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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI FOGGIA
in sintesi, pagina 1
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Accadia (borgo, palazzo signorile)
«Il Rione Fossi rappresenta una parte di storia per il comune di Accadia. L'antico borgo è, infatti, sede del più antico insediamento urbano del comune e rappresenta una preziosa testimonianza architettonica e storica di un'antica civiltà contadina. Il borgo è stato abbandonato in seguito al terremoto del 1930 e risulta oggi completamente disabitato. Negli ultimi anni le varie amministrazioni hanno avviato un programma di recupero e restauro che è in fase di completamento. Nell'antichità classica la zona era considerata luogo di culto, era, infatti, area sacra, con templi, cenobi pagani e dimore sacerdotali. In epoca medievale e durante il periodo normanno-svevo-angioino-aragonese, il luogo era, invece, una munitissima piazzaforte, che sfruttava le fortificazioni messe a difesa dei templi classici, con i loro ingenti tesori. I cittadini vivevano casali sparsi attorno a tale piazzaforte. L’antica denominazione “Fossa dei Greci” è dovuta al fraintendimento e adattamento della denominazione greco-latina che era "Fossa Agroecorum" che in realtà si traduce come “Fosse degli orfici” (letteralmente degli asociali, perché gli orfici erano eremiti). Essi abitavano in quelle grotte, sopravvissute e ancora evidenti attualmente nella zona e, da vivi, si preparavano come sepoltura una semplice fossa, nella quale si calavano,avvolti in un candido lenzuolo e con una lucerna. All'interno del borgo le case sono separate da stradine selciate e da vicoli tortuosi, che danno una caratteristica forma a chiocciola. Tali abitazioni sono raccolte attorno alla monumentale chiesa matrice dei Santi Pietro e Paolo, risalente all'epoca bizantina ed attualmente bisognosa di restauro. All'interno del borgo si possono ammirare anche i resti del palazzo ducale».
http://it.wikipedia.org/wiki/Accadia#Rione_Fossi
«Solo osservando le architetture che compongono Accadia ci si rende conto di quanti secoli di storia hanno influenzato questi luoghi. Tra gli affascinanti palazzi storici e i ricordi di architetture e strutture ormai cancellate dal tempo e dai frequenti terremoti che hanno afflitto la zona, spiccano le rovine dell’antico castello, sorto nel periodo di fortificazione dell’antico borgo medioevale. Nonostante le poche tracce del castello conservate nei secoli, per lo più inglobate nelle successive abitazioni del rione Fossi, oggi abbandonato, sono sicuramente una tappa suggestiva se si vuole scoprire i tesori storici e culturali di Accadia».
http://www.montidauniturismo.it/jsps/10/Home/11/MENU/154...
Alberona (palazzo e torre del Gran priore)
redazionale
Anzano di Puglia (centro storico e cippo "aragonese")
«Numerosi terremoti nei tempi hanno messo a dura prova le architetture del centro storico, fra questi quello più violento del 1930 che quasi rase al suolo il paese. Per questo motivo gli interventi di ricostruzione sono stati tanti, al punto che oggi l’attuale borgo ha un aspetto moderno. Sopravvissute al passato sono alcune case risalenti all’inizio del Novecento ed alcuni "portali" di abitazioni private. Anzano entra ufficialmente nella storia nell’841 e si presenta come parte di feudo dell’immenso territorio che l’imperatore di Germania Lotario I donò al monastero di Farfa. In epoca tardomedievale il Casale di Anzano si spopolò, forse perché essendo i tempi insicuri gli abitanti si rifugiarono in paesi muniti di fortificazioni quali Trevico e Sant’Agata. Il paese si ripopolò agli inizi del 1700 e masserie e ricoveri per animali sorsero ai bordi della via che unisce Vallata al Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, via di Transumanza dei pastori abruzzesi fino alla metà del 1900».
«Lo scavo [in località Riparulo] ha portato alla luce un lungo muro perimetrale, sicuramente appartenente ad un grosso edificio (chiesa?), che insieme ai resti ceramici, fanno pensare all’uso del sito nel periodo tardo romano o paleocristiano (I-II secolo d.C.). Tra i resti ceramici, facilmente reperibili a cielo aperto, affiorano frammenti di impasto grossolano appartenenti a recipienti di medie dimensioni e frammenti di tegole. ... La pietra (Cippo) misura cm. 45x25. Di epoca Aragonese presenta alcune scritte. Essa, secondo l'interpretazione più attendibile, fa riferimento allo ius passuum ovvero alla tassazione dei passi per ogni centinaia di animali dall'Irpinia alle Puglie».
http://www.montidauniturismo.it/jsps/10/Home/11/ME... - http://www.pugliaturistica.it/info.php?user...
a c. di Felice Clima
Ascoli Satriano (centro storico e palazzi)
«La struttura del centro storico è caratterizzata da un assetto organico di case e di vie, di spazi costruiti e aperti, che segue una crescita a raggi concentrici con sviluppo anulare attorno a un nucleo centrale e vie radiali con case e botteghe, bassi e soprani, case contadine e palazzi signorili, agglomerate nella zona Castello. Appare subito all’occhio il labirinto di vie tortuose e di vicoletti (li trasonn), che si aprono improvvisamente in piazzette feudali, che denuncia l’assenza, in passato, di una piazza borghese centro della vita cittadina, sorta solo nel XX secolo con la sistemazione di Piazza Cecco d’Ascoli (Piazza Giovanni Paolo II). Il centro storico ha una estensione di circa 120.000 mq., è delimitata da via Manzoni, via e largo Duomo, Piazza Giovanni Paolo II, via Diaz, largo d’Alessandro, via S. Boccia e via S. Rocco. Le case sono generalmente costruite da un piano seminterrato ed uno superiore al quale si accede attraverso una scalinata esterna con ballatoio. Molto interessanti risultano gli elementi decorativi litei e in laterizi: mensole e sotto mensole di balconi a riseghe rettilinee; le aperture delimitate da stipiti e architravi di pietra in rilievo (portali); comignoli dalle più svariate forme e dimensioni; facciate a vista in ciottoloni, di solo laterizi, di pietra squadrata. Esemplari per l’esperienza e abilità degli antichi maestri sono le volte (li lammie) a botte, a crociera, a vela, ellittiche, paraboliche, iperboliche, ogivali. Al pari delle strade, anche le case hanno subito, purtroppo, danni vari da terremoti, infiltrazioni d’acqua, non felici interventi per riparazioni e restauri e quindi l’ambiente a fatica conserva la sua autenticità e la su magica atmosfera di un tempo».
http://www.ascolisatrianofg.it/ascolisatrianofg/siti_storici_centrostorico.htm
Elenco dei Palazzi storici notevoli: http://www.ascolisatrianofg.it/ascolisatrianofg/edifici_civili_storici_palazzi.htm
Ascoli Satriano (palazzo ducale)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«È il castello dei feudatari di Ascoli Satriano e risale al XIII secolo. Ha un sontuoso portale di ingresso in pietra con lo stemma dei duchi Marulli d’Ascoli, sormontato da una loggia con una serie di finestre ad arco che rendono molto elegante l’intera facciata. Suggestivo è il quadrangolare cortile interno pavimentato con acciottolato a raggiera. Da questo cortile, attraverso l’elegante scalinata, si sale alla loggia aperta da due imponenti arcate. All’interno ha vaste sale, porte originali del Settecento e due scale a chiocciola, una delle quali porta alla torretta. In origine il palazzo era un castello con torri che furono abbattute nell’Ottocento dai duchi Marulli d’Ascoli, i quali risiedevano per la maggior parte dell’anno a Napoli e che si recavano ad Ascoli solo per brevi periodi, lasciando la cura del feudo ai loro uomini di fiducia. Le carceri restano l’unico ambiente originale intatto. Si leggono ancora le scritte dei prigionieri sui muri. Molto probabilmente qui vennero imprigionati anche alcuni dei “briganti” come quelli che furono poi fucilati il 23 aprile 1862 ad Ascoli Satriano: erano giovani uomini dai 19 ai 40 anni, come si legge nella relazione del prefetto Gaetano Del Giudice, che – per sfuggire alla leva obbligatoria ordinata dalla monarchia sabauda – si erano dati alla macchia e finirono per diventare degli eroi agli occhi del popolo e, d’altra parte, dei malviventi per il neonato Regno d’Italia. ....».
http://www.prolocoascolisatriano.it/scheda/castello-ducale (a cura della dott.ssa Luigia Benedetto)
«Fu costruito nel 1534 dal conte di Biccari Marcello Caracciolo. Questo palazzo nel corso dei secoli è stato adattato alle diverse esigenze e quindi strutturato in modo tale da snaturare la sua originaria architettura rinascimentale. Ultima ristrutturazione è la sopraelevazione fatta intorno al 1930. Si può affermare che di originario è rimasto solo il balcone a spigolo di Via Carceri. Nel 1860, il palazzo rappresentava il centro del potere. Nel cortile, oggi Piazza del Municipio, c’era il carcere criminale e gli alloggi degli addetti. Nelle stanze dell’ex ufficio postale, c’era la sede della Guardia Nazionale. Dal cortile si accedeva ai piani superiori attraverso una scalinata esterna, che aveva un pianerottolo da cui si entrava nell’appartamento del giudice e nel carcere civile, continuando a salire si entrava negli uffici comunali».
http://www.webalice.it/marcello.fiorentino/origini.htm
Biccari (torre cilindrica e centro storico)
«Il nome di Biccari appare per la prima volta nel 1054, in un atto di donazione di una vedova dal nome Sikalgaita abitante di Vaccarizza, che dona i suoi averi al monastero di S. Pietro in Vulgano vicino Vicari (poi Biccari). La nascita del nucleo abitato è senz’altro da porre fra il 1024 ed il 1054. Nei primi anni del XI secolo, durante l’impero Bizantino, a causa della sua posizione ai confini con il ducato di Benevento, il paese fu reso una roccaforte che avrebbe dovuto ostacolare un possibile ritorno dei longobardi nelle nostre zone. In questo periodo furono costruite molte città-fortezza fra cui Troia, dentro i cui confini si colloca il territorio di Biccari. Si può supporre che lo sviluppo di Biccari nel borgo della Torre fu favorito dal Vicario di Troia nel 1024 circa, da questo si può supporre che il nome Biccari derivi da Vicari o Vicarii (cioè del Vicario). ... Costruita a 480 metri di quota, si presenta per quasi due terzi cilindrica e per l’altro a lenta scarpata. Ha un diametro esterno di oltre 12 metri, l’altezza di 23 metri ed i suoi muri superano lo spessore di metri 3. è una costruzione massiccia ed imponente a pietre irregolari. Solo lo zoccolo, che gira sulle fondazioni oramai scoperte presenta blocchi squadrati. Era divisa in quattro vani di cui uno interrato al quale oggi si accede attraverso una porticina praticata nelle fondazioni. I piani erano sorretti da grosse travi di legno infisse nei muri, alle quali se ne incrociavano altre più sottili che reggevano il pavimento anch’esso in legno. Sotto il pavimento del pianterreno vi era, nelle fondamenta, un rifugio, da cui partiva un cunicolo che conduceva fuori delle mura del paese. Questo cunicolo è andato distrutto a causa dello sterro effettuato per diminuire la pendenza della collina, al fine di costruire altre abitazioni per la successiva crescita del paese. Sopra le fondamenta, ora alla luce, si può vedere l’ingresso originario della torre, con i suoi tre gradini, che oggi si trovano a circa tre metri dal piano stradale, mentre l’ingresso alla torre attualmente avviene attraverso la porticina del cunicolo sopra citato».
http://www.webalice.it/marcello.fiorentino/origini.htm
a c. di Luigi Bressan
Le foto degli amici di Castelli medievali
Bovino (villa e masseria Casalene)
A circa 4 km da Bovino, su un pendio presso la strada, sorgono i resti di un insediamento produttivo, villa in età tardoromana, masseria in età medievale. La masseria sino a qualche decennio fa è stata abitata.
http://books.google.it/books...
Cagnano Varano (centro storico e palazzo baronale)
«Sappiamo che durante il Medioevo la città era cinta da mura ma oggi non restano molte tracce di quel periodo. Nel corso dei secoli il centro fu feudo di alcune famiglie di cui resta una testimonianza nel Palazzo Baronale, antica fortezza normanna, ristrutturato più volte nel corso degli anni».
http://www.reciproca.it/Turismo/comuni/cagnano.htm
redazionale
redazionale
«Carlantino è uno dei borghi più piccoli della provincia di Foggia, situata all'estremo limite settentrionale della Puglia dove segna i confini con il Molise. Il toponimo deriva dal nome di persona, Carlo Gambacorta, detto Carlentino. Gli abitanti si chiamano Carlantinesi. Il primo nucleo urbano si formò alla fine del 500, attorno ad un casale del Quattrocento denominato San Giovanni Maggiore, ad opera di Carlo Gambacorta, feudatario della vicina Celenza Valfortore, con lo scopo di estendere e popolare il suo feudo. Il Gambacorta fece erigere anche la Parrocchiale. Ma i primi insediamenti umani del territorio risalgono al periodo romano-imperiale o addirittura a epoche ancora più remote (forse IV-V secolo avanti Cristo). Dopo il Cinquecento fu feudo dei Giliberti e di altri signori, ma non raggiunse mai rilevanza demografica ed economica».
http://www.gopuglia.it/guida-turistica/foggia/carlantino/comune-carlantino.html
Carpino (palazzo baronale, resti del castello)
«Ed è proprio ai Normanni che si deve la costruzione del Castello, che con la sua imponente mole domina tutto il centro storico. Essi, infatti, tra il 1150 ed il 1160 estesero la loro dominazione su tutto il versante settentrionale del Gargano, per questo eressero dapprima il torrione come segno di possesso del territorio, a cui seguì la costruzione del castello e del sistema murario a protezione del borgo. Successivamente con gli Svevi, fu restaurato ed ampliato, accentuando la sua funzione difensiva» - «Il palazzo baronale. La datazione all'origine dell'edificio è incerta, anche a causa dell'impossibilità di avere riferimenti cronologici basati sulla documentazione presente negli archivi comunali. Da un'analisi architettonica delle decorazioni e dei fregi è possibili, invece, collocare la costruzione di un edificio ex novo o la radicale ricostruzione di un edificio in epoca post-classica, nel periodo in cui la famiglia Varga-Cussagallo possedeva il feudo di Carpino (1700-1748). Con l'avvento del fascismo, il palazzo fu sede della Casa del Fascio. Successivamente fu sede dell'Opera nazionale maternità e infanzia, centro per i reduci di guerra e infine centrale SIP. La sua ultima destinazione aveva, a causa del massiccio utilizzo di cavi, portato la struttura ad una condizione di profondo degrado. Il palazzo è stato recentemente restaurato ed ospita il Centro Culturale "Andrea Sacco". ... Il castello di Carpino appare come una solida e imponente costruzione posta nella parte più alta del paese. La sua torre, parte più visibile dell'originario impianto, è formata da una base piramidale quadrangolare, sovrastata da una costruzione cilindrica. Tra la torre ed il resto del castello si nota una differenza di epoca di costruzione. La torre, infatti, è anteriore rispetto al resto del castello e venne edificata in epoca normanna. Successivamente il castello venne ampliato ad opera degli Svevi».
http://www.comunecarpino.it/la_storia.html - https://it.wikipedia.org/wiki/Carpino_%28Italia%29
Casalvecchio di Puglia (Torre dei Briganti)
a c. di Alberto Gentile
Castelluccio Valmaggiore (torre cilindrica)
«Anticamente l'abitato aveva forma di triangolo isoscele ed era chiuso da una cinta muraria costituita da abitazioni fortificate. Alla base del triangolo si aprivano le due porte, dette del Pozzo (a occidente) e del Piscero (a oriente). Al vertice del triangolo, più vulnerabile, fu edificato il castello bizantino, del quale resta solo la torre, eretta nel 1019 dal catalano Basilio Boioannes. Questa poderosa costruzione è attualmente alta 20 metri e consta di un fondamento pieno a forma poligonale e un cilindro alto 16 metri e di 6,20 metri di diametro. Lo spessore dei muri circolari è di 2,50 metri. L'intera costruzione venne realizzata in pietra locale legata con litocolla, ossia malta fatta con solo idrato di calce, senza sabbia. Dei tre piani originari della torre, ne sono rimasti solo due. Il terzo piano fu demolito ed i cornicioni furono usati per la grondaia del palazzo del principe, edificio situato di fronte alla Chiesa, nel cui portale vi sono vari segni araldici senza data, e aderenti al muro e ai fianchi del portone vi sono dei piloni per legare i cavalli. Al primo piano della torre si accedeva esclusivamente attraverso una finestra balcone, o saracinesca, con una scala esterna, mentre per scendere giù c’era una botola laterale a sud, con un grande anello di ferro a cui si legava una corda con cui si scendeva, o si conducevano i prigionieri. Per la luce e la circolazione dell’aria, c’erano piccoli spiragli, a forma di feritoie, molto alti dal suolo che, per la grossezza dei muri, ne somministravano una quantità appena sufficiente al mantenimento della vita. Mediante una scalinata in pietra a chiocciola incassata nel muro ovest, si sale dal secondo piano al terrazzo, che domina la campagna circostante e da cui si gode di una visuale meravigliosa e vastissima. Successivamente, Castelluccio fu feudo anche dei Normanni che, per la posizione a dominio della valle del Celone, vollero farne un centro fortificato e autonomo dalla diocesi di Troia. Subentrarono poi gli Svevi, gli Angioini e gli Aragonesi, con i quali passò sotto la baronia di Valle Maggiore nel Quattrocento. Fu quindi infeudata ai Caldarola di Bari, ai Piccolomini di Amalfi, ai Caracciolo e ai Sanseverino».
http://castelliere.blogspot.com/2011/06/il-castello-di-martedi-14-giugno.html
Castelnuovo della Daunia (borgo)
«Le origini del borgo storico di Castelnuovo della Daunia non sono chiare, i primi documenti certi risalgono all’XI secolo, periodo in cui il paese appartenne a Rogerio de’ Parisio; in seguito il dominio passò nelle mani di Roberto II Conte di Loritello, che nel 1118 donò il paese al vescovo di Bovino. Dal 1187 si succedettero diverse signorie fino a diventare marchesato dei de’ Sangro nel XV secolo, mutando il suo nome in Castelnuovo, fino al 1806. Nella seconda metà del ’400 nell’abitato si riversò un numero cospicuo di profughi albanesi sfuggiti al dominio dei Turchi, che nei primi anni del ’500 si spostarono nel vicino casale, l’odierna Casalvecchio di Puglia. Oggi rinomato centro termale, l’abitato è caratterizzato da un assetto urbano in cui larghe strade giungono in ampie piazze intercalate dalle ripide viuzze del centro storico, arricchito da case in pietra bianca locale, palazzi signorili e dal ricco patrimonio d'arte delle Chiese di Castelnuovo».
http://www.montidauniturismo.it/jsps/10/Home/11/MEN...
Castelnuovo della Daunia (resti del castello)
«Oggi sede comunale, l’edificazione di questo edificio può esser fatta risalire all’XI secolo. La sua finalità militare di fortificazione e difesa nello scorrere delle epoche si attutì influenzandone l’architettura, che da castello si trasformò in palazzo gentilizio. Un arioso ballatoio a cui si accede da un’ampia rampa ne costituisce l’ingresso. L’interno riporta sulle volte decorazioni del XVIII secolo. Il palazzo divenne proprietà comunale nel 1937».
http://www.montidauniturismo.it/jsps/10/Home/11/MENU...
Castelpagano (resti del castello)
a c. di Felice Clima
Celenza Valfortore (castello dei Gambacorta)
«Il castello dei Gambacorta, presenta la classica disposizione topografica. Ubicato sulla cima della collina con due torri e tre bellissime logge, è al centro del tipico rione medioevale da cui si dipanano i vicoli lungo i quali si sviluppa la parte feudale del paese con case arroccate l’una all’altra, attraversata da caratteristiche stradine. è proprio qui, nel cuore di Celenza che si respira l'atmosfera antica di un passato custodito. Nel borgo ci sono la Chiesa Madre, la piazza, le botteghe, le lampade e i suoi angoli più pittoreschi. La costruzione (di epoca aragonese) fu iniziata nel 1467 da Giovanni Gambacorta e completata nel 1519 dal figlio Carlo e trasformato nel 1575 dal nipote Carlo Gambacorta di Gianpaolo in dimora gentilizia. Andrea Gambacorta (1600), esperto di architettura, pittura e scultura, rifece le mura del giardino pensile, completò gli appartamenti del palazzo baronale, arricchendolo di pitture ornamentali. Oggi Celenza conserva ancora gran parte del piccolo centro storico feudale tra cui alcuni portali risalenti ai secoli XVI e XVII. Troneggia poi un Torrione cilindrico con base scarpata e un cornicione merlato. La seconda torre fu incendiata nel 1799 e, sotto di essa, vi era il carcere in epoca feudale. Le torri antiche inizialmente erano cinque come si rilevano dallo stemma di Celenza».
http://xoomer.virgilio.it/celenzaesanmarco/celenzaesanmarco/celenza/castello.htm
Celenza Valfortore (centro storico e porte urbane)
«La città conserva integri alcuni elementi della sua epoca medievale: la torre merlata con palazzo baronale, fatti erigere dai Gambacorta e residenza degli stessi tra XV e XVI secolo, e due delle quattro porte di accesso al palazzo baronale (Porta Nova o Nuova e Porta S. Nicolò). Delle epoche successive risaltano, tra le altre, la chiesa parrocchiale di Santa Croce, quella di San Francesco ed il settecentesco santuario di Santa Maria delle Grazie».
http://it.wikipedia.org/wiki/Celenza_Valfortore#Monumenti_e_luoghi_di_interesse
Celle di San Vito (centro storico, porta dei Provenzali)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Nel 1269 Carlo I d’Angiò, per completare la conquista dell’Italia meridionale, si prefisse di sconfiggere i Saraceni asserragliati a Lucera; da qui distaccò 200 soldati e li inviò al Castello di Crepacuore (Castrum Crepacordis), antica fortificazione sita sull’altura del Castiglione e posta a controllo della via Traiana. A questo lungo assedio, secondo gli storici locali, sono da ricondurre le origini di Faeto, quando, vinti i Saraceni Carlo d’Angiò concesse ai suoi soldati di restare nel vicino e quasi disabitato Casale Crepacore, facendoli raggiungere dalle loro famiglie. Successivamente i coloni francesi abbandonarono il Casale Crepacore per cercare un rifugio più sicuro e diedero origine alle attuali Celle San Vito e Faeto, poste entrambe in posizione più sicura. A distanza di oltre sette secoli gli abitanti di Celle San Vito e quelli della vicina Faeto parlano ancora il francoprovenzale. I due paesi rappresentano un’isola linguistica che suscita curiosità ed interesse ed è spesso meta di glottologi e studiosi. Il Centro storico di Celle San Vito è davvero caratteristico per le stradine strette ed i vicoli che si inerpicano tra le case arredate da mattoni di pietra a vista. L’abitato si divide lungo un’unica strada centrale che percorre tutto il paese da un punto panoramico all’altro da dove si ammira lo splendido scenario del Tavoliere»
«La porta dei Provenzali è formata da due portali in pietra, a tutto sesto. Il più grande, largo m. 4,25 ed alto m. 3,70, precede, di circa 1 metro, quello più piccolo, largo m. 2,05 e alto m. 2,50».
http://www.montidauniturismo.it/jsps/10/Home/11/ME... - http://www.pugliaturistica.it/info...
Cerignola (borgo e posta di Salpi)
«Vitruvio (De arch., I, 4, 12) ci parla del trasferimento in età romana della Salapia vetus in un luogo più salubre: la nuova città fu costruita quattuor milia passus ab oppido veteri (Km 6 ca), con le sue mura ed il porto aperto sul mare. La distanza che intercorre tra Torretta dei Monaci (Loc. Lupara- Giardino) dove è stata individuata la Salapia preromana è pari, infatti, alle quattro miglia di cui ci parla Vitruvio. La fotointerpretazione di G. Schmiedt e le indagini archeologiche condotte da F. S. Tinè Bertocchi e da A. Geniola nella parte nord-occidentale della città hanno confermato l'identificazione della Salpi romana con il Monte di Salpi. Sull'altura restano evidenti testimonianze di un abitato tardoantico, a cui sono riferibili una strada acciottolata, resti di una struttura abitativa, pozzi poi utilizzati come fosse di scarico. è stata individuata anche l'area Cimiteriale tarda, caratterizzata da numerose sepolture contrassegnate da lastrine infisse verticalmente o da cordoli di pietre».
http://www.ba.itc.cnr.it/CRN/CRG0230.html#CRG0230
Cerignola (borgo medievale "Terra Vecchia")
«Il borgo antico, meglio noto con l'appellativo di Terra Vecchia, è il nucleo originario da cui si è sviluppata la città; la sua origine risale con tutta probabilità all'epoca romana, durante cui il centro era un insediamento di scambio. Situato a nord, in passato era circondato da una cinta muraria con castello e torri, è caratterizzato da viuzze tortuose e strette e presenta abitazioni molto diverse tra loro; l'eterogeneità dei nuclei abitativi è imputabile al periodo in cui essi sono stati costruiti ed al ceto che li abitava. Tra i monumenti maggiori del centro storico troviamo la chiesa madre, ovvero l'antica cattedrale, intitolata a san Francesco d'Assisi, che risulta essere anche l'edificio religioso più antico della città. La mancanza di molte testimonianze del passato è ascrivibile al terremoto del 1731, che danneggiò gran parte degli edifici del borgo, quale il castello che rimase semidistrutto».
http://it.wikipedia.org/wiki/Cerignola#Borgo_Medievale_.28Terra_Vecchia.29
Cerignola (masseria fortificata I Pavoni)
«La masseria sorge isolata su una piccola altura; la sua attuale configurazione risale ai primi anni del XX secolo, anche se la masseria con le sue terre figura nelle proprietà del Capitolo della chiesa di Cerignola già nel 1743. Ubicazione: Strada comunale Cerignola-Pozzo Terraneo Km 6+000».
http://www.ba.itc.cnr.it/CRN/CRG1380.html
Cerignola (masseria fortificata La Cerina)
«Ubicazione: S.S. 544 Km.34+500. La masseria sorge isolata in posizione dominante una zona pianeggiante. Ha un solo piano fuoriterra, sul lato a valle sono state ricavate delle cantine seminterrate. L'architettura risale alla metà del XIX secolo, i quattro angoli sono definiti da garitte di fortificazione pensili, realizzate insieme alla struttura della masseria».
http://www.ba.itc.cnr.it/CRN/CRG1369.html
Cerignola (masseria fortificata Lupara)
«Complesso formato da tre corpi di fabbrica uniti, tipica forma di accrescimento nel corso del tempo delle strutture abitative rurali. La masseria è dotata di sistema difensivo costituito da feritoie poste sui lati ed in prossimità degli ingressi. Ubicazione: S.S. 544 Km.30+700».
http://www.ba.itc.cnr.it/CRN/CRG1370.html
Cerignola (masseria fortificata Montaltino)
«Architettura rurale fortificata sec. XVIII-XIX. Ubicazione: S.P. 66 Km.4+00. La masseria sorge in posizione isolata su un piccolo rilievo del terreno, da qui l'origine del toponimo, consiste in diversi locali terranei un tempo adibiti a stalle, magazzini, frantoi oleari; al piano superiore l'alloggio padronale. La masseria aveva anche una posta, ovvero un ricovero edificato per il ricovero degli armenti, della presenza di ovini transumanti rimane anche l'enorme cappa con comignolo del locale addetto alla trasformazione del latte, la cosiddetta casara. Esiste una garitta pensile e i terrazzi esterni sono dotati di feritoie difensive poste sui lati dei parapetti».
http://www.ba.itc.cnr.it/CRN/CRG1368.html
Cerignola (masseria fortificata San Giovanni di Zezza)
«Architettura rurale fortificata sec. XIX. Ubicazione: S.P. 83 Km 13+00. Importante esempio di residenza fortificata dall'aspetto di castello turrito, realizzato in mattoni laterizi. La masseria è organizzata su due piani fuoriterra: al primo magazzini e case operaie; al secondo gli alloggi padronali. Si distingue dalle altre masserie fortificate perché la fortificazione è stata prevista dall'origine; usualmente tali opere (garitte pensili e feritoie) sono interventi successivi su costruzioni risalenti al XVII secolo e seguenti».
http://www.ba.itc.cnr.it/CRN/CRG1365.html
Cerignola (masseria fortificata San Marco)
«Complesso architettonico composto da casa padronale e magazzini per i cereali e la paglia. La masseria ha struttura portante tradizionale con orizzontamenti a volte composite. Ubicazione: S.S. 98 Km.3+500».
http://www.ba.itc.cnr.it/CRN/CRG1358.html
Cerignola (Palazzo Ducale)
«In età medievale il borgo originario di Cerignola, cioè la Terra Vecchia, era circondato da mura che correvano lungo gli attuali assi di via Tredici italiani, di via Torrione, di via Piazza Vecchia ed erano chiusi da un castello. Solo successivamente questo castello fu trasformato in palazzo, ospitando i vari feudatari della città di Cerignola, in particolare i Caracciolo, feudatari di Cerignola dal 1417, e i Pignatelli dal 1616. Edificio a pianta quadrata con cortile interno, il palazzo ducale presenta oggi la facciata principale divisa in due ordini. Al pianoterra vi è un grande ingresso ad arco, in pietra, modanato e contornato da conci rettangolari in pietra. Nella sezione ad arco, una grata in ferro lavorata a volute presenta al centro un cerchio con all'interno alcune pignatte, stemma della famiglia ducale Pignatelli. A un lato e l'altro dell'ingresso principale, poste in posizione simmetrica, vi sono 4 finestre con architravi e stipiti in pietra e mensola aggettante. Due sole finestre conservano la struttura a balconcino, mentre altre due hanno subito un rifacimento nella grata e l'eliminazione del balconcino. La zoccolatura è in mattoni, la facciata in tufi e i cantonali in pietra. Il pianoterra presenta anche, all'estrema sinistra rispetto a chi guarda, un ingresso ad arco ad una grande sala, forse adibita un tempo a stalla. Al primo piano, al di sopra e in asse con l'ingresso principale vi è un balcone con balaustra in ferro lavorato con richiami alla grata dell'arco. Ai lati del balcone vari balconcini: quattro su un lato e due sull'altro. Su questa facciata dell'edificio, a sinistra dell'ingresso, è murata una lapide dedicata al musicista Pasquale Bona, nato a Cerignola e al quale è stata intitolata la piazza antistante.
La facciata laterale destra che si affaccia su piazza Giuseppe Tortora, presenta anch'essa due ordini: a pianoterra una serie di ingressi con arco a sesto ribassato e piano rialzato. Al primo piano si ripete la serie di balconcini, stilisticamente diversi però da quelli della facciata principale, sia per la maggiore ampiezza della base dei balconi, sia per essere questi retti da mensole, sia ancora per la diversa configurazione della balaustra in ferro. L'altra facciata laterale, che un tempo si affacciava su un grande giardino chiamato Villa Ducale, presenta sempre due ordini, uno dei quali oggi non più visibile per l'adiacenza di una nuova costruzione. Al primo piano un balcone, principale ma non centrale, in pietra, con la balaustra sorretta lateralmente e frontalmente da gruppi di due colonnine e due semicolonnine laterali alternate a piccoli pilastri. L'ingresso al balcone è ad arco in pietra con stipiti anch'essi in pietra modanati a lesene non aggettanti. Il balcone poggia su un arco costruito come corpo avanzato. A un lato e l'altro del balcone, balconcini con balaustra in ferro battuto, diversi nella foggia dai balconi delle altre facciate, con stipiti e doppio architrave in pietra. La facciata posteriore è caratterizzata sempre da due ordini, ma con moderne modifiche sostanziali sia a pianoterra che al primo piano con un corpo avanzato. Varcato l'ingresso principale, un breve androne, su cui si affacciano le antiche stanze delle guardie, presenta una volta a botte adorna di un artistico lume in ferro lavorato. Poi ci si immette nel cortile interno dove si aprono due scalinate, una sul lato sinistro e l'altra sul lato destro e un porticato frontale. Sempre nel cortile è presente un tombino in pietra attraverso il quale ci si può calare in un cunicolo che portava al vecchio fossato del castello. Oggi l'edificio è sede della Guardia di Finanza e dell'Ufficio del Registro».
http://www.itaspavoncelli.it/Inventario%20rurale/archivio/cerignola/palazzoducale.html
«Il Palazzo Manfredi ha uno stile architettonico che si richiama ai palazzi del '400. Esso si affaccia su Piazza Duomo ed è sistemato di fronte alla Cattedrale. Il palazzo è stato terminato nel 1908, come recita l'iscrizione su una delle facciate laterali. La facciata è divisa in tre ordini. Al piano terra vi sono quattro ingressi con arco a sesto acuto, che si ripete anche negli altri ordini. Ogni arco è sagomato a conci con chiave di volta e due archetti, anch'essi a sesto acuto, inscritti nell'arco principale e rientranti rispetto ad esso, ma aggettanti dal fondo. Una delle estremità di ciascun arco piccolo poggia su una colonnina, montata sulla zoccolatura dell'edificio e con capitello di stile corinzio. Nello spazio risultante dall'unione dei due archetti sono presenti a rilievo degli scudi che portano vari simboli: una colonna con sovrapposta una stella e a dividere i due elementi una banda diagonale, nell'altra arcata una braccio che brandisce un bastone e una banda diagonale decorata a motivi floreali, poi un braccio che regge una fiaccola accesa ai lati della quale vi sono due visi soffianti, rilievi che riprendono in modo figurato il motto di famiglia riportato, assieme alla raffigurazione di una grossa fiaccola accesa, sulla facciata laterale destra. Infine nell'ultimo arco è riportata un'aquila con sul capo una stella. Alle due estremità dell'edificio sono scolpiti a rilievo uno scarabeo, sulla sinistra e un'aquila bifronte, sulla destra. Al primo piano vi è una balconata centrale, con balaustra traforata che al centro si modula in modo ricurvo, e due trifore simmetriche ai lati con archi e archetti interni all'arco principale poggianti su colonnine e al di sopra aperture quadrilobate. Gli ingressi alla balconata ripetono stilisticamente il motivo ad archi delle finestre, tranne che per la colonna centrale mancante. E al di sopra degli ingressi, poggiato sull'arco centrale, vi è lo stemma formato da cimiero e da scudo con aquila e stella. La stessa modalità di successione è presente nell'ordine superiore ma senza balconata e con bifore che si innestano sulla continuità di una fascia decorativa a volute, interrompendola ritmicamente. Alla sommità dell'edificio archetti con basamento quadrangolare formano una dentellatura, come cornice dell'intero fabbricato. Quattro di questi archetti, aperti, a differenza degli altri che sono ciechi, fanno da finestre a stanze di sottotetto. Nella parte posteriore si affaccia un terrazzo all'altezza del primo piano».
http://www.itaspavoncelli.it/Inventario%20rurale/archivio/cerignola/palazzomanfredi.html
Cerignola (Torre Alemanna)
«Il nome di Torre Alemanna compare, come riferimento topografico, in un documento del "Codice diplomatico barlettano" del 1334. Nella delimitazione dei confini di una proprietà si fa riferimento ad una "viam qua itur a Turri de Alamagnis". In documenti più tardi, ma anche nella cartografia di epoca moderna, il luogo è spesso citato con il toponimo Torre de la Manna. Per essere già nota in quell’epoca significa che essa esisteva da tempo. Va ricordato che, a breve distanza dalla Torre Alemanna, c'è il Monte Maggiore, luogo in cui si svolse nel 1041 la battaglia di Montemaggiore, con i Normanni ed i Longobardi che sconfissero i Bizantini. L'appellativo di Alemanna rinvia inoltre ai suoi fondatori, i Cavalieri Teutonici, ai quali Federico II donò (come attestano documenti del XIII secolo) delle terre presso Corneto, antico borgo medievale (distrutto nel 1349, nel corso delle guerre dinastiche che videro opposti Giovanna I di Napoli e Carlo III di Napoli), i cui resti distano difatti poco più di un chilometro dal complesso. Il complesso di Torre Alemanna, è ritenuto dagli storici il più fiorente delle balie teutoniche in Puglia. Un centro talmente ricco (fra il XIV ed il XV secolo, possedeva oltre 2.800 ettari di terre) da consentire con la sua produzione zootecnica e cerealicola il sostentamento anche di San Leonardo di Siponto, da cui dipendeva, e degli altri insediamenti pugliesi aventi perlopiù valenza strategica e politica. L'intero possedimento fu nel 1483 ceduto dai Cavalieri alla Chiesa che, trasformandolo in Commenda concistoriale, lo gestì per mezzo di procuratori. ...
Torre Alemanna appare oggi come un complesso masseriale dotato, per l'appunto, di una torre d’avvistamento a pianta quadrangolare di circa 10 metri di lato e 24 di altezza e di una serie di corpi di fabbrica edificati nel corso dei secoli per ospitare numerose destinazioni d'uso (residenziale, produttiva e di culto). Il vano di piano terra della torre, la cui altezza si estende fino al livello del 1º piano del complesso, è coperto con volta a crociera costolonata poggiante su quattro colonnine con capitelli gotici "a crochet”. Esso, pregevolmente affrescato su tre lati e caratterizzato da un arco trionfale sulla parete ovest, è stato da sempre ritenuto una preesistente cappella, sulle cui mura, opportunamente raddoppiate, fu eretta la torre. La scoperta degli affreschi, datati alla seconda metà del XIII secolo, avvenne nel corso dei primi lavori di restauro nel 1989. Con il prosieguo dei lavori (1997-2000), operando alcuni saggi conoscitivi all’interno dei muri, si è in realtà constatato che le modanature dell’arco trionfale svoltano nella muratura verso ovest rivelando che si tratta addirittura del presbiterio a pianta quadrata di una chiesa, probabilmente cistercense, la cui navata è oggi riconoscibile nella parte adiacente sul lato ovest. Inoltre, gli scavi archeologici operati nel 2003 nel presbiterio stesso hanno rivelato la preesistenza di un'ulteriore abside da relazionare ad una chiesa ancor più antica. Dunque è plausibile l’ipotesi che i Cavalieri, venuti in possesso dei terreni, abbiano eretto una torre sui resti di una chiesa edificandone, qualche decennio più tardi (XVI secolo), una nuova (oggi ancora esistente) dedicata prima a Santa Maria dei Teutonici, poi a San Leonard».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Alemanna
Cerignola (torre della masseria fortificata San Michele alle Vigne)
«Elemento architettonico con torre angolare di fortificazione, notevole per mole e tecnica costruttiva. Ubicazione: S.P. 72 Km 7+00. Epoca: sec. XVII-XVIII».
http://www.ba.itc.cnr.it/CRN/CRG1375.html
Chieuti (borgo, mura turrite, torre antica)
«Vanno ricercate nel borgo denominato Nuova Cliternia le tracce più remote del passato di Chieuti. Su quella collina, da cui si gode una bella vista sul mare e, sullo sfondo brillano, le Isole Tremiti, pullulava di vita la città italica di Cliternia, ricordata già da Plinio. Nel 1400 vi si stanziarono, provenienti dalle coste dell’altra parte del mare Adriatico, gli albanesi di Skandemberg. Da questa ondata di profughi, cui fece seguito un’altra più copiosa nel 1800, è derivata l’abitudine di parlare una lingua a forte influenza albanese. Chieuti ha visto svilupparsi, nel corso degli ultimi anni, una discreta industria turistica attraverso la sua Marina più volte premiata con l’ambìta “Bandiera Blu” dell’Unione Europea a conferma della brillantezza del suo mare, considerato alla pari di altri luoghi, il più pulito d’Italia. Il paesino ha un caratteristico centro storico, animato da viuzze, archi e balconcini fioriti. Da vedere la Chiesa di San Giorgio, le mura turrite e l’antica torre, anche se oggi fortemente degradata».
http://www.dauniadafavola.it/comune.php?action=view&nome_comune=Chieuti
Le foto degli amici di Castelli medievali
«è
il monumento più emblematico di Deliceto, poiché racchiude in sé gran parte
della sua storia. è stato
dichiarato Monumento Nazionale nel 1902. Generalmente viene chiamato
“Normanno-Svevo”, ma sia dalle fonti storico-letterarie, sia da alcuni
tratti di costruzione, la sua nascita è da farsi risalire alla seconda metà
del IX secolo, cioè all’età longobarda. Le fonti letterarie che determinano
l’inizio della sua costruzione sono: Leone Ostiense, in Cronicon Cassinensis, e Giuseppe Bracca, in Memorie storiche di Deliceto. Ha
subito nel corso dei secoli ampliamenti, rifacimenti e ricostruzioni, che si
sono protratte fino al periodo aragonese. Fu costruito sulla punta rocciosa
che domina il paese. A levante l’ampia vallata del torrente Gavitello, a
oriente la rupe scoscesa il cui dislivello supera i cento metri e a
occidente la vallata del torrente Fontana. Situato in un luogo la cui
posizione facilita l’osservazione e la difesa, esso ha avuto per molti
secoli la funzione di una fortezza di grande importanza strategica e
militare, più che essere stabile dimora nobiliare. Il castello oggi presenta
una forma del tutto diversa dall’originale, quella cioè di un trapezio
irregolare con tre torri agli angoli. Ma anticamente, come ci riferisce il
Bracca, doveva avere la forma triangolare. Tutta la costruzione è costituita
da pietre calcaree prese nelle contrade circostanti e legate tra di loro
secondo un intreccio irregolare, come avviene del resto in tanti altri
castelli della Puglia. Le volte e gli archi interni sono costruiti in
mattoni color ocra o giallo, anch’essi provenienti da fornaci locali.
è privo purtroppo di elementi
decorativi ed architettonici caratteristici. La cortina N.E., che misura 55
metri di lunghezza, è incastrata tra le torri tronco-coniche del “Molo” e
del “Parasinno”, entrambe costruite durante la dominazione angioina, come si
evince dalle caratteristiche e dal tipo di costruzione. La cortina Est, che
edificata a filo di roccia sul precipizio de “la Ripa”, strapiomba sul
sottostante torrente Fontana, ha una lunghezza di 66 metri.
è costruita a forma di
scarpata, ed inizia dalla suddetta torre “Parasinno” per arrivare fino
all’estremità occidentale terminante a spigolo.
Le altre due cortine, le più brevi, si incrociano con la torre Normanna, il
“Donjon” o “Torrione”. L’ingresso è sormontato da uno stemma calcareo di
forma rettangolare dei Piccolomini d’Aragona, risalente all’anno 1444.
L’interno del castello è occupato da un grandioso cortile o piazza d’armi
costruito in mattoni disposti a spina di pesce e da ciottoli di forma
irregolare. Al centro vi è una cisterna di forma ottagonale, che serviva per
la raccolta dell’acqua piovana. Sotto il pavimento del cortile sono state
scoperte due “neviere”. Subito dopo l’ingresso, sulla destra, una lunga
scalinata in pietra immette in un sotterraneo lungo e buio, che un tempo era
adibito a scuderia, magazzino e cantina. Proprio in questa zona durante i
lavori di restauro è stata scoperta la parte più antica del castello
risalente al IX secolo, costituita da “Domus” o “Castra Longobarda”,
che ha una lunghezza di circa 50 metri. Essa era costruita a due piani
sovrapposti ed aveva due porte d’ingresso con archi a tutto sesto e stipiti
in pietra serena. Erano rivolte l’una verso l’abitato e l’altra verso la
torre “Parasinno”. Al piano sovrastante (livello cortile) si conservano gli
alloggi del feudatario composti da sei stanze intercomunicanti, la cappella
in cui vi erano conservate le statue di santa Barbara, protettrice
dell’artiglieria, e di san Vito, patrono della rabbia. I due mezzo-busti
sono attualmente conservati nella chiesa di San Rocco.
Proseguendo sempre verso destra, ci si trova dinanzi ad un portale
sormontato dallo stemma di Alessandro Miroballo d’Aragona, marchese di
Deliceto. Varcato il primo portale se ne incontra un secondo, anch’esso in
pietra, che mostra chiaramente nei due angoli in alto una “mezzaluna”,
simbolo dei Duchi Longobardi di Benevento. Certamente questo portale, come
altri due fregi scolpiti sugli stipiti di alcune finestre dell’aula magna,
erano parte integrante dell’antica costruzione longobarda, e solo
successivamente furono riutilizzati e sistemati nell’attuale posizione.
Questo portale immette nell’aula magna del castello, molto ampia e piena di
luce. Al centro della sala, lungo la parete destra, vi è un grosso camino
che reca sulla cappa lo stemma dei Bartirotti, datato 1602. andando ancora
oltre, si giunge al termine della cortina, dove si trova la torre
tronco-conica, detta del “Parasinno”. Questa è un luogo tetro e angusto. La
tradizione popolare vuole che anticamente in essa vi fossero le prigioni e
uno strumento di morte chiamato “Mulino a rasoio”, che doveva servire a
punire e ad eliminare chi fosse caduto in disgrazia del feudatario. In
alcuni locali della torre si possono ancora notare, incise sull’intonaco,
croci benedettine e latine, il sole, scudi recanti scritte, mani, foglie,
nonché iscrizioni redatte in lingua italiana, latina e greca. Invece, sul
lato interno della cortina orientale, si incontrano gli alloggi degli
ufficiali e dei militari. Nel piano sottostante vi è un lungo androne, con
tante finestre lungo la parete esterna, che funzionava da deposito, ed era
preceduto da uno stanzone con caratteristiche volte a vela in mattoni color
ocra d’epoca angioina. Nella parte più alta della cortina c’è un
camminamento di ronda, che conduce alla torre tronco-conica detta del
“Molo”, anch’essa risalente al periodo angioino, che prende il nome dal
rione sottostante. Alla sua base, dal lato interno si può notare un semiarco
gotico risalente al primitivo portale del periodo normanno, che era l’antica
porta d’accesso al castello. Questo tratto fu l’unico, secondo Bracca, ad
aver subito nei secoli uno sfondamento da parte dei Saraceni, perché era
quello più facilmente accessibile e vulnerabile. A partire da qui verso il
torrione, si distende l’ultima cortina del castello, quella settentrionale.
Dalla parte interna del cortile si snoda una serie di arcate, l’arco
maggiore serviva di ingresso al forno, mentre gli altri davano adito a
piccole stanze, che erano destinate ad usi diversi.
Al termine della cortina, si erge maestosa la “Torre Normanna”, cioè il
Mastio, detto volgarmente il “Torrione”, perché la più alta di tutte. Ha
forma prismatica a pianta quadrata e misura un’altezza di circa trenta
metri. Ha gli angoli scolpiti con pietre bugnate, pareti molto spesse e
solidamente cementate. La torre, orientata verso il paese, anticamente era
circondata da un fossato con relativo ponte levatoio, che ne impediva
l’accesso agli eventuali assalitori.
è suddivisa in quattro piani a vani sovrapposti, due con volta a
sesto acuto e due con il relativo pavimento in legno. Venne costruita sulle
fondamenta di una preesistente torre longobarda. Il piano interrato, cioè
quello a contatto con il terreno roccioso, era adibito a deposito viveri e
aveva una cisterna coibentata per la raccolta dell’acqua piovana, che
serviva da approvvigionamento in caso di assedio o di guerra. Il piano
terra, al quale si accede tramite una botola del pavimento, per lungo tempo
è stato adibito a carcere. Il piano sovrastante, a volta gotica, era diviso
in due settori da un solaio in legno ed era in origine l’abitazione vera e
propria del feudatario. Ad esso si accedeva tramite l’unica porta d’ingresso
che, in caso di pericolo, veniva chiusa dall’interno tramite argani o funi.
Conserva ancor’oggi gli originali camini in pietra ed incassata nel muro che
porta alla sommità della torre, da dove lo sguardo spazia all’infinito. Sia
sopra la porta d’ingresso della torre, sia sopra la seconda finestra della
stessa, quella che guarda verso il paese, sono incastonati nel muro due
stemmi identici scolpiti in arenaria e con la stessa tecnica, di cui uno più
abraso e rovinato dalle intemperie. Essi rappresentano un fiore, forse un
giglio, composto da sei corolle e da un bocciolo centrale, collocati lì dai
primi feudatari.
Sulla scia degli eventi storici del sud il castello fu dato in concessione a signori appartenenti alle seguenti casate: gli Altavilla, i Loretello, i De Caprosia, i De San Giorgio, gli Acciaroli, i De Sangro, i Piccolomini, i Bartirotti e i Miroballo. L’ultimo ad abitarlo è stato il marchese di Deliceto Cesare (Francesco) Miroballo, che morì in giovane età nel 1790. dopo, il maniero venne incamerato dal Demanio comunale e subendo alterne vicende finì col ridursi in pessimo stato di conservazione, tanto da essere adibito a deposito di paglia, legna, ecc. Agli inizi degli anni ’50 fu sottoposto a lavori di restauro conservativo, che gli hanno dato la forma e l’aspetto attuale. Da diversi anni il castello non è visitabile per lavori di restauro strutturali ma che sono in fase di ultimazione e presto sarà restituito al popolo delicetano».
http://www.comune.deliceto.fg.it/Default.aspx?frame=CittaTerritorio\Monumenti\Castello.ascx&
«Intorno al 1400 il nucleo originario di Deliceto fu fortificato da una cinta muraria, che includeva tutto quello che allora era il centro abitato. Molto probabilmente la necessità di tale fortificazione derivava delle incursioni esterne, tipicamente dei saraceni, che a quell’epoca stanziavano in numerose parti della Puglia, della Campania e di altre regioni meridionali. Le mura che costituivano la cinta erano in sostanza un susseguirsi di case appoggiate l’una sull’altra a formare una struttura unica, che si affacciava sulla scarpate (dove scorrono i burroni attraversati dalle fiumare Gavitelle e Fontana) che delimitavano il borgo originario di Deliceto. Le zone più vulnerabili della cinta muraria erano fortificate con dei semplici terrapieni (barbacane). La cinta aveva tre porte per permettere la comunicazione con l’esterno. Partendo dal lato Sud-Ovest, la cinta costeggiava Via Castello, Vico Primo Castello, Rione Calabria e poi, scendendo per Via San Cristoforo, raggiungeva Porta Scarano, una delle tre porte d’accesso. Porta Scarano è rimasta intatta nei secoli ed ancora oggi è possibile ammirare il suo arco gotico a sesto acuto, affiancato da una torretta (Torretta (architettura)) semicilindrica che serviva da guardiola per avvistare i nemici in avvicinamento. Proseguendo a semicerchio lungo via Loreto, la cinta raggiungeva l’attuale via Porta Caspio dove si trovava la Porta Caspia poi ribattezzata Porta Miroballo (in onore del Marchese Miroballo che la fece ricostruire). Sempre procedendo a semicerchio (da ovest verso nord-est), la cinta poi raggiungeva la terza porta chiamata Cavutello o Risciolo, che metteva in comunicazione l’attuale via Casati (“la stred r sott” in dialetto delicetano) con l’esterno del borgo, oggi chiamata piazza Europa (in dialetto delicetano ancora oggi chiamata “affuor a la port”). L’ultimo tratto delle mura si estendeva lungo il ciglio del burrone che sovrasta il torrente Gavitello; esso dopo aver tagliato via Molo terminava al torrione orientale (torre Molo) del castello. Per circa 200 anni, dal 1400 al 1600 Deliceto si è sviluppata all’interno di questa cinta muraria. Successivamente, venuta meno la necessità di protezione da attacchi esterni ed aumentata la popolazione, il paese prese lentamente a svilupparsi all’esterno della cinta muraria. Oggi esso si estende su una superficie molto più vasta, che comprende, tra le altre, Borgo Gavitelle, zona Fontana e Aia Sant’Antonio. Tuttavia gran parte del fascino e della bellezza di Deliceto risiede nel suo borgo medievale sovrastato dal magnifico castello».
http://it.wikipedia.org/wiki/Deliceto#La_Cinta_Muraria
Dragonara (resti del castello)
a c. di Alberto Gentile; aggiornamento 2016
Le foto degli amici di Castelli medievali
«L’edificio risale probabilmente al XV secolo e, secondo le fonti storiche, questo era la sede del locale governatore. Secondo la leggenda, al contrario, la Casa del Capitano altro non era che la residenza del capo dei briganti che imperversavano in questa zona. L’accesso a questo edificio avviene da Vico Valentino, e senza dubbio il suo elemento più pregevole è rappresentato da una finestra bifora affacciata su via Vittorio Emanuele. Grazie alle sue peculiarità storiche ed architettoniche, nel 1969 la Casa del Capitano venne annoverata dall’allora Ministero della Pubblica Istruzione fra i monumenti “di interesse particolarmente importante”. Il Museo Etnografico territoriale, ospitato proprio all’interno della Casa del Capitano, rappresenta il luogo ideale per scoprire le caratteristiche del territorio di Faeto. Il Museo, che è anche sede dell’Archeoclub delle Comunità Francoprovenzali di Faeto e Celle di San Vito, venne inaugurato nel 1988 sulle basi della locale sede dell’Archeoclub già esistente due anni prima. Nel Museo Etnografico sono conservate numerose testimonianze storiche e culturali riguardanti il territorio faetano che da sempre è stato incentrato sulle attività pastorali, contadine ed artigianali. Fra di essi si possono ammirare attrezzi utilizzati sino a pochi decenni fa per la coltivazione della terra, per l’allevamento del bestiame e per la produzione di formaggi ed altri prodotti tipici come, ad esempio, il pane e la pasta fatta a mano. Nel museo sono anche presenti oggetti utilizzati per il trasporto come, ad esempio, calessi e slitte, ed arnesi tipici delle lavorazioni artigiane».
http://www.prolocofaeto.it/turismo-2/luoghi-di-interesse-turistico-di-faeto
Fiorentino (sito archeologico e domus federiciana)
a c. di Alberto Gentile
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Federico II considerava la Capitanata un luogo ideale anche per la caccia e perciò fece costruire altre due importantissime dimore nei pressi della città. La prima, la Domus/Palacium Solatiorum San Laurencii o Pantani, in località Pantano, tra i quartieri Salice Nuovo, San Lorenzo ed Ordona Sud, dove il Guiscardo aveva fatto edificare la chiesa di San Lorenzo in Carmignano, testimonianza visiva, insieme alla Regia Masseria Pantano, della vasta area che occupava la struttura federiciana; essa includeva una residenza signorile, con giardini, vivarium con animali acquatici ed esotici, padiglioni per il solacium. Il luogo è attualmente un rilevante sito archeologico, oltre che medioevale, anche dauno e neolitico, a pochi chilometri dal centro di Foggia. L' altra dimora del grande imperatore svevo era il Palacium dell' Incoronata, nei pressi dell' omonimo bosco/santuario; in questo caso, testimonianza importante della struttura federiciana è la Regia Masseria Giardino, nelle immediate vicinanze della linea ferroviaria Foggia-Potenza; anche questo complesso viene descritto dalle cronache di quel tempo, come tra le sue dimore più belle e sontuose ...».
https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Foggia#L.27et.C3.A0_federiciana - Altre immagini in http://www.mondimedievali.net/Masserie...
FOGGIA (masseria Pantano o Reale)
«L’itinerario parte dall’immediata periferia di Foggia, nella zona compresa tra la Superstrada per Candela (imbocco da Viale degli Aviatori) e Via San Lorenzo (proseguimento di Viale Europa). Si tratta di una zona attraversata dal Tratturo Foggia-Ordona-Lavello ed interessata dalla localizzazione di “Masseria Pantano”. Ciò che attualmente è definita “Masseria Pantano” è un enorme edificio rurale, parte di una più ampia area edificata in epoca medievale. Il nome “Pantano” deriva dal fatto che l’area è stata, fino a pochi decenni or sono, interessata dalla presenza di una palude (pantano). Il contesto di fatiscenza ed abbandono che appare attualmente, scomparsa la palude e buona parte degli antichi edifici, doveva invece essere totalmente diverso in epoca medievale infatti molti documenti attestano la presenza di imponenti edifici, stalle, e persino giochi d’acqua ed un giardino zoologico, voluto proprio da Federico II» - «Alla periferia di Foggia, circondati da un quartiere intensivo e in rapida espansione, ci sono due luoghi che potrebbero sparire. Uno è la Masseria Reale: grandi saloni per conservare le derrate alimentari, volte a botte costruite con la tecnica delle bubbole (dette anche pignatelli o caccavelle, elementi vuoti e cilindrici di terracotta di gran lunga più leggeri dei mattoni) mura dipinte. La costruzione risale al diciottesimo secolo, ma vennero usate fondamenta del palazzo federiciano. Già, la Masseria Reale racconta anche la storia di Foggia Capitale, quando Federico II trasferì qui il cuore del Regno delle due Sicilie, venendo a soggiornarvi. E se del palazzo che si costruì nel centro di Foggia restano pochi brandelli e l’iscrizione del portale (Hoc fieri iussit Federicus Cesar ut urbs sit Fogia regalis sede inclita imp(er) ialis) alla Masseria Reale c’era il Palazzo d’estate: le cui fondamenta, probabilmente, danno sostegno alla Masseria Reale. Accanto, un bosco dove cacciare, e un vivarium con pesci ed uccelli. Il cui ovale, che dà il nome alla zona, Pantano, è ancora rilevabile dall’alto. A chi importa? La Masseria Reale è assediata da montagne di calcinacci e mattonelle sbreccate, risultato di ristrutturazioni o nuove costruzione, uno schifo. A difenderla dalle incursione dei vandali (alcune delle volte a botte sono già state distrutte a sassate o con bastoni) un’inutile rete da polli bucata in più parti. Anche se il pozzo è probabilmente un pericolo vero. Intanto la periferia avanza. Nuove palazzine si aggiungono alle palazzine già vuote di un quartiere che non ha servizi se non supermercati e centro commerciale. Le gru e le betoniere si spostano sempre più avanti, stringono a cerchio la Masseria e la testimonianza di Foggia Capitale».
http://www.dauniadafavola.it/itinerari-culturali-e-religiosi/itinerariculturalireligiosi/379... - https://cittaecitta.wordpress.com/tag/masseria-pantano
Per approfondire: http://www.academia.edu/2139026/Ambiente_e_Stategie_Produttive_nei_siti_di_San_Lorenzo_in_Carminiano_e_Pantano...
«In un documento del 1583 conservato alla Biblioteca Angelica di Roma, viene mostrata la pianta di Foggia, la quale era circondata da mura, ora distrutte, che si aprivano in cinque porte, una per ogni borgo ad eccezione del borgo "Carmine Vecchio" o "dei mastri carradori". Solo la porta arpana è ancora esistente, mentre le altre porte sono state distrutte. Le porte sono: Porta Arpana o Porta Reale. È stata la prima porta delle mura e anche la più grande, ancora esistente, e si trova all'inizio di via Arpi. Essa, ai tempi di Federico II di Svevia segnava l'ingresso nella città, poi ha incominciato a segnare l'entrata del "Borgo dei Sellai" che si estendeva fino all'attuale stazione ferroviaria. Esso, a raggiera, era il sesto borgo di Foggia. Adesso la porta Arpana è affiancata da altri due archi, fatti costruire nel 1947. I "Tre Archi", come viene chiamata la Porta Arpana, dividono idealmente su via Arpi il Conservatorio intitolato a Umberto Giordano e il museo civico, ricco di ritrovamenti anche legati al passato neolitico della città. Porta di San Tommaso o Porta Luceria o Porta Nuova. La seconda porta di Foggia, costruita nel 1642 e demolita nel 1867, la porta di San Tommaso prende questo nome poiché si trovava proprio vicino alla Chiesa di San Tommaso e segnava l'entrata nel "Borgo Croci", ancora esistente, e che a raggiera, è il primo borgo di Foggia. Porta Ecana o Porta Troia o Porta di Sant'Agostino. Costruita nei pressi della vecchia Chiesa di Sant'Agostino in via Arpi (ora spostata), questa porta, la terza di Foggia, segnava l'entrata nel "Borgo Caprai", che a raggiera era il secondo borgo di Foggia. Porta Reale o Porta piccola. Questa porta, la quarta di Foggia, fu costruita nelle vicinanze di una banca commerciale tra via Duomo e corso Garibaldi, segnava l'entrata nel "Borgo Rignano", che a raggiera era il quarto borgo di Foggia. Porta di San Domenico. La quinta porta di Foggia, una volta ubicata a livello dell'omonima chiesa segnava l'entrata nel "Borgo Scopari" o "Borgo Giuncai", che a raggiera era il quinto borgo di Foggia. Le mura non erano solo esterne alla città, ma anche interne, infatti vi erano le Mura di Corso Garibaldi, che segnavano l'entrata nel terzo borgo di Foggia, ovvero "Borgo Carmine Vecchio" o "Borgo dei mastri carradori"».
https://it.wikipedia.org/wiki/Foggia#Mura_e_porte_della_citt.C3.A0
Foggia (palazzo De Maio De Vita)
«Questo edificio prospiciente la piazza della Cattedrale fu costruito dopo il 1545, anno in cui il nobile Cesare de Maio, già proprietario di una palazzina, acquistò dal Capitolo di Foggia i ruderi di due botteghe, con l'intento di creare un unico corpo di fabbrica. L'edificio fu alienato poi nel 1696 al reverendo Giuseppe De Vita di San Marco in Lamis, il quale soprelevò il terzo piano fuori terra arricchendolo di un bel loggiato. A ricordo della sua realizzazione fece incidere sul cornicione la seguente iscrizione, ancora oggi leggibile: UT VIDEAT ET VIDEATUR D. JOSEPH DE VITA A S. MARCO IN LAMIS OPUS HOC BONUM EREXIT A.D. MDLCXVIII. Il palazzo, acquistato dalla famiglia Vigilante di Lucera, fu poi alienato all'avvocato Vincenzo Celentano. L'immobile, fra i più interessanti del centro antico di Foggia, si distingue per la linea architettonica e soprattutto per gli elementi decorativi che abbelliscono la sua facciata prospiciente via Arpi. Il portale è delimitato da due lesene scanalate a concavo e terminanti con capitelli ionici che sostengono un cornicione modanato con al centro il balcone. La eccellente resa plastica dei particolari ornamentali risalta con limpidezza soprattutto nelle lesene scanalate e fregiate da capitelli corinzi. Il balcone d'angolo con vico Peschi ha una cornice in pietra ornata da motivi a treccia. L'architrave - arricchito da motivi floreali a rilievo con sovrastante timpano curvo - è sormontato da uno stemma in pietra a dentello».
http://www.manganofoggia.it/palazzi.htm
«La Dogana ha inizialmente sede a Lucera e poi Serracapriola (sede destinata però solo alla conta delle pecore ); nel 1468 si trasferisce a Foggia, in un edificio che si affaccia sulla "strada maestra di Pozzo Rotondo" (Piazza Federico II), nello stesso sito probabilmente occupato nell'epoca sveva e angioina dal Palazzo dei Cambi. L'edificio ha muri di spessore considerevole, a doppia fodera in tifo al piano superiore e nei cantinati, mentre le volte, che nel piano terra sono anch'esse in tufo, sono coperte da solai in legno al primo piano; il secondo piano è coperto a tetto. Al piano terra trovano posto le scuderie e la rimessa della carrozza del Governatore, il Corpo di Guardia e le carceri (carcere criminale, nuovo carcere dei locati, carcere della corsea , carcere delle donne, carcere di S. Francesco e carcere di Sant'Antonio). Un cortile, tramite diciassette scalini porta al "passetto bislunco" del primo piano, attraverso cui si accede direttamente alla Sala delle Udienze del Governatore, a destra, e al grande Salone dei locati o del teatro, a sinistra. Il primo piano ospita, oltre all'alloggio del Governatore e ai servizi di cucina e dispensa, la segretaria e il libromaggiore, la percettoria, il Tribunale, con cui comunicano la stanza della Ruota (sorta di camera di consiglio), la stanza della Corda (dove gli inquisiti sono "energicamente" interrogati) e la cappella. Al secondo piano sono sistemati, in due camere, gli archivi della Dogana, mentre i vari locali sottotetto sono adibiti a granai.
La distruzione del 1731. Il violento terremoto che dal 20 marzo al 7 maggio sconvolge Foggia non risparmia il Palazzo della Dogana, che viene gravemente danneggiato. Lo stesso Presidente Governatore, marchese don Carlo Ruoti, è costretto a trovare un alloggio di fortuna in una baracca sistemata nei pressi della Chiesa di Gesù e Maria, mentre l'Uditore del tempo trova la morte tra le macerie. Sono incaricati di verificare la statica del vecchio Dohanal Palazzo e di suggerire i rimedi per il suo ripristino i regi ingegneri Giuseppe Stendardo e Nicolò Tagliacizzi-Canale i quali, con due diverse relazioni, propongono notevoli varianti e modifiche allo stabile, con una spesa così notevole che suggerisce, piuttosto, (ed entrambi i periti lo confermano esplicitamente) la completa ricostruzione del palazzo. Di fronte a cifre considerevoli la Corte di Napoli esita a lungo, tanto che alla fine, si invia un certo ingegnere, Giustino Lombardi, il quale non può fare altro che associarsi al parere dei due colleghi che lo hanno preceduto. Si decide, comunque, perla ricostruzione dello stabile, ma proprio quando già fervono i lavori, il 23 aprile 1733, il Presidente Governatore marchese Ruoti acquista da Mons. Giovanni Pietro Faccolli, vescovo di Troia, il seminario, sito in località Madonnella, appena fuori da porta Reale.
Il nuovo Palazzo della Dogana. Monsignor Cavalieri, santo vescovo di Troia, zio di Sant'Alfonso Maria de' Liguori, ha avuto in dono dall'Universitas quel sito, per l'edificazione di un "Collegio oppure casa di residenza" dei Padri della Compagnia di Gesù. Purtroppo egli muore nel 1726, quando la nuova opera è appena iniziata. Non sono stati tirati su che i locali terranei, affittati subito come magazzini o botteghe - com'è consuetudine per ricavare una fonte di reddito - e una chiesa con atrio, salone e tenaglia e pochi altri ambienti. Al primo piano sono ubicate una grande libreria (donata da mons. Cavalieri assieme a quattro quadri del Solimena ed altri oggetti di valore) e le stanzette dei seminaristi. Il corpo principale di fabbrica si affaccia sull'attuale Via Schiraldi. La struttura muraria è a doppia fodera, in tufo all'interno, in mattoni all'esterno ; struttura che non verrà modificata con la costruzione del nuovo Palazzo della Dogana. L'urgenza di trovare altra sede alla Dogana spinge il regio ingegnere Giustino Lombardi, presente a Foggia per il ripristino del vecchio edificio nel sito di Pozzo Rotondo, ad accelerare i lavori sull'ex Seminario: in un primo tempo si ricavano gli ambienti per le carceri e l'archivio (febbraio 1734) e, nell'estate del 1735, si completano i lavori del primo piano. Nel suo primo nucleo il palazzo ospita al piano terra le carceri, la cappella e il corpo di guardia, serviti da un portone e, al primo piano, l'archivio, il tribunale con annessa cappella, la segretaria, la percettoria, il libromaggiore, la stanza della corda e il Salone dei locati, tutti accessibili da un secondo portone. La facciata appare semplice nella parte inferiore, graziosamente mossa nella parte superiore dai fregi dei balconi, di impronta tipicamente barocca. Ma il nuovo Palazzo non è ancora finito che già se ne scopre la limitatezza degli ambienti: nel 1740 il Tribunale è costretto a trasferirsi nel Palazzo Belvedere, nei pressi della Chiesa di S. Tommaso ; nel 1743 si dà inizio ai nuovi lavori, eseguiti dal mastro muratore Francesco Delfino e successivamente da mastro Leonardo Romito, sempre su progetto del Lombardi. ...».
http://www.reciproca.it/Turismo/foggia/palazzo.htm
Foggia (resti del palatium federiciano)
a c. di Alberto Gentile e Luigi Bressan
Ischitella (palazzo Ventrella e borgo)
«Nel centro storico, sulla sommità di un alto colle, è il Palazzo Pinto (oggi Ventrella), grandiosa mole a tre piani con imponente portale sulla facciata principale. Voluto nel 1714 da Francesco Emanuele Pinto, principe mecenate, che lo fece edificare sui ruderi di un antico castello svevo, crollato in seguito al terremoto del 1640 e di cui incorpora a sud un solo torrione. Arricchì la struttura con una facciata monumentale e finestre elegantissime; aggiunse stanze al primo piano ed innalzò il secondo piano. L’antica fortezza divenne così residenza signorile lasciando traccia ai posteri, nonostante il terribile incendio che lo colpì nel 1840, del mecenatismo di questo principe di origine portoghese».
Ischitella (torre Varano Piccola e torre Varano Grande)
«Alla foce orientale della laguna di Varano vi sono due torri che distano tra loro a meno di un chilometro. Sono Torre Varano Grande e Torre Varano Piccola. Gli edifici fortificati si trovano inglobate all’interno dell’abitato di Foce Varano. Si tratta quasi certamente delle torri costiere più antiche del Gargano, probabilmente della fine del '200. Lo testimonia la diversa struttura architettonica più arcaica con base cilindrica e merli a coda di rondine, molto rari nelle torri pugliesi. Una visita alla borgata marinara non mancherà di farvele scoprire. La più piccola sorge in prossimità del canale di Foce Varano. L’altra lungo la via omonima».
http://www.parcogargano.gov.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=17308&idCat=17842&ID=18221&voto=2
Isole Tremiti (isola di San Nicola, muraglia di Fortezza e castello dei Badiali)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il corso Roma e il corso Diomede, paralleli fra loro, sono dominati dal castello e dalla fortezza ai quali si arriva attraverso una breve e larga strada a scaloni. Il Castello, costruito attorno al secolo XV, e più tardi a difesa del monastero, comprendeva "L'habitatione de' Canonici, e da alcuni Officiali, artisti e manuali: come sono i medici, barbieri, spetiali, sartori, calzolai, panettieri, vignaiuoli, legnaioli, muratori ed altri serventi in diverse cose ed i passeggeri; il Capitano co' soldati habitano fuori giorno e notte". La fortezza, opera veramente colossale, rappresenta l'ultimo baluardo di difesa del castello della Badia. Un alto e lungo muraglione con merlature, chiude il collo difensivo della testata dell'isola da Nord a Sud, lato sul quale il castello aveva 3 porte successive. A destra di questo muraglione frontale della fortezza, sormontato dallo stemma crociato, fiancheggiato e protetto dal solido Torrione del Ponte, avanzo della antica rocca costruita da Carlo II d'Angiò, coronato superiormente da piombatoi, si apre la prima d'esse munita un tempo del ponte levatoio sul profondo fossato, scavato per tutta la lunghezza del muraglione, largo circa 10 metri, di cui una vestigia della parete esterna si nota al lato sinistro del piazzale sottostante detto "Contro Fosso", oggi adibito a campo sportivo. L'altezza del muraglione, nonché quella del Torrione del Ponte dal fondo del fossato era considerevole e quindi il castello si poteva ritenere inespugnabile anche da parte di assalitori numerosi e ben armati. Sulle pareti del muraglione frontale si notano feritoie per moschettoni, finestroni per colubrine, mentre in alto si estendono gli spalti, grandiose terrazze aperte su sconfinati orizzonti. Sul lato sinistro sono i ruderi delle torri chiamate Cavaliere dell'ospedale e a sinistra del portale si alza maestosa una torre quadrata. Varcato il primo portale del Castello si apre l'ingresso del Torrione Angioino che era un altro corpo di guardia. La stradella a scaloni, detta "Salita della Chiesa", è fiancheggiata a destra da muraglia che termina alle pareti dell'alta torre quadrata, girando subito a sinistra, attraverso una piccola rampa, si arriva sui Bastioni del Torrione Angioino con i piombatoi da dove i frati versavano sugli assalitori olio, acqua bollente, piombo fuso ed altri espedienti per la difesa. Qui si ammira il panorama abitato dell'isola con gli allineati capannoni del Corso Diomede, di fronte e del Corso Roma più a sinistra, con in fondo l'isola di San Domino e più a destra il Cretaccio. A completare la difesa del castello verso la parte del levante si erige la Torre del Cavaliere di San Nicola sotto la quale esiste una grande "Tagliata" nel vivo sasso, molto profonda, eseguita che doveva arrivare in profondità fino a farvi comunicare il mare per dividere il castello dallo scoglio di San Nicola e far si che rimanesse isolato da tutti i lati non offrendo più il fianco ad un attacco da terra, più difficile a contenersi dai pochi uomini della difesa».
http://www.lecinqueisole.it/fortezza.html
«La cittadina di Lesina è situata sulla sponda sud-occidentale dell’omonima laguna; ripartita sulla parte più alta di una piccola penisola che si protende sulla laguna. La città ha da sempre legato le sue vicende e la sua vita a quelle della laguna. Le prime notizie risalgono all’epoca romana. Notizie certe del borgo si hanno quando venne si elevò al rango di Castaldato, quindi sede della più vasta ed importante tra le 34 contee in cui Arechi, principe longobardo, divise nel 780 il ducato di Benevento. Molti storici concordi nell’affermare che la popolazione si incrementò nel VII secolo quando, numerosi cittadini di Lucera, distrutta dall'Imperatore Costante II, si rifugiarono a Lesina con il loro Vescovo. Inoltre la pescosità del lago richiamò molta altra gente dai dintorni e probabilmente anche da posti molto lontani, come dall'isola di Lesina in Dalmazia. Il piccolo centro era recintato da un antico muro di protezione contro le passate scorrerie dei Saraceni e dei pirati Slavi. Già in quei tempi i pesci della laguna erano rinomati, specialmente a Napoli nel periodo di Natale, dove i traìni (carri trainati da quadrupedi) carichi andavano in due giorni. Ed anche allora quei pesci erano considerati migliori di altri di diversa provenienza. Essi erano così abbondanti che si mettevano sotto sale per conservarli ed esportarli all'estero».
http://www.parcogargano.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=17308&idCat=17842&ID=18427
«Il Palazzo Vescovile è situato nel piccolo centro storico di Lesina. Il Palazzo sorge ad angolo tra l’inizio di via Vittorio Veneto e Piazza Annunziata, nella quale sorge la Chiesa parrocchiale edificata sul substrato dell’antica Chiesa Cattedrale. La facciata del palazzo e il suo artistico portale costituiscono uno dei più interessanti esempi di edilizia settecentesca in Lesina. è probabile che il nucleo originario dell’edificio, danneggiato dal terremoto del 1627 e poi ricostruito e ampliato nelle sue forme attuali nel 1733, sia stato effettivamente la sede dell’Episcopio. Ciò è confermato dalla presenza dello stemma di Orazio Greco, riposizionato in loco dopo la ricostruzione del palazzo avvenuta nel 1733. Il portale è costituito da un arco circondato da un alto fornice, raccordato con ampie volute laterali. Lungo la fascia del fornice si svolge un bassorilievo caratterizzato da un’interrotta concatenazione di motivi ornamentali finemente scolpiti. Nel 1850 il Palazzo fu acquistato dal sig. Vincenzo Panunzio e profondamente restaurato. Il Palazzo fu sede vescovile dal 1254 al 1459. Nel 648 d.C. l'Imperatore bizantino Costante II emise il Typos, un'ordinanza che imponeva il suo punto di vista sulla volontà di Cristo. Durante il Concilio Laterano del 649 d.C., il Papa Martino I condannò apertamente tale ordinanza. Il pontefice fu arrestato, tradotto a Costantinopoli e poi esiliato in Crimea dove morì. Cominciò così, da parte dell'Imperatore, la persecuzione contro coloro che non accettarono la sua volontà. Fra questi anche il Vescovo di Lucera, il quale scappò verso Lesina, insieme a buona parte dei suoi concittadini, a causa della devastazione della propria città da parte di Costante II, nel 663 d.C. Non si sa con certezza se la destinazione fu scelta per motivi strategici o dal fatto che, forse, Lesina era anch'essa sede Vescovile. Viene citato, infatti, un Vescovo di Lesina durante il Concilio Laterano del 648 d.C. Da quanto si evince il mandato vescovile di Lesina è indubbiamente antico e per questo ricco di particolari e, purtroppo, di imprecisioni. Infatti, secondo alcuni storici, la sede vescovile a Lesina fu istituita nel 1254 da Papa Innocenzo IV, e che l'ultimo suo presule fu Orazio Greco, il quale partecipò al Concilio di Trento sotto il pontificato di Pio IV. Sempre secondo gli storici, in particolar modo l'Ughelli, il vescovado di Lesina, durò in tutto due secoli, ossia dal 1254 al 1459, anno in cui la sede vescovile fu unificata all'Arcivescovado di Benevento ad opera di Pio II».
http://www.parcogargano.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=17308&idCat=17842&ID=18427
Lesina (ruderi della torre Scampamorte)
«La torre di Scampamorte, attualmente, si presenta in condizioni di forte degrado. Devastata e saccheggiata … è sopravvissuta allo tsunami del 1627 ma rischia, adesso, di soccombere a causa dell’incuria e del completo abbandono in cui versa ormai da molti decenni. La situazione si è particolarmente aggravata negli ultimi anni, tanto che il complesso storico-architettonico sta letteralmente cadendo a pezzi. ... L’antico rudere risale al XVI secolo d.C. (data di costruzione: 1568). Esso fa parte di una catena di torri costiere che serviva a controllare le coste in un periodo in cui il mare rappresentava un pericoloso varco aperto a pirati e corsari (in particolare, saraceni) che periodicamente razziavano sulle coste. Questa catena difensiva di torri aveva il compito di allertare tempestivamente le città vicine dell’imminente pericolo. Ognuna di esse doveva essere in vista di altre due e l’allarme era dato con segnali di fuoco (durante la notte) e fumo (durante il giorno). Le torri si dividevano in due grandi categorie: torri di difesa e torri di avvistamento. Le prime sorgevano nei pressi dei centri abitati, avevano una guarnigione e spesso batterie di cannoni. Le seconde erano più piccole, avevano pochi uomini di guardia e sorgevano in località difficilmente raggiungibili, in ottima posizione per sorvegliare lunghi tratti di mare. La torre di Scampamorte appartiene alla seconda delle due categorie ed era affidata in custodia ai “cavallari”, i quali, in caso di avvistamenti sospetti, dovevano correre nell’entroterra per informare le ignare popolazioni dell’imminente pericolo.
Nel 1627, uno tsunami colpì la costa nord del Gargano e la torre di Scampamorte ne fu investita. Tuttavia, grazie alle sue mura, riuscì a resistere egregiamente al disastroso evento. Esiste una leggenda a questo proposito dalla quale pare che ne derivi il nome della torre. La leggenda narra di due soldati che erano a guardia della Foce Sant’Andrea quando la furia del mare si scatenò e riuscirono a trovare scampo nelle mura della torre nel momento in cui lo tsunami investì l’istmo. Da qui quindi ne deriverebbe il nome “scampa morte”. La torre ha pianta quadrangolare ed è a tronco di piramide, con una lieve (5-10 gradi) scarpatura (inclinazione) dei muri. Si conclude, in alto, con un coronamento non sporgente. Mancano molti elementi delle comuni torri costiere tra cui la monumentale scala che permetteva l’accesso al primo livello e le caditoie. Vi si accede attraverso una porta al pianterreno e si sale ai piani superiori attraverso una scala in muratura (andata perduta nel tempo) ricavata nello spessore delle mura che si aggirano intorno ai 3 metri. Oltre al piano terra, è presente un primo piano ed un terrazzo. All’interno, le volte dei due livelli sono poste ortogonalmente tra di loro, per evitare possibili sfiancamenti e garantire staticità alla struttura. Ogni lato della torre è di 12 metri e raggiunge un’altezza di circa 10 metri. La torre si trova nel comune di Lesina, sull’istmo che separa il lago di Lesina dal mare Adriatico. La sua posizione arretrata rispetto al profilo della costa ne conferma la funzione di torre di avvistamento, cioè senza funzioni difensive. Molto verosimilmente serviva per sorvegliare l’antica foce di Sant’Andrea (nel Medioevo chiamata Fuci vetere), che permetteva l’accesso dal mare al lago attraverso il canale omonimo (attualmente prosciugato e scomparso ). La torre si trova nel bosco isola, tra sentieri e fitta vegetazione di macchia mediterranea, a circa 9 Km da torre Mileto e 11 da torre Fortore (le due torri con le quali era in vista)».
http://www.scienzebiomediche.it/pole-search/torre-di-scampamorte/
«Torre Fortore è situata tra il fiume Fortore e il lago di Lesina. Si tratta di una delle torri costiere più imponenti, anche perché più volte rimaneggiata. Essa è quadrangolare a tronco di piramide. Più che a torre, assomiglia ad una fortezza. La costruzione di questa torre fu iniziata in seguito ad una concessione del 1485 con la quale re Ferdinando d’Aragona conferiva a Riccardo d’Orefice facoltà di costruire una torre a difesa del porto e della spiaggia del Fortore . La costruzione terminò intorno al 1540. L’accesso alla torre era in alto con scala di legno retrattile, in seguito sostituita da rampe in muratura. Queste rampe sono collocate sulla parete a monte, perché la parete rivolta verso il mare è cieca (dal momento che è più esposta al pericolo), le due laterali sono munite solo di finestre, per permettere l’entrata della luce. L’accesso al terrazzo è sempre ricavato nello spessore della muratura sopra la porta d’ingresso. ... Nel 1780-90, in conseguenza di una grande piena, il fiume lasciava il suo primo sbocco e si apriva l’attuale nuova foce, detta perciò Bocca Nuova. Il gran volume delle sue acque perenni, oggi ridotte a misera quantità, permetteva a grossi battelli di spingersi fin sotto Civitate. In quel tratto, molti approdi interni, erroneamente detti porti, davano agio ai pescatori di praticare con gli abitanti limitrofi lo scambio delle merci e dei prodotti di ogni genere. Gli approdi della Torre Fortore e di Acquarotta, detti appunto porti, servivano a spedire mercanzie a San Severo, a Foggia, a Napoli e a Salerno e di là s’imbarcavano le derrate e i prodotti dei paesi vicini. Per uso di quegli scambi furono costruiti dai monaci di Ripalta dei magazzini vicino alla Torre Fortore, i quali furono in parte rovinati dal terremoto del 26 luglio 1805, detto di S. Anna. I monaci esigevano un tributo di soggiorno per le merci depositate nei magazzini e dai viandanti. ... Nel 1807 russi e inglesi assalirono Torre Fortore per distruggere i magazzini di rifornimento, che fungevano da soccorso per le isole Tremiti. Dalla piccola guarnigione furono varie volte respinti e, nonostante la vigile sorveglianza, i soldati della guarnigione riuscirono a fornire i viveri allo stremato presidio tremitese, il quale poté ancora valorosamente resistere e costringere i nemici a togliere l’assedio. Negli ultimi decenni la torre è stata adibita a posto di guardia costiera di finanza ed in seguito sgombrata per qualche anno per i muri pericolanti. In seguito è stata restaurata, interamente e adibita di nuovo al servizio di sorveglianza doganale per lungo tempo. Oggi è occupata dal Corpo Forestale dello Stato».
http://www.parcogargano.gov.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=17308&idCat=17842&ID=18221&voto=2
Lucera (castelli svevo e angioino)
a c. di Luigi Bressan
Le foto degli amici di Castelli medievali
Lucera (castelli svevo e angioino)
approfondimento di Alberto Gentile
Lucera (castelli svevo e angioino)
approfondimento di Stefania Mola
LUCERA (mura, porte)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Come tutte le antiche città guerriere, Lucera, fin dai tempi romani era cinta di solide mura, con diverse porte di accesso munite di robuste saracinesche, più volte abbattute durante i vari assedi della città e, in particolare, durante l'attacco angioino ordinato da Carlo Il nel 1300. Per difendere la Città di S. Maria, Roberto d'Angiò, denominato il Saggio, nipote di Carlo Il, succedutogli sul trono di Napoli il 5 maggio 1309, cinse la città di nuove solide mura. L'ampliamento del perimetro della città e la ricostruzione della cinta muraria, dotata anche di fossati e torrioni, venne segnalata a re Roberto e da questi ottenuta dietro richiesta del vescovo Agostino Casotti. L'opera deperì col passare del tempo, fino a quando gli avanzi furono completamente rimossi dall'Amministrazione municipale nel 1855. Delle mura angioine della città rimane oggi solo la monumentale Porta Troia, prospiciente l'antica città dauna Ecana (Troia), simile a quella contemporanea eretta a Sulmona, con l'arco a sesto acuto e la facciata a grosse bugne rettangolari, mentre l'altra Porta che oggi è possibile ammirare, Porta Foggia, risale al 1700. Nel Sei-Settecento le porte della città erano ben cinque: oltre alle attuali Porta Troia e Porta Foggia a sud e a sud- vi era la Porta Albana (o di S. Antonio Abate), a nord-ovest, che conduceva ai colli Albano e Belvedere, la Porta S.Giacomo, ad est, nei pressi dell'omonima chiesa e la Porta S. Severo, che guardava verso la città di San Severo, a nord di Lucera»
«Porta Troia. Su Piazza del Popolo rimane una delle due antiche porte delle quattro che si aprivano sulla cinta muraria della città, Porta Troia, così chiamata perché rivolta a Sud, verso la città di Troia. La cinta muraria che circonda Lucera risale ad epoca romana, ma è stata abbattuta e riedificata in epoche successive, formando un tracciato più regolare e aderente all’effettivo sviluppo dell’abitato. La monumentale Porta Troia, che conserva intatta la sua struttura medievale e tracce di quella romana, venne restaurata in età angioina, nel 1272, secondo la tecnica delle bugne rettangolari Presenta arco gotico in pietra e due edicole laterali per i gabellieri che riscuotevano le tasse. ... Porta Foggia. Su Piazza San Giovanni si trovano la Chiesa di San Giovanni e Porta Foggia, una delle antiche porte di accesso alla città. Il perimetro murario di epoca romana, abbattuto dai bizantini, venne ricostruito dagli angioini, che ripristinarono Porta Foggia nel 1341. La porta è in stile gotico, ed è stata ulteriormente rivisitata nel XIX secolo. La struttura portante è in laterizi, e ai lati sono poste quattro colonne romane, con la parte terminale a forma di pigna. La Chiesa di San Giovanni è anch’essa parte delle mura della Città perché venne ricavata da una piccola torre di difesa angioina e dalla vecchia Chiesa di San Lorenzo. Venne ricostruita nel 1558».
http://www.famigliapetrilli.it/lucera/index.php/monumenti/le-porte - http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=1105 - ...id=1107
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