LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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Tre Madonne: da sinistra, di Ripalta sull'Ofanto; dell'Incoronata; di Loreto in Peschici.
La devozione mariana in Capitanata,
attraverso i pellegrinaggi, è stata riproposta analizzando il fenomeno da cui
si evince la presenza di una religiosità popolare sentita in modo pregnante.
Importante è accertare la provenienza
storica, religiosa e culturale di tale devozione che, generalmente, è fatta
rientrare tra le pratiche più direttamente connesse a contesti di riferimento
popolare [1]
Dall’analisi delle presenze umane sul
territorio, dovute in massima parte alla transumanza, emerge lo stimolo per
esaminare attentamente il fenomeno dei pellegrinaggi mariani
[2].
In Capitanata tale fenomeno si è esteso
attraverso i percorsi devozionali che i pellegrini solevano seguire manifestando
la loro fede: era consuetudine recitare litanie, preghiere e canti religiosi per
chiedere e ricevere grazie.
Principalmente partendo dal culto per l’Arcangelo Michele seguendo il percorso della Via Sacra Langobardorum si raggiungevano altri centri della Capitanata, per venerare Madonne e Santi che si trovavano lungo il cammino.
In tale percorso devozionale è compreso
il santuario della Madonna di Loreto, protettrice di Peschici, la cui chiesa si
trova a circa un chilometro dal paese.
Il culto nasce da un episodio che lega la
Madonna ai marinai del posto. Si racconta che un giorno, durante una terribile
tempesta, essi scorsero in lontananza una luce che proveniva dalla lampada ad
olio che i fedeli, per devozione accendevano davanti all’immagine della
Madonna di Loreto situata in una piccola grotta. Essendo in pericolo, a gran
voce invocarono l’aiuto della Madonna alla quale in cambio della vita
promisero di edificare una chiesa delle stesse dimensioni della nave. D’un
tratto il mare si calmò e tutti i marinai riuscirono a salvarsi: la promessa fu
mantenuta e la chiesa fu costruita proprio sulla grotta dove ardeva la lampada.
Molte da allora sono state le grazie
concesse dalla Madonna e testimoniate dagli ex voto. Chi otteneva la grazia si
recava in pellegrinaggio per rendere omaggio alla Madonna a piedi nudi
percorrendo la polverosa strada che conduce da Peschici al santuario. La festa
della Madonna di Loreto si celebra otto giorni dopo la Pasquetta con
festeggiamenti, pellegrinaggi, processioni, celebrazioni religiose ecc. ma non
mancano anche le tradizionali specialità gastronomiche che da sempre fanno di
questo piccolo centro la culla delle tradizioni [3].
Il culto mariano a Peschici si estende
anche alla Madonna di Kàlena. La Sua ricorrenza cade l’8 settembre di ogni
anno; gli abitanti di Peschici celebrano tale evento recandosi in pellegrinaggio
fino all’antica abbazia, oggi diruta. La chiesa di Kàlena, oggetto di
attenzione da parte di cultori e studiosi, avrebbe bisogno di un immediato
restauro e si spera che ciò possa avvenire al più presto. Molti in passato si
recavano in pellegrinaggio presso la chiesa della Madonna per chiedere le grazie
o semplicemente per devozione. La tradizione vuole che i bambini in tale
occasione portassero le loro noci raccolte in un fazzoletto ed appese al braccio
della ròcile questo attrezzo
consisteva in una rudimentale rotellina applicata all’estremità di una mazza
di scopa che, appoggiata alla spalla del bimbo, era tenuta con due mani per
mezzo di una mazza incrociata. Tra rumori, schiamazzi e qualche chiacchierata si
arrivava alla chiesa della Madonna delle Grazie, adiacente all’abbazia di Kàlena,
che i proprietari facevano trovare aperta per l’occasione. Verso il tramonto
alla spicciolata si faceva ritorno alle proprie abitazioni tra la paura delle
leggende legate al luogo raccontate dagli anziani e le curiosità che il posto
suscitava.
Una delle leggende che ancora oggi si
ricordano è legata al cunicolo che, partendo dalla chiesa, arriva sulla
spiaggia del Jalillo, ottima via d’uscita in caso di pericolo. Seguendo il
cunicolo ci si trovava direttamente in mare, dove era attraccata una barca
sempre pronta per la fuga. Questa e tante altre sono le leggende legate
all’abbazia di Kàlena, posto misterioso ed affascinante nello stesso tempo [4].
Nel
percorso della Via Sacra dei Longobardi è inserita la cittadina di Monte
Sant’Angelo, nota per il santuario di San Michele Arcangelo presso il quale i
pellegrini, giunti da ogni parte d’Italia e non solo, si recano ogni anno in
segno di fede. Proprio qui vi è un altro importante santuario: quello della
Madonna di Pulsano.
Secondo la tradizione esso deve la sua fondazione a San Giovanni da Matera; si narra che in quel luogo esistesse già un monastero edificato dal duca Tulliano di Siponto con le rendite dei genitori che erano ricchi patrizi romani, e anche sul suo etimo molte sono le asserzioni anche discordanti: c’è chi sostiene che il nome derivi da una località nel pressi di Taranto, chiamata Pulsano, dove San Giovanni ha soggiornato, mentre c’è chi fa derivare il nome dal fatto che la Vergine avrebbe guarito il Santo, febbricitante, prendendogli il polso, per cui il nome deriverebbe da polso sano. Quest’ultima versione è quella che più frequentemente si trova nei racconti leggendari e nei canti dei pellegrini. Di certo è noto che a partire dal 1129 attorno a San Giovanni da Matera, vi erano sei discepoli che nel giro di pochi mesi si accrebbero nel numero tanto da diventare sessanta. Costoro ben presto costruirono un grande monastero. Nei dintorni, specie nel vallone dei romitori, i monaci edificarono molte piccole abitazioni addossate alle aspre pareti della montagna dove trascorrevano lunghi periodi in meditazione. La comunità seguiva la Regola di San Benedetto ma si dedicava anche ad un’intensa attività di apostolato tra i contadini e, soprattutto, tra i pellegrini provenienti dalla Grotta di San Michele e diretti al santuario di San Leonardo di Siponto. Ben presto si diffuse la fama di questa comunità, grazie anche agli abati Giordano e Gioele, che continuarono l’opera del fondatore, fino al punto che essa diventò il primo nucleo di un vero e proprio ordine monastico, la Congregazione benedettina dei Pulsanesi. La nuova congregazione ebbe case fino in Toscana, come San Michele di Guamo presso Lucca e San Michele di Orticara presso Pisa, nella pianura Padana come a Quartazzola sul Trebbia presso Piacenza. Della congregazione pulsanese facevano parte anche case femminili come il monastero di Santa Cecilia in Foggia. Giovanni da Matera morì in Foggia, nel monastero pulsanese di San Giacomo il 20 giugno 1139. Il suo corpo fu deposto sotto l’altare maggiore del monastero di Pulsano e, nel 1830 fu trasferito nella cattedrale di Matera.
Le
devote visite che i pellegrini facevano alla Madonna di Pulsano per sette sabati
consecutivi durante la quaresima sono da relazionare ai sette giorni in cui la
chiesa, addossata alla grotta naturale che funge da abside, secondo la leggenda
fu costruita. Il quadro della Madonna di Pulsano, trafugato con alcuni arredi
liturgici nel 1966, apparterebbe alla scuola dei Ritardatari, fiorente in Puglia
ed in Basilicata tra il XII ed il XIII secolo. L’immagine riecheggia le
antiche icone bizantine con il volto scuro della Madonna leggermente inclinato,
il capo coperto e l’aureola dorata, il Bimbo è rivolto verso chi osserva. Nel
complesso richiama la Madonna di Siponto e la Madonna di Ripalta. Già nel XIII
secolo il monastero entrò in una fase di decadenza. Il suo ultimo Abate di nome
Antonio, eletto nel 1379, pare che si fosse schierato con l’antipapa Clemente
VII il quale aveva dato inizio al grande scisma d’Occidente. Il legittimo
pontefice Urbano VI, pertanto, pur non destituendolo, ne ridusse il potere
sottraendo alla sua giurisdizione il beneficio abbaziale ed affidandolo ad un
Abate Commendatario. Alla morte dell’Abate Antonio, gli edifici già degradati
a causa degli eventi sismici furono abbandonati. Tra Settecento e Ottocento il
monastero ricevette le cure dei Celestini, i quali lo abbandonarono nel XIX
secolo in seguito alla soppressione degli Ordini Religiosi voluta da Gioacchino
Murat. Partiti i Celestini, la chiesa fu affidata ai cappellani e, uno di
questi, Nicola Bisceglia, nel 1842 la acquistò con le sue pertinenze.
Nonostante
le vicissitudini dell’abbazia, il culto della Vergine fu tenuto in vita da
diversi ordini monastici: Carmelitani, Francescani, Domenicani, fino a giungere
ai nostri giorni. Numerose e spiacevoli sono state le vicende che hanno colpito
il santuario, tuttavia esso ancora oggi è considerato uno dei più venerabili
luoghi della Capitanata dedicati alla Vergine Madre di Dio
[5].
Un
altro santuario situato lungo il percorso micaelico è quello di Santa Maria
Maggiore di Siponto. Esso sorge attiguo alle vestigia di una basilica
paleocristiana risalente ai tempi del vescovo Lorenzo. La tradizione locale fa
risalire la sua costruzione al I secolo d. C.
Secondo
alcuni studiosi l’edificio, a pianta quadrata, fu eretto tra la fine del XI
secolo e l’inizio del XII, quando era vescovo Leone ed è legato alle lunghe
battaglie sostenute per il riconoscimento della sua autonomia dalla diocesi
beneventana. La sua esistenza è testimoniata da un’epigrafe datata al 1039
che documenta la presenza di un ambone monumentale opera dello scultore Acceptus, che ha legato il suo nome a varie opere coeve tra cui si
ricordano la cattedra di Canosa e il pulpito di Monte Sant’Angelo, che insieme
alle altre dotazioni, sottolinea il ritrovato prestigio dell’antica diocesi
pugliese.
Il
tempio nel 1117 fu consacrato da Papa Pasquale II; nel 1149 e nel 1067 fu sede
di sinodi locali celebrati rispettivamente dai pontefici Leone XI e Alessandro
II. Tra il 1223 ed il 1250, a causa degli eventi sismici, la città subì gravi
danni; l’interramento del porto chiuse definitivamente la vicenda di Siponto.
Il culto della Vergine è legato alle vicende della chiesa e con essa è
sopravvissuto per giungere fino ai nostri giorni. Il portale fu commissionato e
realizzato intorno al 1060 ed in quell’occasione la chiesa fu dotata
dell’icona della Vergine con il Bambino.
L’immagine
della Vergine è realizzata su legno di cedro secondo i canoni classici ispirati
alla tradizione orientale: la Madonna regge con il braccio sinistro il Bambino
mentre questi esibisce il rotolo della Parola di Dio. Oltre a questa sacra
immagine la chiesa è dotata anche di una statua straordinariamente bella; per
devozione dal popolo è chiamata “la Sipontina” assisa in trono con in
grembo il Bimbo benedicente; con gli occhi sbarrati in atteggiamento di doloroso
stupore ed il mento coperto da strane macchie biancastre. Per questa immagine la
tradizione popolare narra che la Madonna fu testimone di uno stupro da parte di
un nipote del vescovo Felice ai danni di Catella, figlia di Evangelio, diacono
della chiesa sipontina. La vicenda è raccontata nelle lettere di San Gregorio
Magno indirizzate al suddiacono Pietro intorno alla fine del VI secolo, al
notaio Pantaleone ed allo stesso vescovo Felice affinché fosse resa giustizia
alla ragazza. La leggenda prosegue narrando che le macchie bianche sul mento
della Vergine sono dovute al vomito prodotto dalla Madonna a causa di una
mareggiata durante la traversata della statua da Costantinopoli a Siponto.
Secondo alcuni autori la “Sipontina” fu rapita durante il sacco dei turchi
nel 1620, in tale occasione due dita della mano furono recise. Nonostante
ciò, la Vergine tornò indietro rimanendo tra i giunchi della palude. Ella
rimase a lungo nelle campagne proteggendo i contadini ed i pastori, tanto che è
usanza offrirle le primizie raccolte o i prodotti caseari. Anticamente era
tradizione prelevare il sacro tavolo e portarlo in processione fino al duomo di
Manfredonia in occasione di avversità o calamità. Man mano questa pratica
processionale si è ripetuta fino a trasformarsi in una ricorrenza e in una
festa patronale il 30 agosto di ogni anno. Il pellegrinaggio della Madonna di
Siponto era una delle tappe obbligate che i pellegrini diretti al santuario
micaelico solevano fare. Gli interventi miracolosi della Vergine sono confermati
da numerosi attestati di vescovi, ma soprattutto dagli ex voto. L’intervento
salvifico della Madonna è registrato nei casi più disparati ma quelli che
riguardano i casi di naufragio ed annegamento sono i più numerosi e fanno
comprendere come questo santuario sia uno tra i più importanti punti di
riferimento della fede e della devozione della gente di mare
[6].
Seguendo
il percorso dei pellegrinaggi mariani è indispensabile sostare anche in
Apricena, dove è molto venerata la Madonna dell’Incoronata.
Secondo
la tradizione locale un tale di nome Giacinto Lombardi donò alla cappella
intitolata alla Madonna di Loreto una statua lignea rappresentante la Madonna
Incoronata venerata a Foggia; in realtà messe a confronto le due statue
presentano molte diversità tra loro. Tale culto per la Madonna Incoronata nasce
in Apricena intorno alla seconda metà dell’Ottocento grazie proprio alla
donazione del Lombardi fatta alla cappella; con la donazione della statua
seguirono anche i festeggiamenti che furono curati dallo stesso Lombardi.
L’immagine
più antica della Madonna Incoronata di Apricena è quella rappresentata dalla
Madonna assisa su un tronco di quercia spoglio di fronde e adornata alla base
del tronco da due grossi mazzi di fiori di campo e da quattro putti disposti due
all’altezza del capo e gli altri due ai suoi piedi. La Madonna è in
atteggiamento orante
[7].
Alla Sacra Immagine sono stati più volte attribuiti eventi prodigiosi: il primo
nel 1868 si verificò con il movimento degli occhi ed il secondo con un altro
movimento degli occhi nel 1908 di fronte alla folla di fedeli. I festeggiamenti
della Madonna Incoronata avvengono durante il mese di maggio di ogni anno.
Altra meta di pellegrinaggio in questa
cittadina è rappresentata dal santuario della Madonna della Rocca. Anticamente
quando la campagna era soggetta a periodi di siccità, il clero e gli abitanti
di Apricena solevano recarsi in processione preceduti da giovanette vestite a
lutto e coronate da spine, essi si recavano scalzi fino al santuario della
Madonna della Rocca invocando la grazia per la pioggia e cantando inni a Lei
dedicati. La chiesa costituiva la meta di uno dei pellegrinaggi che gli
aprecinesi erano soliti seguire nel corso dell’anno, insieme al santuario di
San Nazario e quello di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo. Il popolo
si recava in pellegrinaggio la seconda domenica dopo Pasqua. Questo rito ha
avuto seguito fino al primo conflitto mondiale, quando il santuario per il suo
difficile accesso divenne luogo di rifugio per i disertori di guerra che lo
devastarono e lo depredarono; l’incuria degli uomini ha completato l’opera e
della chiesa dedicata a questa Madonna non ne resta alcuna traccia, se non
qualche rudere da recuperare
[8].
Proseguendo
il cammino è interessante visitare la cittadina di San Marco In Lamis. Qui è
venerata la Madonna delle Grazie cui è stata intitolata una chiesa. Ritenuta
una tra le più antiche chiese del paese, è stata più volte e nel tempo
restaurata. In occasione del Giubileo del 1900 fu completamente rimaneggiata e
decorata, ed il 26 settembre 1899 il vescovo, mons. Mola, la riconsacrò
dedicandola a Cristo Redentore ed a Maria SS. del Rosario, ma comunemente
continua a conservare l’antica denominazione. Adiacente alla chiesa vi era il
cimitero del paese che fu momentaneamente chiuso dopo il colera del 1837 e
definitivamente nel 1909 con la costruzione di quello nuovo.
Dopo
il terremoto del 1837 che danneggiò gravemente la chiesa Collegiata, la
Confraternita del SS. Rosario, che aveva sede in questa chiesa si trasferì in
quella di Santa Maria delle Grazie.
Per l’incremento demografico e lo
sviluppo urbanistico, intorno agli ani ’30 del Novecento mons. Farina, con il
consenso del Capitolo della Cattedrale di Foggia e quello della Collegiata di
San Marco in Lamis, con Bolla del 15 settembre 1936 eresse la chiesa a sede
della nuova parrocchia intitolata a Santa Maria delle Grazie
[9].
è interessante osservare come in
altri centri della Capitanata, ad esempio Bovino, il culto di Santa Maria di
Valleverde fa confluire nella storia della religiosità popolare della città le
sue tradizioni.
Santuario della Madonna di Valleverde in Bovino.
Santa Maria di Valleverde è la
Protettrice di Bovino insieme a San Marco di Ecana. La tradizione narra che la
sua apparizione avvenne intorno all’anno 1266 quando la Madonna apparve, in
sogno, ad un onesto e probo uomo di nome Nicolò. Questi, una notte, sognò di
andare con i compagni a spaccare la legna nel bosco di Mengaga, distante dall’abitato circa un miglio. Mentre si
accingeva a raccogliere la legna, gli apparve una bellissima Signora, vestita di
bianco, dall’aspetto stanco che lo pregò di riempirle una brocca di acqua
dalla vicina sorgente perché aveva una gran sete. Nicolò si rifiutò di
esaudire la sua richiesta, perché doveva raccogliere la legna altrimenti i suoi
compagni lo avrebbero lasciato da solo, ma la Signora gli assicurò che se le
avesse riempito la brocca di acqua avrebbe trovato l’asino già carico di
legna. Egli allora ubbidì; al suo ritorno rimase meravigliato nel vedere
l’asino con la soma carica di legna, così le chiese chi fosse. Ella gli
rispose di essere la “Madre del
Figliuolo di Dio”, di aver abbandonato il territorio di Valverde
in Spagna profanato dalle cattiverie degli uomini e di essere venuta in
Puglia per proteggere gli abitanti di Bovino. Raccomandò a Nicolò di recarsi
dal Vescovo a raccontargli tutto, di diffondere la voce in tutto il territorio e
di far edificare una chiesa in suo onore, sotto il titolo di Santa Maria di
Valleverde.
Purtroppo, Nicolò non esaudì il
desiderio della Signora, ma raccontò il sogno solo a Lavinia, sua madre. La
notte seguente la Beata Vergine gli apparve nuovamente riprendendolo per la sua
noncuranza e dicendogli che se non avesse tenuto fede alla richiesta si sarebbe
risvegliato con le membra doloranti. Neanche questa volta Nicolò diede ascolto
alle richieste della Vergine.
Così, dopo la terza notte,
Nicolò si risvegliò dolorante e gonfio tanto da spaventare i suoi familiari.
La quarta notte gli apparve ancora la Beata Vergine che lo rimproverò per la
sua ostinazione e gli replicò la richiesta, ma lui rispose che essendo malato
non poteva eseguire i suoi ordini.
Ella gli intimò di alzarsi e di
camminare. Il mattino seguente, Nicolò si alzò in perfetta forma, decise di
recarsi dal Vescovo e di raccontargli quanto gli era successo. Il Vescovo,
Giovanni Battista, fu commosso dal racconto del giovane tanto che si limitò a
chiedergli dove la Vergine voleva fosse eretta la chiesa.
Nicolò, addormentatosi nella notte
seguente, sognò di recarsi con la Vergine nel bosco di Mengega,
dove ella gli apparve la prima volta, descrisse come voleva che fosse eretta la
chiesa legando l’erba ed i fiori con le sue mani.
Il vescovo, udito il racconto del giovane andò subito con il clero ed il
popolo in processione nel bosco di Mengaga
dove rese grazie a Dio per il portentoso avvenimento. Subito si diede inizio
alla costruzione della chiesa. La Beata Vergine aveva detto a Nicolò:
«Io
sono la Madre del Figliuolo di Dio, che per insino adesso sono stata nel
Territorio di Valleverde e per la puzza, e la mala vita di molti homini di quel
paese, mi sono già partita di là, e sono venuta per star qui per la difesa
de’ Pugliesi, e particolarmente di quei che abitano in Bovino».
Ogni
anno, la prima domenica di maggio, clero, popolo e confraternite, si recano in
processione al santuario per celebrare messe ed altre sacre funzioni in onore
della Vergine, per ricordare l’apparizione. Al ritorno le congreghe sono
precedute da due lunghe file di ragazzi che portano i rami degli alberi
rivestiti di tenere foglie
[10].
La Madonna di Valleverde si festeggia il 29 agosto.
In
Cerignola il culto per la Madonna di Ripalta sull’Ofanto ripropone il tema
religioso pagano, dal quale trae origine quello cristiano. La Sua chiesa sorge
sulla riva sinistra del fiume ad una distanza di circa 9 Km dal centro abitato.
Anticamente in questo luogo si praticavano riti pagani in onore della dea Bona,
divinità della pastorizia e dei boschi. I monaci seguaci di San Basilio, venuti
probabilmente dall’Oriente, costruirono sia il convento sia la chiesa sulle
vestigia del tempio pagano intitolandolo alla Madonna della Misericordia.
I
monaci, però, abbandonarono questo luogo intorno al IX secolo forse a causa
delle scorrerie da parte degli Arabi che invadendo le terre comprese tra Bari e
Napoli causavano stragi e rovine.
La
chiesa, in seguito, passò sotto la tenenza del chierico Cicerone quando fu
concessa in proprietà a Gundelguifo, figlio di Mimo d'Oria, al quale nel 947
Leone abate di S. Vincenzo al Volturno diede anche alcune terre. Infine, passò
alla città di Cerignola che la intitolò a Santa Maria di Ripalta sull’Ofanto,
dal luogo in cui si trova, e la Madonna fu venerata come protettrice della città.
Dal
6 al 10 settembre Cerignola festeggia nella consueta e rinomata Kermesse
la ricorrenza
della Madonna di Ripalta, con gare di fuochi pirotecnici ed altre iniziative
religiose e folcloristiche che richiamano turisti ed abitanti dai paesi
limitrofi. Il secondo lunedì di ottobre, il quadro della Madonna da Cerignola
è riportato nella chiesa sull’Ofanto, dove sosta dal mese di settembre fino
al sabato successivo alla Pasqua, in tale occasione la città festeggia
l’avvenimento con una processione ed una sagra
[11].
In Orta Nova è molto sentita la devozione per la Madonna dell’Altomare che trae origine dal culto sorto nella cittadina di Andria.
Gli
avvenimenti che originarono la particolare devozione degli abitanti di Andria
verso la Madonna dell’Altomare e la elevazione a santuario della chiesa a Lei
intitolata, sono riconducibili al 1588, alla vigilia della Pentecoste quando una
bimba di quattro anni scomparve dalla propria abitazione. Dopo lunghe ed
estenuanti ricerche condotte senza esito positivo, dopo tre giorni, il martedì
di Pentecoste, un contadino mentre si accingeva ad attingere l’acqua da una
cisterna posta ad un centinaio di metri fuori dall’abitato, fu attratto dalla
voce di una bimba che proveniva dal fondo della stessa cisterna. Dopo aver dato
l’allarme gli abitanti si accinsero a portare fuori il corpo della bimba e,
con sorpresa, constatarono che si trattava proprio della bimba scomparsa tre
giorni prima. Ai genitori ed alle persone accorse in quel luogo la bimba riferì
che il giorno della sua scomparsa era caduta in quella cisterna e che era stata
salvata da una bella Signora. Così, svuotata la cisterna, su una parte di essa
fu trovata l’immagine della Madonna venerata nel Santuario.
Dai
paesi vicini, dopo questo evento, incominciò un pellegrinaggio sempre più
intenso; così l’allora vescovo mons. Vincenzo Basso, diede all’Immagine il
titolo di Madonna dell’Altomare.
Dopo
un periodo di iniziale entusiasmo, la Sacra Immagine fu dimenticata, tanto che
durante la peste del 1656 il luogo fu utilizzato come camposanto degli
appestati. L’unica a non trascurare la Madonna fu un’anziana devota di nome
Angela che ogni giorno accendeva la lampada in quel luogo sacro. Più tardi la
Madonna compì un altro prodigio: una giovinetta si era ammalata gravemente, così
la devota segnò la fronte della fanciulla con l’olio della lampada della
Madonna. Miracolosamente la ragazza guarì. Quest’ultimo miracolo segnò la
vera origine del culto per la Madonna dell’Altomare perché da quel momento
non solo la Sacra Immagine non fu più dimenticata ma fu eretta una chiesa in
Suo onore.
Nella
cittadina di Orta Nova, invece, la Madonna dell’Altomare fu portata da una
fanciulla di nome Maria Balsamo soprannominata “Marietta”.
Questa
ragazza un giorno si recò in pellegrinaggio ad Andria per chiedere alla Madonna
la grazia della guarigione in quanto aveva una salute cagionevole e, non avendo
nulla, destinò le uniche monete in suo possesso, che non ricordava neppure di
avere, all’acquisto del quadro della Madonna. Ritornata ad Orta Nova per Maria
le cose andarono meglio, ella guarì completamente e si sposò, ebbe dei figli
ed un futuro radioso, anche perché la giovane era rimasta sempre devota alla
Madonna. Con il tempo gli abitanti di Orta Nova stimolati dalla stessa Marietta
incominciarono a venerare la Sacra Immagine della Madonna dell’Altomare. In
seguito il prodigioso quadro fu spesso portato in processione e, quando Maria e
suo marito ebbero la possibilità, con l’obolo dei fedeli fecero erigere una
chiesa alla Madonna dell’Altomare. Attualmente la vecchia chiesa ha avuto
altra destinazione d’uso mentre verso la fine degli anni Ottanta del
Novecento, ne è stata edificata una nuova
[12].
I festeggiamenti della Madonna dell’Altomare avvengono durante il mese di
agosto di ogni anno.
Nei
pellegrinaggi mariani è inserita la cittadina di Panni dove si venera la
Madonna Assunta in Cielo. L’antica piccola chiesa Madre del paese risale alla
fine dell’ XI secolo e fin d’allora era dedicata a questa Madonna. Poiché
il borgo era abitato da pastori in tempi più remoti, si ipotizza che la chiesa
sia sorta sulle vestigia di quella più antica dedicata a San Martire di
Costanzo, compatrono della città. In seguito all’espansione del borgo la
chiesa fu ampliata e dedicata all’Assunta in Cielo.
A
causa degli eventi sismici la chiesa fu più volte restaurata fino a quando,
intorno alla prima metà dell’800, fu demolita per essere poi ricostruita
dall’imprenditore edile foggiano Petrosillo che verso il 1830 su committenza
della Confraternita e del Comune di Panni iniziò i lavori. Il costruttore si
ispirò grossomodo alla Cattedrale di Troia realizzando la chiesa in uno stile
dell’epoca, arricchendo di stucchi decorativi le volte a crociera. Molto del
materiale appartenente all’antica chiesa fu reimpiegato ma furono utilizzati
anche materiali provenienti dal castello. La nuova chiesa fu ultimata nel 1842
ed ebbe un costo complessivo di ducati 14,000. A completamento dell’opera fu
eretto un campanile a quattro piani. A causa di gravi lesioni e cadute di
stucchi provocate dal sisma del 1930 e da quello del 1962 la chiesa fu demolita
nella parte interna fatti salvi i muri perimetrali. L’attuale costruzione
mantiene le stesse caratteristiche di quella antica mentre la struttura interna
è stata realizzata seguendo i criteri moderni di costruzione. I lavori furono
in un primo momento sospesi nel 1972 e ripresi nel 1976; nuovamente interrotti
per ragioni varie, furono ultimati nell’85 anno in cui la nuova chiesa fu
inaugurata
[13]
Tra le mete dei pellegrini non può
mancare la visita al santuario dell’Incoronata di Foggia. Tale titolo è
dovuto alla corona che cinge il capo della Madonna. Il culto per la Madonna
Incoronata risale all’XI secolo quando la Ella manifestò la Sua presenza su
una quercia nel bosco l’ultimo sabato di aprile. Secondo la tradizione Ella
apparve al conte di Ariano
[14] mentre questi si trovava nella foresta
nei pressi del fiume Cervaro. Durante la notte una luce vivissima
attraversò la selva. Il Signore attratto dal chiarore giunse ai piedi di una
quercia dalla cui sommità una misteriosa Signora, avvolta in aura sfolgorante e
presentatasi con il nome di Maria madre di Dio gli indicava una statua di legno
scuro assisa fra i rami dell’albero. Nel contempo un contadino di nome Strazzacappa, che si recava al lavoro con i suoi buoi alla vista
della Signora, si inginocchiò, prese il paiolo che gli serviva per il pasto
giornaliero, lo svuotò e vi versò l’olio che gli sarebbe servito per
l’intero mese e, realizzato un rozzo stoppino, l’accese in onore della
Madonna. L’omaggio di Strazzacappa restò
per sempre il simbolo del santuario, segno di fede. Il nobile Signore fece
edificare una piccola chiesa che divenne poi santuario famoso.
La cura della chiesa fu affidata ad un eremita, ma le comitive di pellegrini e villani sempre più numerose e, soprattutto, quelle dirette al santuario di San Michele Arcangelo determinarono l’esigenza dell’ampliamento del santuario dell’Incoronata di Foggia. La nuova chiesa fu affidata alla cura dei monaci Basiliani che la tennero fino al 1139. In quella data il normanno Ruggero II la donò a San Guglielmo da Vercelli che aveva da poco fondato il monastero di Montevergine presso Avellino. Dal secolo XIII agli inizi del secolo XVI nel santuario si stabilirono i monaci cistercensi. La loro operosità e la dedizione ai pellegrini fecero del santuario uno dei maggiori centri religiosi della Capitanata. Nella seconda metà del secolo XVI l’intero complesso fu sottratto ai cistercensi e dato in commenda dapprima al nobile Antonio Carafa e poi ad altri dignitari che contribuirono con le loro opere ad accrescere l’importanza del santuario. Con l’approvazione della legge sull’eversione feudale e la soppressione degli ordini religiosi i beni furono confiscati. Cominciò così un periodo di totale abbandono del santuario fino a quando agli albori del XX secolo l’opera dei vescovi e di alcuni benefattori tra cui i foggiani Perrone e Postiglione provvidero al recupero della struttura. Nel 1950 l’intero complesso fu affidato alle cure dell’Opera di Don Orione e da allora fu incrementato il pellegrinaggio. La vecchia chiesa si rivelò insufficiente ad accogliere i pellegrini e così nella seconda metà del XX secolo fu eretta una nuova basilica su progetto dell’ing. Luigi Vagnetti di Roma.
Tra i segni di devozione popolare degna di nota è senz’altro la Cavalcata degli Angeli che si svolge il venerdì successivo alla vestizione della statua. La statua della Madonna è incoronata, come avvenne durante la notte dell’apparizione, dagli angeli festanti con una triplice corona. Cavalli bardati a festa ornati di lustrini piume e sonagliere, insieme a centinaio di fanciulli vestiti da angeli, da santi e da fraticelli, girano per tre volte intorno al santuario in mezzo alle decine di migliaia di fedeli che accompagnano il corteo con il canti e preghiere.
Anticamente
era tradizione che i pellegrini giunti nei pressi del fiume Cervaro o quelli
provenienti dalla Basilicata usassero togliersi i calzari e percorrere a piedi
nudi gli ultimi due chilometri di strada fino alla chiesa. Era un gesto di umiltà
fatto nel ricordo di Mosé a cui sul monte Oreb il Signore comandò di togliersi
i sandali per la sacralità del luogo. Oggi i pellegrini compiono ancora il
triplice giro intorno al santuario prima di entrarvi. Tra le usanze ricorrenti
vi è quella della benedizione con l’olio che ciascun pellegrino riceve;
l’olio dell’umile Strazzacappa simbolo di fede, speranza e carità, come recita una
preghiera tramandata dai pellegrini di Ripabottoni:
« […] Ora vi preghiamo di ungere la nostra anima |
con quell’olio che il semplice campagnolo |
detto Strazzacappa mise ad |
ardere per voi sull’albero. |
Perciò fate che nell’anima nostra non manchi |
Mai l’olio della fede, l’unzione |
della ferma speranza e la fiamma della santa carità» [15]. |
Alla luce di quanto emerge dagli studi svolti sull’argomento, si può affermare con fondato realismo che in ogni comprensorio urbano dell’Alto e del Basso Tavoliere la presenza del culto mariano espresso sotto le varie forme è vivo e sentito in modo evidente; così i molteplici segni di fede siano essi manifestati attraverso i pellegrinaggi oppure in altro modo, rappresentano il punto essenziale mediante il quale la religiosità popolare raggiunge la massima espressione.
NOTE
1 G. DE VITA, Orta Nova tra storia locale e religiosità popolare, in “ Segni di fede a Orta Nova” (a cura di Rosa Avello), CRSEC - Cerignola, Foggia 2000, pp. 9 e ss.
2 Ibidem.
3
A. CAMPANILE, Peschici
nei ricordi, Foggia 2000, p. 59.
4 Ibidem, pp. 65 e 66.
5 M. VILLANI – G. SOCCIO, Le vie e la memoria dei padri, Santuari e percorsi devoti in Capitanata, Foggia 1999, pp. 60 e ss.
6
Ibidem, pp.
47 e ss.
7 G. LO ZITO, L’Incoronata, storie & restauri, Apricena 2003, pp. 15 e ss.
8 G. DI PERNA, Santa Maria di Selva della Rocca - la storia, in “Siti archeologici nel territorio di Apricena, Santa Maria di Selva della Rocca”, a cura di G. Di Perna, V. La Rosa e M. Violano, San Severo 1997, pp 53 e ss.
9
P. SCOPECE, Dalle
Origini… comuni e chiese parrocchiali dell’Arcidiocesi Foggia –
Bovino, Foggia 1999, p. 257.
10 C.G. NICASTRO, Bovino, storia di popolo, vescovi duchi e briganti, Amministrazione Provinciale di Capitanata, Foggia 1984, pp. 149, 150 e 151.
11 L. ANTONELLIS, Cerignola Guida alla città, Comune di Cerignola, Cerignola 1999, pp. 96, 97, 99, 100 e 101.
12 V. SANTORO, Orta Nova e il Santuario della Madonna dell’Altomare, storia, cronaca e itinerari turistici, Foggia 1987, pp. 21 e ss.
13 Ibidem, pp. 372.
14 Personaggio legato alla sola tradizione religiosa e popolare, indicato come appartenente alla dinastia Guevara. Storicamente questa nobile famiglia giunse dalla Spagna in Italia al seguito di Alfonso d’Aragona nel 1400, per cui non poteva essere in Capitanata in epoca anteriore a quella data. La scarsa documentazione risalente a quel periodo, inoltre, attesta che l’Italia meridionale non era ancora regolata dal sistema feudale.
15 M. VILLANI – G. SOCCIO, Le vie … op. cit., pp. 39 e ss.
©2006 Lucia Lopriore