 E. CATELLO, La veste d’Argento dell’Icona Vetere, in D'Angelo - Ruscillo, Arte cit., p. 33. L’artista fu argentiere, architetto, scultore e designer di arti decorative. Figlio d’arte, allievo dell’architetto Dionisio Lazzari e del maestro Pietro Paolo Ansalone, conquistò le più alte vette dell’arte scultorea ed orafa napoletana a cavallo tra i due secoli. Numerose opere gli furono commissionate dai Gesuiti, tra queste emerge il grande bronzo di San Francesco Saverio nella Cappella del Tesoro di San Gennaro, che sancisce gli intenti innovatori dell’artista.
12 M. VILLANI – G. SOCCIO, Le Vie e la memoria dei Padri, Santuari e percorsi devoti in Capitanata, Amministrazione Provinciale di Foggia, Foggia 1999, pp. 43 e 44.
13 D’ANGELO, Brevi appunti cit., pp. 7 e 8.
14 VILLANI – SOCCIO, Le Vie e la memoria cit., pp. 43 e 44.
15 ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Catasto Onciario di Foggia, n. 7040, anno 1741, parte III, b. 22 A, cc. 233r, 234v, e ss.
16 L. LOPRIORE, Le neviere in Capitanata. Affitti, appalti e legislazione, Foggia 2003, p. 28.
19 ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA (da ora in poi ASFG), Archivio Storico del Comune di Foggia, Affitti delle Gabelle, anni 1798/1799, b. n. 9, fasc. n. 69, cc. 4r, 7v, 8r.
20 Ivi, b. 22, fasc. 227 e 228, anno 1887/1888. Il documento è molto danneggiato. Si notano, ancora oggi, i segni dell’incendio dell’archivio comunale provocato da un gruppo di rivoltosi cittadini nel 1898.
22 Devo la notizia all’amico Carmine de Leo.
23 BIANCO, La Madonna cit., pp. 33 e segg.
24 BORGIA, La religiosità cit., p. 47.
©2005 Lucia Lopriore.