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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI TERAMO
in sintesi
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Alba Adriatica (torre della Vibrata)
«Nell'attuale territorio di Alba Adriatica si trova la torre della Vibrata, connessa alla storia difensiva di Tortoreto: a causa dell'aumento delle incursioni piratesche durante il XVI secolo, il vicerè di Napoli don Pedro di Toledo ordinò di costruire una serie di torri costiere di avvistamento sulla costa abruzzese nei pressi dei porti e dei fiumi. I lavori per la torre di Tortoreto iniziarono sotto il viceré don Parafan de Ribera nel 1570 e nel 1598 sappiamo, grazie ad un sopralluogo del marchese di Cellenza sulle torri d'Abruzzo, che si rendevano necessarie delle riparazioni al tetto, alla garitta e al deposito di munizioni. Il marchese, divenuto governatore degli Abruzzi proprio quell'anno, mandò una relazione dettagliata, accompagnata da ottimi schizzi, al viceré, conte di Olivares. Si rileva che i militi addetti alla guardia nelle torri, si allontanavano spesso per svolgere altri lavori più redditizi e nemmeno gli uomini addetti al perlustramento notturno adempivano al loro compito, dato che utilizzavano i propri cavalli, provati dalla fatica del lavoro nei campi, che non potevano esser montati troppo a lungo. Per questi motivi, il marchese proponeva di affidare ad uno spagnolo il comando delle torri costiere. Dopo la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), la pirateria diminuì sensibilmente e le torri furono progressivamente abbandonate; sappiamo, però, che la torre della Vibrata svolgeva ancora una funzione militare nel 1762, anno in cui è attestato un torriere caporale. L'architettura è di tipo unico: corpo a forma di tronco di piramide quadrangolare con il lato di base di ca. 10 m; base superiore cinta da muratura guelfa che funzionava come piazzola per l'artiglieria e caditoie aggettanti. La torre della Vibrata è priva di merlatura e permetteva la dislocazione dei cannoni su ogni lato; di recente è stata oggetto di un restauro ed ora ospita un ristorante».
http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index...
«DL'altura era anticamente racchiusa da una cinta muraria che probabilmente doveva essere munita di torrioni quadrati. Della parte più antica della muraglia di difesa ancora oggi possiamo notare le due porte: la Porta da Monte e la Porta da Mare. La prima, forse la principale delle due, guarda a ovest verso i monti Sibillini, i monti della Laga e il Gran Sasso, da ciò il nome. Da essa partiva la strada che, piuttosto scoscesa, portava al “Passo di Ancarano” sul fiume Tronto e conduceva alla via Salaria, edificata sulle vecchie mura carolingie, di cui erano visibili i resti ai due lati di essa, ora coperti da recenti costruzioni. La porta presenta un passaggio ad arco a tutto sesto in laterizio; sono visibili i fori in cui venivano fatte passare le catene del ponte levatoio e beccatelli. Più volte modificata assunse l’aspetto attuale nel 1826. Gli stemmi sono quelli dei vescovi di Ascoli, padroni e signori di Ancarano. Un’iscrizione ricorda l’elevazione a vescovo di Ascoli di Giulio Gabrielli (1642-60) un’altra il rinnovo e l’ampliamento dell’arco di ingresso (1826). Porta da Mare si apre verso levante, dalla parte del mare Adriatico. Ha conservato il suo arco orgivale in blocchi di travertino, due di essi, quelli superiori, vanno sfilati per consentire il transito anche a carichi alti. Gli stipiti sono stati allargati all’altezza dei mozzi delle ruote dei carri. Lo stemma di Pietro sopra l’arco è del vescovo Roverella (1518-52), la lapide sotto di esso ricorda il vescovo Sigismondo Donati (1605-42). Sul lato interno il passaggio ha un arco a tutto sesto con montanti in pietra. Le mura della zona bassa all’interno del passaggio sono eseguiti in conci squadrati disposti in allineamenti regolari. Sulla sommità della porta sono presenti sette beccatelli, sormontati da merli in origine. Tratti del basamento a scarpa dell’antica muraglia sono presenti a Nord e a Ovest del borgo antico. Porta Nuova è stata realizzata nel 1904 in un varco fatto apposta all'interno di un'abitazione privata per dar modo alla conduttura dell'acqua potabile di servire le abitazioni all'interno delle mura antiche. Nel 1905 il passaggio divenne d'uso pubblico così che gli abitanti iniziarono ad usarlo come scorciatoia, anche se era difficile da praticare non essendo stato adibito e sistemato per questo scopo. Nel 1922 viene realizzata l'ampia scalinata, tutt'ora esistente, rimodernata nel 2005 in occasione della sostituzione della tubazione che l'aveva generata nel 1904».
http://www.unionecomunivalvibrata.it/storia.php?id=11&pag=2
«La torre campanaria faceva parte dell'antica chiesa parrocchiale, esistente già dal XII secolo e intitolata a S. Maria, ed è tutto ciò che rimane dell'intero edificio. Fu restaurata e in gran parte ricostruita dopo il terremoto del 1703. La torre è eseguita in laterizio con ammorsature di blocchi ben squadrati agli spigoli. Dell'edificio antico restano, rimessi in opera come conci di ammorsatura, tre blocchi di pietra bianca scolpiti con un motivo simmetrico di volute d'acanto ai lati di un calice centrale desinenti in protomi di mostri marini dalle pinne palmate. I tre blocchi sono posti alla stessa altezza a racchiudere i due lati di uno spigolo: su un fianco è un blocco intero di con il motivo al completo; sull'altro sono invece i due blocchi terminali del motivo con calice scolpito soltanto per metà. L'esecuzione è di buon livello, le forme corpose e fluide, gli steli delle volute l'acanto rotondi e lisci. Una serie di forellini segna le pupille degli occhi e crea qui e là stacchi d'ombra sulle punte delle foglie che racchiudono i corpi anguiformi dei draghi marini. Se il fregio faceva parte della decorazione dell'antica chiesa di S. Maria, esso è con buona probabilità una preziosa testimonianza dell'arredo del monumento in epoca tardo quattrocentesca. Sulla torre sono rimessi in opera anche altri pezzi dell'arredo di quest'epoca della diruta parrocchiale: un blocco di trabeazione con testa d'angelo alata; una cornice di edicola a volute con rosette e foglie d'acanto sul coronamento; una testina giovanile poco leggibile. In una tamponatura è un frammento di un'epigrafe».
http://www.unionecomunivalvibrata.it/storia.php?id=11&pag=2
Arsita (torrione e altri resti del castello di Bacucco)
«Posto a circa 30 km a sud di
Teramo, le sue origini risalgono al periodo preromano (come testimoniano i
ritrovamenti archeologici effettuati nel 1985: tombe, corredi e monili
vari), ma la sua attuale configurazione urbanistica la si può far risalire
al tardo medioevo-inizio rinascimento. ... Il territorio di Arsita segnava,
nel periodo italico, il confine tra il territorio dei Vestini e quello dei
Petruzi (“Petruzi” è il nome da cui deriva l’attuale nome “Abruzzo”); lo
stesso nome del Fiume Fino, nella terminologia alto-medievale, era indicato
come “In Fluvio Fine” cioè “fiume” del confine. Il centro storico si
sviluppa a partire dal cosiddetto “castello Bacucco”, di cui sopravvivono
alcuni resti sulla piccola collina ad ovest, per poi estendersi verso est
lungo la strada principale denominata Corso Vittorio Emanuele. Fino agli
inizi del secolo, infatti, Arsita era chiamata Bacucco, termine utilizzato
ancora nel dialetto locale, che secondo alcuni significa "castelletto" o
"insediamento di capanne di frasche", mentre secondo altre fonti potrebbe
derivare dalla sua forma ovale ("quasi un bel cucco"), oppure dal dio Bacco,
oppure dall'arabo bakok o burqu, panno che si avvolge sulla
testa e sul volto. A partire dal XI secolo, tuttavia, accanto a Bacucco
comincia a comparire anche il nome di Arsita, che indica un luogo arso o
bruciato: si tratta di un documento relativo alla cessione di tre castelli,
tra cui Bacucco ed Arsita, al monastero di Montecassino (1085).
Nel 1173 Oderisio di Bisento otteneva, dal re Guglielmo in Penne, il feudo
di Bacucco. Nel 1273 furono citati Bacuccum e Arsita cum Podio
nel diploma concesso ad Alife da Carlo I D'Angiò, Nel 1281 la Signoria di
Bacucco risulta essere possesso di Riccardo Acquaviva d’Aragona, mentre le
decime vaticane del 1324 parlano sia di Bacucco sia della ecclesia S.
Iohannis de Arsita. Come si evince dai documenti, i due insediamenti
dovevano essere vicini e, forse, complementari: il primo corrispondeva
all'incastellamento attuale, mentre il secondo coincideva probabilmente con
la cosiddetta "Cima della Rocca" (quota 923), su un precedente centro
italico dei Vestini, e con la sottostante Chiesa di San Giovanni, che si
trova sul "Colle di San Giovanni" ad un'altitudine di 729 m s.l.m.
All'insediamento di Bacucco apparteneva nel Rinascimento anche la vicina
Roccafinadamo (Rocca Filiorum Adami), sopravvivenza della vecchia
Arsita. Successivamente, passò in dominio di Alessandro Sforza e nel 1474 fu
inserita nel demanio reale, ottenendo privilegi propri delle terre
demaniali. Nel 1481 il re Ferdinando donò la terra di Bacucco all’Università
di Civiltà di Penne, confermando la donazione fatta da suo figlio Alfonso di
Calabria, quale ricompensa per i danni subiti per essere stata fedele al Re
delle Due Sicilie. Nel 1507 fu posseduta da Cola Gentile. Nel 1600 fu
dominata dalla famiglia di Ranuccio Farnese; a quest’ultimo succedette nel
1623 il figlio Odoardo, che entrò in possesso dei feudi appartenenti al re
delle due Sicilie. Infine, di Bacucco fu possessore nel 1669 il duca di
Parma, il quale aveva nel territorio diverse case. ... Il nome di Bacucco fu
cambiato nell'attuale Arsita nel 1905, in seguito ad una relazione del 3
settembre 1905 per Decreto Regio, agli atti del Consiglio Provinciale di
Teramo, che all’epoca, era abitata da circa 48 famiglie. Del piccolo
Castello Bacucco rimangono oggi alcune parti del recinto murario del
XII-XIII secolo, rafforzato da torri ad U e da una torre angolare circolare
posta nel settore nord. Questo complesso fortificato fu ampliato nella
seconda metà del Cinquecento, quando il territorio di Arsita fu incluso
nello Stato Farnesiano d'Abruzzo. In seguito, probabilmente nel '700, esso
fu trasformato in residenza nobiliare, assumendo un aspetto che conserva
ancora oggi, nonostante alcune sue parti si trovino in un grave stato di
abbandono».
http://www.pdr-arsita.bologna.enea.it/il-comune-di-arsita/cenni-storici
Atri (palazzo Ducale Acquaviva)
«Sorto su edifici di età romana (utilizzando anche materiali del Teatro Romano), fu in possesso del Regio Demanio sotto gli Angioioni e gli Aragonesi. Riedificato al tempo del Conte Antonio d’Acquaviva sulla fine del Trecento, venne ristrutturato verso la metà del sec. XVI. Fu la sede del potere civile e militare, vi dimorarono prima il Capitano Regio, quello ducale e poi la stessa famiglia ducale. Nel palazzo Acquaviva oggi possiamo ammirare soltanto qualche copertura di sarcofago ed una natività affrescata di autore incerto ed in stato pessimo. La pittura è posta all’ingresso della gradinata per i sotterranei del palazzo, dove pare vi si trovassero le prigioni e la camera della tortura. Gli stipiti in legno massello delle porte ducali e quel che resta degli arredi furono portati via dalle famiglie Sorricchio e Pretaroli, proprietari successivi. La facciata in grosse e squadrate pietre di travertino, è massiccia ed imponente, con finestre che spiccano dal risalto della trabeazione. Il portone di accentuate proporzioni è rialzato da una lieve gradinata. L’imponente struttura fu distrutta nel 1707 dagli austriaci di Carlo III. I tedeschi spogliarono il palazzo ducale di Atri e Giulianova, sequestrarono lo stato al duca di Gio: Girolamo, che morì a Roma nel 1709. Gli affreschi andarono distrutti e le tele di celebri pittori, come Tiziano ed il Veronese, che aveva un fratello frate in Atri, finirono nei Musei di Kassel e di Monaco. All’interno si apre un vasto cortile, ornato da un largo loggiato di ispirazione romanico-gotica, come mostrano i poderosi e bassi pilastri e la curvatura degli archi tendenti a tutto sesto. L’effetto gotico appare nei quattro archi acuti e nelle slanciate finestre del primo piano. Il salone ducale di rappresentanza (oggi sala del Consiglio Comunale) era ornato con i ritratti di duchi, spiccavano tra di essi le due opere di Tiziano, con le immagini delle principali imprese della famiglia. La cappella ducale aveva le immagini di 10 papi, di 10 cardinali, di B. Rodolfo martire, di S. Luigi Gonzaga. Gli affreschi di Giacomo Farelli (1624-1706) che ornavano le sale con i ritratti e i duchi e duchesse d’Acquaviva, andarono distrutti sin dai primi decenni del secolo scorso, per disinteresse dei reali di Napoli, legittimi proprietari. ... Attualmente il palazzo ospita alcune sale museali, come il Museo Scenografico, contenente le magnifiche scenografie del teatro Comunale, la preziosa Pinacoteca e le pergamene cinquecentesche che ricostruiscono parte della Storia del Centro Italia. ...».
Atri (rocca di Capo d'Atri e altre fortificazioni)
«Porta San Domenico. È
l'unica delle sette porte cittadine ad essere ancora in piedi e prende nome
dalla chiesa di San Giovanni Battista detta di San Domenico, a cui è
annessa. Fu edificata in laterizio tra il 1528 e il 1530 prendendo a modello
la porta trecentesca che sorgeva poco più avanti ed era nota come Porta San
Giovanni o Porta Orientale: infatti l'arco è a sesto acuto. Dalla vecchia
porta vengono anche i grandi conci squadrati della base e lo stemma angioino
sulla parte alta; dalla parte interna, verso la città, troviamo un arco con
volta a botte e una trave lignea degli inizi del Novecento su cui erano
fissati i due pesanti battenti lignei che erano chiusi di notte. Nel XVI
secolo, però, la chiusura avveniva con una grata in ferro che veniva scesa
dall'alto (si notano due vani in cui erano allocati i tiranti delle corde).
Accanto alla porta si notano i resti di un bastione. Nel XIX secolo questa
porta rischiò di essere demolita: nel 1885 il sindaco Antonio Finocchi, che
non apprezzava la qualità artistica della porta e spiegava che le sue
dimensioni non erano sufficienti a smaltire il traffico di merci durante la
festa dell'Assunzione per la fiera boaria che si teneva sull'antistante
Piazzale Maralto, propose la sua demolizione. Per tener conto dei malumori
che sorgevano anche all'interno del Consiglio, il sindaco incaricò due anni
dopo Gaetano Crugnola, capo dell'Ufficio Tecnico Provinciale, di progettare
una nuova porta simile a quella realizzata per Viale Umberto I. La cosa però
si portò per le lunghe perché il progetto della nuova porta non arrivava e
ciò impediva la demolizione, che gli atriani iniziarono a contestare
apertamente. E infatti nel 1895 gli atriani, quando videro lo scempio
compiuto alla medievale Porta Macelli, al cui posto erano state messe due
basse colonne di scarsa qualità, non ne vollero sapere di abbattimento e
nuova porta e si accalcarono, per protesta, a Porta San Domenico. Infine
scadette anche il mandato del Finocchi per cui la porta si salvò ed ancora
oggi è possibile ammirarla.
Rocca di Capo d'Atri. Si trova all'estremità occidentale della città,
in Largo Santo Spirito, e prende nome dal quartiere circostante. La Rocca fu
costruita nel 1392 per volere del viceré degli Abruzzi Luigi di Savoia e fu
restaurata e ingrandita dopo l'assalto degli atriani avvenuto nel 1414. Era
un fortilizio molto potente che, oltre a controllare tutte le fortificazioni
cittadine, permetteva il controllo di tutto il territorio dal Tordino fino
al Pescara; infatti era secondo ad importanza solo a Civitella del Tronto.
Riuscì a respingere molti attacchi nemici, ma nel XVIII secolo, cessate le
sue funzioni, cadde in rovina. Oggi, restaurata, ne rimangono un grande
bastione e un pezzo di mura. Sotto il bastione, su quella che era la casa
del castellano, è stato costruito nel Settecento un palazzetto signorile.
Le mura. Nonostante le gravi distruzioni subite nei tempi passati,
rimangono ancora alcuni tratti di mura. Le tracce più consistenti e integre
si trovano in Viale Gran Sasso, in prossimità della rocca di Capo d'Atri,
dove troviamo tra l'altro tre bastioni e degli archi di rinforzo della
collina. Sulla stessa via troviamo un altro breve tratto di mura, molto più
basse rispetto ad un tempo, dove sono state aperte delle botteghe artigiane,
e ancora, vicino alla Villa Comunale, possiamo riconoscere un bastione
semicircolare nella costruzione di una casa.
Le mura trecentesche. Come già detto, la ricostruzione del 1528
comportò la distruzione delle precedenti mura, ma un tratto delle
fortificazioni medievali rimane ancora lungo Viale del Teatro Romano. Un
tratto molto cadente, coperto da erbacce, si trova al di sotto del mercato
coperto e, nonostante lo sporco, si possono notare tre archi di rinforzo a
sesto acuto. Poco oltre, all'altezza di Palazzo Cicada e addossato alle
strutture del Teatro Romano, si vede un altro tratto caratterizzato dalla
presenza di una bassa torre quadrangolare alla cui base si diparte un
cunicolo che molto probabilmente comunica con la fontana della Stufa,
presente sotto la strada.
Bastione della Villa. In via Domenico Tinozzi, sotto il belvedere
della Villa, vi sono i resti di un bastione che faceva parte della cerchia
muraria duecentesca. Probabilmente aveva accanto la Porta del Poggio e della
Vigna, nota anche come di Mutignano perché rivolta verso l'omonimo borgo. Il
bastione rimase ancora in funzione almeno fino al XVI secolo quando, proprio
nell'area dell'attuale parco pubblico, vi era la residenza vescovile.
Fortificazioni altomedievali. Delle mura di cinta del periodo altomedievale
non rimane più nulla, anche se possiamo ricostruirne un possibile andamento
grazie allArco del Comune (XVI secolo) e allArco dei Francescani (XIV
secolo), che sono stati costruiti sull'area di due porte urbiche.
Muraglione delle Clarisse. A cingere l'orto del convento di Santa
Chiara, nell'area del Belvedere, vi è un lungo e alto muro che, dalla parte
che guarda Viale delle Clarisse, è in laterizio e risale al XV secolo,
mentre sul tratto affacciato in Vico Mariocchi è costituito da grandi
blocchi squadrati di epoca romana, per cui si presuppone che si tratti di
una piccola parte delle fortificazioni della romana Hadria.
Mura ciclopiche. Risalenti, sembra, al VI secolo a.C. (per altri sono
ancora più antiche), appartengono alla Atri picena e sono costituite da
blocchi in pietra di varie dimensioni. Si trovano presso la Fonte della
Strega, poco fuori il centro storico.
Porte demolite. Le porte non più esistenti sono: quelle del circuito
murario duecentesco, tra cui la Porta del Poggio e della Vigna, nota anche,
nei documenti cinquecenteschi, come di Mutignano perché rivolta verso
l'omonimo borgo, che sarà quella a durare più a lungo venendo demolita solo
nel 1570; la Porta dei Cappuccini, poi Porta Umberto I (1885 circa),
distrutta nel 1944; la Porta Macelli, trecentesca, demolita nel 1895; la
Porta di Capo d'Atri (1392), abbattuta negli anni sessanta; la Porta della
Stufa, o di San Pietro, tardo-trecentesca, scomparsa verso il 1850; le porte
di Muralto e di Panice, quattrocentesche, demolite in epoca imprecisata».
http://it.wikipedia.org/wiki/Atri#Fortificazioni
Basciano (porta Penta, torre dell'Orologio, resti del castello o palazzo baronale Barra-Caracciolo)
«L'abitato sorge su un colle in posizione panoramica a destra del fiume Vomano. Esso risulta diviso in due dalla strada di attraversamento del centro urbano: la parte nord-ovest, originaria, ad andamento avvolgente rispetto alla configurazione orografica del sito, e la parte sud-est, moderna, dove appare evidente come la forma urbana sia il risultato di un preciso atto di pianificazione. L'accesso al nucleo originario avviene tramite la porta sud-est, Porta Penta, architettonicamente evidenziata dalla sovrastante torre di S. Giorgio, che immette su via del Torrione. All'interno, nonostante i vuoti di risulta, appare ancora evidente l'originario assetto viario costituito dalla strada di Porta Penta, parallela all'asse di circolazione, e da rua Landi, assi che hanno una semplice funzione distributiva. Nel tessuto architettonico omogeneo, l'elemento emergente è la chiesa di S. Flaviano, prospettante sull'unico slargo originariamente esistente. Nel settore moderno, la grande piazza Vittorio Emanuele rappresenta il nuovo polo della vita sociale ed economica del paese. Lo stato di conservazione del nucleo originario risulta sufficientemente buono grazie alla posizione orografica dell'insediamento. L'edilizia è prevalentemente ottocentesca e moderna, con la sporadica presenza di modeste case più antiche» - «L’insediamento sulla collina di Basciano risale all’epoca longobarda, come attesta la struttura muraria della “Rocca” ed il toponimo “S. Maria de li Bulgari”, che si trova in una pergamena del XIII secolo. ... Sul feudo di Basciano si cominciano ad avere notizie a partire dalla metà del secolo XII, quando figura tra i possedimenti di Oderisio di Collepietro, potente esponente della famiglia dei signori di Pagliara. Si assiste poi alla frammentazione del possedimento che ritroviamo, con alterne vicende, nelle mani di vari nobili: gli Orsini di Roma, Isabella di Bellante, i de Canzano, i de Insula, i de Poyet. Solo nella seconda metà del ‘300 tutte le porzioni del feudo di Basciano saranno riunite nelle mani della famiglia Acquaviva. Agli Acquaviva succederanno, dal 1536, i coniugi napoletani Camillo de Scorciatis e Margherita Caracciolo. “I de Scorciatis - scrive lo storico Berardo Pio – conserveranno l’utile dominio di Basciano fino alla fine del secolo XVII e vi stabiliranno la loro dimora trasformando l’antico castello, ormai inutile in funzione militare, in palazzo signorile e residenza confortevole”. ... Dell’incastellamento medievale non rimane molto, solo l’antico borgo con la porta d’ingresso al recinto murario detta Porta dell’Orologio o di S. Michele, che presenta un arco a tutto sesto (XIV-XV sec.); la sovrastante torre campanaria, con orologio inserito, è databile al settecento. Salendo verso la Porta Penta (oggi demolita come la Porta del Macello) si trova la chiesa di S. Flaviano, impreziosita di recente da un portale con altorilievi bronzei, incastonato nella cornice rinascimentale in travertino decorato da modanature e rosette. La facciata è in laterizio con finestre fortemente strombate e sovrastanti tre pinnacoli piramidali. Nell’interno vi sono affreschi tardo-rinascimentali (la Crocifissione e, forse, Celestino V) e due tele cinquecentesche raffiguranti S. Flaviano e S. Rocco. Salendo ancora si arriva al “Castello baronale”, ora abitazione privata, che conserva le vecchie cantine e i ruderi della torre di guardia. In piazza la chiesa medievale di S. Giacomo, restaurata da poco, presenta delle strutture originarie le sole finestre gotiche. ...».
http://www.comune.basciano.te.it/index.php/storia - http://www.tesoridabruzzo.com/archives/1350
Bellante (borgo fortificato, mura)
«Bellante è centro di interesse archeologico: nella zona sono state rinvenute testimonianze di epoca preistorica. Vi si è trovata inoltre un'iscrizione proto-sabellica del V sec. a.C., il cosiddetto Cippo di Bellante, con una figura centrale che richiama il Guerriero di Capestrano ed è oggi conservata al Museo Nazionale di Napoli. L'area territoriale di Bellante nell'alto Medioevo era ricca di incastellazioni: famoso Castel Troia o Latroia, ove ancor oggi si rinvengono muraglie o reperti di un certo interesse. Dopo essere stata soggetta, nel se. XII, al barone Attone Todino, fu baronia di Gualtieri di Bellante, che nel 1279 si pose alla testa di una alleanza di feudatari contro Carlo II d'Angiò e, nel corso di una breve guerra, distrusse il castello della vicina Ripattoni. Per quanto riguarda quest'ultima, risulta che nel 1316 la sua proprietà era divisa tra Cicco di Acquaviva e Matteo di Canzano. Nel 1353 entrò in possesso del conte napoletano Pietro Salvacossa e nel sec. XVI passò alla famiglia Acquaviva che ne perdette momentaneamente il possesso durante il sec. XVII, a vantaggio dei baroni Diario prima e della famiglia Cattaneo di Genova poi. La proprietà ritornò quindi agli Acquavava che la conservarono fino al 1775. Nel 1820-21, come ricorda espressamente lo storico Niccola Palma, Bellante vide sorgere una fiorente vendita carbonara animata dai fratelli Tattoni. Questi reclutarono numerosi proseliti e fecero del piccolo paese uno dei centri più attivi nel sostenere il Governo costituzionale. Fu così che, dopo la restaurazione, Bellante fu sottoposta a speciale sorveglianza di polizia. Nel dicembre del 1822 vi fu inviato dal vescovo, come predicatore, San Gaspare del Bufalo, il fondatore dei Missionari del Preziosissimo Sangue, che esercitava la speciale missione di convertire gli appartenenti alle sette rivoluzionarie. Il borgo di Bellante è di origine medioevale e vi si conserva un tratto delle antiche mura con un torrione quadrato con porta di accesso al borgno, anticamente fortificato. ... Straordinario il panorama dal Belvedere, donde si spazia sulla Montagna dei Fiori, sul Monte dell'Ascensione nell'ascolano, fino all'Adriatico e, sotto, la vallata del Salinello col paese di Sant'Omero».
http://www.bim-teramo.it/comuni-page.php?comuni=bellante.htm
Bisenti (torre della regina Giovanna)
redazionale
Campli (palazzo ducale Farnese o palazzo del Parlamento)
«Rappresenta uno dei rari esempi di architettura civile medioevale in Abruzzo. è indubbiamente uno degli antichi edifici d'uso civile più interessanti. La sua prima costruzione viene fatta risalire al 1400 e la data del 1520, scolpita su un concio di arenaria incastonato nella facciata, viene comunemente riferita all'epoca di un importante restauro. Su uno dei lati del palazzo di ergeva anticamente una grande torre campanaria, crollata a causa di un violento terremoto. Viene anche detto Palazzo del Parlamento perché vi si riunivano i Capifamiglia chiamati, dal tradizionale suono della campana, a decidere sulle vicende della cittadina. I cronisti dell'epoca riferiscono dell'esistenza di un terzo piano, di cui si sono perse le tracce, nel quale fu allestito il primo teatro d'Abruzzo. La decadenza del palazzo iniziò sotto la dominazione dei francesi, che lo utilizzarono come caserma fin quando alcuni crolli ne minarono la stabilità consigliandone l'abbandono definitivo. L'aspetto attuale, copia fedele di quello originario, gli fu restituito dai restauri del 1888».
http://www.provinciateramo.net/comune.php?id=8
Canzano (torrione merlato, cinta muraria)
«La fondazione di Canzano sembra risalire all'epoca romana: nei suoi pressi furono infatti rinvenuti avanzi di mura, frammenti decorativi architettonici, capitelli e mosaici riferibili a una villa di epoca imperiale. Già nel 1898 era stata rinvenuta una tomba romana con varie monete. Il nome Cansanum appare nel Catalogus Baronum (1150), con riferimento a una proprietà del feudatario Mattaleone. Dal documento si evince inoltre che il paese aveva già una certa estensione, e comprendeva oltre settanta famiglie: era, evidentemente, una delle numerose "incastellazioni", con militi, a guardia della vallata. Nel 1229 il monastero di San Salvatore in Canzano appare come dipendenza del Monastero di San Salvatore Maggiore di Rieti. Per molto tempo la proprietà fu divisa tra i da Canzano e gli Acquaviva. Nel 1316 la lotta tra Cicco di Acquaviva e Matteo di Canzano rese necessario l'intervento del Re Roberto d'Angiò in qualità arbitro. I da Canzano persero progressivamente il loro potere a vantaggio degli Acquaviva che, tuttavia, dovettero dividerlo in seguito con i de Mendoza. Nel 1654, in seguito agli accordi intercorsi, le due famiglie si riservarono alternativamente la competenza della pre-positura di San Salvatore. Luogo fortificato già dell'epoca medioevale, nel se. XVII il castello di Canzano fu parte di una linea difensiva che comprendeva anche Castellalto, Bellante e Sant'Omero. Ancora oggi è conservata la cinta muraria con un torrione merlato, al cui interno si può leggere la data 1472. Due porte, la Porta Nuova e la Porta Madonna, consentono l'ingresso al nucleo antico dell'abitato. Molti palazzi signorili e le case cinquecentesche. Da notare la Casa Taraschi con l'interessante portale settecentesco. Uno stemma settecentesco della famiglia Taraschi appare dipinto in uno dei quadri conservati nella chiesa della Madonna dell'Alno».
http://www.bim-teramo.it/comuni-page.php?comuni=canzano.htm
CASTEL CASTAGNA (torre normanna, borgo)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La fonte scritta più antica che testimonia l’esistenza di Castel Castagna, risale al Catalogus Baronum databile tra il 1150 e il 1168 nel periodo della dominazione normanna. Su questo registro, in cui ogni feudatario doveva dichiarare i suoi possedimenti, risulta che Trasmondo e suo fratello Berardo detenevano il Castellum Castonee. Seguono vari passaggi feudali. Nel 1270 dal Liber donationun Caroli primi risulta che il Castrum Castanee, precedentemente concesso a Raoul d'Iquelon, detto il Normanno e da questi rimesso alla Curia Regia, viene infeudato a Berteraymo de Pugecto. Qualche anno dopo, nel 1273, il re Carlo I d’Angiò assegna Castanea al giustizierato di Abruzzo ultra. La chiesa S. Petri ad Castaniam in Valle Ciliani» è tenuta, nel 1324, a versare la decima alla curia pontificia. Nel 1353 con il matrimonio tra Margherita, contessa di Manoppello, e Napoleone Orsini la Valle Siciliana, entra sotto l’influenza diretta del potente casato romano degli Orsini e Castel Castagna ne segue le sorti fino a quando, nel 1526, viene infeudata nel marchesato degli Alarcón Mendoza. Nel 1526 Castel Castagna conta 51 fuochi, ognuno dei quali rappresenta un nucleo convivente. Nel 1669 Castel Castagna passa sotto l’influenza degli Acquaviva e il duca di Atri viene tassato, come suo possessore, in luogo del marchese della Valle Fernando de Alarcon y Mendoza.Stemma Marchesi Alarcon y Mendoza Nel 1683, in un periodo in cui l’Abruzzo è devastato dal fenomeno del brigantaggio, Castel Castagna è messa a sacco dalle bande di Santuccio, un pericoloso brigante il cui quartier generale è situato a Torricella Sicura. ... Il nucleo abitato conserva alcuni edifici con portali in pietra risalenti ai secoli XIV e XVIII secolo. Di pregevole fattura sono la chiesa di San Pietro Martire e l’abbazia di Santa Maria di Ronzano» - «Monumenti. Torre normanna e Borgo Medievale: Il borgo del XII secolo è caratterizzato da una muratura circolare attorno al centro, tipiche case-mura difensive. La torre è inglobata nelle mura, costruita dai Normanni, ed ha tozza pianta quadrata».
http://www.comunedicastelcastagna.gov.it/territorio/storia - https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Castagna#Monumenti
Castelbasso (borgo fortificato)
«Il torrione sorgeva nel punto più alto dell’antico Castellum vetulum, anche se attualmente non sembra. Bisogna considerare, però, che la strada che gli corre intorno e i terrapieni che la sostengono una volta non c’erano e perciò le alte scarpate che sostenevano il torrione erano quasi la continuazione dei fianchi collinari. Nel secolo XI, come ricordato nel Chronicon Casauriense, Castelbasso era già un vecchio castello con mura di cinta e all’interno edifici e una chiesa. Tutt’intorno c’erano boschi, la cui legna veniva utilizzata per le carbonaie, e poi campagne coltivate a grano e vigneti. In pianura c’era il mulino. Le mura, come in tutti i castelli medioevali, verosimilmente erano alte, verticali e merlate. Successivamente, in seguito all’invenzione delle armi da fuoco, fu necessario adeguare le vecchie fortificazioni per contrastare la forza devastante dell’artiglieria che cominciava ad essere usata nelle battaglie. Questo adeguamento fu fatto a Castelbasso nella seconda metà del ‘400: furono costruite le scarpate, che ancora oggi si vedono, sulle quali si alzavano in verticale le mura. Il torrione era il punto da cui si generavano due mura di cinta che man mano si allargavano lungo il declivio della collina per poi ricongiungersi più in basso, in modo da disegnare il profilo di una goccia. L’inclinazione delle scarpate attutiva l’impatto dei proiettili, mentre il torrione fu ribassato e costruito a forma pentagonale affinché si riducesse la superficie a bersaglio. Le scarpate, in pratica, furono costruite addossate ai fianchi della collina che in tal modo, all’interno del castello, faceva da terrapieno, consentendo loro di arrivare integre, almeno nella parte orientale di Castelbasso, fino a oggi. Nella parte sud e occidentale del paese, dove, a causa del piano discendente del castello, le mura non erano protette dal terrapieno, esse crollarono, probabilmente a causa di un forte terremoto. Avendo così perso la loro funzione difensiva, le mura fecero da fondamenta alle case che vi furono costruite, e sono ancora in piedi, probabilmente nel corso del Seicento.
Via della Portella, corrispondente all’attuale Via XXIV Maggio che è l’unica via carrozzabile di accesso a Castelbasso, una volta era così chiamata perché prendeva il nome da “portella”, piccola porta che si apriva alla base della scarpata del torrione. Il sistema difensivo della Porta Est. Era costituito dalla torre di controguardia, dalla porta di sortita, dal rivellino e dalla torre portaia. La torre di controguardia sorgeva a difesa della porta orientale di Castelbasso. Essa era costruita per attaccare alle spalle gli assalitori che tentavano di sfondare la controporta del rivellino. Alla base della controguardia si apre una porta per la sortita che, attraversando il terrapieno e sbucando all’interno del castello, consentiva le sortite degli assediati. In caso di sfondamento da parte degli assalitori la galleria ch e si apriva verso l’interno della porta poteva essere occlusa facendone precipitare la volta sugli intrusi, che così morivano seppelliti dalla terra. Il rivellino era un dispositivo a difesa della porta principale d’accesso. Vi si apriva l’antiporta per sfondare la quale gli assalitori erano costretti a dare il fianco ai difensori che li colpivano dalle mura (quasi una riproposizione delle porte Scee dell’antica Troia), mentre erano colpiti alle spalle anche dai difensori appostati sulla torre di controguardia. Vi era quindi, ma esiste tuttora, la Porta est (o Marina) che consentiva l’accesso diretto al castello. Era difesa dalla torre portaia alla cui sommità c’erano le caditoie che si aprivano sui beccatelli che a loro volta reggevano i merloni a difesa dei pezzi di artiglieria posti sui bastioni. Dalle caditoie veniva rovesciato sugli assalitori olio bollente o scagliate pietre. Nell’apparato difensivo della porta sono presenti ancora le feritoie arciere che consentivano l’uso di armi da sparo di piccolo calibro.
Casa-torre e seconda linea di difesa. Se gli assalitori riuscivano a entrare nel castello, incontravano ulteriori difese costituite da case-torri (una visibile appena dentro la Porta Est, a destra dell’ex forno pubblico) e da una linea continua di case, che correva parallela alle mura di cinta consentendo ai difensori di asserragliarvisi dentro e così costringer e gli assalitori a snidarli casa per casa. Porta sud. La porta sud è la seconda e meno importante porta d’accesso a Castelbasso. Attualmente è formata da una porta urbica il cui apparato superiore originario probabilmente è crollato e sostituito successivamente con un arco avente funzioni di solo raccordo nella linea interrotta delle mura di cinta. Anche in questa porta sono ancora riconoscibili i resti del rivellino con antiporta. I merli visibili sulla sommità della porta sono stati costruiti in epoca recente e sono del tutto incongrui con il contesto architettonico castelbassese. Piazza delle Mura Rotte. Oggi Piazza Belvedere, una volta Piazza delle Mura Rotte (in tempi più recenti era per tutti semplicemente Le Mura) era così chiamata perché, in modo particolare in questo punto, le mura di cinta erano crollate a causa della mancanza del terrapieno verso l’interno. In questa zona sorgeva probabilmente la “Guardiola”, posto di guardia, nel XVI secolo chiamata anche “torrone”, grossa torre».
http://www.fondazionemenegaz.it/fondazione/wp-content/uploads/2013/04/5-SISTEMA-DIFENSIVOxPDF.pdf
Castelnuovo (borgo fortificato)
«Nel vecchio borgo fortificato di Castelnuovo, oggi frazione di Campli, tra gli impianti urbani più ricchi di significato dell’Abruzzo e tra i più ricchi per quanto riguarda l’architettura, si è ben conservata la porta Orientale. La porta di San Giovanni. Chiamata anche porta “Angioina” o porta di “San Giovanni”, essa venne eretta probabilmente durante il 1300 ed è considerata una delle fortificazioni più interessanti del territorio. L’arco a tutto sesto, con scolpita la fascia ornamentale che ne segue il volgersi, si apre nella massiccia struttura muraria, costruita con la pietra proveniente dalle cave di loanella, che è fiancheggiata dai resti dell’antica cinta fortificata. La struttura si chiude con eleganti archetti del tipo a tre mensole in pietra aggettanti e sagomate a quarto di cerchio, destinati a respingere dall’alto gli assalitori, probabilmente risalenti a una sopraelevazione avvenuta nel Quattrocento. Merlatura Su di essa si inserisce la torre campanaria della vicina chiesa di San Giovanni, costruita verso la fine del XV secolo. Di interesse particolare, sopra la volta dell’arco, risultano le tre insegne angioine, visibilmente rovinate, sulle quali si possono riconoscere i caratteristici gigli. Nella parte esterna l’arco è a sesto acuto ed è munito di una ghiera ornata a palmette, motivo che è replicato sui due capitelli delle imposte».
http://www.inabruzzo.it/castelnuovo-di-campli-te-borgo-fortificato.html - Per ulteriori notizie: http://turismo.egov.regione.abruzzo.it...
Castiglione della Valle (mura, borgo fortificato)
«Epoca: XIV secolo. Stile: Tardo Gotico. Proprietà e destinazione d'uso: bene pubblico. Stato di conservazione: sono conservate solo in brevi tratti. Tecnica costruttiva: pietre e ciottolame. è una cortina di mura che si staglia lungo l'intero perimetro del borgo, è contraffortata su tre lati con un basamento a scarpa. Furono costruite con grosse pietre irregolari e ciottolame legati con malta, pietre più grandi e meglio squadrate usate a rafforzare gli spigoli».
http://www.galappenninoteramano.it/turismo/architettura/...
Castilenti (palazzo De Sterlich, borgo)
«Agli estremi confini della provincia teramana, Castilenti sorge nella vallata del fiume Fino. Le sue origini risalgono senz’altro all’età del ferro, come testimoniano i resti di un’antica necropoli del V-VI secolo a. C. scoperti in località “Casabianca” e di un centro forticato italico sul Colle Silvino, detto anche “La Fortezza”. In epoca medievale, il paese fu conteso tra le famiglie emergenti della nobiltà locale, almeno fino a quando divenne dominio dei marchesi "De Sterlich" che qui costruirono un Palazzo inglobando i resti di una struttura fortificata. Tra i tanti luoghi d'interesse spiccano l’antico convento di Monte Uliveto e l'annessa Chiesa di Santa Maria, risalenti al 1600. La Chiesa presenta un bel soffitto ligneo dipinto e sulle pareti affreschi del pittore Sebastiano Majewsky. All'esterno ha un atrio formato da tre grandi archi a tutto sesto con un portale decorato da una lunetta affrescata».
http://turismo.provincia.teramo.it/il-territorio/i-comuni/castilenti/?searchterm=castilenti
«La possente torre cilindrica in laterizio, tipica costruzione della fascia costiera marchigiana, insieme ad un esiguo tratto di mura e ai resti di un altro torrione, costituisce quanto si è conservato della cinta muraria del borgo. Il possente torrione cilindrico è privo di scarpa e presenta successivi ricorsi di buche pontaie con archibugiera e arciera. Caratteristico è l'apparato a sporgere costituito da lunghi beccatelli ad archetti a sesto ribassato. Conclude la struttura una possente merlatura di tipo ghibellino, realizzata però nel corso del XX secolo. Il torrione appartiene completamente alla tipologia dei bastioni d'angolo: l'altezza non troppo pronunciata, la pianta circolare, la mancanza di scarpatura, le caditoie su alti beccatelli, sono tutti elementi che datano al secolo XIV la costruzione della torre. Tratti di un'altra torre di difesa sono riconoscibili nel campanile della chiesa di Santa Maria la Nova che ingloba nel basamento una torre quadrangolare».
http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index...
Civitella del Tronto (fortezza spagnola)
redazionale
«Ci è solo possibile immaginare oggi l'impressione che avrebbe dato il passeggiare sotto la cinta muraria di Controguerra. Poco si conserva degli edifici che la componevano e molti tratti sono stati inglobati dalle abitazioni che nei secoli avevano rimpiazzato gli ormai obsoleti sistemi difensivi medievali. Se ne può seguire vagamente l'andamento sulla pianta dell'abitato e si intuisce che probabilmente avesse una forma a mandorla con la punta rivolta verso il torrione, dove avrebbe potuto sorgere la rocca, fulcro della difesa cittadina. Una torre medievale si affaccia timidamente sul fronte meridionale delle mura tra la Porta Maggiore e il Torrione, riutilizzata più tardi come colombaia e attualmente come abitazione privata».
http://www.habitualtourist.com/cinta_muraria(controguerra)
«Palazzo Ducale. Costuito in epoca rinascimentale a ridosso del Torrione, ha ospitato per secoli i luogotenenti della città di Ascoli e degli Acquaviva. Palazzo Massimi. Noto anche come palazzo Crescenzi, è uno dei palazzi più antichi dell'abitato. Costruito nel XVI secolo ha ospitato in principio la famiglia Massimi, poi è stato adibito a convento fino alla morte dell'ultima suora discendente di Loreto Massimi. Nell'Ottocento è stato acquistato dai Crescenzi, a cui oggi deve il nome con cui è principalmente conosciuto. Palazzo comunale. Oggi sede del Circolo Ricreativo e Culturale Giovani e Anziani di Controguerra e dell'Enoteca comunale, il Palazzo Comunale, costruito nel XVII secolo e più volte restaurato, ha ospitato per secoli il comune di Controguerra e la Guardia Cittadina. Palazzo Plebani-Rossi. Con il suo arco è il palazzo che caratterizza la piazza del paese. Costruito durante la fortificazione dell'abitato nel XVII secolo è stato a lungo residenza dei notabili Plebani, imparentati con i Flaiani, che possedevano un palazzo adiacente al loro, oggi non più esistente. Villa Barcaroli. Sita nelle campagne fuori dall'abitato e immersa tra i vigneti, è una tipica villa rurale italiana, il cui nucleo principale è stato costruito nel XVIII secolo».
https://it.wikipedia.org/wiki/Controguerra#Architetture_civili
«Il torrione, localmente chiamato "Lu turrepò", cioè torre di ponente, in contrapposizione alla torre di Colonnella, che la fronteggia al di là del torrente Vibrata, a controllo dell'intero territorio, fino al mare, venne edificato nel 1370. L'edificio, in muratura continua con volte a botte ribassate, ha subito nei secoli una serie di trasformazioni e di rifacimenti: nella parte superiore, la ripresa muraria appare diversa dal paramento di sottili tipici mattoni teramani che invece caratterizza tutta la torre. Probabilmente in origine la costruzione era più alta, e forse anche merlata, nella logica delle torri di avvistamento e di difesa dell'epoca. Le finestre sono state tutte aperte in epoche posteriori, quando la torre è stata adibita ad ampliamento dell'abitazione ad essa adiacente, che alcune fonti considerano coeva alla torre del Palazzo Ducale degli Acquaviva».
http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index...
Faraone Vecchio (borgo fortificato)
«Faraone, il cui nome è di chiara origine longobarda (“fara” in quella lingua era l’accampamento), è una frazione di Sant’Egidio alla Vibrata (Teramo). è costituita da due parti ben distinte: la più antica è un vero e proprio borgo fortificato di chiara impronta medioevale e prende il nome di Faraone Antico. è ormai disabitata dalla metà degli anni sessanta del secolo scorso e molti dei suoi abitanti hanno dato vita ad un nuovo centro a poca distanza che si snocciola lungo la S.P. 2 che collega Sant’Egidio alla Vibrata con Villa Lempa, cui è stato dato il nome di Faraone Nuovo o, più semplicemente, Faraone. Venne parzialmente danneggiata da un terremoto nel settembre del 1950 e l’accorato interessamento del parroco di allora don Giovanni Reali (1913-1973) fece affluire a Faraone copiosi contributi pubblici che consentirono gradatamente la migrazione nel nuovo sito, con l’abbandono di quello vecchio. Dopo aver attraversato un profondo fossato con un ponticello, al posto del quale un tempo c’era un ponte levatoio, l’ingresso a Faraone Antico è trionfale, attraverso un grande portale ad arco sormontato da una elegante torre merlata. ... Appena sotto, incastonata nel muro restaurato, una pietra logorata dal tempo porta incisa la data del 1467, che è probabilmente la data della costruzione della cinta muraria. Più a sinistra, anche questo rimesso in opera all’atto del restauro, si trova lo stemma in pietra di Generoso Cornacchia di Civitella del Tronto, rappresentato da una torre quadrata sormontata da una cornacchia; di fianco le lettere G e C ed al centro la data 1511. Al di là del portale un’ordinata piazzetta su cui si affaccia la Chiesa di Santa Maria delle Misericordie ed un monolitico edificio munito di contrafforti di sostegno a scarpa, costruiti lì dopo i danni del terremoto del 1950. Nel bel mezzo del paese, in una delle tre strade che lo percorrono su cui si affacciano complessivamente una ventina di edifici, spicca il palazzo dei Baroni Farina, che insieme ai Ranalli ed ai Faragalli furono tra i più importanti proprietari terrieri della zona. Esso aveva ospitato un convento di suore e, al pian terreno, l’asilo; il soffitto del suo piano superiore ancor oggi mostra i bellissimi decori policromi che lo adornavano. Gli altri edifici, dove un tempo erano collocati anche un bar e l‘ufficio postale, sono ormai smozzicati dal tempo e divorati dalla vegetazione. A ridosso della chiesa, parte della casa canonica, che un tempo ha vissuto anche i fasti di un cinema parrocchiale, ha usufruito di interventi di recupero più o meno invasivi ed è oggi abitata da una famiglia. ...».
http://www.paesiteramani.it/paesi/FaraoneAntico.htm (a cura di Francesco Mosca)
Giulianova (mura, torrioni di Porta Napoli e Il Nuovo)
«Pensata come piazzaforte, la Giulianova rinascimentale fu cinta da un quadrilatero inclinato verso il mare, con i lati minori perpendicolari alla linea costiera ed i maggiori allineati lungo i lati del crinale, formato da possenti mura merlate e a scarpa, appoggiate a bastioni circolari e protette da profondi fossati. Il sistema difensivo, certamente una delle parti più meditate del progetto del piano di fondazione urbano, venne realizzato, senza trascurare le componenti estetiche e di rappresentanza, secondo innovativi schemi di strategia militare e con l’utilizzo di complessi calcoli di balistica in aderenza alle esigenze imposte dall’utilizzo della polvere da sparo, una pratica più indiretta basata sulla distanza e sulla demolizione totale che avrebbe in breve soppiantato i vecchi metodi di assalto. Pertanto, differentemente da quelle medievali, le nuove mura sono più basse, offrendo così un bersaglio più difficile, ma anche più spesse, per resistere ai potenti tiri di bombarda. Grande attenzione fu riservata alla individuazione dei punti più esposti, creando di conseguenza, mediante la realizzazione di torri cilindriche, altrettanti punti di deviazione laterale per le palle di cannone, capaci quindi di scaricare sulla struttura muraria una minima parte della loro potenza distruttiva. Le torri cilindriche, dette anche torrioni, coperte da terrazzi con parapetti merlati, di mezzo cerchio sporgenti dalle linee fortificate, vennero realizzate, oltre che con boccioni di fiume, utilizzando mattoni in laterizio, di lunghezza compresa tra i 27,5 e i 28,5 cm., come per le chiese di S. Flaviano e di S. Anna. Originariamente i baluardi erano otto, quattro agli angoli e quattro al centro dei lati. Il cosiddetto “Bianco”, a nord-est, malauguratamente capitozzato nell’immediato secondo dopoguerra ed oggi, dopo i restauri, sede del Museo archeologico, era il più alto e insieme con altre fabbriche delimitate da particolari recinti formava quello che forse doveva essere l’estremo rifugio del feudatario in caso di invasione, la Rocca, ricordata nella denominazione della via sottostante. Dei torrioni più piccoli, uno, posto al centro della cinta orientale, quasi a sfidare il mare dal salto di quota, era parte integrante della residenza ducale degli Acquaviva; un secondo, disposto nel punto medio della cinta meridionale, già nella seconda metà del Cinquecento venne inglobato nel convento dei “Cordigheri” o Frati minori conventuali e perciò chiamato di S. Francesco.
Più volte interessata, a partire almeno dal 1576, da lavori di ristrutturazione, la cinta muraria assolve per tutto il corso del ‘600 e per parte del secolo successivo al suo compito fino a quando anche Giulianova, al pari degli altri centri fortificati abruzzesi, smarrisce la propria destinazione militare enfatizzando il rapporto col territorio. Negli anni Trenta dell’800 sia le mura che i torrioni risultano ancora esistenti, ma già un cinquantennio dopo, come indica una planimetria del 1881-82, degli antichi baluardi residuano solo il “Bianco”, un torrione intermedio della ex cinta muraria occidentale, lungo l’attuale via del Popolo, e, nell’angolo sud-est il torrione di Porta Napoli, ora ridotto quasi alla metà della circonferenza primitiva e che si spera possa venire acquisito dall’amministrazione comunale. Quindi il torrione inserito nel complesso del palazzo ducale, ancora esistente, e infine, nell’estremo lato nord-est, il torrione inglobato nel palazzo Re che, pur avendo perso a causa delle manomissioni sia il parapetto che i merli, conserva ancora gli archetti del cornicione aggettante e la cupola all’interno. Sorte peggiore verrà riservata alla cinta muraria. Un primo intervento sulla maglia storica venne infatti avviato già nel 1846, quando il Decurionato, su proposta di Giovanbattista De Luca, dispose la eliminazione di un tratto in rovina delle mura in prossimità dell’ex convento cinquecentesco dei “Cordigheri”, soppresso in età napoleonica, per creare il terzo varco di accesso urbano, la Porta S. Francesco o S. Antonio, dal nome della omonima chiesa attigua all’edificio conventuale. E dopo l’Unità, nel 1867, nella stessa area un residuo tratto delle fortificazioni meridionali sarebbe stato sacrificato per consentire la costruzione del palazzo e portico de’ Bartolomei, latistante piazza Belvedere, oggi della Libertà, nuovo nodo urbano della città. Ma sarà a partire dai primi anni settanta dell’Ottocento che il tendenziale processo di espansione dell’abitato assumerà più decisi caratteri. In un decennio, tra il 1871 e il 1881, la popolazione di Giulianova passa da 4781 a 5891 residenti, con una densità, tra le più alte della provincia, di 215,78 abitanti per chilometro quadrato. È dunque riconducibile alla forte pressione demografica, e quindi alla necessità di dilatare gli spazi di insediamento, il debordare della città oltre le cadenti mura quattrocentesche: una espansione che come logico corollario avrebbe importato anche la riorganizzazione della rete viaria. ...».
http://www.giulianovaweb.it/guida/37.htm
Giulianova (torre del Salinello)
«Il caratteristico torrione costiero del Salinello, situato sulla statale Adriatica nelle vicinanze del borgo di Giulianova, risulta estremamente interessante perché è una delle poche torri costiere che si sono conservate nella zona. Tutte appartengono al grande piano di difesa che fu progettato, e solo parzialmente realizzato, durante il viceregno di Napoli, in modo particolare durante il vicereame del duca d’Alcalà, Parsifan de Ribera, a difesa della costa dai pirati turchi mussulmani La Torre del Salinello, risalente al 1568, dal punto di vista dell’architettura e della costruzione di fatto si presenta come una peculiare torre costiera del viceregno, con la base di forma quadrata; la costruzione di mattoni, a forma di tronco piramidale, termina con una struttura sporgente che viene sorretta da quattro piccole mensole che presentano tre aperture per lato, da cui si venivano scagliati contro il nemico sassi o altro. Dopo una accurata manutenzione che fu eseguita nel 1920, la torre è scivolata progressivamente in uno stato di totale trascuratezza finché negli anni ’90 gli attuali proprietari l’hanno perfettamente restaurata riportandola a nuova funzionalità. Nel territorio del comune di Giulianova sono presenti anche i resti di una seconda torre costiera, la Torre de Tordino, risalente al 1568, che è situata sulla sinistra dell’omonimo torrente e che probabilmente venne distrutta da uno straripamento agli inizi del XIX secolo. Tutte e due le torri erano in comunicazione visiva con i limitrofi torrioni costieri dell’Abruzzo Ultra».
http://www.inabruzzo.it/giulianova-te-torre-costiera.html
Giulianova (torre del Tordino)
«1568: aggiudicata la costruzione da Salazar a Vasto. 1578: distrutta dalle acque del fiume. Incriminati i costruttori Tavoldino. ... "... questa 12a torre detta di Tordino quadrata in territorio di Giulianova, sta vicino il fiume di detto nome, e distante dalla Torre di Humano verso Puglia miglia cinque, e verso Abruzzo dalla Torre di Salinella miglia uno e mezzo. È ben collocata di buona fabrica, guarda il fiume di detto nome vicino detta torre. Ha corrispondenza con la retta Torre di Humano della Librata medesimamente verso Abruzzo, V'è un pezzotto di ferro e due archibuggi del Caporale, v'è necessario un falconetto per guardare detto fiume, perché il pezzo v'è non guarda bene, ed è verso alla cordala, vi bisogna anco un masco per dar segno. Vi bisogna una scala che ci vorrà di spesa carlini sette ... ". (Gambacorta). Indicata dalla cartografia antica e dai documenti, la torre era tipica del periodo vicereale, a base quadrata, corpo tronco-piramidale con tre caditoie per lato. Il Pasanisi ne riporta le dimensioni della base di "5 canne". L'interno era suddiviso in due ambienti sovrapposti, entrambi coperti con volte a botte. Oggi la torre è visibile e in maniera difficoltosa, solo nei ruderi delle sue fondazioni. I resti sono quelli della muratura interna del basamento in ciottoli e legante molto resistente e un breve tratto del paramento verticale sempre della fondazione, verso il fiume. Nel riempimento si vede anche qualche mattone posato alla rinfusa».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/abruzzo_tordino.htm
Isola del Gran Sasso (castello dell'Insula)
«Isola del Gran Sasso, a 30 km da Teramo, si posiziona sulle pendici nord-orientali del massiccio del Gran Sasso, a 415 m s.l.m., tra il fiume Mavone e il torrente Ruzzo, primi sbarramenti naturali difensivi. L'antico borgo era cinto anticamente da una cerchia muraria di cui sono ancora visibili alcuni tratti anche se inglobati in più tardi edifici ad uso abitativo. La fortificazione era realizzata in muratura di pietrame e ciottoli di fiume legati da poca malta e, quando ancora se ne possono ravvisare gli elementi interni, presenta volte a botte e a crociera. Tratti della fortificazione sono visibili lungo via degli Abruzzi, dove sopravvivono elementi di architetture fortificate con basamento a scarpa ad andamento inclinato e scarsi resti dell'alzato nel quale si inseriscono edifici ad uso abitativo ottocenteschi e moderni. Da questa parte della cinta fortificata si apriva una delle porte del castrum, la porta Canapina. Lungo il perimetro esterno orientale, sulla sponda destra del Mavone è ugualmente presente il basamento a scarpa mentre gli alzati appaiono adattati ad abitazione successivamente (XV sec.). Su un avancorpo a torre è un loggiato con archi a tutto sesto, che fa da elementi di raccordo per gli ambienti di abitazione laterali. Ad esso se ne sovrappone un secondo certamente posteriore. Sul corpo di fabbrica più arretrato si apriva una bella bifora con archetti trilobi e occhione centrale, asportata di recente. Una parte di questo complesso è oggi coperta da costruzioni moderne, ma era ancora in vista alla fine dell'Ottocento. Sul retro del complesso, alla via Mezzanotte è visibile uno degli ingressi, ad arco ogivale, con, nella chiave d'arco, uno stemma datato 1461, e al di sopra una bella bifora ad archi trilobi ed occhione centrale. Essa richiama la bifora della cinta fortificata di Castel Castagna e quella più elaborata di Tossicia, di chiara ispirazione veneta. Lungo la via Roma si apre, in una possente torre difensiva rimaneggiata, la Porta del Torrione con arco a tutto sesto, presso la quale sorge la chiesa di S. Massimo, le cui strutture hanno inglobato i tratti della preesistente cinta fortificata. L'inserimento di una chiesa lungo una cinta muraria è riscontrabile anche a Civitella del Tronto. Nel tempo, numerosi sono stati gli interventi sui tratti superstiti della cinta muraria. Molto interessante risulta ancora oggi lo schema urbanistico del borgo medievale che è organizzato secondo percorsi ortogonali ove quelli longitudinali, rispetto alla porta d'ingresso occidentale, rappresentano i principali, importanza dovuta, oltre alla forma della parte superiore della rupe, anche dalla necessità di orientare l'impianto secondo il miglior grado di solarizzazione dei percorsi interni. L'impianto risulta molto compatto nel suo insieme e ciò è dovuto al limitato spazio che esso ha avuto a disposizione, ma nonostante questa difficoltà di ordine naturale che poi costituiva l'aspetto difensivo dell'insieme, esso risulta estremamente ordinato, caratteristica questa che, secondo lo Stuard, può essere stata originata da una precedente tessitura organizzata secondo il tipico schema del castrum. Il borgo conserva nel suo interno molti dei tratti del periodo medievale e in particolare in alcune abitazioni ove sono ancora leggibili le forme architettoniche di quell'epoca. Nel borgo si stanno operando diverse e inopportune radicali trasformazioni. ...».
http://turismo.egov.regione.abruzzo.it/web/guest/scopriabruzzo/arteestoria/castelloisolagransasso
Isola del Gran Sasso (ruderi del castello di Pagliara)
«A pochi chilometri dal borgo di Isola del Gran Sasso, in provincia de L’Aquila, in Abruzzo, circondato dallo splendido scenario naturale del massiccio roccioso del Gran Sasso, a circa 1000 metri di altitudine, si trovano i ruderi di quello che era il castello di Pagliara. Non ci sono state tramandate molte notizie certe sulla storia del castello. Il suo primo impianto sarebbe stato realizzato durante il IX secolo. Per molti secoli la fortificazione è stata un possedimento della nobile famiglia dei conti di Pagliara o di Collepietro, tra i cui illustri personaggi spicca san Berardo di Pagliara, vescovo di Teramo dal 1116 al 1122, che ebbe i suoi natali proprio all’interno del castello di famiglia. Dal Catalogus Baronum, antico documento redatto dai normanni verso la metà del XII secolo dopo la loro conquista dell’Italia meridionale, che riportava la lista di tutti i vassalli e dei loro possedimenti, risulta che Oderisio di Collepietro era il signore di Palearia, da cui derivò il nome di Pagliara. Nel 1248 papa Innocenzo IV confermò il possesso di tutti i beni,già precedentemente concessi alla famiglia Pagliara dal re di Sicilia, a Gualtiero de Palearia, conte di Manoppello, cancelliere del Regno di Sicilia, nominato poi anche vescovo. Tra i possedimenti erano compresi, tra gli altri, il borgo di Isola del gran Sasso ed il castello di Pagliara.
Tra le ultime informazioni che ci sono giunte sul castello di Pagliara, una, dell’archivio vescovile della città di Teramo, ne documenta la nomina come “comitissa Paleareae” della marchesa Della Valle nell’anno 1774. Il feudo vide il suo passaggio, poco più in là nel tempo, nelle mani della famiglia dei principi di Torella, i Caracciolo. Della struttura originale altomedioevale del castello oggi rimane ben poca cosa. Tra i ruderi della vecchia fortificazione, rappresentati da grossi blocchi di roccia calcarea, sono visibili parti di antiche torri circolari. Il castello aveva una forma allungata e dominava l’intera vallata. Si confonde tra i ruderi del castello la chiesetta di Santa Maria di Pagliara, S. Mariae de Palearia, probabilmente costruita intorno al XII secolo, le cui prime notizie documentate della sua esistenza risalgono nelle decime, tributi esistenti fin dall’antichità, dell’anno 1324. La chiesa, che venne ristrutturata nel 1825 da un certo “Frà Nicola”, a tutt’oggi risulta lesionata e sorretta da imponenti impalcature. L’escursione al castello di Pagliara rappresenta una affascinante passeggiata tra vedute mozzafiato, circondati da un ambiente incontaminato, ricco di specie sia animali che vegetali. Nella nostra uscita abbiamo incontrato una famiglia di cinghiali ed una di volpi, entrambe con cuccioli al seguito. Ci sono diversi modi per raggiungere il castello. Seguendo l’itinerario scelto da noi si impiega, tra andata ed ritorno, circa un’ora di cammino. Non si incontrano particolari difficoltà nella escursione, che è quindi consigliata a tutti quelli che abbiano un minimo di condizione fisica».
http://www.abruzzando.com/castello-di-pagliara/
Martinsicuro (torre di Carlo V)
«Quella di Martinsicuro è una delle più rappresentative torri costiere d'Abruzzo; situata a breve distanza dal fiume Tronto, è facilmente visibile dalla Statale Adriatica. Chiamata anche "Torre di Carlo V", costituiva la prima di un serrato sistema difensivo di 18 torri costiere, costruito con lo scopo di arginare le continue scorrerie di turchi e nordafricani. A volere la sua costruzione furono, nel 1547, i vicerè spagnoli di Napoli, Alvarez de Toledo e Parafan de Ribeira. Pur essendo parte integrante di tale sistema difensivo abruzzese, le caratteristiche architettoniche della torre di Martinsicuro si distinguono per essere più vicine ai canoni dello stile costiero laziale e campano, rappresentando in tal senso un esempio di rilevante interesse. La costruzione, interamente in laterizio, si imposta su una pianta quadrata, concludendosi con un coronamento aggettante a beccatelli e corrispondenti caditoie sulla parte superiore. La pianta quadrata, l'altezza notevole, la presenza dell'apparato a sporgere su beccatelli sono elementi caratteristici delle torri anteriori al quattrocento, mentre la scarpatura basamentale in pietra sposterebbe la datazione a dopo l'avvento delle armi da fuoco. Manca la merlatura, quasi sicuramente sostituita in epoca più recente da una copertura a tetto a due falde. Le finestre, l'edicola, la feritoia cannoniera, risalgono alla metà del XVI secolo, ma potrebbero essere aggiunte posteriori alla costruzione della torre o trasformazioni delle feritoie, quando la torre perse il carattere strettamente ossidionale e fu adattata a residenza di un certo tono. Il prospetto orientato verso il mare è quello più riccamente decorato, presentando, oltre alle finestre con cornici lapidee, un'edicola sorretta da due grosse mensole, con tracce di un'iscrizione dedicatoria, sull'architrave e sulla base, e l'emblema dell'Imperatore Carlo V caratterizzato dall'aquila bicipite. Due cornici marcapiano in pietra scandiscono inoltre l'intero torrione. All'interno sono ancora visibili gli stemmi gentilizi di Carlo V, supremo committente della fortezza. Un ulteriore carattere architettonico che rende la struttura difensiva di Martinsicuro piuttosto inusuale nel suo genere è la presenza di un edificio adiacente la torre, da ricondursi alla supplementare funzione di dogana e di luogo di rappresentanza che esso doveva svolgere. Tra il primo piano di questa ex casa doganale e la torre esiste un comodo collegamento. La muratura a doppia cortina di mattoni con riempitura di ciottoli e calce, con i ricorsi dei fori pontaioli, è di ottima fattura, ma non fornisce elementi per una datazione più certa, dato che questo sistema costruttivo nel teramano è in uso per lungo tempo. Sul torrione fu rinvenuta una lapide, ora scomparsa, posta nel 1547, cioè ai tempi di Carlo V, in cui era scritto: "CAROLUS V ROMANORUM IMPERATOR ANNO DOM. MDXLVII AD BONORUM SECURITATEM REORUMQUE VINDICTAM ILLUS D. PETRUS DE TOLEDO VICEREX ET CAPITANEUS GENERALIS MAGNIFICO MARTINO SEGURO AUCTORI ERIGI ET CUSTODIRI MANDAVIT". Attualmente le stanze della casa doganale ospitano il Centro di Educazione Ambientale Scuola Blu di Lega Ambiente».
http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index...
Montefino (fortezza degli Acquaviva o "Castello di Corte")
«La prima menzione medievale del paese è di eta normanna, 1150-1167, con la menzione di un castellum della Contea di Penne, Montis Sicci, feudo di mezzo milite (circa 65 abitanti) tenuto da Trasmondo di Colle Madii per conto del Conte Roberto di Aprutio (Catal. Bar., 1064, 1066). L'incastellamento di Montefino viene poi citato, come Mons siccus, nel diploma di Carlo I d'Angiò del 1273 (Far., 77). Successivamente, nel 1454, Mons Siccus diventa feudo degli Acquaviva, feudatari che restaurano le fortificazioni murarie e curano le quattro chiese citate in documenti dell'epoca. Nell'anno 1506 Montesecco è citato fra i possessi del vescovato di Teramo, mentre nel secolo XVII abbiamo un documento in cui si cita Monte Secco e una vicina contrada detta "La Villa Bozza". Attualmente Montefino conserva l'impianto delle fortificazioni medievali, strutturate in forma di castellorecinto su pendio del XIV secolo, anche se ristrutturate soprattutto nel XV secolo ad opera degli Acquaviva. Nella parte alta è la cosiddetta Fortezza o "Castello di Corte", che presenta strutture relative ad una torrecintata trecentesca con resti della torre a pianta quadrata, scarpata alla base e con spesse mura in opera incerta medievale composto da pietrame di arenaria legato da malta pozzolanica mista a frammenti di tegole: in essa è riconoscibile, come impianto, il Montis Sicci di età normanna. Sotto La Fortezza si sviluppa, su terrazze, il borgo medievale, comprendente il Castello degli Acquaviva e la chiesa di S. Giacomo: esso in passato aveva mura simili a quelle della Fortezza (in opera incerta legata da malta pozzolanica) e due porte, "Porta Guardiola" e Porta do Piedi". Della prima, che doveva aprirsi nella Piazza del Carmine, non rimane nulla, della seconda, detta anche "Il Portone", rimane il varco d'ingresso con arco superiore e, sulla destra, la data 1768. Discretamente conservato è il Castello degli Acquaviva, posto sul versante est del borgo, che mantiene gran parte dell'impianto originario del tardo quattrocento con torrione angolare cilindrico, simile a quello di Cellino Attanasio, dotato di apparato a sporgere con loggiato superiore trasformato in terrazza negli anni' 50: si notano in particolare due muri di rinforzo (scarponi) creati nel 1734 dopo il terremoto precedente del 1707. Nel Castello era presente la torre centrale cilindrica (dongione), torre che, danneggiata da un terremoto nei primi anni Trenta, fu demolita nel 1933».
Montegualtieri (torre triangolare)
redazionale
Montepagano (borgo fortificato, torre)
«Della fortificazione dell'antico borgo di Montepagano rimane solo la torre in esame. Inglobata fra le costruzioni che si sono sostituite nel corso dei secoli all'antica cinta difensiva, la torre, databile al XIV secolo, è nata come torre di fiancheggiamento ed appartiene probabilmente alla cinta più antica, anteriore all'ampliamento del borgo verso sud-est. La muratura continua è mista di ciottoli e mattoni, tipica dell'area teramana nei secoli XIV e XV, e presenta nella base il muro a scarpa».
http://www.regione.abruzzo.it/xCultura...
«Montone è l'unica frazione del Comune di Mosciano Sant'Angelo e dista cinque chilometri dal capoluo go, lungo la strada statale che porta a Giulianova. Unita al Comune di Mosciano S.A. con la riforma del 1806, con R.D. del 19 gennaio 1928, n. 108, si tentò di aggregarla a Giulianova, ma tale decreto non fu mai attuato e, per volere degli stessi montonesi, tornò legalmente al Comune di Mosciano S.A. con R.D. 28 marzo 1929, n. 706. Per quanto riguarda le sue origini nel 1952 furono fatte delle importanti scoperte. Infatti durante i lavori di sistemazione della strada statale 262 Giulianova-Campli, presso il bivio di contrada Maggi, furono rinvenute tombe rivestite in laterizio, contenenti scheletri, oggetti e monete romane del tempo di Augusto. Circa quindici anni fa, durante i lavori di scasso del terreno della famiglia D'Angelo, furono rinvenute delle spille in rame e bronzo, anch'esse d'epoca romana. L'innalzamento della cinta murata di Montone risale intorno al 1390, come afferma il Moretti. Questa ipotesi è convalidata anche dal Perogalli per la presenza dei beccatelli, sconosciuti fino al XIV secolo. Della cinta muraria restano oggi solo tre torri. La maggiore venne eretta nella parte più elevata del borgo, dietro la chiesa di S. Antonio Abate, ed è simile alla torre Acquaviva di Mosciano S.A., ma senza la merlatura. La torre nel suo complesso è rimasta originale, in quanto a differenza di quella di Mosciano non è stata trasformata in campanile. Nella parte Sud della torre, verso la strada che attraversa Montone, è ben visibile un grande sperone della cinta che coronava il borgo. Una seconda torre è posta quasi al centro della parete Sud della cinta, a base quadrata, coronata da un apparato a sporgere, privo di caditoie, con una curiosa merlatura a forma di scaletta. La terza torre, ristrutturata recentemente e riportata allo splendore di un tempo, si trova tra la parte Sud e quella Ovest della cinta, di proprietà della famiglia Folcio-Colangeli, ed è tutta in laterizio con apparato a sporgere sormontata da una copertura in coppi tradizionali».
http://www.comune.mosciano.te.it/index.php?id=72&itemid=1
«Le origini di Morro d'Oro ... probabilmente risalgono all'epoca delle incastellazioni (VIII-X secolo); ma notizie probanti della sua esistenza le abbiamo solo a datare da un documento del 1021, che parla di una donazione fatta da Adelberto de Aprutio in favore del Monastero di Montecassino e in cui compare il tenimento di Muro e si menziona un Castello Veccio. Altri documenti del 1101 e del 1128, in cui compare il termine Murum (o Morrum), testimoniano ulteriormente della sua esistenza. Nel XII secolo il territorio apparteneva a Trasmondo di Castelvecchio; ma dopo il 1200 anche Morro entrò nella zona di influenza degli Acquaviva, come peraltro era avvenuto, o avvenne in seguito, per gli altri paesi limitrofi, da Atri fino al fiume Tronto. Nei secoli successivi le sorti di Morro, naturalmente, si identificarono con quelle della famiglia Acquaviva, sotto la cui giurisdizione rimase fino ai primi del '700. A tutto il 1807, la comunità di Morro fu aggregata amministrativamente a Notaresco; ma con il governo del re di Napoli, Gioacchino Murat, "nel detto anno fu provvisoriamente aggregata a Montepagano; e però già nel 1808 fu resa autonoma, in linea di massima nella configurazione territoriale attuale...". ... Dell'antico castello edificato nel XIV secolo, non rimangono molte tracce. Spicca ancora la torre a pianta quadrata, realizzata in muratura continua con volte a botte e a padiglione, muro a scarpa. Il bastione e la torre appartengono completamente alla tipologia dei manufatti di difesa del XIV- XV secolo dell'area teramana, con la muratura in pietrame rifinita con i sottili mattoni ben connessi tipici di questa zona, e i ricorsi di fori pontaioli non risarciti».
http://www.provinciateramo.net/comune.php?id=30
Mosciano Sant'Angelo (borgo fortificato, altre torri)
«Mosciano Sant’Angelo, situato sulla fiancata a sud della collina tra le vallate dei fiumi Tordino a meridione e Salinello a settentrione, è uno degli esempi più significativi di borghi fortificati dell’Abruzzo. Nonostante ci siano giunte solo pochi resti dell’originario perimetro fortificato e dei torrioni che appartenevano alla cinta muraria, tra i quali spicca la torre Acquaviva, che si è mantenuta in ottimo stato, e che fu utilizzata in seguito come torre campanaria, una delle più attraenti del territorio regionale. Il nucleo originario fu originato da un insediamento dei monaci benedettini durante il IX secolo; il borgo Mosciano, in seguito fortificato, venne costruito attorno alla chiesa e al convento di Sant’Angelo. Dalle molte tracce che si sono conservate e tramite lo studio di carte antiche si è ipotizzata una ricostruzione di come potesse essere l’andamento dell’antica cinta muraria: sette torri, di forme diverse, erano poste ai quattro angoli e al centro di tre lati; mentre sul lato orientale si trovava la porta, visibile tutt’oggi. La torre Cardelli che è stata ristrutturata nel 1925 e la torre Marini, restaurata recentemente, sono di forma pentagonale, così come una terza torre distrutta nel 1935; la torre situata al centro del lato meridionale era presumibilmente similare alla torre Marini, come la torre, ora distrutta, che una volta era situata vicino al palazzo civico. La torre del Belvedere e quella posta in via Meloni si possono ancora riconoscere. La torre Acquaviva, costruita successivamente, si trova nella parte più elevata del borgo sulla sinistra della parte anteriore della chiesa madre e coincide col nucleo delle origini di Mosciano, presso l’odierno Largo del Castello. Essa fu costruita nel 1397 dal monaco benedettino Frate Matteo di Angelo da Morro, che fu preposto della chiesa all’epoca del Duca d’Atri e conte di San Flaviano, Andrea Matteo I Acquaviva, come è ricordato dall’epitaffio posto sulla lapida murata sul lato est dell’imponente torre. ...».
Mosciano Sant'Angelo (torre Acquaviva)
«La torre Acquaviva (1397),
posta sul lato sinistro della facciata della Chiesa Madre, è costruita
interamente con mattoni, è a base quadrata, larga sei metri e alta 28. Gli
spigoli sono rinforzati da blocchi di pietra squadrata fino a quasi metà
altezza e la sommità è coronata da quattro serie di quattro merli di foggia
ghibellina. La sua costruzione, avvenuta dopo quella della cinta muraria,
completava tutto il sistema difensivo, che prima mancava di un adeguato
mezzo d’osservazione lontana e di difesa estrema. La torre infatti,
disponeva, un tempo, di cunicoli segreti. Di questi il più conosciuto è
quello che la collegava alla casa parrocchiale, accessibile fino a pochi
decenni or sono. Dall’alto, essa offre un panorama incantevole
dall’Adriatico al Gran Sasso; da Atri, Castellalto, sino alle valli del
Salinello e della Vibrata, costellate da una fastosa corona di ridenti paesi
e borgate. A circa sei metri da terra è infisso, sulla facciata est della
torre in parola, un bassorilievo in pietra, che reca scolpite figure
simboliche in tre settori sovrapposti. Nel settore superiore troneggia la
figura di S. Michele Arcangelo, con le ali spiegate in tutta la loro
ampiezza, in atto di protezione del paese a cui ha dato il nome nonché alla
Chiesa; il busto dell’angelo poggia su un capitello dorico a triplice ordine
di volute; nella parte intermedia, notansi un drago, simbolo di prudenza
nella famiglia Acquaviva, strettamente associata alla forza, rappresentata -
in basso – dalla figura di un leone rampante con sopracimiero coronato:
l’arme della famiglia stessa.
Secondo lo storico Antinori, il leone rampante, di cui allo stemma posto al
centro, sarebbe quello della famiglia Cantelmi, imparentata con gli
Acquaviva; l’altro (a sinistra di chi guarda) rappresentante uno scudo
traversato da fascia orizzontale con tasselli ornamentali a tutta la
periferia, sarebbe lo stemma della famiglia Tomacelli avendo, Andrea Matteo,
duca di Atri (in onore del quale fu innalzata la torre stessa) sposato
Caterina, nipote di Papa Bonifacio IX; il terzo stemma, una banda diagonale
a tre ordini di tasselli scompartiti a scacchiera, era lo stemma dei S.
Severini (a motivo di Jacopa, ava dello stesso Andrea Matteo). L’Arcangelo
svolge da ciascuna mano, lungo i suoi fianchi, due pergamene nelle quali
sono scolpite le seguenti iscrizioni in caratteri longobardi: (pergamena di
sinistra, guardando) + L’ANNO
MCCCXCVII / PER MISERICORDIA DIVINA DOMINANTE / BONIFACIO IX / E REGNANTE IL
SERENISSIMO RE LADISLAO / RE DI GERUSALEMME, SICILIA E UNGHERIA / E VIVENTE
/ IL CELESTE UOMO ANDREA MATTEO / DI ACQUAVIVA DUCA DI ATRI / E CONTE DI SAN
FLAVIANO - (pergamena di sinistra, guardando)
FECE COSTRUIRE QUESTA TORRE / FRA MATTEO ANGELO DA MORRO /
DELL’ORDINE DI SAN BENEDETTO / PREPOSTO NEL SUMMENZIONATO TEMPO /
DI QUESTA CHIESA DI SANT’ANGELO / IN MUSANO. In seguito
all’ampliamento della chiesa, il mastio, costruito a circa due metri di
distanza, venne accorpato ad essa ed adattato a campanile con apertura di
finestroni ad arco sotto lo sporto. In data imprecisata, molto probabilmente
intorno al XVII secolo, all’interno della torre venne collocato l’orologio
meccanico, tutt’ora esistente».
http://www.comune.mosciano.te.it/index.php?id=55&itemid=7
Nocella (torre dei Melatino)
«All’angolo di Nord-Est della piazza principale di Nocella, frazione di Campli (Teramo) posta a m.431 s.l.m., sorge la svettante Torre del Melatino, che Roberto IV di Melatino fece erigere nel 1394 come torre di avvistamento a difesa del territorio. Si tratta di un grosso parallelepipedo a base quadrata sulla cui parte superiore si aprono monofore e bifore. Successivamente venne utilizzata come torre campanaria dell’adiacente chiesa della Collegiata di S. Mariano, attiva fino al 1814 ed oggi non più esistente. Sulla sua facciata occidentale è incastonato lo stemma dei Melatino, nobile famiglia di Teramo, rappresentato da un albero di melo. Sulla parete che guarda verso la piazza è stato aggiunto in tempi recenti un orologio rotondo a sfere. Sulla parete di una casa che si affaccia sulla stessa piazza è preservata un’antica iscrizione che dice: “A dì 4 maggio 1690 giorno dell’Ascensione memoria delle feli / cissimi sponsalitii del nostro cattolico re delle Spagne Carlo II / Godi pur monarca Ibero / con Marianna regina / si si ben dicendo il vero / Musa achea ancor bambina / che viril prole si godrà dir osa / essendo un mar di gratie Anna tua sposa”. Il riferimento è al giorno del matrimonio di Carlo II (1661-1700) re di Spagna e 5° re di Napoli con Maria Anna di Baviera-Neuburg (1667-1740). Per arrivarci da Teramo, da cui dista circa Km.10 (vedi mappa): si percorre la S.S. 81 per Ascoli Piceno per circa 8 Km. fino alla località Traversa e qui si gira a destra per Campli seguendo la segnaletica stradale. Dopo circa Km.1,5 si incontra il bivio che porta a Nocella».
http://www.paesiteramani.it/Paesi/NocellaTorre.htm (a cura di Francesco Mosca)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La torre di Cerrano è situata a pochi chilometri a sud dell'abitato di Pineto e, immersa nel verde di una pineta, guarda direttamente sul mare. Dalla documentazione esistente possiamo dedurre che l'area su cui la torre venne eretta era quella di un porto attivo sin dall'età dell'antica Roma. La sua era evidentemente una funzione di avvistamento costiero, in un periodo in cui il mare rappresentava una seria minaccia d'invasione per le popolazioni limitrofe. L'edificazione del presidio risale al XVI secolo (alcune fonti parlano del 1490, altre del 1494 come data di fondazione) ed è da ricondursi all'opera di potenziamento difensivo voluta dai viceré spagnoli di Napoli, Alvares di Toledo e Parafan de Ribeira. è ancora facilmente riconoscibile il nucleo originario del complesso, costituito da una torre a tronco di piramide, a pianta quadrata, con apparato a sporgere sorretto da massicci beccatelli terminante con coronamento merlato; di successiva costruzione (inizi XX sec.) è la torretta quadrata superiore, anch'essa coronata da merli. Nei due secoli che seguirono la sua costruzione, la torre appartenne ai marchesi di Cermignano e di Scorrano; agli inizi del '900 venne acquistata dall'ufficiale Filiani, che ne curò la ristrutturazione rispettandone l'originario stile ed aggiungendo la torretta terminale; nel corso degli anni '20 la proprietà passò al marchese De Sterlich, che volle la costruzione del corpo aggiunto sul lato meridionale. La Torre di Cerrano, ulteriormente ampliata con un corpo di fabbrica ad L verso sud-est negli anni 1982-1983, ospita attualmente un importante Laboratorio di Biologia Marina e la sua area è il fulcro del Parco Marino del Cerrano, importante riserva della flora e della fauna marina della costa Adriatica».
http://www.provinciateramo.net/comune.php?id=36
«L'antica torre del Borgo di Ripattoni, la cui funzione originaria era di fiancheggiamento delle mura di difesa del borgo, delle quali non rimangono tracce, si trova attualmente in un mediocre stato di conservazione. La collocazione cronologica dell'edificio, di pianta circolare, per comparazione con strutture analoghe, può essere posta nel XIV secolo. Presenta la muratura di grosso spessore in pietrame di pezzatura molto variabile con le rifiniture in laterizio tipiche dell'area teramana, ma potrebbe anche essere stato edificato in due tempi diversi: il fusto potrebbe far parte di un più antico sistema di difesa (XII secolo?) poi adattato a nuove esigenze difensive. Il coronamento è ottenuto mediante l'impiego di beccatelli di mattoni posti a risega con i ricorsi di fori. Tali elementi si trovano abbastanza di frequente nell'area: sono presenti nella porta di Bellante, nella torre Montone e nella torre di Morro d'oro. Domina incontrastata sul borgo di Ripattoni, la torre quadrangolare che oggi funge da campanile alla chiesetta di Santa Maria de Erulis. L'edificio, nel corso dei secoli, ha subito diversi rimaneggiamenti, specialmente nella parte in basso della scarpatura, di cui forse in origine non era nemmeno provvista. Anche nelle aperture sono riscontrabili delle anomalie: molte oggi sono state rimurate, pertanto non è facile risalire alla struttura originaria. La struttura muraria è tipica del teramano con tessitura in parte in ciottoli grezzi, ma con ammorsature d'angolo e coronamento in sottili mattoni perfettamente connessi. L'apparato a sporgere, ottenuto con beccatelli, più forti nelle zone angolari, permette di assimilare la torre con la porta di Bellante, le due porte, da Monte e da Mare di Ancarano, alla porta est di Castelbasso. Sul lato ovest è presente una grande apertura attualmente incorniciata in travertino, che può corrispondere all'originaria porta di accesso alla torre, nella quale, secondo la consuetudine, si poteva accedere con scale a pioli facilmente retraibile. La collocazione cronologica della torre non è semplice: si suppone la fase di costruzione nel XII secolo, ma probabilmente la struttura è stata portata a compimento nel XIV ed in seguito all'avvento delle armi da fuoco è stata munita di scarpatura».
http://www.provinciateramo.net/comune.php?id=6
San Giorgio (ruderi di Rocca Roseto)
«Nel Medioevo il territorio del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga vive la fase più dinamica ed importante della sua storia. Assistiamo ad uno straordinario proliferare di borghi, complessi monastici, castelli e fortificazioni. è di questo periodo storico la costruzione della Fortezza di Civitella del Tronto da parte dei Borboni, di Castel Manfrino nei pressi di Macchia da Sole da parte di Manfredi di Svevia e di Rocca Roseto in territorio di Crognaleto (Teramo). La Rocca, inaccessibile e perciò inespugnabile, si trova ad una estremità di Piano Roseto a quota di m.1258 s.l.m. e domina paesaggi mozzafiato che vanno dalla catena del Gran Sasso, ai Monti della Laga, fino alla vallata del Vomano ed al mare. La sua edificazione viene fatta risalire alla casa di Svevia e nel XIII secolo fu ristrutturata e potenziata dagli Angioini, non solo per ragioni strategiche, visto che è uno dei punti obbligati di passaggio da Roma all’Adriatico, ma soprattutto per il controllo dei pascoli estivi d’alta quota di Piano Roseto e delle praterie della Laga. La Rocca si presenta fortificata e possente sulla sommità di una collina, con poderose mura a scarpa; dagli abbondanti ruderi ben visibili se ne può ancora desumere la struttura, a pianta centrale. Per arrivarci da Teramo: si percorre la S.S.80 per L’Aquila e si gira a destra all’altezza di Aprati verso Crognaleto; si incontra la Rocca poco prima di giungere al centro abitato di Crognaleto».
http://www.paesiteramani.it/Paesi/RoccaRoseto.htm (a cura di Francesco Mosca)
Sant'Omero (borgo fortificato)
redazionale
SaNT'OMERO (palazzo marchesale dei Mendoza)
«Situato in largo Mendoza, il palazzo è stato in passato ristrutturato. Il palazzetto prende il nome dall’abate don Alvaro Mendoza y Alarçon, signore di Sant’Omero che negli anni 1660-70, volle la sua erezione, anche se la data della costruzione coincide con la signoria in Sant’Omero degli Acquaviva d’Aragona, duchi d’Atri. L’edificio, in laterizio, è articolato in due piani, semplice nella struttura e nello stile; sul lato est è ancora visibile un portico con archi, che immette in un piccolo giardino. Interessante è l’incisione sopra l’architrave del portale: SOLI DEO HONOR ET GLORIA ID - croce - 55, ripreso dalla Prima Lettera di San Paolo Apostolo a Timoteo (cap. 1 verso 1,17), la quale incisione fa pensare che il palazzetto fosse sorto come edificio religioso, anziché politico. Nella descrizione nel suo volume Sant’Omero nella storia Franco Zecchini dice: “Resta ancora il palazzetto del feudatario, costruito in varie epoche, con una loggetta medievale e con una facciata arieggiante il Rinascimento, ma senza alcun pregio architettonico"».
http://www.unionecomunivalvibrata.it
«Nel gennaio 2010, dopo cinque anni di lungo restauro, è stato restituito alla nostra città uno sei suoi più preziosi e antichi “tesori”: Palazzo Melatino, più noto come Casa del Melatino. La storia dell’edificio inizia nel Medioevo ed è strettamente legata all’importante famiglia teramana della quale porta il nome: il casato dei Melatino infatti, di origine longobarda, prese tale cognome dal castello omonimo presso Teramo. Questa località è oggi identificabile con la frazione di Garrano dove ancora esiste la chiesa di S. Maria ad Melatinum (o de Melatino), che riprende nel titolo quello della medioevale abbazia che sorgeva non lontano, nei pressi del maniero della nobile famiglia. I Melatino risiedevano nella suddetta zona fin dal XIII secolo e presero parte agli avvenimenti più significativi della storia della città, ma si estinsero, in quanto gli ultimi discendenti furono delle donne andate in moglie al casato dei Berarducci di Teramo. Lo stemma di famiglia recava nel mezzo un albero di melo; oggi resta ancora un antico esemplare in pietra nella torre di Nocella di Campli, loro feudo. Tra i membri che contribuirono a rendere la casata illustre nella storia del territorio aprutino, possono ricordarsi: il fondatore, Maccabeo, feudatario, Matteo, che fu cavaliere al seguito dell’imperatore Federico II di Svevia, nel XII secolo, ed Enrico, capitano di Campli e ideatore della lotta contro Antonello De Valle, alleato con i duchi Acquaviva di Atri. La Casa del Melatino ha dato il nome al luogo dove sorge: Largo Melatini, identificabile con quello che, in epoca romana, era il foro di Interamnia. Dall’ ubicazione della propria dimora cittadina, si comprende l’importanza avuta anche in epoca medioevale, favorendo in tal modo la ricostruzione e il ripopolamento di Teramo, saccheggiata e bruciata dal conte Roberto di Loretello, tra il 1155 e il 1156. Il Loretello si era infatti ribellato al re normanno Guglielmo I di Sicilia, e Teramo, fedele al sovrano, gli aveva opposto fiera resistenza, venendo però espugnata e subendo una triste sorte. Non si conosce l’anno esatto dell’inizio dei lavori dell’edifico, ma è da ritenersi che il casato si insediò in città nel 1232; la casa fu comunque comprata o costruita da Matteo I Melatino prima del 1236, anno in cui fu rogato un atto notarile nel suo palazzo di Teramo. Sappiamo infatti, di una locazione (contratto di cessione) del vescovo locale Silvestro, datato 22 settembre 1232, proprio a favore di Matteo e di Roberto Della Torre, con l’obbligo di fedeltà al presule stesso e di residenza nella città. L’incendio della devastata Teramo apportò grandi cambiamenti nell’assetto urbanistico.
Il documento in questione sembrerebbe attestare la forte volontà da parte del clero aprutino di ripopolare la città in ogni modo e con ogni mezzo possibile. Come si desume da uno stemma che si trova sulla facciata del palazzo, recante un’iscrizione, ora illeggibile, l’edificio fu ricostruito nel 1372 da Roberto IV Melatino, così come riportato dal Palma. Il fabbricato si sviluppa su tre piani e ha una pianta quadrata; al pianterreno è caratterizzato da volte a crociera e da resti di un antico portico con colonne in muratura, semisepolte, che sostengono delle arcate ogivali. Le finestre hanno un’ impostazione ghibellina (i Melatino erano ghibellini, fedeli politicamente all’imperatore) e mostrano un architrave ad arco acuto. Quattro di esse, che si aprono nella fascia mediana della facciata, sono a forma di bifora, impreziosite da eleganti colonnine divisorie: tre sono tortili e due recano scolpito un serpente con testa antropomorfa di donna che le avvolge, forse una raffigurazione utilizzata in epoca medioevale per demonizzare i peccati sessuali, persino negli edifici religiosi. Oggi dell’intera casa sono visibili solo la facciata anteriore e quella posteriore, compreso il giardino interno: infatti, ai lati del palazzo sono state addossate costruzioni risalenti a periodi successivi. In origine l’edificio era isolato: le cronache storiche riferiscono che, nel corso di una sommossa popolare (1408), fu assediato da tre lati. Il blasone in pietra sopra la porta principale d’ingresso reca l’albero di melo emblema del casato. I vari rifacimenti subiti dalla Casa del Melatino nel corso dei secoli sono testimoniati dalla varietà dei materiali di costruzione utilizzati. Venduto nel XIX secolo alla famiglia Savini, nel 1996 è stato acquistato dalla Fondazione Tercas, e restaurato per farne la propria sede. Il palazzo ospita al suo interno una serie di importanti e stupende collezioni di porcellane cinesi ed europee e di maioliche di Castelli, frutto di generose donazioni e di collezioni private; all’ultimo piano, nella sala dove solitamente si riunisce il Consiglio della Fondazione, è ancora visibile il soffitto originario medioevale, a traviature lignee, come quelle del Duomo. Si può osservare una trave bruciata ancora al suo posto, muta testimone dell’incendio di Loretello. La scoperta poi, dei resti di una domus romana nelle sue fondamenta, con pavimentazione musiva, del primo e secondo periodo pompeiano (I sec. a. C. e IV sec. d. C.), ha permesso di valorizzare al meglio questa splendida residenza signorile. Se il prestigio e il decoro di una città si misurano attraverso il suo patrimonio artistico, allora non c’è dubbio che una visita all’antica dimora è quasi d’obbligo».
http://cultura.inabruzzo.it/0013547_teramo-alla-riscoperta-della-medievale-casa-del-melatino/
Teramo (castello Della Monica)
«Il Castello Della Monica è unicum architettonico nell’intero panorama nazionale per la sua specificità progettuale: infatti è stato progettato e realizzato come dimora personale dall’artista teramano Gennaro della Monica (architetto, scultore e pittore, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, del quale il Castello ha assunto anche il nome) ed è ubicato in stretto rapporto di continuità visiva con la città. Esso è infatti collocato sul piccolo colle di San Venanzio, poco distante da Piazza Garibaldi, a dominare l’intera cittadina che si estende ai suoi piedi, e alla confluenza di importanti snodi stradali e di accesso alla città: verso l’ascolano, verso il Parco Gran Sasso e Monti della Laga, verso la superstrada di collegamento all’Autostrada A14 e verso la Statale Adriatica. La costruzione del Castello è iniziata nel 1889 e, seguendo la moda di fine secolo che si ricollegava al gusto neogotico, presenta un ritorno al gusto medievale. Per rendere il tutto più veritiero, Della Monica fece costruire anche il borgo del castello e cercò di rendere tutto un po’ decadente, come corroso dal passare degli anni. Il complesso si compone di due edifici secondari che, insieme al corpo principale, formano un vero e proprio borgo di sapore medioevale che, oltre al Castello e ai due edifici a valle, comprende una dipendenza di servizio e dei giardini a terrazzo. Il Castello è stato eretto sul sito dell’antica chiesa di San Venanzio (ridotta dai francesi a polveriera) della quale sono stati riutilizzati materiali di costruzione ed elementi decorativi. Purtroppo l’interno del castello oggi non è visitabile perché pericolante, ma è ricco di affreschi che ritraggono paesaggi e non solo, opere della mano di Gennaro della Monica, che ha dipinto ogni tipo di particolare. Della Monica abitò nel Castello e vi collocò il suo studio, dove raccolse una mole enorme di appunti, studi e disegni, realizzati nel corso dei lavori di completamento degli interni e dell’intero complesso. A partire dal secondo dopoguerra, il Castello è stato sempre più circondato e soffocato dalle abitazioni che hanno finito per occultarne completamente il profilo, fino a renderlo poco visibile all’interno del contesto cittadino e paesaggistico. Dopo la morte di Gennaro Della Monica (1917), Vincenzo Bindi, storico dell’arte nativo di Giulianova, propose per primo l’acquisizione del Castello da parte del Comune per destinarlo a sede del Museo Civico. La proposta, però, criticata da più parti, fu subito accantonata. Attualmente, ad eccezione di un solo edificio che è rimasto abitazione privata, il resto del complesso è di proprietà del Comune di Teramo che ha l’intenzione di recuperarlo e rifunzionalizzarlo per essere riaperto al pubblico e riconsegnato alla Città».
http://www.teramoculturale.it/index.php?id=20&itemid=258
Teramo (palazzi privati e pubblici)
«Casa Urbani: risalente
presumibilmente al secolo XI, è una delle rare abitazioni teramane che
conservano testimonianze dell'edilizia privata risalente all'XI - XIII
secolo, poiché è una delle poche scampate alla distruzione operata dal
normanno conte di Loretello nella metà del XII secolo. È formata da un
perimetro esterno edificato con ciottoli di fiume e da un portale ogivale
del XIII secolo in pietra squadrata. Nel corso di recenti restauri, dinanzi
al portale, sono venuti alla luce resti di un mosaico appartenente ad una
abitazione privata su cui poggiano direttamente i resti delle fondazioni
della casa medievale. Si trova in Vico del Pensiero, nei pressi della
Piazzetta del Sole.
Casa Catenacci (ex teatro): in via Vittorio Veneto, nei pressi di
piazza Martiri della libertà, si trova questo edificio medievale risalente
al secolo XIV che ospitò il primo teatro della città, inaugurato nel 1792.
Sulla facciata porticata dell'edificio (via Vittorio Veneto) si trova un
emblema lapideo datato 1510 con la scritta ammonitrice
S.A. NON BENE PRO TOTO LIBERTAS
VENDITUR AURO (La libertà non si vende per tutto l'oro del mondo).
Casa Dèlfico: elegante palazzo edificato nel 1552, è sito in corso
San Giorgio ed era l'abitazione privata della storica famiglia teramana dei
Dèlfico.
Palazzo Civico: risalente al XIV secolo nella loggia inferiore e
ottocentesco nella parte superiore, è la sede dell'Amministrazione Comunale.
Nell'atrio del municipio, che si raggiunge attraversando il portico, vi sono
murate le più importanti iscrizioni su pietra di epoca romana rinvenute in
città. Si affaccia in piazza Orsini, di fronte ai portici del Palazzo
Vescovile.
Palazzo Vescovile: costruito attorno al 1374, questo edificio
medievale è la residenza degli uffici della curia aprutina e del vescovo. La
sua facciata principale con loggetta trecentesca si affaccia su piazza
Martiri della libertà, al fianco della cattedrale di Santa Maria Assunta;
nella parte retrostante, in piazza Orsini, notevole il portico duecentesco
formato da pilastri in pietra e travertino proveniente da Civitella del
Tronto.
Ospedale psichiatrico: una struttura imponente, costruita nel 1323,
che ospitò uno dei padri della psichiatria italiana, Marco Levi Bianchini,
che fu discepolo di Sigmund Freud e che in queste stanze fondò la prima
Società italiana di psicanalisi: l'ospedale teramano era considerato il più
grande del centro-sud d'Italia per la cura delle malattie mentali. Nel 1978
la legge sancì la chiusura delle strutture manicomiali, quindi anche di
questo grande ospedale».
http://it.wikipedia.org/wiki/Teramo#Edifici_storici
Teramo (porte, ponti)
«Porta Melatina: antica porta di accesso alla città, risalente al XIV secolo. Porta Reale (detta dai teramani Porta Madonna perché situata nei pressi del Santuario della Madonna delle Grazie): arco onorario eretto per accogliere la visita di Ferdinando I di Borbone. Porta delle Recluse: il nome deriva dalla presenza dell'attiguo ospedale psichiatrico. È sita a lato della Porta Melatina. Porta Carrese: dove un tempo sorgeva quest'antica porta d'ingresso permangono un'esigua porzione dell'antica cinta muraria e un piccolo bastione difensivo. Ponti antichi. Ponte degli Impiccati: costruito verso la fine del XII secolo, presenta l'arco superstite in travertino di Civitella; aveva la prerogativa di essere sede delle impiccagioni: su di esso veniva posta la forca ed eseguite le condanne. Ponte degli Stucchi: resti di un ponte medievale del XII secolo, con archi in travertino di Civitella».
http://it.wikipedia.org/wiki/Teramo#Porte_cittadine
«La Torre Bruciata è un bastione romano in opus quadratum risalente al II secolo a.C. Si trova a Teramo, nella centralissima piazza Sant' Anna, contigua all'Antica cattedrale di Santa Maria Aprutiensis (oggi chiamata chiesa di Sant'Anna de' Pompetti). Il corpo della costruzione si sviluppa da una base quadrata ed è alto circa 10 m, con mura spesse 1,30 m e larghe 8 m. Questa possente torre venne eretta nel II secolo a.C. utilizzando grandi blocchi di travertino ben squadrati. L'appellativo "bruciata" deriva dal fatto che ancora oggi il lato meridionale del bastione mostra evidenti tracce del devastante incendio che la città di Teramo subì nel 1156 per mano di Roberto II di Bassavilla conte di Loretello, ribelle al re palermitano Guglielmo I verso il quale la città voleva restare fedele. Circa la sua funzione, c'è chi ritiene che potesse essere la torre campanaria della vicina cattedrale di Santa Maria Aprutiensis, ma c'è anche chi suppone, più semplicemente, che fosse un altissimo bastione difensivo che sovrastava la megalitica cinta muraria a nord-ovest della città, prima della nascita di Cristo. Lo storico dell'architettura d'Abruzzo Ignazio Gavini sostiene invece che, in epoche ovviamente diverse, la torre possa aver svolto entrambe le funzioni».
«La cittadina di Tortoreto in Abruzzo è ricca di storia ed arte. Il ritrovamento di resti di villaggi abitativi e di resti di sepolture dà prova del fatto che il territorio di Tortoreto era sicuramente abitato sin dal V millennio a.C. Le sue origini tuttavia risalgono all'epoca romana per un fenomeno di migrazione degli abitanti della costa verso la collina, per rifugiarsi dai pericoli delle aggressioni nasce il "Castrum Salini" di cui parla Plinio II il Vecchio. Salendo dal Lido verso Tortoreto Alta, ai piedi della collina, lungo la strada provinciale, nella zona denominata "muracche" sono venuti alla luce ruderi di una villa di età romana che certamente non è l'unica nella fascia collinare. All'epoca il mare arrivava a lambire la collina e dunque si trattava di una vera e propria villa con vista sul mare con il pavimento a mosaico ed una parte retrostante riservata alle attività agricole. Altre testimonianze di epoca romana sono state individuate nel territorio comunale in contrada Terrabianca : cisterne per la raccolta di acqua piovana e una necropoli e vari oggetti di uso quotidiano quali anfore, monete ed utensili. Il nucleo storico di Tortoreto Alta sorse nel periodo pre-medievale. Il luogo, secondo quanto afferma papa Gregorio in una lettera del 602, era ricco di boschi ed adatto alla nidificazione delle tortore, da qui il nome Turturitus (tortore). Situato a 227 mt. sul livello del mare conserva ancora la sua struttura di borgo medievale: una fortezza centrale circondata da alte mura di cinta su cui si alza una magnifica torre, la Torre dell'Orologio.
Il Torrione, le porte di accesso, le rue strette, il ponte con le caratteristiche volte, testimoniano l’esistenza del castello di Tortoreto. Il centro storico è suddiviso in tre parti: TERRAVECCHIA, TERRANOVA ed il BORGO. Terravecchia rappresenta il nucleo più antico di Tortoreto, ricostruita, con ogni probabilità, sulle rovine di Castrum Salini, divenne un castello fortificato con il ponte levatoio (del quale rimangono le feritoie nella parte anteriore della Torre dell’Orologio), le mura, le torri, i cunicoli sotterranei ed i palazzi del feudatario, le chiese e le abitazioni dei nobili. Terranova era il castello nuovo con poche porte di accesso, i torrioni agli angoli della città per la difesa e le rue strette per destinare maggiore spazio alle abitazioni. Il Borgo si sviluppò fuori le mura del castello intorno al 1400, su un crinale e in senso perpendicolare rispetto alla costa: terminava con una terrazza naturale che si affacciava sul mare. Durante il Medioevo, Tortoreto diviene feudo sotto i normanni; si succedono diversi feudatari fino a quando il territorio dalla fine del 1300, passa sotto il controllo dei duchi Acquaviva. Al termine del loro dominio, Tortoreto passa sotto il controllo del Regno di Napoli fino al 1860, anno dell’Unità d’Italia . Dopo il Medioevo, la popolazione inverte il flusso migratorio poiché viene a mancare la necessità di fortificarsi. Si comincia pertanto a costruire nella zona pianeggiante della costa ed intorno al 1800 sorse il primo nucleo abitativo di Tortoreto Lido, lungo l’attuale via Carducci che da Tortoreto Alta porta al mare».
http://www.abruzzo24ore.tv/news/TORTORETO-ALTA-un-piccolo-borgo-d-arte/118064.htm
Tortoreto (torre dell'Orologio)
«Nel quartiere Terravecchia spicca il volume della Torre dell'orologio costruita in tre fasi successive: della prima fase rimangono i resti di muratura in pietra di fiume e strutture di scarico che ne costituiscono la base (VII sec.); nella parte centrale, invece, vi era la porta con arco per accesso al castello (XII sec. ca.) e, infine, la parte più alta, risalente al 1871, si caratterizza per 4 arcate ad ogiva poste a coronamento del fusto e per l'orologio rivolto verso la piazza. Il rifacimento in stile della torre testimonia la diffusione del revival che investe anche le piccole realtà locali nella seconda metà dell'800; punto d'arrivo di questa continua ripresa di stili sarà il gusto eclettico, riscontrabile in una serie di case e villini del centro storico. Nel primo dopoguerra vi collocarono due lapidi in marmo per onorare il ricordo dei caduti della grande guerra e, in seguito, una statua in terracotta raffigurante una Madonna con Bambino».
http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index...
Valle Castellana (ruderi di Castel Manfrino)
«Si elevava in località Macchia da Sole, nel territorio comunale di Valle Castellana (TE), nell'area della comunità Montana della Laga, zona M. Costruito in epoca bassomedievale tra il XII ed il XIII secolo, come abitato rurale, sorgeva a picco sulla sommità dei dirupi che dominano il corso del fiume Salinello. I resti dell'antico castello sono ormai solo intuibili poiché fortemente danneggiati dal tempo. Si trovano situati tra la montagna dei Fiori e la Montagna di Campli, a quasi 1.000 metri di altitudine, raggiungibili seguendo due sentieri di montagna: la mulattiera che si origina dalla località Macchia e dal percorso che si dirama dalla strada di Macchia da Sole Canavine. Il fortino servì come punto di osservazione ed avvistamento per controllare il tracciato della strada che risaliva dal versante sud della montagna dei Fiori e che dalla località di Civitella del Tronto giunge fino al monte da cui era possibile osservare il versante nord dove si trova la città di Ascoli Piceno. Insieme a Castel Trosino, al convento di San Giorgio di Rosara e alla rocca di Montecalvo rappresentò uno dei luoghi votati al controllo del sistema difensivo della contea Ascolana voluta in precedenza da Carlo Magno. Deve il suo nome a Manfredi di Svevia figlio di Federico II, che ne volle la costruzione (su preesistenti fortificazioni di epoca romana), allo scopo di controllare, insieme con la fortezza di Civitella del Tronto, le sole strade che attraversavano le montagne e che collegavano Ascoli a Teramo, meglio conosciute come i "percorsi dell’Abruzzo Ascolano". Manfredi operò tale rafforzamento in previsione di un invasione degli Stati Ecclesiastici (la zona ha segnato sino all’unità d’Italia il confine tra Regno di Napoli e Stato Pontificio) e della creazione di uno stato italiano sotto il suo comando. Lo stesso re Manfredi avrebbe visitato Castel Manfrino nel 1263, poco prima della sua morte, avvenuta in battaglia nei pressi di Benevento il 12 febbraio 1266. Il fiume Castellano, che scorre ai piedi della montagna, sarebbe il “Fiume Verde” cui fa riferimento Dante e presso il quale furono depositati i resti del Re, fatti disseppellire da Benevento e portati fuori dal regno per ordine di papa Clemente IV. La leggenda vuole che nelle vicinanze vi sia un’enorme porta metallica a chiusura di un cunicolo che conterrebbe il favoloso tesoro di Re Manfredi. Durante il XII secolo, a seguito della sua scomparsa, il fortino passò ad Armellino di Macchia di Giacomo, in seguito scacciato e considerato ribelle. A questi si avvicendò Pietro d’Isola, angioino, che fu ucciso durante l’attacco che gli ascolani posero in essere ai suoi danni comandati dal suo predecessore Armellino. Gli ascolani sferrarono l’attacco a seguito degli innumerevoli contrasti che si generarono con Carlo d’Angiò ed il castello fu per lunghi periodi oggetto di aspre contese per vantare "gli antichi diritti".
Nel 1273 fu dato in feudo a Riccardo di Agello. Nel 1280, Carlo I commissionò al Maestro Pierre d’Angicourt, lo stesso architetto che disegnò il castello di Barletta, la progettazione di una torre da difesa da realizzare all'interno del Castro di Macchia e lo studio di opportune opere di restauro. La torre avrebbe dovuto avere funzioni di guardia ed essere elevata in prossimità dell’ingresso al recinto. Al suo interno dovevano essere previste, a piano terra, una cisterna per la raccolta delle acque piovane, al piano superiore una camera d'aria e gli ultimi due piani sovrastanti fruibili per uso abitativo. La porta di accesso alla torre angioina doveva essere prevista sul lato sud ad un'altezza di sicurezza rispetto al piano del calpestio. Dal 1361, dopo la sconfitta di Manfredi e Corradino di Svevia e la scomparsa per tradimento del dinasta ghibellino Cola di Macchia, Castel Manfrino non appartenne più alla soggezione ascolana e passò sotto la giurisdizione della casa regnante di Napoli. Con l'introduzione della polvere da sparo, l'inadeguatezza ormai del castello e i duri colpi degli assedi precedenti, il complesso fu abbandonato pian piano dagli Aragonesi fondatori poi di Macchia da Sole nel 1400. Le mura esterne dell’opera fortificata sono state edificate sfruttando al meglio la naturale difendibilità del luogo e seguendo il profilo dello sperone roccioso che le ospita. Non presentano altre aperture oltre il solo ingresso al recinto. Realizzate con pietre di fiume cementate e levigate solo verso la parte esterna, si allungano per circa 120 metri e l’interno dell'area contenuta sviluppa una larghezza variabile da 8 a 20 metri. Lo spessore delle mura è compreso tra i 50 cm ed il metro. La struttura non presenta bastioni, forse originariamente presenti solo in prossimità dell’ingresso.
Diametralmente opposta all’ingresso, ancora parzialmente conservata e visibile, la torre che non aveva aperture di accesso alla base, articolata su più piani suddivisi con ballatoi di legno e che fungeva da residenza del castello nonché da ultimo “baluardo” del forte nel caso le difese esterne cedessero. Di questa, a base quadrangolare con lato di circa 10 metri, restano il primo piano e la cisterna, la parte superiore si compone solo di qualche moncone murario, sui lati est ed ovest, ed una parete esposta ovest. Si allungano oltre la sua base anche sagome di altre stanze che raggiungono la base di una seconda torre, quella centrale alta circa una decina di metri. L’esterno di questa torre mostra una cappa fuligginosa, che sarebbe stato il luogo dove si bolliva l'olio da versare sui nemici. Ad avvalorare questa ipotesi si aggiunge il ritrovamento di due caldaie nel sottostante torrente Rivolta. All’interno del recinto murario si trovano i resti di una piccola cappella a pianta quadrangolare, decorata di pregevoli affreschi, vicino al maschio della torre. I ruderi del castello sono accessibili al pubblico attraverso passerelle in legno e acciaio. La costruzione di Castel Manfrino ricorda i recinti fortificati dell'Aquilano, come quelli di San Pio delle Camere, di Fossa, Di Roccacasale, tutti, purtroppo di cronologia incerta. La storia del maniero è raccontata all’interno del Museo di Macchia da Sole, allestito dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga con pannelli ed un’esposizione dei reperti provenienti dagli scavi archeologici. All'epoca normanno-sveva risale una delle scoperte archeologiche più rilevanti, nell'area sud del castello sono infatti state scavate le strutture di una importante officina in cui si lavoravano metalli, in particolar modo leghe di rame, e in cui si producevano anche tondelli monetali, forse da riferirsi ad una zecca fuori dal diretto controllo dell'autorità centrale. Racconta la tradizione popolare che, per permettere il rifornimento di viveri e uomini, il castello fosse collegato da un lunghissimo tunnel sotterraneo con la fortezza di Civitella che, da qui, è visibile in tutta la sua imponenza. Nello scorso decennio Castel Manfrino è stato oggetto di molti anni di restauro e scavi archeologici da parte dell'Università di Chieti grazie agli sforzi del Consigliere di maggioranza con delega ai Beni Architettonici e Culturali del Comune di Valle Castellana Italo De Remigis, negli scavi sono stati riportati alla luce numerosi reperti archeologici. Il 14 luglio 2010 sono riprese le indagini archeologiche presso la fortificazione per l'eventuale proseguimento del restauro e degli scavi».
http://castelliere.blogspot.it/2013/07/il-castello-di-sabato-13-luglio.html
Vallenquina (fraz. di Valle Castellana, castello Bonifaci)
«Il castello Bonifaci sorge nel centro del borgo rurale di Vallenquina, costituendone il nucleo principale. Esso fu fatto costruire in stile neogotico, presumibilmente sullo scorcio del XIX secolo, dal filosofo e letterato Vincenzo Bonifaci (1864-1943) sul modello del Castello della Monica di Teramo, anche se recenti e più accreditati studi farebbero attribuire progetto e realizzazione del castello al medesimo artista teramano Gennaro della Monica. Sull’architrave di una porta posta sotto la volta che dà accesso al cortile retrostante è incisa la data 1856. L’edificio, molto particolare, possiede una torre quadrata con merlature e aggetti, posizionata nel corpo centrale. Oggi la costruzione è di proprietà della famiglia Angelini».
VILLA PETTO (resti del castello)
«Villa Petto è un piccolo, suggestivo borgo che sorge in Abruzzo, a Est di 7 Km dal capoluogo Teramano, lungo la strada 491 per Teramo e Roseto, fondato dopo la distruzione della colonia Romana di Pitinia, anticamente situata sulla confluenza dei fiumi Mavone e Vomano. Le sue origini sono forse saracene e risalgono probabilmente alla prima metà del secolo IX, quando era noto come Castel del Petto. Salendo tra le case antiche, su una facciata delle quali si notano ancora i resti di un antico gafio, testimonianza di antiche tecniche edilizie longobarde, si arriva alla Chiesa di S. Lucia, completamente incastonata nel tessuto abitativo e costruita sui resti dei bastioni del castello che dominava il borgo. Si tratta di mura poderose risalenti probabilmente al XIV-XV secolo, costruite con pietre irregolari e ciottolame legati da malta, con bastionature di sostegno a scarpa. La chiesa era originariamente ad una sola navata e nei primi anni del Novecento venne aggiunta la seconda, di dimensioni minori. Per fare questo venne abbattuta la torre saracena in prossimità dell’ingresso e venne adibita a campanile la torre del castello, dopo averla ridimensionata».
http://castelliere.blogspot.it/2013/10/il-castello-di-lunedi-28-ottobre.html
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