a cura di Giuseppina Deligia
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Il santuario della Madonna di Bonarcatu.
Il santuario di S. Maria si trova vicinissimo all’omonima
chiesa. La denominazione Bonacattu deriva
dalla chiesa intitolata alla Vergine Panàkhrantos
e costruita (come vedremo più avanti) forse in età mediobizantina su
un precedente edificio tardo-romano, che con tutta probabilità
fungeva da bagno termale. Oggi la chiesa ha pianta a croce libera sormontata da bassa cupola
all’incrocio di bracci coperti da volta a botte entro spioventi. I bracci a nord e ad ovest, oltre ad essere gli unici absidati (ma solo
internamente, poiché all’esterno hanno testate rettilinee), sono più
corti e proporzionati all’alzato del corpo centrale, mentre quelli
verso est e sud sono più lunghi e hanno anch’essi terminazioni
rettilinee. La testata del braccio occidentale ebbe una facciata romanica fra il
1242 e 1268, ad opera delle stesse maestranze attive nel coevo
ampliamento dell’abbazia camaldolese come testimonia lo stesso
partito decorativo ad archetti sormontati da un minuscolo lobo. Questa s’innalza su uno zoccolo a filo con larghe paraste angolari da
cui nasce il tratto di paramento sotto gli spioventi del terminale. Gli archetti (quattro per parte) con ghiera semicircolare che, come
abbiamo accennato, si apre all’apice in un piccolissimo lobo,
aggettano in un fondo liscio; il paramento alterna filari di trachite
brunastra ad altri rossicci col risultato di un vivace effetto
coloristico accentuato dalle patere di origine moderna. La parte alta, frontonata, rivela estesi rifacimenti moderni sia dei
conci sia della maggior parte dei bacini ceramici. Al primo intervento risalente al XIII secolo ne va aggiunto un altro,
questa volta clandestino, avvenuto nel 1925 e che ebbe come disastroso
risultato la copertura delle murature esterne in pietrame misto (oggi
parzialmente visibili) con uno strato cementizio. All’interno dell’edificio, di ridottissime dimensioni, si possono
ammirare due bellissimi frammenti del mosaico pavimentale e la vasca,
che occupa un intero braccio e che confermerebbe la funzione termale
della costruzione tardo-romana. Non considerando i successivi interventi, di cui si è detto prima, e
integrando idealmente le parti demolite, il Delogu
(1953, p. 27) prova a ricostruire l’iconografia originaria
ipotizzandola a croce libera, con cupola all’incrocio di bracci di
eguale sviluppo singolarmente absidati ad eccezione di quello che
fungeva da ingresso. Dopo una serie di considerazioni lo studioso arriva a concludere che
alcuni elementi murari, come la pezzatura non regolare e la presenza
di corsi alternati in pietra e laterizio, indicano «il
perpetuarsi, già in epoca pienamente bizantina, di un sentimento
della forma e di tecniche, appunto, della tarda romanità». L’ultimo restauro ha evidenziato strutture archeologiche di un
insediamento nuragico, cui si sovrappose il villaggio romano. Questa continuità insediativa sta a dimostrare l’importanza del luogo
che è posto tuttora vicino ad una sorgente d’acqua di cui la
popolazione, nelle varie epoche (è ancora visibile il condotto con
cui i monaci medievali portavano l’acqua al monastero), ha
abbondantemente usufruito.
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©2006 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.