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Il canto delle sirene |
a cura di Sante Asse |
Premessa
L'autorità
che attribuiamo all'opera di René Guénon ha indotto a trattare questo
argomento, che dai suoi scritti emerge solo trasversalmente, non avendo egli
compilato nessuno studio specifico sull'Ordine del Tempio (ma sul quale tracce
sono estrapolabili praticamente in ogni suo lavoro). Quel che ne dovrebbe
derivare è anche la concezione del quadro storico del secondo millennio per
questo autore così atipico del panorama culturale occidentale. Prendiamo le
mosse iniziando da quello che considero il più emblematico tra i frammenti di
discorso templare da lui intrapresi. Ci riferiamo al Capitolo VII del testo
Autorità spirituale e Potere
temporale
dal titolo «Le usurpazioni della regalità e le loro conseguenze».
Queste pagine ci sembrano delineare l'epopea templare in una dimensione
"provvidenziale"; senza fermarsi al fatidico 1312, anno della bolla Vox
in excelso che li soppresse. Per giungere a queste considerazioni, Guénon
si era già negli anni precedenti preparato il terreno con un'opera quale L'esoterismo
di Dante e contestualmente con lo studio su san Bernardo, che qui trattiamo
quasi come un'appendice, dato l'esplicito richiamo che ne viene fatto nel
paragrafo iniziale. Nelle conclusioni abbiamo invece voluto riprendere un
articolo sul significato estensivo del termine Terra
Santa, che segna in modo preciso i
termini connessi ad una funzione quale esplicata nel loro tempo da certi ordini
cavallereschi.
§
1 - Da
Autorità spirituale e Potere
temporale (1929)
Per
abitudine, Guénon non cerca mai di supportare le sue tesi riferendole a
specifiche fonti documentali o anche solo a misteriose fonti segrete o
trasmissioni orali di particolari consorterie, la qual cosa ha sempre costituito
fonte di disagio per il grande pubblico; sembra perlomeno, da parte nostra,
debbasi
sottolineare come questa opera sia l'ultima
compilata, nel 1929, prima del suo definitivo abbandono d'Europa e
conseguente domiciliarsi al Cairo, come fosse un testamento spirituale.
L'incipit
del capitolo è costituito da considerazioni di ordine generale che verranno
utili nel prosieguo (tutte le sottolineature sono nostre):
«...
non
vi possono essere nell'universo due esseri o due avvenimenti che siano
rigorosamente simili sotto tutti gli aspetti; se lo fossero, non sarebbero più
due ma, coincidendo in tutto, si confonderebbero in modo puro e semplice, così
che non sarebbero se non un solo e medesimo essere o avvenimento ...non meno
falsa è l'altra opinione ... la quale sostiene che i fatti storici siano
completamente dissimili e che tra essi non vi sia nulla in comune; la verità è
che esistono sempre differenze sotto certi aspetti e rassomiglianze sotto certi
altri … non vi è mai identità tra differenti periodi della storia, bensì
corrispondenze e analogie come tra i cicli cosmici o gli stati molteplici di un
essere; esseri differenti possono passare attraverso fasi comparabili nei limiti
delle modalità proprie alla natura di ciascuno di essi: lo stesso accade dei
popoli e delle civiltà … Esiste, nonostante le differenze notevoli,
un'analogia incontestabile… tra l'organizzazione sociale dell'India e quella
del medioevo occidentale; anche se tra le caste dell'una e le classi dell'altro
vi è soltanto corrispondenza e non identità… Non pensiamo che
similitudini molto precise possano spiegarsi in modo del tutto soddisfacente
senza una trasmissione regolare ed effettiva; e anche perché incontriamo
nel medioevo molti altri indizi concordanti, che dimostrano abbastanza
chiaramente come a quell'epoca esistesse ancora in Occidente, almeno perqualcuno,
un legame cosciente con il vero "Centro del mondo", origine unica di
tutte le tradizioni ortodosse, mentre, al contrario, nell'epoca moderna, non
vediamo più nulla di simile».
«...
In Europa troviamo … sin dal
medioevo, qualcosa di analogo allarivolta degli Kshatriya; lo troviamo
specialmente in Francia con Filippo il Bello, il quale deve essere considerato
come uno dei principali artefici della deviazione caratteristica dell'epoca
moderna; a partire da Filippo il Bello la regalità fu quasi costantemente
impegnata a rendersi indipendente dall'autorità spirituale, pur conservando,
per una sorta di curiosa illogicità, il segno esteriore della sua dipendenza
originaria, poiché, come abbiamo spiegato, la consacrazione dei re altra cosa
non era. I "legisti" di Filippo il Bello sono già, molto prima degli
"umanisti" del Rinascimento, i precursori dell'attuale
"laicismo"; ed è a quell'epoca, cioè all'inizio del secolo XIV, che
bisogna far risalire la frattura del mondo occidentale con la sua propria
tradizione. Per motivi che sarebbe troppo lungo esporre qui e che abbiamo del
resto indicato in altri studi (cfr., in particolare, l'Esoterismo di Dante)
riteniamo che il punto di partenza di questa
frattura fu caratterizzato in modo
nettissimo dalla distruzione dell'Ordine del Tempio;
ricorderemo solamente che quest'ultimo costituiva in qualche modo un legame tra
l'Oriente el'Occidente, e che nello stesso Occidente era, per il suo duplice
carattere religioso e guerriero, una sorta di mediatore tra lo spirituale e il
temporale; anzi, tale duplice carattere si potrebbe addirittura interpretare
come il segno di un rapporto più diretto con la fonte comune dei due poteri
( Cfr. a questo riguardo il nostro studio su Saint Bernard)…. Segnalammo
allora che le due nature del monaco e del cavaliere si trovavano riunite in san
Bernardo, autore della regola dell'Ordine del Tempio, da lui qualificato
"milizia di Dio"; ciò spiega la funzione, che svolse costantemente,
di conciliatore e di arbitro tra il potere religioso e quello politico».
«…
Si
potrebbe forse essere tentati di obiettare che questa distruzione, anche se fu
voluta dal re di Francia, fu nondimeno attuata d'accordo con il Papato. La verità
è che essa fu imposta al Papato, il che è ben diverso; in tal modo,
capovolgendo i rapporti normali, il potere temporale cominciò da allora a
servirsi dell'autorità spirituale, per i suoi fini di dominio politico. Si dirà
anche che se l'autorità spirituale si lasciava soggiogare a tal punto, non era
più quella che avrebbe dovuto essere e i suoi rappresentanti non avevano più
la piena coscienza del suo carattere trascendente; ciò è vero, e del resto
spiega e giustifica, già a quell'epoca, le invettive talvolta violente di
Dante; ma rimane il fatto che, nei confronti del potere temporale, la Chiesa era
nonostante tutto l'autorità spirituale, e il potere temporale riceveva la sua
legittimità proprio da essa ... I rappresentanti del potere temporale non sono
qualificati, in quanto tali, a riconoscere se l'autorità spirituale della forma
tradizionale da cui dipendono possieda o no la pienezza della sua realtà
effettiva; anzi, ne sono incapaci per definizione, poiché la loro competenza si
limita a una sfera inferiore; qualunque sia questa autorità, se essi
disconoscono la loro subordinazione nei suoi confronti, compromettono con ciò
la loro legittimità.
Occorre
dunque distinguere accuratamente quel che può essere una autorità spirituale
in se stessa, in tale o talaltro momento della sua esistenza, e i suoi rapporti
con il potere temporale; il secondo problema é indipendente dal primo, che
riguarda soltanto coloro i quali esercitano funzioni d'ordine sacerdotale o
sarebbero normalmente qualificati per svolgerle; e anche se l'autorità
spirituale, per colpa dei suoi rappresentanti, avesse perduto interamente lo
"spirito" della sua dottrina, il solo fatto di conservare il
"deposito" della "lettera" e delle forme esteriori nelle
quali tale dottrina è in qualche modo contenuta, continuerebbe ad assicurarle
la potenza necessaria e sufficiente per esercitare validamente la supremazia sul
temporale; tale supremazia infatti è insita nell'essenza stessa dell'autorità
spirituale e le appartiene finché essa sussiste regolarmente, per quanto
sminuita possa essere: la minima particella di spirituale sarà ancora
incomparabilmente superiore a tutto ciò che appartiene all'ordine temporale.
Ne
risulta che l'autorità spirituale, mentre può e deve sempre controllare il
potere temporale, non può, almeno esteriormente, essere controllata da nessuno;
per quanto una simile affermazione possa apparire sorprendente alla maggior
parte dei nostri contemporanei, non abbiamo nessuna esitazione a dichiarare che
essa non è se non una verità incontestabile.
Ma
ritorniamo a Filippo il Bello, il quale costituisce un esempio tipico di quanto
ci proponiamo di spiegare qui: dobbiamo anzitutto notare che Dante gli
attribuisce, quale movente delle sue azioni, la "cupidigia", la quale
è un vizio, non degli Kshatriya, ma dei Vaishya; si potrebbe dire che gli
Kshatriya, quando si ribellano, in qualche modo si degradano e perdono il
proprio carattere per assumere quello di una casta inferiore. Si potrebbe anche
aggiungere che la degradazione deve essere inevitabilmente accompagnata dalla
perdita della legittimità: se gli Kshatriya, per loro colpa, sono decaduti dal
diritto normale all'esercizio del potere temporale, è perché essi non sono
veri Kshatriya: intendiamo dire che la loro natura non è più tale da renderli
adatti a svolgere la funzione di "regolatore" che a tale titolo gli
appartiene, perde quel che costituisce la sua ragion d'essere essenziale e,
nello stesso tempo, si oppone alla nobiltà, di cui non era che l'emanazione e
l'espressione più completa.
Vediamo così la regalità, nell'intento di "centralizzare" e assorbire i poteri appartenenti alla nobiltà nel suo insieme, entrare in lotta contro quest'ultima e dedicarsi con accanimento alla distruzione del feudalesimo, dal quale era tuttavia nata; ma una tale lotta le sarebbe stata impossibile se non si fosse appoggiata al "terzo stato", che corrisponde appunto ai Vaishya; per questa ragione vediamo pure, precisamente a partire da Filippo il Bello, i re di Francia circondarsi quasi costantemente di borghesi, soprattutto quelli che, come Luigi XIe Luigi XIV, più svilupparono quell'opera di "centralizzazione", di cui la borghesia doveva poi cogliere il frutto quando, con la rivoluzione, si impadronì del potere».
§
2 -
Dalla plaquette
su San Bernardo (1929)
In
questo stralcio dello studio su San Bernardo si evidenzia, a scapito
dell'opinione avversa di alcuni, l'intento di Guénon di collegare in maniera
indissolubile l'opera dell'ultimo dottore della chiesa cattolica romana con le
vicende che portarono alla creazione e accettazione dell'Ordine Templare. Guénon
afferma come la Chiesa Cattolica, fino a quel momento, avesse al suo interno
sicuramente una frangia importante che deteneva precisi e operativi legami con
la Tradizione; ed in secondo luogo che il nodo dei rapporti fra Cristianità ed
Islam erano e si mantengono, per l'Occidente, un fattore determinante ai fini
del dispiegarsi della evangelica "fine dei tempi".
«
... L'abate
di Chiaravalle aveva avuto la gioia di vedere ascendere al trono pontificale uno
dei suoi vecchi monaci, Bernardo da Pisa, che aveva preso il nome di Eugenio III
e che mantenne sempre, con lui, le più affettuose relazioni; fu questo nuovo
papa che, all'inizio del suo pontificato, lo incaricò di predicare la seconda
crociata. Fino a quel momento, la Terra Santa aveva occupato un posto molto
limitato fra le preoccupazioni di San Bernardo, almeno in apparenza; tuttavia
sarebbe un errore credere che egli sia rimasto del tutto estraneo a ciò che era
ad essa relativo, e la prova la si ha da una vicenda sulla quale generalmente si
insiste molto meno di quanto ad essa converrebbe.
Ci
riferiamo alla parte da lui svolta nella costituzione dell'Ordine del Tempio, il
primo Ordine militare per data e per importanza e che servì da modello a tutti
gli altri. Fu nel 1128, circa dieci anni dopo la sua fondazione, che quest'Ordine
ricevette la sua regola, al concilio di Troyes, e fu Bernardo, in qualità di
segretario del concilio, che venne incaricato di redigerla o, quantomeno, di
fissarne i primi lineamenti, poiché sembra che solo più tardi venne chiamato a
completarla, e riuscirà a farlo solo nel 1131. Egli commentò poi questa regola
nel trattato De laude novae militiae,
ove espose, con una magnifica eloquenza, la missione ideale della
cavalleria cristiana, che egli chiamava la "milizia di Dio".
Questi
rapporti fra l'abate di Chiaravalle e l'Ordine del Tempio, che gli storici
considerano solo come un episodio alquanto secondario della sua vita, ebbero
sicuramente ben altra importanza agli occhi degli uomini del Medioevo, e noi
abbiamo indicato altrove che essi costituiscono, senza dubbio, la ragione per
cui Dante scelse San Bernardo come guida negli ultimi cerchi del Paradiso. ...
…
Se lo scopo immediato della crociata non era stato raggiunto, se ne deve
concludere che una tale spedizione era del tutto inutile e che gli sforzi di San
Bernardo non erano serviti a niente? Noi pensiamo di no, malgrado quello che ne
possono pensare gli storici, che si attengono solo alle apparenze, poiché in
questi grandi movimenti del Medioevo, a carattere politico e contemporaneamente
religioso, vi erano delle ragioni più profonde, di cui una, la sola che
vogliamo qui far notare, era quella di mantenere in seno alla Cristianità una
viva coscienza della sua unità. La Cristianità si identificava con la civiltà
occidentale, fondata allora su basi essenzialmente tradizionali, come ogni
civiltà normale, ed essa raggiunse il suo apogeo nel XIII secolo; alla perdita
di questo carattere tradizionale doveva necessariamente seguire la rottura
dell'unità stessa della Cristianità. Questa rottura, che nel dominio religioso
fu portata a termine dalla Riforma, nel dominio politico fu causata dalla
instaurazione delle nazionalità, preceduta dalla distruzione del regime
feudale; e a quest'ultimo proposito, si può dire che colui che inferse il primo
colpo all'edificio grandioso della Cristianità medioevale fu Filippo il Bello,
lo stesso che, per una coincidenza che sicuramente non è affatto fortuita,
distrusse l'Ordine, attaccando così, direttamente, l'opera stessa di San
Bernardo».
«...
Un tratto della fisionomia di San Bernardo, importante da segnalare, è il
posto che, nella sua vita e nelle sue opere, occupa il culto della Santa
Vergine, e che ha dato luogo al fiorire di tutta una serie di leggende, le
quali, forse, sono quelle che lo hanno reso popolare nel tempo. Egli amava dare
alla Santa Vergine il titolo di "Notre-Dame",
l'uso del quale si è diffuso a partire dalla sua epoca e senza dubbio, grazie
per lo più, alla sua influenza; il fatto è che egli era, come è stato detto,
un vero "cavaliere di Maria",
che egli considerava veramente come la sua "dama",
nel senso cavalleresco del termine. Se si accosta questo fatto al ruolo che
giuoca l'amore nella sua dottrina e che giuocava anche, sotto forme più o meno
simboliche, nelle concezioni proprie degli Ordini cavallereschi, si comprenderà
facilmente perché ci siamo preoccupati di parlare delle sue origini famigliari.
Divenuto monaco egli rimase sempre cavaliere, come lo erano tutti quelli della
sua stirpe; e, per lo stesso motivo, si può dire che fosse, in qualche modo,
predestinato a svolgere, come fece in tante circostanze, il ruolo di
intermediario, di conciliatore e di arbitro fra il potere religioso ed il potere
politico, in forza del fatto che portava in sé come una partecipazione della
natura dell'uno e dell'altro. Monaco e cavaliere, questi che erano i due
caratteri dei membri della "milizia
di Dio", dell'Ordine, furono anche, fin dall'inizio, i caratteri
dell'autore della loro regola, del grande santo che è stato definito l'ultimo
Padre della Chiesa, e nel quale molti hanno inteso vedere, non senza ragione, il
prototipo di Galaad, il cavaliere ideale e senza macchia, l'eroe vittorioso
della "cerca del Santo Graal"
>>.
§
3
- dall'Esoterismo di Dante (1925)
Se
teniamo presente che le prime opere di Guénon, scritte tra il 1922 ed il 1924,
si indirizzino principalmente verso il panorama dottrinale indiano o verso la
polemica agli pseudo-spiritualismi euro-americani, l'uscita di un libretto come
questo lascia presagire che egli al tempo abbia già completato l'esperienza di
approccio col mondo culturale islamico. Quella dell' analisi esoterica delle
opere di Dante è sempre stato un tabù per gli ambienti culturali italiani,
accademici e non (non ostante o forse malgrado la Lettera Apostolica Altissimi
cantus di papa Paolo VI a lui dedicata il 7 dicembre 1965 in occasione del 7°
centenario dalla nascita).
All'inizio
del secondo capitolo dell'opera citata, intitolato “la fede santa”, Guénon
scrive:
«L'associazione della fede santa, di cui Dante sembra sia stato uno dei capi, era un terz'ordine di filiazione templare…. Ed i suoi dignitari portavano l'appellativo di Kadosh, termine ebraico che significa santo o consacrato, e che si è conservato fino ai nostri giorni negli alti gradi della Massoneria. Si vede per tal fatto come non sia senza ragione che Dante prende per guida, per la fine del suo viaggio celeste, San Bernardo, che stabilì la regola dell'Ordine del Tempio; e Dante sembra aver voluto indicare in tal modo come soltanto per mezzo di questo fosse reso possibile, nelle condizioni proprie alla sua epoca, l'accesso al supremo grado della gerarchia spirituale».
Nel
capitolo seguente, Guénon chiarisce:
«…Comunque,
all'epoca di Dante, l'ermetismo esisteva molto certamente nell'Ordine del
Tempio, come pure la conoscenza di certe dottrine d’origine sicuramente araba,
che Dante stesso non sembra aver ignorate, e che gli furono senza dubbio
trasmesse anche per questa via…».
Il monumento recentemente innalzato ad honorem dei Templari nella cittadina spagnola di Ponteferrada
Conclusioni
«I
guardiani della terra santa
Fra
gli attributi degli Ordini cavallereschi, ed in particolare dei Templari, uno
dei più conosciuti, anche se in generale non dei meglio compresi, è quello di
guardiani della Terra Santa. Sicuramente, se ci si attiene al significato più
esteriore, si trova una immediata spiegazione di ciò nel nesso che esiste fra
l'origine di questi Ordini e le Crociate, poiché per i Cristiani, come per gli
Ebrei, sembra che la “Terra Santa” non indichi altro che la Palestina.
Tuttavia, la questione diviene più complicata allorché
si consideri che diverse organizzazioni orientali, di indubbio carattere
iniziatico, come gli Assassini e i Drusi, avevano parimenti assunto lo stesso
attributo di guardiani della terra santa. Qui,in effetti, non può più
trattarsi della Palestina; d'altronde, è da notare che queste organizzazioni
presentano un gran nunmero di tratti
in comune con ordini cavallereschi occidentali e, per di più, alcune di esse
sono state, anche in termini storici, in relazione con quest'ultimi.
Cosa
bisogna intendere, dunque, con il termine Terra Santa e a cosa corrisponde
esattamente questo ruolo di guardiani, il quale sembra collegato con un
particolare tipo di iniziazione che è possibile chiamare “cavalleresca”,
dando a questo termine un’estensione più ampia di quanto si faccia
ordinariamente, ma che comunque è ampiamente giustificato dalle analogie
esistenti fra le differenti forme di cui stiamo trattando?
Altrove,
ed in particolare ne Il Re del Mondo, abbiamo indicato che l’espressione Terra
Santa ha un certo numero di sinonimi: “Terra Pura”, “Terra dei Santi”,
“Terra dei Beati”, “Terra deiViventi”, “Terra d’Immortalità”, e
che queste designazioni equivalenti si riscontrano nelle tradizioni di tutti i
popoli e che si applicano essenzialmente ad un centro spirituale la cui
localizzazione in una determinata regione può essere intesa, a seconda dei
casi, sia in senso letterale che simbolico, oppure in entrambi i sensi. Ogni
“Terra Santa” è anche designata con espressioni come “Centro del Mondo”
o “Cuore del Mondo" …
…L'uso
della stesso simbolismo si ritrova presso altri popoli che possiedono anch'essi
una Terra Santa, cioè un luogo ove era posto un centro spirituale che per essi
aveva un ruolo paragonabile a quello del tempio di Gerusalemme per gli Ebrei.
Sotto questo profilo, la "Terra Santa" è l'equivalente dell'Omphalòs,
che era, anch'esso l'immagine visibile del "Centro del Mondo" per il
popolo che abitava la regione in cui era posto.
Il
simbolismo in questione si riscontra in particolare presso gli antichi Egizi;
infatti, secondo Plutarco, "gli Egizi danno alla loro regione il nome di Chémia
e la paragonano ad un cuore…
…Si
può concludere che vi sono tante "Terre Sante" particolari, per
quante sono le forme tradizionali regolari, poiché esse ne rappresentano i
centri spirituali corrispondenti; ma il motivo per cui lo stesso simbolismo si
applica uniformemente a tutte le "Terre Sante" è che questi centri
spirituali hanno tutti un'analoga costituzione, spesso fin nei minimi
particolari, poiché essi sono altrettante immagini di uno stesso centro unico e
supremo, che è, esso solo, il vero "Centro del Mondo", ed è da esso
che tutti gli altri traggono i loro attributi, in quanto partecipano della sua
natura per mezzo di una comunicazione diretta, nella quale trova fondamento
l'ortodossia tradizionale; mentre, al tempo stesso, essi lo rappresentano
effettivamente, in maniera più o meno esteriore, in determinati tempi e luoghi.
In altri termini, esiste una "Terra Santa" per eccellenza, prototipo
di tutte le altre; centro spirituale a cui sono subordinati tutti gli altri
centri; sede della Tradizione primordiale da cui tutte le tradizioni particolari
sono derivate per adattamento a tali o tal'altre condizioni definite, quali
quelle di un popolo o di un'epoca. Questa "Terra Santa" per eccellenza
è la "contrada suprema", secondo il significato del termine sanscrito
Paradesha, da cui i Caldei hanno derivato il Pardes e gli Occidentali il
Paradiso; essa è in effetti il "Paradiso terrestre", che è
esattamente il punto di partenza di tutte le tradizioni, avente al suo centro la
fonte unica da cui si dipartono i quattro fiumi che scorrono verso i quattro
punti cardinali, ed è anche il "soggiorno d'immortalità", come ci se
ne può facilmente rendere conto dai primi capitoli della Genesi.
Non
possiamo ritornare qui su tutte le questioni riguardanti il centro supremo, che
abbiamo già trattato altrove, più o meno esaurientemente: la sua
conservazione, in una maniera più o meno nascosta, a seconda dei periodi,
dall'inizio alla fine del ciclo, cioè dal "paradiso terrestre" fino
alla "Gerusalemme celeste" che ne rappresentano le due fasi estreme; i
molteplici nomi con i quali è indicato, come Tula, Luz, Salem, Agartha; i
diversi simboli che lo raffigurano, come la montagna, la caverna, l'isola e
molti altri ancora, che in maggioranza hanno una relazione immediata col
simbolismo del "Polo" o dell'"Asse del Mondo".
Qui,
a queste raffigurazioni, possiamo aggiungere quelle che ne fanno una città, una
roccaforte, un tempio o un palazzo, a seconda dell'aspetto sotto cui lo si
considera in maniera più particolare; e con l'occasione, ricordiamo anche,
oltre al Tempio di Salomone che si ricollega più direttamente al presente
argomento, la triplice cinta di cui abbiamo parlato recentemente come di una
rappresentazione della gerarchia iniziatica di certi centri tradizionali; nonché
il misterioso labirinto che, sotto una forma più complessa, si ricollega ad una
concezione similare, con la differenza che, nel suo caso, viene soprattutto
evidenziata l'idea di un "cammino difficoltoso" verso il centro
nascosto.
A
questo punto dobbiamo aggiungere che il simbolismo della "Terra Santa"
ha un duplice significato: che la si riferisca al Centro supremo o ad un centro
subordinato, essa rappresenta non solo questo stesso centro ma per associazione,
d'altronde del tutto naturale, anche la tradizione che da esso emana o che in
esso è conservata, vale a dire, nel primo caso la Tradizione primordiale, e nel
secondo una certa particolare forma tradizionale. Questo duplice significato si
ritrova parallelamente, ed in maniera molto netta, nel simbolismo del
"Santo Graal", che è, ad un tempo, un vaso (grasale) ed un libro (gradale
o gradulae); quest'ultimo aspetto indica chiaramente la tradizione, così come
l'altro concerne più direttamente lo stato corrispondente al possesso effettivo
di questa tradizione, e cioè lo "stato edenico" allorchè si tratta
della Tradizione primordiale; e colui che è pervenuto ad un tale stato è, per
ciò stesso, reintegrato nel Pardes, per cui è possibile dire che la sua dimora
è ormai nel "Centro del Mondo". Non è senza motivo che accostiamo
qui questi due simbolismi, giacchè la loro stretta similitudine dimostra che
quando si parla della "cavalleria del Santo Graal" o dei
"guardiani della Terra Santa", con queste due espressioni bisogna
intendere esattamente la stessa cosa. Rimane da spiegare, nei limiti del
possibile, in che consista propriamente la funzione di questi
"guardiani", funzione che fu, in particolare, quella dei Templari.
Per
comprendere bene il significato, occorre distinguere fra i detentori della
tradizione, che hanno la funzione di conservarla e trasmetterla, e coloro che,
per gradi diversi, ne ricevono solamente una comunicazione e, potremmo dire, una
partecipazione. I primi, che sono i depositari ed i dispensatori della dottrina,
rimangono alla fonte, che è propriamente il centro stesso; da qui la dottrina
si comunica e si distribuisce gerarchicamente ai diversi gradi iniziatici,
secondo le correnti rappresentate dai fiumi del Pardes, oppure, se ci si vuol
riferire alla figurazione che abbiamo esaminato, secondo i canali che,
dall'interno verso l'esterno, collegano fra loro le cinte successive che
corrispondono a questi diversi gradi. Tutti coloro che partecipano della
tradizione, dunque, non sono pervenuti allo stesso grado, né svolgono la stessa
funzione. E altresì necessario distinguere fra queste due cose, le quali, benché
generalmente corrispondano in una certa misura, non sono tuttavia strettamente
solidali, poiché può accadere che un uomo sia intellettualmente qualificato
per raggiungere i gradi più elevati ma non per questo sia adatto a svolgere
tutte le funzioni presenti nell'organizzazione iniziatica.
Qui
noi prenderemo in considerazione solo le funzioni e, da questo punto di vista,
diciamo che i "guardiani" rimangono al limite del centro spirituale,
inteso nel senso più ampio, o all'ultima cinta tramite la quale questo centro
è, nel contempo, separato ed in contatto col "mondo esterno". Di
conseguenza, questi "guardiani" hanno una doppia funzione: per un
verso sono propriamente i difensori della "Terra Santa", nel senso che
ne interdicono l'accesso a coloro che non possiedono le qualificazioni richieste
per potervi accedere, costituendo così ciò che noi abbiamo chiamato la sua
"copertura esterna", nel senso che essi la nascondono agli sguardi
profani; per l'altro verso essi assicurano, tuttavia, alcune regolari relazioni
con l'esterno, così come spiegheremo più avanti.
è
evidente che il ruolo di
difensori è, per esprimersi nel linguaggio della tradizione indù, una funzione
da Kshatriya, e precisamente ogni iniziazione "cavalleresca" è
essenzialmente adattata alla natura propria degli uomini che appartengono alla
casta guerriera, cioè degli Kshatriya. E da ciò che derivano i caratteri
speciali di questa iniziazione, il particolare simbolismo che essa usa e, in
modo peculiare, l'intervento di un elemento affettivo, indicato in modo
esplicito con il termine "Amore"… . Ma, nel caso dei Templari vi è
qualcosa di più da prendere in considerazione: benchè la loro iniziazione
fosse essenzialmente "cavalleresca", come conveniva alla loro natura
ed alla loro funzione, essi avevano un duplice carattere, ad un tempo militare e
religioso; ed è così che doveva essere se essi erano, come per diverse ragioni
noi pensiamo, dei guardiani del Centro supremo, ove l'autorità spirituale ed il
potere temporale sono riuniti nel loro comune principio, ed ove l'impronta di
tale riunione viene trasmessa a tutto ciò che gli è direttamente collegato».
…
«...Nel
mondo occidentale, ove lo spirituale ha assunto una forma specificamente
religiosa, i veri "guardiani della Terra Santa", fino a quando ebbero
un'esistenza in qualche modo "ufficiale", dovevano essere dei
cavalieri che fossero al tempo stesso dei monaci, ed è questo che in effetti
furono i Templari.
Ciò
ci conduce direttamente alla seconda funzione dei "guardiani" del
Centro supremo, funzione che consiste, come abbiamo detto, nell'assicurare
alcune relazioni esterne, e soprattutto nel mantenere i legami tra la Tradizione
primordiale e le tradizioni secondarie e derivate. Perché ciò sia possibile è
necessario che, per ogni forma tradizionale, si abbia una o più organizzazioni
costituite in base a questa stessa forma, secondo tutte le apparenze, ma
composte da uomini che abbiano coscienza di ciò che è al di là di tutte le
forme, vale a dire della dottrina unica che è la fonte e l'essenza di tutte le
altre, la quale non è nient'altro che la Tradizione primordiale. In un mondo a
tradizione giudaico-cristiana una tale organizzazione doveva, in un modo del
tutto naturale, avere per simbolo il Tempio di Salomone; questo, d'altronde,
avendo cessato d'esistere materialmente ormai da lungo tempo, non poteva avere
allora che un significato del tutto ideale, essendo solo un'immagine del Centro
supremo, come lo è ogni centro spirituale subordinato: la stessa etimologia del
nome Gerusalemme indica abbastanza chiaramente che essa è solo un'immagine
visibile della misteriosa Salem di Melchisedec. Se tale fu il carattere dei
Templari, per ricoprire il ruolo loro assegnato, che era relativo ad una
determinata tradizione, quella dell'Occidente, essi dovevano rimanere collegati
esternamente alla forma di questa tradizione, ma, al tempo stesso, l'aver
coscienza della vera unità dottrinale li rendeva capaci di comunicare coi
rappresentanti di altre tradizioni: è questo che spiega le loro relazioni con
certe organizzazioni orientali e soprattutto, com'è naturale, con quelle che
altrove svolgevano un ruolo simile al loro.
Ciò
posto, si può comprendere, peraltro, come la distruzione dell'Ordine del Tempio
abbia comportato per l'Occidente la rottura delle regolari relazioni col
"Centro del Mondo"; ed è proprio al XIV secolo che occorre far
risalire la deviazione che inevitabilmente doveva comportare una tale rottura,
deviazione che gradualmente è andata accentuandosi fino ai nostri giorni».
In
queste ultime poche righe si può cogliere quanto per l'Autore fosse
significativo, fino ai massimi livelli, ogni accadimento connesso all'Ordine del
Tempio e alla sua distruzione, nella prospettiva storica dei due millenni di
civiltà cristiana. è
ipotizzabile, a questo punto, come la sua opera si svolgesse nell'intento di
"proteggere" il giusto intendere delle vicende crociate in rapporto
con le urgenze della storia politico sociale che in quel momento stava per
compiersi in Europa. Non sembra un caso, infatti, che Guénon abbandoni la
Francia proprio alla vigilia della salita al potere del nazional-socialismo in
Germania, con conseguente rapida annessione dei paesi continentali più
prossimi, (Francia in primis); e soprattutto col sorgere in ambito nazista di
una organizzazione come le SS che proprio sul mito degli ordini
monastico-cavallereschi medioevali dovevano strutturarsi. A vicende belliche
ultimate, in Guénon traspare visibilmente l'amarezza derivante dalla
constatazione che vincitori e vinti siano entrambe agli antipodi del tentativo
di ripristino di una società basata su strutture realmente tradizionali. In
conseguenza di ciò, nella sua ultima opera prodotta (non come collezione di
studi o articoli vari), ovvero Il regno
della quantità e il segno dei tempi, del 1945, si attuerà un richiudersi
verso problematiche meno impegnative, potremmo dire quasi sociologiche, che non
di respiro dottrinario o propriamente esoterico, argomenti evidentemente
ritenuti ormai esauritisi.
«...Tuttavia, non è possibile affermare che ogni legame sia stato reciso d'un sol colpo; per molto tempo ancora fu possibile, in una certa misura, mantenere delle relazioni, ma solo in maniera nascosta, per mezzo di organizzazioni come la Fede Santa o i "Fedeli d'Amore", o come la "Massenia del Santo Graal" e senza dubbio molte altre ancora, tutte eredi dello spirito dell'Ordine del Tempio e per la maggior parte ad esso collegate a mezzo di una filiazione più o meno diretta. Coloro che conservano vivo questo spirito e che ispirarono queste organizzazioni, senza mai costituire essi stessi alcun organismo definito, si chiamano Rosacroce; ma venne un giorno in cui gli stessi Rosacroce dovettero lasciare l'Occidente, le cui condizioni erano divenute tali da impedire che la loro azione potesse ancora esercitarsi, e si dice che a quel punto essi si ritirarono in Asia, riassorbiti in qualche modo nel Centro supremo di cui erano come un'emanazione. Per il mondo occidentale non vi è più una "Terra Santa" da custodire, poiché la via che conduce ad essa è ormai interamente smarrita; quanto tempo ancora durerà una tale situazione? … Solo ritornando alle normali condizioni e ritrovando lo spirito proprio della sua tradizione, se ne ha ancora in sé la possibilità, l'Occidente potrà vedere riaprirsi la via che conduce al "Centro del Mondo"».
©2003 Sante Asse