LA MEMORIA DIMENTICATA |
a cura di Teresa Maria Rauzino |
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Ritratto di Giuseppe Luigi Crucinio, artefice della «fabbrica del consenso» del fascismo in Capitanata
Giuseppe Luigi Crucinio
Marcello Ariano, dopo aver posto la sua attenzione su un leader del fascismo nazionale come Gaetano Postiglione, ci documenta la vicenda culturale e politica di un personaggio sconosciuto: Giuseppe Luigi Crucinio. Chi era e cosa fece di tanto particolare Crucinio, per meritarsi una biografia così articolata?
Nato nel
Spirito
eclettico (è pubblicista, poeta, scrittore, pittore), versatile e dinamico,
promuove varie attività sociali: nel 1914 istituisce a San Nicandro un
ricreatorio per 150 bambini, con attività musicali; nel
LA FUNZIONE
“SACERDOTALE” DI CRUCINIO
Parecchi
storiografi stanno analizzando le modalità, i meccanismi, con cui il fascismo
utilizzò, consapevolmente, tutti i mezzi massmediali atti a convertire,
conquistare e plasmare la coscienza morale e i costumi degli Italiani. Per la
catechizzazione collettiva si avvalse di un composito drappello di veri e propri
attivisti culturali, presenti nelle diverse realtà del paese. Crucinio fu uno di costoro: svolse la funzione di mediatore culturale
tra società e regime, con una differenza rispetto agli altri intellettuali
foggiani: egli rese manifesto, disvelò i caratteri “religiosi” del
Littorio. In Capitanata egli svolse, con perfetta valenza, una funzione quasi
sacerdotale in quella che Cannistraro definì la «fabbrica del consenso»
fascista.
Nella
produzione pittorica di Crucinio figurano opere che traggono ispirazione
dall'universo simbolico/religioso fascista. Nel suo emblematico «Leve fasciste»,
egli rielaborò un rito di passaggio simile alla Cresima: «Le giovani leve
fasciste vengono consacrate e fascisticamente diventano membri del partito».
Questa cerimonia pubblica si svolgeva contemporaneamente in tutte le città del
Regno d'Italia, e nella forma più solenne a Roma, alla presenza del duce Benito
Mussolini.
Ne «
Per
rendere più efficace quest'ultimo messaggio, Crucinio contestualizza Mussolini
nell'ambiente pugliese: egli diventa il “Duce agricoltore”, reggente un
fascio di spighe della terra di Capitanata.
Secondo
il giudizio di Marcello Ariano, Crucinio fu l'interprete ideale della cultualità
fascista, nel segno di Dio, Patria e Famiglia. Un leit motiv estremamente caro
alla retorica di regime dopo la firma dei Patti Lateranensi che
sanciranno l'allineamento definitivo dell'intellighenzia cattolica a quelli che
erano i miti e gli ideali littori.
Crucinio, fin dai primi anni dell'avvento del fascismo, aveva fatto una precisa scelta di campo: non volle appartenere alla schiera degli ignavi che «vissero senza infamia e senza lode». Come altri intellettuali di Capitanata, da Alfredo e Silvio Petrucci a Giovanni Tancredi (per citare solo i garganici) egli parteciperà alla scommessa generazionale del fascismo di creare la '”nuova Italia” fatta di idee, di credenze, e forse anche di accattivanti suggestioni. Ma le sue furono soprattutto motivazioni politiche ed ideali, impregnate di un forte sentimento religioso: profondamente cattolico, è attratto dal fascismo perché vede in esso la categoria culturale capace di affermare la dimensione spirituale della politica. Questa scelta fu confermata con consapevolezza e con coerenza nella prassi della sua vita. La militanza laica nel Terz'ordine Francescano gli ispirò spesso temi religiosi a sfondo sociale. La valorizzazione del ruolo dei Padri Giuseppini del Murialdo a Foggia; gli articoli dedicati ad altri ordini religiosi come le Suore Marcelline, attestano la funzione di raccordo svolta da Crucinio fra i settori del mondo cattolico foggiano e il fascismo locale.
La dirigenza fascista che faceva capo a Postiglione mostrò una forte disponibilità all'ascolto della voce e del punto di vista degli ambienti cattolici moderati: questo interesse si manifestò proprio nel grande spazio riservato agli articoli di Crucinio sulle colonne de «Il Popolo Nuovo».
LA SCUOLA FASCISTA
Crucinio incarnò in modo perfetto il ruolo assegnato dal regime
fascista agli insegnanti, una categoria sociale e professionale cardine per
produrre consenso e per allargare lo spazio del controllo politico: in primis i
maestri elementari furono investiti di una “missione”, di un ruolo delicato
e oneroso nel processo di formazione: toccò loro alfabetizzare e inculcare il
credo fascista alle nuove generazioni.
Il mondo della scuola è uno degli interlocutori privilegiati di Mussolini: gli insegnanti di ogni ordine e grado assursero al ruolo di protagonisti all'interno della società fascista. Il Duce, forse perché anche lui era stato maestro elementare, affermò e sostenne l'autorevolezza dei docenti, la loro insostituibile funzione guida nell'Italia che il Littorio voleva trasformare. Secondo il suo pensiero, la scuola doveva uscire fuori dal limbo della apoliticità: non doveva solo limitarsi a strappare all'analfabetismo le masse popolari italiane (anche se su questo fronte i risultati furono tangibili, rispetto ai precedenti governi liberali); doveva assumersi l'arduo e delicato compito di “forgiare” la personalità dei giovani, inculcando in loro il nuovo spirito sociale. Gli insegnanti saranno tutti mobilitati in questo capillare lavoro di indottrinamento: compito della Scuola di ogni ordine e grado sarà di creare il “nuovo Italiano”: ecco perché essa mobilitano i suoi insegnanti più validi nel supporto culturale alle organizzazioni giovanili, in primis l'Opera Nazionale Balilla (ONB).
Con continui appelli e circolari ministeriali, il fascismo si rivolge ai dirigenti scolastici e agli insegnanti, sollecitandone l'impegno a favore delle iniziative e attività del regime, per la battaglia del grano, perché la marcia su Roma sia commemorata nelle scuole, perché si adoperino a convincere gli alunni a iscriversi all'ONB e a contribuire alle sottoscrizioni indette dal PNF. Ai docenti più preparati vengono affidati i compiti celebrativi in occasione di cerimonie legate all'epopea fascista e ai fasti imperiali. La scuola diventa il canale di trasmissione della cultura nazional-religiosa del Regime: il culto dello Stato, la glorificazione della grande guerra, l'esaltazione della patria, identificata col fascismo, e tutto il patrimonio simbolico dell'ideologia con i suoi riti e le sue cerimonie, rientrano nel corpus pedagogico, unificante i vari gradi dell'istruzione.
LA PAROLA CHE
SUSCITA
EMOZIONI
Mussolini
aveva confidato a Ludwing: «La potenza della parola ha un valore
inestimabile per chi governa. Occorre solo variarla continuamente».
è indubbio che lo seppe fare. Fin troppo bene. Il
fascismo usò le parole come
strumenti atti a suscitare emozioni (la definizione è di Roberto Vivarelli).
Nel suo piccolo, questa arte della parola Crucinio la conobbe bene e la utilizzò
consapevolmente. La sua pubblicistica si avvale di tecniche diverse e viene
calibrata secondo la situazione. I suoi poliedrici contatti gli avevano dato
“il polso” di quella che era la reale società foggiana e dei vari target
che la componevano. Illuminante a questo proposito è il suo distinguo tra
conferenza e propaganda: «La conferenza è adatta alle menti colte; ma accanto
ai ceti benestanti e professionali vivono gli operai, i contadini: gente di
diversa cultura, verso cui la comunicazione va assolutamente mediata. Qui
occorre la propaganda spicciola, metodica, continua, scevra di fronzoli, di
fregi, occorre la parola buona, chiara, comprensibile, incitatrice. Non la
cattedra, ma la lezione alla buona, che metta in condizione i lavoratori di
poter comprendere e seguire il fascismo, in tutte le sue molteplici e dinamiche
manifestazioni». Le masse vanno quindi integrate al regime ponendosi al loro
livello, ma le parole vanno sapientemente dosate in un climax che porti il
destinatario del messaggio ad abbracciare fideisticamente il credo fascista.
Interessante,
a questo proposito, l'analisi lessicale che Ariano fa della cronaca del 28
ottobre 1934, anniversario della Marcia su Roma, pubblicata da Crucinio su «Il Popolo Nuovo» del
giorno successivo. Il periodare del cronista è dosato in un crescendo di
aggettivi che da “sacro, epico, eroico, glorioso, indomito, fatidico,
vibrante” culminano in “supremo”. Per tornare, aggiungiamo noi, al punto
di partenza con l'aggettivo “religioso”. Ritroviamo i leit motiv cari al
repertorio civile e valoriale littorio: l'identificazione della patria con il
fascismo, il tema della giovinezza, la glorificazione della vittoria,
l'immancabile appello ai Caduti, il mito del Duce, esaltato dall'utilizzo di un
potente e moderno strumento di penetrazione mediatica qual è la radio, che
trasmette il discorso di Mussolini. è
un esempio di quel nuovo linguaggio
fascista che Marcello Ariano analizza come nota a margine, a conclusione della
biografia su Crucinio: «Verso
questo linguaggio - sottolinea - non ci si può porre con la mentalità ed i parametri lessicali odierni, né
archiviarlo come d'epoca. Il linguaggio fascista ha tutti i crismi di un vero e
proprio linguaggio: ha i suoi codici semantici, i suoi moduli espressivi, la
riconoscibilità, la tradizione, il riferimento a comportamenti condivisi.
Andrebbe studiato senza pregiudizi, nella sua globalità e inquadrandolo in una
prospettiva storica» .
Marcello Ariano lo ha fatto nel suo libro, confermandosi valido storiografo di
un periodo, il Ventennio fascista, ancora tutto da indagare, specie in
Capitanata.
MARCELLO ARIANO, Giuseppe
Luigi Crucinio. Nel segno di Dio, Patria e famiglia,
Edizioni del Rosone, Foggia 2002.
©2006 Teresa Maria Rauzino.