a cura di Felice Moretti |
Il Buon Pastore: lunetta del Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna.
A1
trionfo del male incarnato dal lupo, si oppone
l'innocenza dell'agnello, del
Cristo che si offre in volontario olocausto come agnello sgozzato per riscattare
i peccati del mondo. È lo stesso Signore Gesù che ha spiegato ai suoi Apostoli
prima e ai suoi discepoli poi il suo simbolismo quando ha detto: «Ecco, disse
ai suoi, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi». Da queste
premesse si era sviluppato nell'esegesi patristica tutto il simbolismo
cristologico fino all'immagine del Cristo Redentore.
In
tutti i tempi, il sangue dell'agnello sgozzato è sceso a rivoli dinanzi a tutti
i simulacri e sul pavimento di tutti i templi. In Oriente, esso fu adorato come
un dio, ma la pregnanza del suo simbolo cristiano non è debitrice alle
concezioni pagane dei tempi precristiani: la sua scelta deriva esclusivamente
dal Genesi, dal Pentateuco, dalle profezie d'Isaia e di Geremia,
dal Vangelo e dall'Apocalisse di Giovanni.
L'agnello
fu la vittima verginale per eccellenza in tutti i culti che richiedevano
sacrificio: «Yahwet ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Lo si
maltratta, e lui patisce e non apre bocca, simile all'agnello condotto al
macello». E Giovanni il Battista, ricordando questi antichi testi,
dirà di Gesú che veniva a lui incontro dalla valle del Giordano: «Ecco
l'agnello di Dio: ecco Colui che toglie i peccati del mondo».
Vittima espiatoria e propiziatoria che si sostituisce all'umanità peccatrice, il mite animale ha preso il primo posto fra i simboli del Cristo. Le prime rappresentazioni iconografiche hanno voluto vedere in esso la vittima che soffre sulla terra prima di quella che trionfa in cielo; per questo, le sue più antiche immagini ce lo mostrano coricato non in piedi. Così lo vediamo su una pietra delle Catacombe di S. Callisto a Roma. Solo più tardi, quando Costantino concederà libertà alla Chiesa, l'agnello sarà rappresentato con una croce, della quale i Catecumeni conoscevano il vero significato: la croce, lo strumento più infamante dei supplizi romani su cui essi non avevano osato prima rappresentare il corpo adorato del Cristo.
Cattedrale di Bitonto, concio in pietra con bassorilievo.
L'iconografia, che rappresentava l'agnello sulla croce, persistette per lungo tempo sia in Oriente sia in Occidente fino a quando il concilio di Quini Sexte del 692 decretò l'adozione della figura umana per la realizzazione dei crocifissi. Nel X secolo il concilio In Trullo rinnoverà il decreto del 692, giudicando che 1'agnello sulla croce era insufficiente ad esprimere il mistero della redenzione; ciononostante, continuò ad essere rappresentato sulla croce anche
nell'XI secolo.
Vittima
immolata, esso appare nell'iconografia cristiana in piedi, spesso confuso con la
pecora, o steso a terra col sangue che cola. Il Medioevo lo rappresenta quasi
sempre in piedi con la gola sgozzata dalla cui ferita cola sangue.
Nella
simbologia cristiana, la docile bestia si afferma non solo come il Purificatore
del mondo, ma anche come il dominatore, e l'iconografia medievale ce la presenta
con una croce che le trapassa il corpo da parte a parte e verso la quale la
sua testa si rivolge con la bocca semiaperta ad invitare con le parole del
Signore:
«Venite a me che sono dolce e umile di cuore e troverete il riposo delle vostre
anime». Così l'agnello è rappresentato a rilievo su un concio in pietra
recentemente scoperto nei lavori di scavo nella cattedrale di Bitonto: motivo di
estrazione paleocristiana riscontrabile nel blocco di imposta della cattedrale
di Bovino e negli esempi di Oristano, Spoleto, S. Saba a Roma, su un sarcofago
del V-VI secolo nella chiesa di S. Pietro ad Alba Fucens e nei mosaici ravennati. Sono soltanto alcuni esempi.
Da leggere:
M. P. Ciccarese
(a cura di), Animali simbolici. Alle
origini del bestiario cristiano, I, Bologna 2002.
L.
Morini (a cura di), Bestiari
medievali, Torino 1996.
F. Moretti, Specchio del mondo. I ‘bestiari fantastici’ delle cattedrali,
Fasano 1996 (da cui è tratta la seconda immagine
di questa pagina).
©2004 Felice Moretti