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CASTEL DEL MONTE

(Andria) 

a cura di Luigi Bressan; testo di approfondimento di Stefania Mola

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Il portale d'ingresso.

  immagini sul castello tratte da siti Internet; clicca per ingrandirle

 

L'esterno

         

 

Le torri

     

 

Dall'alto

   

 

Prima dei recenti restauri


Testo di approfondimento

Universalmente noto per la sua inconfondibile forma ottagonale, per le suggestioni simboliche e per essere – a detta di molti – il più misterioso tra gli edifici commissionati da Federico II di Svevia, Castel del Monte costituisce una delle principali mete turistiche della Puglia. Un castello dove forse l’imperatore non soggiornò mai ma dove, paradossalmente, l’immaginario collettivo ne avverte più che altrove la presenza incombente.

A Castel del Monte si arriva dall'autostrada A16 Bari-Canosa, uscita Andria-Barletta; quindi percorrendo la provinciale 170 per circa 18 chilometri. I centri più vicini sono Andria (km 18), Ruvo (km 21), Corato (km 21) e Minervino Murge (km 24). Avvicinandosi al sito, il castello emerge in una spettacolare solitudine dominando, dall’alto dei suoi 540 metri s.l.m., una vasta zona della Puglia e della Basilicata.

Mai come oggi il castello pone domande puntuali e mirate a restituirgli il suo ruolo soprattutto all’interno del contesto storico e territoriale, tuttavia non eludendo il complesso universo simbolico legato al sapere ed al potere rappresentati da Federico II. Le questioni aperte su cui gli storici ridiscutono proprio in tempi recenti (documenti alla mano), riguardano soprattutto il momento storico e le ragioni della sua edificazione, le motivazioni legate alla scelta del sito, la valutazione di tutti quegli elementi – non sempre di immediata percezione – che consentono di riconoscere inequivocabilmente la funzione di castrum come primaria rispetto ad altre possibili.

Castel del Monte è dunque prima di tutto un castello medievale, dalle funzioni polivalenti, da leggere all’interno dell’organico sistema castellare realizzato da Federico II di Svevia per governare il territorio, e da analizzare nei suoi rapporti con i principali castelli della zona, cioè quelli di Barletta, Canosa, Trani, ma anche di Andria (oggi non più esistente), Ruvo, Corato, Terlizzi, Bari e Gravina.

Il 29 gennaio 1240, da Gubbio, l’imperatore Federico II firma un decreto diretto a Riccardo di Montefuscolo, giustiziere di Capitanata, in cui ordina di predisporre il materiale necessario alla costruzione di un castello situato presso la chiesa (oggi scomparsa) di Sancta Maria de Monte. All’epoca la sua costruzione doveva essere giunta già alle coperture, ed essere quindi vicina al completamento.

In effetti altre fonti informano che nel 1246 Manfredi, figlio di Federico, imprigionò nel castello alcuni sudditi ribelli, e che nel 1249 vi si svolsero i festeggiamenti per le nozze di Violante, figlia naturale dell’imperatore, con Riccardo conte di Caserta. In un manuale di navigazione composto intorno al 1250, noto come Compasso de navigare, viene citata «una montagna longa enfra terra et alta, e la dicta montagna se clama lo Monte de Sancta Maria, et à en quello monte uno castello», come se l’edificio, visibile nel tratto costiero tra Trani e Barletta, fosse un punto di riferimento ormai acquisito dalla navigazione. In ogni caso dopo il 1268, alla caduta degli Svevi, Carlo I d’Angiò vi avrebbe imprigionato Federico, Enrico ed Enzo, figli di Manfredi. Inoltre, con gli interventi da lui promossi a partire dal 1277, viene rafforzata la funzione di avvistamento e controllo del territorio che già il castello svolgeva in età sveva: il segno e la funzione di Castel del Monte come elemento di un sistema di comunicazione anche visiva vengono dunque confermati e potenziati.

Salvo brevi periodi di feste (nozze tra Beatrice d’Angiò e Bertrando del Balzo nel 1308, e tra Umberto de la Tour, delfino di Francia, e Maria del Balzo nel 1326), il castello rimase per lo più adibito a carcere. Nel 1495 vi soggiornò Ferdinando d’Aragona, prima di essere incoronato re delle due Sicilie a Barletta. Il nome attuale del castello compare poco più tardi in un decreto dello stesso re, emesso da Altamura.

Annesso al ducato di Andria, appartenne a Consalvo da Cordova e, dal 1552, ai Carafa conti di Ruvo. Fu rifugio per molte nobili famiglie andriesi durante la pestilenza del 1656. Fin dal secolo XVIII, rimasto incustodito, fu sistematicamente devastato, spogliato dei marmi e degli arredi, e divenne ricovero per pastori, briganti, profughi politici.

Nel 1876, prima che sopravvenisse la definitiva rovina, il castello venne acquistato dallo Stato italiano per la cifra di £ 25.000, davvero irrisoria se si pensa che i primi necessari interventi di recupero richiesero praticamente una cifra identica. I lavori di restauro ripresero con continuità e cautela scientifica dal 1928 in poi, fino ad arrivare ai recentissimi ultimi interventi degli anni Ottanta.

Per le sue caratteristiche di unicità l’UNESCO l’ha inserito, nel 1996, nel patrimonio mondiale dell’umanità.

 

L’edificio

Come è noto, la struttura del castello consiste fondamentalmente in un monumentale blocco di forma ottagonale, ai cui otto spigoli si appoggiano altrettante torri della stessa forma. La distribuzione dello spazio interno si articola su due piani, ognuno dei quali presenta otto stanze di forma trapezoidale raccolte intorno ad un cortile (ovviamente ottagonale). Il prospetto principale, sul lato est, è dominato da un maestoso portale cui si accede da due rampe di scale simmetriche. Il cortile, compatto e severo, che ripete nella forma ottagonale l’impostazione di tutto l’edificio, alleggerisce la sua massa muraria solo in corrispondenza dei tre portali di comunicazione con le sale del piano terra, e delle tre porte finestre corrispondenti ad altrettante sale del piano superiore.

Tre sono i materiali da costruzione utilizzati nel castello; la loro combinazione e la loro distribuzione nell’edificio non sono casuali ed hanno un ruolo importante nella nostra percezione cromatica. Prima di tutto la pietra calcarea locale, bianca o rosata a seconda dei momenti del giorno e delle situazioni meteorologiche, preponderante perché interessa le strutture architettoniche nel loro insieme ed alcuni particolari decorativi; il marmo, bianco o leggermente venato, oggi superstite nelle preziose finestre del primo piano e nella decorazione delle sale, ma che in origine doveva costituire gran parte dell’arredo del castello; infine la breccia corallina, nota di colore usata nella decorazione delle sale al piano terra e nelle rifiniture di porte e finestre, interne ed esterne, oltre che nel portale principale; un effetto prezioso e vivace reso da un conglomerato di terra rossa e calcare cementati con argilla ancora reperibile in cave presenti nel territorio circostante.

In origine il ruolo giocato dal colore doveva essere ancora più deciso: tutti gli ambienti dovevano essere rivestiti di lastre (in breccia rossa al piano terra, marmoree a quello superiore); la breccia dava risalto cromatico ai camini, agli stipi, ai profili di porte e finestre, il mosaico illuminava non solo la pavimentazione ma anche le volte delle stanze. Forse una decorazione dipinta impreziosiva le pareti degli ambienti al primo piano.

 

L’esterno

Una cornice marcapiano cinge l’intera costruzione segnando la presenza dei due piani dell’edificio, divisi ognuno in otto sale corrispondenti agli otto lati dell’ottagono. Ogni parete del castello compresa tra due torri presenta due finestre (non sempre in asse tra loro): una monofora a tutto sesto in corrispondenza del piano inferiore (tranne che nei due lati opposti est ed ovest, occupati rispettivamente dal portale principale e dall’ingresso di servizio), ed una bifora al piano superiore (tranne che nel lato nord, quello in direzione di Andria, aperto con una trifora). 

Sulle torri si aprono numerose strette feritoie, variamente disposte e profondamente strombate, che danno luce alle scale a chiocciola interne, ai servizi ed ai vani delle torri stesse.

Sul lato ovest, quello opposto all’ingresso principale, troviamo l’ingresso secondario, costituito da un semplice profilo archiacuto, senza alcuna decorazione. Un particolare degno di nota riguarda la bifora tra le torri 7 ed 8 che conserva – nell’oculo destro – l’unica tessera di mosaico superstite (di colore verde) delle decorazioni policrome delle finestre.

Sul fronte principale del castello due rampe di scale simmetriche ricostruite nel 1928 salgono verso il portale principale in breccia corallina, nel quale pilastri esili e scanalati, con capitelli corinzi, sorreggono un finto architrave sagomato nella parte inferiore da modiglioni, su cui si imposta un timpano cuspidato, tutti elementi costitutivi che indubbiamente risentono di fonti di ispirazione classica. Tra la parte esterna e quella interna del vano d’accesso si situa l’intercapedine funzionale allo scorrimento della saracinesca che era manovrata dalla soprastante "sala del trono".

 

L'interno

Ognuno dei due piani dell’edificio comprende otto sale trapezoidali tutte di dimensioni simili, ma caratterizzate da una sottile gerarchia a seconda del modo in cui comunicano tra loro o con il cortile interno. Generalmente si possono individuare delle sale più "confortevoli", dotate di alcuni accessori (come ad esempio alti camini, o disimpegni e servizi igienici collocati nelle torri), e delle sale di passaggio, dotate di percorsi autonomi rispetto ad esse.

Il problema della copertura delle stanze trapezoidali è risolto in modo impeccabile: il trapezio è scomposto in un quadrato centrale, il cui lato corrisponde alla parete della sala verso il cortile, e due triangoli laterali; la parte centrale quadrata è voltata a crociera costolonata, i due triangoli da semibotti ad ogiva. L’uso dei costoloni, già diffuso in Francia da molto tempo, è una novità in Puglia: ma qui, sia negli ambienti del piano terra che in quelli del piano superiore, essi non hanno alcuna funzione statica; il loro scopo decorativo è sottolineato invece dalla presenza di una chiave di volta figurata, diversa in ogni sala, tra le quali spiccano per originalità quella della settima sala al pianterreno (raffigurante una testa di fauno, con orecchie appuntite e sporgenti, incorniciato da uva e pampini), e quelle della settima e dell’ottava sala del piano superiore (rispettivamente animate da quattro testine umane e da quattro ibridi annodati). 

Sempre al piano superiore, nella cosiddetta "sala del trono", la chiave di volta raffigura volto umano barbuto, interpretato ora come fauno, ora come astrologo, mago o anche filosofo.

Al piano terra, la pianta del vano quadrato centrale viene messa ancor più in risalto dalle quattro potenti semicolonne che la delimitano lateralmente, le quali, come i rispettivi capitelli ornati da foglie ad apice ricurvo, le cornici delle finestre a tutto sesto, gli oculi e le soglie tra una sala e l’altra, sono tutte in breccia corallina. L’abaco dei capitelli corre su tutta la parete, riquadrando porte e finestre, e mettendo in risalto la linea d’imposta della copertura; fino a questo livello, in origine, le pareti dovevano essere anch’esse ricoperte di breccia. Della pavimentazione originaria delle sale, a tarsie geometriche in marmo bianco e ardesia, restano scarsi frammenti nell’ottava sala.

Sempre al piano terra, solo tre sale comunicano direttamente con il cortile interno, determinando sin dall’inizio una serie di "percorsi obbligati" che aiutano a definire una sorta di gerarchia tra i vari ambienti che noi percepiamo come tutti uguali. Ogni parete del cortile (che è di forma ottagonale nel rispetto della pianta ottagona dell’edificio) termina in alto con un’arcata cieca a sesto acuto impostata su paraste angolari; l’alleggerimento delle masse murarie è dato dalle porte e dalle finestre che vi si aprono, di varia forma e senza una precisa distribuzione, secondo le esigenze dell’interno. Al livello superiore si aprono tre porte finestre in breccia corallina, con architrave su mensole, incorniciate da due colonnine che reggono un archivolto ornato a fogliami ed ovoli. Si può a buona ragione pensare che in origine queste porte finestre – e dunque le relative sale – comunicassero tra loro mediante un percorso pensile in legno che correva su tutto il perimetro del cortile.

L’accesso al piano superiore avviene attraverso due delle otto torri, dotate di scala a chiocciola. Una è la torre 3, detta anche Torre del Falconiere, comunicante con la quarta sala e coperta da una volta tripartita sorretta da mensole antropomorfe raffiguranti l’una una testa di fauno, l’altra un volto femminile; l’altra è la torre 7, accessibile dall’ottava sala, coperta da una volta esapartita sostenuta da telamoni in curiosi e provocatori atteggiamenti. La torre 5, invece, possiede l’unica scala praticabile fino al terrazzo senza interruzione: la sua funzione "di servizio" è suggerita tanto dall’essere accessibile dalla quinta sala (quella situata sul fronte opposto a quello principale, comunicante con l’esterno grazie ad un portone secondario, oggi murato), quanto dalla singolarità del fatto che, all’altezza del piano superiore, oltre al passaggio diretto verso la quinta sala, esista un altro passaggio spostato verso sinistra che permette di proseguire fino al tetto senza passare per la sala. Il terrazzo costituisce un punto di osservazione privilegiato: la vista può spaziare dalle Murge al Tavoliere fino al Gargano ed al Vulture, lasciando spazio, nelle giornate più limpide, anche alle città della Terra di Bari. La copertura del terrazzo è stata rifatta durante gli ultimi lavori di restauro: essa consta di doppio spiovente, di cui quello interno, per mezzo di tubi di piombo incassati nella muratura, finalizzato a convogliare le acque alla cisterna della corte, e quello esterno alle condutture dei servizi delle torri. 

La struttura e la distribuzione degli ambienti del piano superiore ricalcano quella del piano terra, ma esprimono maggiore raffinatezza nei particolari decorativi e nell’architettura d’insieme. I costoloni che sorreggono le volte sono più sottili e slanciati, e si dipartono da colonnine tristili in marmo riunite a fascio da un unico capitello decorato elegantemente a motivi vegetali. Sul versante che dà all’esterno, ogni sala è vivacemente illuminata da una bifora di chiaro sapore gotico (unica eccezione, una trifora seconda sala, sul versante settentrionale del castello); caratteristica di queste grandi finestre è il fatto di essere rialzate da gradini e fiancheggiate da sedili. Sul versante del cortile si alternano, a seconda delle sale, porte finestre e monofore a tutto sesto. Lungo le pareti di ogni sala corre un sedile in marmo sotto la base delle colonne, e una cornice marcapiano all’imposta delle volte. In origine le pareti di queste sale dovevano essere rivestite interamente da grandi lastre di marmo.

Una menzione particolare va fatta per quella che tradizionalmente viene indicata come "sala del trono", situata sul lato orientale dell’edificio in corrispondenza del prospetto principale, dalla quale è tra l’altro possibile manovrare lo scorrimento della saracinesca del portone d’accesso. Grazie alla sua collocazione ed alla suggestione incrementata da una vasta letteratura sull'argomento, è qui che l'immaginario collettivo colloca il Federico "mitico", assorto, contemplativo, impegnato in dotti consulti con gli esperti della sua corte.

Ed è qui, nella sala "orientata" di un castello che molti vogliono intenzionalmente rivolto al sole e al Cristo come l’abside di una cattedrale, che il legame con i fenomeni celesti e "divini", pur al di fuori del dato storico e documentabile, si fa stringente e palpabile.

   

   

©2002 Stefania Mola (il testo è stato pubblicato nel sito Stupor mundi)

   


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