GLOSSARIO RAGIONATO DELLE OPERE DI FORTIFICAZIONE
a cura di Ester Lorusso, con la collaborazione di Alfredo Magnatta
Figg. 1-2. In alto, un modello di ponte levatoio; in basso, il ponte levatoio del castello di Romena (Pratovecchio, Firenze).
Rafforzamento difensivo di strutture fortificate più o meno articolate consistente in un tavolato a ribalta attraverso il fossato che frequentemente oltrepassa alto quanto la porta che va a chiudere, sostenuto con catene e “bolzoni”, dotato di travi in bilico che ne permettono il sollevamento dall’interno della fortezza mediante un gioco di minime differenze tra peso e contrappeso (solitamente una grossa pietra o cassoni pieni di sassi), e difeso, a sua volta, da caditoie interne alle mura realizzate al di sopra dell’ingresso.
Origini ed evoluzione storica
Il ponte levatoio, diffusosi in modo particolare a partire dal XII secolo, nasce dall’esigenza di sopperire sia alla debolezza congenita delle porte di accesso ai complessi fortificati di una certa importanza (vulnerabilità legata alla difficoltà di aprire brecce nelle mura) che alla incertezza di manovra delle saracinesche a verricello. Tuttavia non è difficile trovare anche castelli di minore importanza arricchiti con porte e ponti con difese multiple rappresentate, per esempio, da un ponte levatoio, da una saracinesca a scorrimento verticale e da doppia porta a volante, tutti distanziati e azionabili in successione e secondo varie modalità.
Caratteristiche costruttive
La rapida ed ampia diffusione del ponte
levatoio
permette di raggiungere in breve tempo tecnologie quasi
standardizzate e forme e dimensioni pressoché costanti. Nella maggior parte dei
casi risulta, infatti, largo da 3 a 3,5 metri e alto poco più di 5, azionato da
due “bolzoni” nel caso generale di ponte carraio o da un solo “bolzone”
ed una “forcella” in ferro nel caso di “pusterle” pedonali aperte di
dimensione ridotta, solitamente realizzate a lato delle prime. Funzione del
“bolzone” è fungere da contrappeso, per cui, alzandosi e disponendosi in
una fessura verticale appositamente predisposta sopra il fulcro, nello spessore
murario soprastante la porta, rende possibile e rapida l’apertura del ponte.
Tipologie di
ponte
levatoio
meno frequenti di quello “a contrappeso”, sono il ponte
“a stadera”, cioè autobilanciato in quanto metà all’interno e metà
all’esterno della porta, ed il ponte
detto “cascante”, perché, in caso di apertura, fatto scivolare al di sotto
della soglia della porta, dentro il fossato
e contro la
cortina
muraria; in quest’ultimo caso il vano della porta viene chiuso barricandone i soli battenti o la saracinesca.
Nella maggior parte dei casi il ponte levatoio serve a valicare il fossato realizzato intorno al complesso difensivo, ma poiché spesso non è in grado, in virtù delle sole citate dimensioni, di offrire lunghezza sufficiente a raggiungere con un’unica campata la riva opposta, solitamente poggia le estremità libere su una traversa intermedia, parallela alla porta e detta “battiponte”, che consente di raggiungere la sponda con una o più campate di ponte fisso (in muratura o in legno) che, al momento dell’attacco nemico, si possono smontare facilmente o addirittura distruggere con tiri praticati dalle bertesche soprastanti l’entrata del castello.
Esempi
La deperibilità del materiale con cui per secoli è stato
realizzato e l’esposizione diretta ed immediata all’attacco nemico cui è
sempre stato soggetto hanno reso il ponte
levatoio un elemento difensivo difficile da conservare allo stato integro.
Tuttavia laddove si conserva quasi intatto o ben restaurato, come nel castello
di Romena (figg. 1
e 7-9), presso
Pratovecchio (Firenze), nel Castelvecchio di Verona (1354-75) (fig.
6), a Sirmione (figg.
3-5), sul lago di Garda (castello,
questo, costruito nel 1259 su resti romani), o ancora nella rocca marchigiana trecentesca di
Gradara, è difficile non avvertire il fascino della sua presenza.
Nonostante tali sporadici casi, spesso - come nei castelli toscani
di Strozzavolpe (figg. 10-11)
e Scarlino (figg. 12-13); in quello trentino di Ivano
(figg.
15-16); in quello svizzero di Bellinzona
(fig. 14); in quelli di Fano
(figg. 17-18) e Dozza
(figg. 19-21): ma sono
solo alcuni tra i possibili esempi - sono osservabili tracce della sua struttura e dell’elaborato apparato di carrucole,
pesi e contrappesi necessario al suo efficiente funzionamento; in altri casi
sono oggi visibili soltanto anonimi indizi, per cui non resta
che affidarsi alla descrizione riportata negli antichi documenti.
Clicca su
lle immagini per ingrandirleFigg. 3-6. Nelle prime tre immagini Sirmione (Brescia); nell'ultima il Castelvecchio di Verona.
Figg.
7-9. Castello di Romena (Pratovecchio, Firenze).Figg. 10-13. Nelle prime due foto Strozzavolpe, presso Poggibonsi (Siena); nelle altre Scarlino (Grosseto).
Figg. 14-16. Nella prima immagine il castello di Montebello (Bellinzona); nelle altre il castello Ivano (Trento).
Figg.
17-21. Nelle prime due foto Fano, la Rocca Malatestiana; nelle altre Dozza (Bologna).Indicazioni bibliografiche
CASSI RAMELLI A., Dalle caverne ai rifugi blindati. Trenta secoli di architettura militare, Bari 1996.
Schmiedt
G., Città
e fortificazioni nei rilievi aerofotografici,
in Storia d’Italia, a cura di R.
Romano e C. Vivanti, Torino 1982, vol. V, Documenti
I.
SETTIA A.A., Castelli e villaggi nell'Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra il IX e XIII secolo, Napoli 1990.
©2002 Ester Lorusso