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           MEDIOEVO FILATELICO

    a cura di Ruggero Gormelli


DANTE ALIGHIERI

(Vaticano)

pag. 10

   

Il secondo francobollo della serie incomincia a rappresentare la Divina Commedia, partendo, com’è ovvio, dalla prima Cantica l’Inferno. La scelta però delle Poste Vaticane è quella, stupenda, di utilizzare per questi francobolli i disegni di Sandro Botticelli - ovvero 100 disegni eseguiti dall’artista, dei quali otto sono andati purtroppo perduti, mentre i restanti 92 sono dispersi e conservati fra l’Italia, la Spagna e, per la maggior parte, presso il Gabinetto delle Stampe di Berlino nella Germania Federale – che, ispirandosi fra il 1480 ed il 1490 ai cento canti della Divina Commedia, dedicò un disegno appunto a ciascuno dei cento canti del poema. 

Nel secondo valore della serie il tema è l’incontro di Dante con le tre fiere (Inferno – Canto I).

Cat. Bolaffi no. 411; Cat. Yvert & Tellier no. 429. Dentellatura 13 ½ x 14. Filigrana: chiavi decussate.
Bozzettista : C. Dabrowska.

     

I versi di Dante, in proposito, sono assai eloquenti

  

Inferno – Canto I  

Inferno – Canto I  

   

31.  Ed ecco, quasi al cominciar dell’ erta,  

43.   l’ora del tempo e la dolce stagione;

       una lonza leggiera e presta molto,  

        ma non sì che paura non mi desse

       che di pel maculato era coverta;  

        la vista che m’ apparve di un leone.

 

  

34.  e non mi si partìa d’innanzi al volto,  

46.   Questi parea che contra me venesse

       anzi impediva tanto il mio cammino,  

        con la test’ alta e con rabbiosa fame,

       ch’ i’ fui per ritornar più volte volto.  

        sì che parea che l’aere ne temesse.

 

 

37.  Temp’ era dal principio del mattino,  

49.   una lupa, che di tutte brame

       e ‘l sol montava ‘n su con quelle stelle  

         sembiava carca nella sua magrezza,

       ch’ erano con lui quando l’amor divino

        e moti genti fe’ già viver grame,

 

 

40.  mosse di prima quelle cose belle;  

52.   questa mi porse tanto di gravezza

        sì ch’ a bene sperar m’ era cagione  

        con la paura ch’ uscìa di sua vista,

       di quella fera alla gaetta pelle  

       ch’ io perdei la speranza dell’altezza.
     

La lonza.

Più che un animale reale, la lonza, il cui nome ricorda la lince, è una fiabesca creazione del poeta. Questi ce la presenta come un felino di singolare eleganza, snello e quasi attraente; il suo aspetto piacevole alla vista può forse alludere alle multiformi tentazioni del peccato (il pel maculato e successivamente la gaetta pelle).

Il leone.

Terribile è invece l’aspetto del leone; forza, ostinazione e furore si sprigionano dalla sua statuaria figura, tanto che lo sgomento sembra propagarsi a tutto il paesaggio circostante.

La lupa.

Nella terza delle tre fiere – la lupa, il male supremo – l’allegoria sembra quasi soverchiare l’evidenza plastica, mentre s’infittisce l’alone di mistero e di angoscia che la  circonda.

Gli antichi hanno visto nella lonza la lussuria, nel leone la superbia, nella lupa l’avarizia, intesa come cupidigia ed avidità.

Nei moderni, alcuni vi hanno visto superbia, invidia ed avarizia; altri in esse hanno scorto malizia, matta bestialità ed incontinenza.

   

        

©2005 Ruggero Gormelli

  


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