LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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Dalle testimonianze raccolte da Angela Campanile in
Peschici nei ricordi traspare una forte attestazione di religiosità popolare. Una fede che dava conforto e speranza di una vita migliore alle classi subalterne
Foto da
Peschici nei ricordi
In
Peschici nei ricordi, una scena ci visualizza le donne dei
pescatori mentre, dalla Rupe del Castello, lanciano i santini dei santi
protettori nei flutti del mare in tempesta. è
emblematica della dimensione che il sacro assumeva nella vita quotidiana del
primo Novecento. Anche i piccoli legni, simili a gusci di noce, in balia delle
onde, presenti nelle tavolette votive donate alla Madonna di Loreto,
simboleggiano l’uomo che stenta a trovare la sua strada nelle temperie della
vita.
Il
rapporto con i santi e con Gesù era diretto, confidenziale.
I
fedeli, e come vedremo, i protagonisti dei “cunti”, si rivolgevano ad essi
come se fossero loro conoscenti. Il tono era decisamente familiare. I pellegrini
dell’Incoronata salutavano la Vergine con un «Statti bene Madonna mia / ci
vediamo l’anno prossimo / e se non vi vedremo più, / in Paradiso ci porti tu!».
L’intervento miracoloso era invocato contro la natura, che spesso assumeva le sembianze di un terribile nemico senza volto. Quando scendeva il buio sulla rocca di Peschici, nelle piccole caverne rupestri o nelle casette di venticinque metri quadri, imbiancate di calce viva, prima di addormentarsi, si recitavano alacremente le preghiere della notte.
La paura di non svegliarsi il mattino dopo era una delle costanti della vita. L’incognita dell’aldilà costituiva un forte incentivo ad arrivarci preparati, imparando tutte le preghiere salvifiche, che diventavano un pass-partout ideale per l’eternità:
“Verbe
sacce/ e verbe dèiche/ verbe fu nostro Signàure/ che jè misse impassiàune,/
sàupe na cràuce jerte e belle,/ nu vracce nciàile /e n avite nterre./
Alla valle di Giasaffatte,/ allà iàrrimme/ e truàrrimme,/ truàrrimme
a San Giuanne/ chi nu libre d’àure mane,/ che liggiàive e che scrivàive/
e che diciàive:/ piccatàure e piccatrìce/ chi sape u verbe di Dei /
che ciù dicesse,/ chi no sape/ che ciù mparasse,/ sinnò, quanne jè
morte,/ zàuca nfosse,/ spèine granate/ e mazze di ferre jnte a cape!” |
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«Le
parole che so le dico, le parole che parlano di nostro Signore che si è
messo “in passione” su di una croce alta e bella, un braccio rivolto
il Cielo, ed uno in Terra. Alla Valle di Giosafatte andremo, e troveremo
San Giovanni, con un libro d’oro in mano. Egli leggerà, scriverà e
dirà: “peccatori e peccatrici, chi sa pregare lo faccia, chi non lo
sa fare lo impari, altrimenti, quando morirà, sarà punito”. Con
corda bagnata, legno spinoso (spèine granate) e mazza di ferro
in testa!». |
L’invocazione
della protezione divina si materializza nella visione di Dio, nella sua
accezione trinitaria, e di tutti i santi più rappresentativi della cristianità.
Il
dormiente, oltre ad avere nel cuore Gesù Cristo piccolino, con i riccioli che
sono tanti fili d’oro, e la Madonna, vede intorno a sé un eccezionale
schieramento di spiriti celesti.
A
delimitare il sacro spazio di un sonno tranquillo, ci sono ben tredici angeli,
sul letto ce ne sono altri tredici, Gesù adulto è a capo del letto, San
Giuseppe è il suo avvocato difensore. «A capo del letto mio - recitava il
fervente peschiciano - ci sta l’eterno Dio, sui due lati c’è lo Spirito
Santo. Vicino a me c’è l’angelo che gioca, se Maria protegge la casa le
disgrazie escono fuori, le cose belle restano dentro».
La
protezione diventa planetaria quando, dai quattro angoli (cantoni) della casa,
entrano altri super-protettori: san Luca, san Marco, san Matteo, e sant’Angelo
Gabriele. Il quale non c'entra nulla con gli Evangelisti, ma è determinante per
marcare la prima chiusa.
La
preghiera continua ancora, con l’invocazione a «Maria Bambinella, tutta pura
e tutta bella». Dovrà fare in modo che finiscano tutti i guai della casa
protetta, dovrà farlo per l’amore che porta a Gesù. L’ultimo desiderio è
di avere Maria per madre, san Giuseppe per padre, e soprattutto di fare una
grossa “cumpagnie”, con Gesù, Giuseppe, sant’Anna, Maria, insieme a tutti
gli altri santi del Paradiso.
Nella
precarietà dell’esistenza, la morte era un evento da preparare per tempo.
Passati i quarant’anni, la donna cuciva il corredo “specifico” per sé e
per il proprio compagno, poiché non si poteva mai sapere… «nu cunte, na càuse»,
meglio evitare di farsi trovare impreparati ed esporsi ai pettegolezzi della
gente! Ogni anno, l’insolito corredo veniva lavato durante la “luscìa”:
doveva essere sempre bianco e profumato di serpillo. «Nun putesse mai sirvì!»:
era questo l’augurio che passava di bocca in bocca, mentre i vari capi di lino
e di cotone, impreziositi da orli a giorno e da ricami, venivano lavati ed
asciugati.
Ma
la morte, ultima avventura della vita, arrivava spesso anzitempo. Sorretti da
una gran fede, i parenti dell’infermo speravano in un miracolo: fino
all’ultimo momento si accendeva la “lampe” davanti ai santi sottocampana,
un “altare” consueto sul comò. Si pregava senza sosta, ma quando si sentiva
il canto notturno della “mèruila marèine” era proprio la fine! Il detto
era: «quando canta il merlo marino, fortunata la casa dove si posa, sfortunata
quella che mira!».
Il
Paradiso ad ogni costo
Nella “Settena dei Morti”, che si recitava dal giorno di Tutti i Santi fino al giorno 7 novembre, si fa riferimento ad “alme purganti”, che innalzano mesti lamenti “nel mare del duol”. Esse, sono collocate nel Purgatorio, un carcere, un’oscura prigione, un mare di fuoco, dove l’arsura le brucia. Soffrono le pene dell’Inferno. Ma i morti temono soprattutto l’oblio e la dimenticanza. Le preghiere ed i suffragi da parte dei vivi servono affinché «le anime benedette del Purgatorio si possano rinfrescare (ci putèssine addifriscà)». Il Paradiso è “una bella cosa”. Chi ha la fortuna di arrivarci, dopo una vita di stenti e di duro lavoro, va a riposarsi: «U paravèise / jè na bella càuse / Chi va / ci va a ripàuse».
Nei
racconti di Gesù Cristo, viene descritto come un luogo inaccessibile. è
delimitato da una porta, a guardia della quale c’è un san Pietro poco
disponibile ad aprirla. Non solo a chicchessia, ma anche a chi ha avuto modo di
ospitarlo, insieme a Gesù, durante la vita terrena.
Nei
“cunti” di Peschici, però, i protagonisti, con la loro arguzia e con la
loro intelligenza, riescono a varcare sempre la porta d’oro del Paradiso.
Come
Quagghiarelle, che quando muore, va a bussare al Paradiso. A san Pietro,
che chiede chi sia, risponde senza timore, dandogli del tu: «Sono Quagghiarelle, mi fai
entrare?». Al rifiuto deciso di san Pietro, egli non
demorde. Chiede di poter sbirciare attraverso la porta, vuole vedere almeno
com’è fatto il Paradiso. Poi butta la coppola dentro e, con la scusa di
riprendersela, entra. E comincia a suonare il suo micidiale fischietto,
coinvolgendo, in una sorta di ballo frenetico, molto simile ad una “taranta”,
tutti i santi del Paradiso.
Quando
Gesù Cristo sente tutto quel rumore, chiama a rapporto san Pietro e lo
rimprovera: «Ma che vi siete impazziti oggi?»; «Cos’è tutto questo
fracasso (stu ribelle) che fate in Paradiso?».
Risponde
san Pietro, sconsolato: «Che vuol essere? è
arrivato Quagghiarelle, e vuole
stare per forza in Paradiso!». E Gesù: «Pietro, Quagghiarelle a noi ci ha
ospitato, e noi “l’amma fa stà o Paravèise!”».
In
un altro racconto, il tema del Paradiso “conquistato” si ripete, con delle
significative, insolite varianti. Ntiniucce, il protagonista, in
vita ha ospitato Gesù e san Pietro, sorpresi da un temporale presso la sua
casella di campagna. Il Maestro, per ringraziarlo, gli concede tre grazie,
tra cui quella di poter vincere sempre al gioco delle carte.
Quando
l’uomo bussa alla porta del Paradiso, san Pietro non lo fa entrare: «Potevi
pure chiedere la grazia del Paradiso! Hai chiesto le “mupie”? Ora vattene
all’Inferno!».
Qui
egli sfida Lucifero ad una partita a carte: la posta in gioco è il
trasferimento al Paradiso. Ntiniucce vince, una ad una, tutte le anime
dell’Inferno! Se le mette in un sacco, e ritorna a bussare insistente alla
porta d’oro. San Pietro, per levarselo di torno, accetta di giocare una
partita a carte: la posta in gioco è il permesso d’entrare. E
fatalmente perde. Quando vede uscire dal sacco tutte quelle anime di peccatori,
resta come un fesso! (nu fesse).
E
Ntiniucce, senza scomporsi: «Se tu mi avessi fatto entrare prima, ero solo io.
Adesso arrangiati!».
©2004 Teresa Maria Rauzino. Recensione del testo di ANGELA CAMPANILE, Peschici nei ricordi, 2° volume “I luoghi della memoria” Centro Studi Martella, Claudio Grenzi editore, Foggia 2000, Euro 16,52.