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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 26 |
La proiezione assonometrica con spaccato di Santa Sofia di Kiev, la seconda più grande chiesa cristiana (dopo S. Sofia di Costantinopoli) fino al XIII secolo circa (da P.A. Rappaport, Storia dell'Architettura della Rus' Antica, San Pietroburgo 1993).
Nel
1015 san Vladimiro muore. Vi
chiederete subito chi sia questo personaggio con questo bel nome esotico. Ebbene,
Vladimiro è uno dei più importanti personaggi della storia della Russia delle
origini. è
uno dei vari capibanda variaghi, d’origine svedese, approdati a Kiev che, dopo
vari tentennamenti e ricerche, decise finalmente di organizzare uno stato sugli
standard già sperimentatissimi dell’Impero Romano d’Oriente prendendo il
Cristianesimo. Si
fece mandare a questo scopo, dopo varie lotte e ricatti con l’Impero Romano
d’Oriente, i consulenti giusti dalla favolosa Costantinopoli. Lo
stato di Vladimiro fondamentalmente faceva capo ad una lega di città
fortificate che si trovavano lungo le correnti dei grandi fiumi russi ed aveva
come capitale Kiev (chiamata perciò la Madre delle città russe). Almeno
nelle sue prime intenzioni, la cosiddetta Rus’ di Kiev (questo è il
nome convenzionale dello stato nella storiografia russa) sarebbe dovuto
diventare così potente da porsi in concorrenza, prima di tutto, con la vicina
Polonia di Gniezno, regno di Mjecislav (Mieszko I), e poi con gli altri stati
del sud e dell’est. La
prima cosa che i Bizantini proposero fu il battesimo forzato di tutti i sudditi
presenti e futuri nelle città alle quali abbiamo sopra accennato! Il
Cristianesimo infatti, gli fu spiegato, non era solo una religione, ma anche
un’ideologia della società, degli uomini riuniti in una nazione, con una rete
di istituzioni locali (le parrocchie) che rendeva lo stato visibile a tutti e
che riusciva a soggiogare gli uomini direttamente con le sue grandi spinte
psicologiche e magico-religiose. A
questo punto è bene subito avvertire il lettore che deve fornirsi di una carta
geografica della Pianura Russa, se vuol seguire bene lo svolgersi della nostra
storia. Il
legame più importante per il funzionamento dello stato era quello fra Kiev (a
sud) e la grande città del nord, Novgorod, e cioè, in parole economiche, fra
il mercato venditore (Kiev) e il mercato produttore (Novgorod). Solo così lo
stato novello può tenersi in piedi e le esigenze dell’élite al potere
sono soddisfatte. Kiev
stipula trattati con i mercati acquirenti delle preziose merci russe e si
incarica di difendere i traffici dalle continue minacce alle quali sono esposti,
purché Novgorod fornisca senza interruzione le merci richieste. Il
compito di Vladimiro e sua prima attività come capo di stato sarà di
combattere contro quei popoli e quelle genti che cercheranno di penetrare nel
territorio senza il suo permesso e cercando di impedirne il funzionamento. Un
secondo compito, viste le comunicazioni dell’epoca, è l’affermazione della
sua autorità personale in tutte le città soggette (alcune persino costruite da
lui stesso a guardia dei confini che si è ritagliato nell’enorme pianura).
Questo compito riesce a portarlo a compimento attraverso i suoi numerosi figli,
educati con durezza all’obbedienza al padre-padrone, secondo certe regole
ormai antiche tramandate nelle abitudini banditesche variaghe e integrate con
altre assimilate dai popoli turchi delle steppe, chiamate convenzionalmente Scaletta
dell’anzianità ossia in russo antico Lestvìza starscinstvà. I problemi naturalmente sono tanti e non tutti saranno risolti durante
la vita di Vladimiro e i primi verranno a galla quando il territorio dovette
essere ridiviso come eredità fra i figli e quando uno di loro cercò di
sopravanzare l’altro. Il
figlio più vecchio a nome Svjatopolk è il primo che cerca di prendersi Kiev.
In realtà costui non era un suo vero figlio giacché sua madre era diventata a
forza la sposa di Vladimiro benché già incinta del fratello di Vladimiro,
Jaropolk, che era stato poi ucciso nello scontro per il potere. Possiamo
immaginare la contentezza di questo figlio adottivo quando gli dicono che suo
padre è morto. Innanzitutto dalla sua Turov, la città capitale del territorio
a lui assegnata come appannaggio, da tempo si trova a Kiev agli arresti
domiciliari per dissidi con Vladimiro ed ora potrà ritornare libero e potrà
riprendersi quanto tocca solo a lui, vendicandosi del “patrigno” e di tutti
i suoi fratellastri. Tutti
i nodi venivano ora al pettine… Gli
occorreva naturalmente trovar subito un aiuto militare per liberarsi degli
eventuali concorrenti o, in altre parole, dai numerosi fratellastri sparsi nelle
città dell’immenso territorio. A
chi rivolgersi? Naturalmente al suocero polacco Boleslao che avrebbe volentieri
condiviso con lui la signoria ad est del Bug occidentale dove erano racchiuse
enormi ricchezze richiestissime sui mercati internazionali. Purtroppo
in quegli anni Boleslao è impegnato a fermare l’Imperatore del Sacro Romano
Impero d’Occidente, Enrico II, il quale sta tentando la conquista dei
territori baltici e finché questa faccenda non è risolta non potrà
intervenire. Intanto, che Svjatopolk si liberi o neutralizzi i concorrenti come
meglio può e poi se ne parlerà. Come
mai c’era stato uno scontro fra Vladimiro e Jaropolk? Molti
anni prima, Vladimiro, aveva approfittato delle liti fra Oleg e Jaropolk, i suoi
fratellastri, e con l’appoggio di Novgorod, dove allora si trovava, aveva
intrapreso la conquista delle Terre Russe a partire dalla vicina Polozk. Dapprima
aveva tentato di neutralizzare o di aver come alleato al progetto di sopraffare
Kiev il variago che spadroneggiava a Polozk, Ragnvald. Poi lo aveva eliminato
insieme con i suoi due figli maschi ed aveva preso con la forza la figlia,
Roghneda, benché
sapesse che costei era promessa sposa a Jaropolk di Kiev e l’aveva portata via
con sé. Scontratosi
con Jaropolk, lo aveva sopraffatto e ucciso e così la madre di Svjatopolk era
passata nel suo harem… già incinta! Vladimiro, ciononostante, aveva
riconosciuto Svjatopolk come figlio legittimo (insieme alla poligamia, anche
questo era l’uso del tempo). Per
quanto riguarda Roghneda, dobbiamo dire che rimase la sposa preferita di
Vladimiro e che costei gli dette molti figli, benché le male lingue
raccontassero che la donna avesse sempre serbato in cuore il desiderio di
vendicarsi di lui per la distruzione della sua famiglia.
In realtà Roghneda tentò di vendicarsi, ma purtroppo non era riuscita
nel suo intento e, su consiglio dei bojari, Vladimiro se ne liberò facendola
rinchiudere in un convento fondato apposta per lei nelle sue terre d’origine,
a Izjaslavl, nei dintorni di Minsk e non lontano da Polozk. La cittadina portava
il nome del figlio, Izjaslav, perché il ragazzo l’aveva appoggiata
nell’attentato e quindi ora divideva lo stesso esilio! Poi,
sia Roghneda sia Izjaslav erano stati avvelenati, sembra per ordine dello stesso
Vladimiro. Izjaslav aveva lasciato un figlio, Brjacislav, che però era ancora
troppo piccolo per aver voce in capitolo e preoccupare Svjatopolk per il trono
di Kiev. Si
era così giunti a questo punto… Svjatopolk
varie volte era stato redarguito dal suo patrigno che gli aveva predetto un
brutto destino. Gli aveva consigliato di cambiar vita e di imitare il
comportamento di Boris, fratello minore, come quello ideale e più lodevole.
C’era perciò la questione dell’amore di Vladimiro per Boris, anche perché
in quei momenti il giovane si trovava poco a sud di Kiev per questioni
militari… Or
dunque, perché non eliminare prima questo concorrente già a portata di mano? Tuttavia
prima deve confermare la sua posizione di signore di Kiev e questa era la parte
più difficile. Era
consuetudine che il nuovo principe che si insediava in una città portasse con sé,
com’era naturale, la sua druzhina ossia il gruppo di armati che lo
sosteneva, la quale, a sua volta, avrebbe dovuto prendere il posto della druzhina
del principe eliminato, morto o cacciato via e, in più, occorreva che
l’assemblea dei bojari kieviani lo proclamasse signore della città. Non
c’era stata in realtà una battaglia per conquistarsi Kiev perché, come
abbiamo detto, Svjatopolk era già in città e quale figlio maggiore il trono
quasi automaticamente gli spettava, ma, per poter dominare un territorio tanto
esteso con i mezzi del tempo, significava anche doversi circondarsi di persone
fidatissime e comunque in qualche modo dipendenti da lui per la vita e per la
morte, quali non potevano essere i fratellastri! Così
insediatosi nel palazzo di suo padre, il terem da poco ingrandito e
rifatto di fronte alla Chiesa della Decima, aveva subito fatto man bassa sulle
ricchezze lì ammassate in quegli anni di grande successo commerciale ed aveva
cominciato a far regali a tutte le persone importanti della città affinché lo
accettassero quale signore delle Terre Russe. Addirittura, sembra che avesse
richiesto un giuramento di fedeltà ai bojari che lo avevano accettato per primi
e che costoro gli avessero promesso di esser pronti a fare qualsiasi cosa che
Svjatopolk avesse comandato. Rimaneva
il problema di Boris che si trovava poco lontano a sud di Kiev con un buon
contingente di armati il quale, se avesse voluto, avrebbe potuto risalire la
corrente ed attaccare Kiev. Le
Cronache Russe dicono che quando a Boris, in vedetta sulle rive del Dnepr,
giunse la notizia della morte di suo padre, la prima mossa fu quella di
celebrarne la memoria, non sapendo ancora bene delle azioni in atto da parte del
suo fratellastro maggiore. Addirittura, quando poi seppe che Svjatopolk era
salito al potere, Boris dichiarò che era giusto così, visto il diritto di
anzianità, e si disse pronto a mettersi al suo servizio. Svjatopolk
però era d’altro avviso e aveva deciso ormai di eliminarlo. Formò
una squadraccia (i nomi dei componenti sono noti dalle Cronache) affinché si
procedesse al più presto al fratricidio. I sicari giunsero di notte
nell’accampamento di Boris e costui se ne accorse, ma, come era nell’indole
sua, si mise a pregare per le loro anime e per quella del loro mandante. Questo
gli risparmiò soltanto qualche ora di vita perché subito dopo l’ultimo
“amen” fu pugnalato a morte! Avvolto il cadavere in un tappeto, gli
assassini lo misero su una barca e risalirono il fiume per mostrare la prova del
misfatto compiuto al loro signore. Boris
in realtà respirava ancora quando rotolò fuori dal tappeto svolto davanti ai
piedi di Svjatopolk e costui inorridito comandò di dargli il colpo di grazia
per poi… seppellirlo secondo i riti della Santa Chiesa! Boris dunque era
eliminato e i suoi uomini incorporati nell’armata di Svjatopolk! Non
era però finita. Gleb
fu avvisato che suo padre lo convocava a Kiev per disposizioni, dato che
presentiva la morte vicina. Questa notizia lo fece muovere immediatamente.
Destino volle che durante il viaggio cadesse da cavallo e dovesse continuare il
viaggio con la barca invece che via terra. La
squadraccia di Svjatopolk inviata ad ucciderlo così lo sorprese impossibilitato
a difendersi e anche Gleb fu eliminato. Restava
la lontana Novgorod, visto che l’altra città importante del nord, Polozk,
probabilmente stava più a cuore a suo suocero Boleslao… Novgorod
era un nodo politico molto particolare. Come città vera e propria a quel tempo
ancora non esisteva, ma come centro di raccolta di materie prime e di prodotti
di gran valore rappresentava il cespite maggiore dei traffici attraverso Kiev.
Il problema novgorodese era che la concezione di stato, che la classe dominante
(mercantile-proprietaria terriera) locale aveva, era molto diverso da quello
instaurato a Kiev. Probabilmente
una cosa Svjatopolk non aveva bene afferrato: l’importanza dell’autorità
religiosa che suo padre aveva confermato prima per Kiev, ma immediatamente dopo
anche per Novgorod! Certamente
la Chiesa Russa è
ancora alle sue prime armi e il suo capo, il prete-vescovo greco Anastasio che
Vladimiro aveva portato con sé da Chersoneso in Tauride per presiedere ed
organizzare il grande battesimo di Kiev nel 988 con l’assenso della sua nuova
moglie, Anna, sorella dell’Imperatore Romano d’Oriente, non sa ancora come
muoversi fra questa gente che non parla greco come lui. Non abbiamo nemmeno
notizia che Anastasio sia mai stato nominato vescovo dal Patriarca di
Costantinopoli e quindi non possiamo giudicare la sua influenza sugli affari di
stato… Appare
invece che il centro cristiano non fosse ancora concentrato tutto a Kiev, ma in
una cittadina oltre le cataratte, Perejaslavl del sud, probabilmente a causa
dell’ostilità ancora non completamente smorzata in città contro questo nuovo
potere. La
situazione era complicata e molte erano le forze reciprocamente contrastanti in
campo e quasi tutte contro Svjatopolk. A
Novgorod in particolare aveva destinato Vjaceslav, morto prematuramente, e
subito dopo, al posto del defunto, l’altro figlio Jaroslav. Novgorod
è nel periodo del suo sviluppo politico e, come abbiamo accennato, il potere
era ancora nelle mani dei bojari proprietari terrieri che non intendevano
passarlo a nessun altro e tanto meno ad un principe come Jaroslav. I
bojari novgorodesi avevano accettato sin dai tempi di Olga, nonna di Vladimiro,
che si pagasse a Kiev un canone annuo di 3000 grivne per i servizi
logistici offerti per i traffici diretti ai mercati del Mediterraneo, ma niente
di più. La
percezione della somma avveniva attraverso il trasferimento al namestnik
(luogotenente) di Kiev (nel nostro caso Jaroslav) che veniva mantenuto dalla
città per gli eventuali servizi di difesa. Questi servizi in realtà in quei
secoli non avevano gran consistenza in quanto nemici importanti sul Baltico o
nelle lande semideserte del nord non ne esistevano e quindi Jaroslav, durante
l’inverno, quando i traffici rallentavano, se la spassava tranquillamente
dilapidando tutto quando Novgorod gli passava per mantenere sé e la sua druzhina. Ad
un bel momento il governo dei bojari della città individuò nello spensierato
principe l’asso nella manica da giocare per prendersi il potere su tutte le
Terre Russe e lo fece partecipe del progetto. Jaroslav cominciò a trattenere
per sé tutti soldi che andavano a Kiev e con questi raccolse a Novgorod quanti
più variaghi mercenari disponibili al suo comando per condurre la campagna di
conquista della città del sud. Si
aspettava soltanto il momento buono. Di
Jaroslav c’era comunque poco da fidarsi perché in queste cose non era una
persona molto intraprendente e non amava correre troppi rischi. D’altronde
tutti quei variaghi ingaggiati a Novgorod nell’attesa di menar le mani
cercavano di far la bella vita anche loro come il loro datore di lavoro portando
confusione in tutti gli angoli della città. Un bel giorno alcuni di loro,
sorpresi dai consorti ad importunare le proprie donne, furono uccisi e quando il
fattaccio arrivò a Jaroslav per un giudizio, costui decise di vendicare i suoi
uomini, invece di condannarli. Convocò
in un campo appena fuori città i bojari “colpevoli” con la scusa di voler
concordare con loro quel certo progetto. Qui invece dell’accordo e del
convito, come era solito avvenire, Jaroslav aveva dato il segnale ai suoi
variaghi e questi avevano trafitto a morte tutti i convenuti. La vendetta era
fatta, ma a questo punto la posizione di Jaroslav a Novgorod era diventata
assolutamente inopportuna. E
il momento favorevole era venuto, quando Vladimiro, accortosi delle manovre di
suo figlio visti gli introiti mai pervenuti, aveva deciso di intervenire. La
sorte però gli era contro e il grande principe era morto prima di lasciare Kiev
per il nord. Bisogna
sapere che a Kiev vivevano ancora delle figlie di Vladimiro non ancora sposate
ed una di loro, a nome Predslava, visto come stavano andando le cose, decise di
avvisare Jaroslav della morte di suo padre immediatamente.
Gli riferì con una missiva urgente che bisognava preoccuparsi di
Svjatopolk il quale non solo aveva intenzione di eliminarlo, ma con l’aiuto di
suo suocero stava addirittura preparando una grande avanzata verso nord per
impadronirsi definitivamente di Novgorod e realizzare così il sogno di un
grande regno polacco, dall’Elba al Volga. A
questo punto per Jaroslav il suo problema personale, se rimanere o no a Novgorod,
è risolto dalla supposta impellente necessità di doversi recare immediatamente
a Kiev per difendere i diritti suoi e per mettere in atto il progetto di far
diventare Novgorod la capitale del nuovo stato. Sulla
Piazza del Mercato di fronte alla Vece riunita, Jaroslav, da quel grande
attore che era, aveva pianto di dolore per il misfatto compiuto sui bojari il
giorno prima e si era pentito profondamente. Ora però, oltre al perdono,
chiedeva l’aiuto materiale di Novgorod. Sicuramente fu in quel frangente,
conoscendo bene certi atti plateali che sapevano di bugia da tutti i lati, la
diffidenza dei bojari di Novgorod ebbe la meglio e colse l’occasione per
concedergli, sì!, l’aiuto… ma solo a patto che riconoscesse per il futuro e
con qualsiasi esito della sua impresa attuale la piena autonomia della classe
bojara verso qualsiasi principe della sua casata! Detto – fatto e Jaroslav,
ricevuti uomini e denaro, si mise in viaggio sui fiumi verso sud… Jaroslav
ormai ha capito che se vuole il trono di suo padre deve impegnarsi in uno
scontro armato e le forze che ha con sé sembrano appena sufficienti a battere
il suo avversario. Rimane il problema del possibile aiuto dal suocero di
Svjatopolk, Boleslao... Anche
questa volta la sorte giocò a favore di Jaroslav! Boleslao,
ancora occupato con l’imperatore
Enrico II in una guerra di posizione dopo che il suo progetto di unione
(conquista?) con la Boemia è fallito, per ora non attraverserà il Bug (il
fiume al confine con la Bielorussia)… A
questo punto Svjatopolk saputo dell’arrivo di Jaroslav si affretta a
mobilitare un esercito, ingaggiando numerosi Peceneghi dalle steppe ucraine. Le
due armate vennero in vista l’una dell’altra presso un guado vicino a
Ljubec’ sulla riva sinistra del Dnepr superiore senza che nessuno dei due però
decidesse di attaccare. Passano
i mesi e le armate si fronteggiano finché gli animi degli uomini arrivano ad un
tal punto di tensione che dopo un’ennesima sfida a parolacce ed un ennesimo
insulto, i novgorodesi decidono che non possono più aspettare. Un uomo
dell’esercito di Svjatopolk (un traditore!) addirittura comunica in tutta
segretezza che sarebbe meglio attaccare giocando sulla sorpresa quando
Svjatopolk è a cena con i suoi perché allora i Peceneghi si separano
ritirandosi nel loro campo che si trova al di là di un laghetto. Con
la complicità del buio della sera i novgorodesi arrivano con le barche in mezzo
alle paludi e, per essere sicuri che non si ritireranno se non dopo aver fatto
il loro dovere, abbandonano i legni alla corrente. Svjatopolk
viene sconfitto poiché nel suo eroico tentativo di resistere mentre cerca di
riunirsi ai Peceneghi alleati i suoi sprofondano nel ghiaccio del laghetto e
muoiono in gran numero. Jaroslav
ha vinto e Svjatopolk fugge… in Polonia! L’entrata
a Kiev, a detta delle Cronache Russe, è un avvenimento trionfale al quale tutta
la città partecipò, ma purtroppo dobbiamo dire che le Cronache furono scritte
proprio al tempo e per conto di Jaroslav e quindi, da questo punto di vista,
sono poco affidabili. Naturalmente anche Jaroslav dovette ricorrere ai doni
affinché i notabili kieviani l’accettassero quale signore della città… Avendo
saputo dell’insediamento del nuovo principe, sembra che l’imperatore
Enrico lo contattasse affinché si mobilitasse insieme con lui contro Boleslao
perché questi sicuramente su spinta di Svjatopolk si sarebbe rivolto verso Kiev
alla prima occasione. “Fermiamo
dunque Boleslao!” avrà fatto sapere il tedesco al russo. C’è
stato un incendio devastante qualche mese prima e la gente in città è
impegnata alla ricostruzione ed è stanca di guerre e quindi il nuovo principe
deve pensare prima d’ogni altra cosa ad alleviare
i tormenti della città per consolidare il suo potere. Boleslao
intanto conclude i suoi scontri con l’Imperatore e con un nuovo esercito
formato da uomini raccolti da tutte le parti si volge verso Kiev. Jaroslav
viene a sapere della minaccia mentre è in vacanza a pescare e, sorpreso, si
affretta a tornare in sede per affrontare il polacco e il suo fratellastro che
lo accompagna. Boleslao
e Svjatopolk sulla riva sinistra del Bug e Jaroslav e i suoi sulla riva destra
sono ora di fronte. Trovato il guado giusto i Polacchi decidono di attaccare e
Jaroslav viene battuto clamorosamente. Dice
la Cronaca che Jaroslav restò con solo quattro dei suoi uomini. Ci
aspetteremmo ora che Svjatopolk venga reinsediato
sul trono che gli spetta, ma non è così. Boleslao è padrone del campo e
comincia a distribuire i suoi uomini in tutto il territorio circostante con la
scusa di organizzare le forniture delle cibarie alla città ancora sofferente e
di rimettere in sesto la cassa del principe. Il
dispetto del genero è logico e conseguente e vediamo che in questi mesi ci sono
assassini di polacchi in ogni angolo della città e dei villaggi. C’è persino
il sospetto che si voglia uccidere Boleslao stesso. Sicuramente sono di nuovo in
funzione le squadracce punitive di Svjatopolk… Insomma, non c’è scelta!
Boleslao deve tornare a Gniezno e lasciare tutto in mano al genero con
l’obbligo dell’alleanza perpetua con la Polonia. Anzi in pegno, Boleslao
porta con sé Predslava. Costei, anni prima gli era stata addirittura promessa
in sposa da Vladimiro, dopo la pace per le città contese lungo i Carpazi fra
Kiev e Gniezno, e fa avvertire di questo persino Jaroslav. Quest’ultimo
sembra infatti che nella fuga abbia portato con sé al nord quale ostaggio la
moglie di Svjatopolk, figlia del re polacco! Si
capisce che, non appena Boleslao è
lontano, Jaroslav può tornare alla carica e stavolta vincere definitivamente il
fratellastro con poche forze. Per quest’ultimo è finita! Benché con
l’aiuto dei Peceneghi cerchi di opporsi ai novgorodesi sul fiume Alta a sud di
Kiev, dopo tre scontri, è battuto e fugge per sempre. Il livore della sconfitta
e lo spavento lo faranno uscire fuori di senno e si dice che morisse in una
landa sperduta oltre i Carpazi, in Boemia. L’avventura
per il momento è finita e Kiev è in mano al nuovo principe, il quale, a detta
della Cronaca, entrò in città e «…si
terse il sudore insieme ai suoi»…!
Come a dire: “Finalmente è fatta!” Abbiamo
raccontato i tratti salienti di questa storia fino a questo punto confortati da
ben tre fonti contemporanee che più o meno coincidono persino nei particolari:
le Cronache Russe, le Cronache di Titmaro di Merseburgo e del suo
continuatore e una Saga scandinava! Siamo
dunque arrivati pressappoco al 1020 d.C. … La
storiografia moscovita del XVI sec. ha attribuito a Jaroslav il soprannome Il
Saggio (in russo Mudryi) perché durante il periodo in cui dominò
fece ogni sforzo affinché il suo stato venisse riconosciuto all’estero come
moderno ed efficiente e che la sua Kiev apparisse colta elegante e ricca. Ad esempio, se al tempo del grande storico di corte Nikolai Karamzin (XIX
sec.) si fosse saputo quello che si sarebbe scoperto nel 1939, come vedremo,
Jaroslav sicuramente avrebbe ricevuto un diverso trattamento. Diciamo questo
perché Karamzin è una delle più dettagliate fonti di storia russa e a
Jaroslav ha dedicato molte pagine. Tuttavia saremmo ingiusti se non ci
associassimo al giudizio globale dello storico russo e non riconoscessimo alcune
riforme messe in atto proprio da Jaroslav per modernizzare lo stato kieviano. Ad esempio, Jaroslav ricompose le Cronache Russe sul modello annalistico
bizantino, ampliò e mise a punto il primo Codice Civile Russo e istituì
l’insegnamento obbligatorio per i nobili, maschi e femmine, presso le scuole
ecclesiastiche della città. Una
cosa ci salta subito agli occhi: Come mai tanti grandi sforzi per fissare per
iscritto gli avvenimenti più salienti del suo regno? è
la moda del tempo? Oppure ciò si combina alla necessità di definire delle
tradizioni a cui ci si possa riferire quando è necessario emettere un giudizio?
E la tradizione di chi, se lo stesso Jaroslav è un nuovo venuto e se la Rus’
è una congerie di popoli diversi? Ecco
che cosa dicono le Cronache di lui: «E
amava Jaroslav le regole della Chiesa, amava i preti in particolare e
specialmente i monaci. Amava i libri che leggeva spesso di giorno e di notte. E
raccolse intorno a sé molti che scrivevano e
che traducevano dal greco nella lingua slava. E scrissero costoro moltissimi
libri e con questo insegnavano alla gente affinché godessero
dell’insegnamento di Dio. Suo padre Vladimiro gli aveva già preparato il
terreno e cioè col battesimo. Questo seminò con le parole della scrittura i
cuori dei fedeli e noi ora raccogliamo le messi ricevendo l’insegnamento della
scrittura. Jaroslav fondò la biblioteca della Chiesa di Santa Sofia da solo e
spontaneamente. Altre chiese costruì in altre città e in altre località, con
i propri preti e concedendo i fondi per la loro conduzione e comandando a questi
di istruire la gente. Ne fu contento, Jaroslav quando vide tutti questi
cristiani e quelle chiese». è
evidente che nella compilazione delle Cronache c’è molta ingerenza da parte
del principe e possiamo immaginare che la mano del Cronachista Silvestro (e del
suo collega Nestore) era “guidata”. Tuttavia è positivo che, permettendo
che si scrivessero Cronache anche nelle altre città, si creò comunque un insieme
di informazioni storiche e queste, non sempre coincidendo nelle varie versioni,
danno la possibilità di capire meglio gli avvenimenti della storia antica
russa. Con Jaroslav, non possiamo dirlo con certezza!, sicuramente il livello
d’istruzione in generale aumentò (almeno per le classi abbienti!) giacché
abbiamo apprezzamenti indiretti dai visitatori stranieri a questo riguardo.
Addirittura la generazione novgorodese che seguì si dimostrò la più
alfabetizzata di tutte le città del Nord Europa contemporanee! Sembra anche, cosa molto importante!, che riorganizzasse il trasporto
dal territorio intorno a Kiev dei prodotti agricoli da mandare in città…
Un personaggio dunque opportunistico, ma molto contraddittorio… Comunque sia, non appena si seppe che si era insediato, gli altri
fratelli che aspiravano ad una posizione di maggiore o uguale prestigio,
ciascuno secondo le proprie forze, si sentirono ora liberi di agire a proprio
piacere e cominciarono a darsi da fare per allargare i propri domini prima che
Jaroslav intervenisse. Il primo a muoversi è suo nipote Brjacislav che, accortosi che Novgorod
è “sguarnita” perché l’ex “generale delle truppe di difesa della città”
è ora a Kiev, cerca di conquistare la città del nord e di inglobarla nel
dominio di Polozk. Il colpo non gli riesce perché Jaroslav interviene. Tuttavia
non ci sono scontri, ma accordi e ricatti, e Polozk ridimensiona le proprie
aspirazioni (per il momento!) e tutto finisce con un armistizio dove Novgorod
rimane in qualche modo legata a Kiev attraverso l’invio di un nuovo namestnik. Vediamo allora di capire un po’ di più sui traffici che si muovevano
da nord verso sud. Riprendiamo la nostra carta geografica e presto ci accorgiamo
che i mercanti, per andare a sud, non avevamo solo il Dnepr, ma scendendo il
Volga, arrivati allo spartiacque con il fiume Don (nei dintorni delle Harkov
odierna), potevano scegliere se prendere le carovaniere per l’est asiatico o
per il sud islamico oppure, trasbordando sulla terra e passando sulla corrente
del Don, prendere attraverso il Mar d’Azov la via diretta a Costantinopoli o
al resto del Mediterraneo. Sulla costa meridionale di questo Mar d’Azov (costituita più o meno
dal bacino del fiume Kuban) addirittura c’era un piccolo stato russo fondato a
spese dell’Impero Cazaro nel 965 d.C. e Vladimiro, in seguito, aveva assegnato
questo udel (v. oltre) al figlio (e fratello di Jaroslav) Mstislav (ne
riparleremo meglio in seguito). Evidentemente quest’ultimo rampollo di Vladimiro aveva le stesse mire
di Jaroslav e di Brjacislav perché dopo una vittoria sugli ultimi Cazari che
controllavano la Tauride (Crimea di oggi) in collaborazione con Bisanzio,
intorno al 1016 risalì il Dnepr insieme ai nomadi della steppa ucraina, suoi
alleati, e si presentò sotto Kiev. Jaroslav era via, nella terra di Rostov a causa di ribellioni popolari
contro l’eccessivo autoritarismo del suo rappresentante locale, e i kieviani,
sicuri di resistere senza problemi, chiusero le porte in faccia a Mstislav e si
asserragliarono all’interno delle mura. Ciò non scoraggiò il principe il quale, se fosse stato il caso,
avrebbe aspettato suo fratello fino alla fine dei suoi giorni, anche restando a
bivaccare sulle barche con le quali era giunto fin lì. Cercò quindi di
sistemarsi sulla riva opposta dove, a Cernìgov, gli fu opposta minore
resistenza tanto che il nostro si trasferì e attese in quella città… perché
Jaroslav doveva passar di lì per forza! In realtà quest’ultimo, saputa la situazione dal suo luogotenente, è
preoccupato perché ora è costretto allo scontro, se vuol ritornare a Kiev. I suoi fidi variaghi, a capo dei quali c’è un certo Haakon (in russo Jakun)
che diventerà il capostipite di una famosa famiglia bojara moscovita (i
Veljaminov), lo rassicurano. Sbaraglieremo Mstislav! E invece ciò non
avviene poiché, battuti nei pressi di Listven’, Jaroslav e compagnia sono
costretti a rifugiarsi a Novgorod. Eventualmente, come è solito di Jaroslav
visto le parentele con il re di Svezia (ha sposato Inghigherda, la figlia di
Olaf Sköttkonung), è già pronto a fuggire verso i più sicuri lidi svedesi. Col passar del
tempo la situazione comincia a logorarsi e dopo un paio d’anni Mstislav cerca
un qualche aggancio o collaborazione con suo fratello.
Lancia allora una strana proposta: Incontriamoci! Altrimenti
come fratello più anziano (ecco la verità!) entrerò a Kiev
definitivamente e mi proclamerò il padrone delle Terre Russe! Non
c’è scelta per Jaroslav. Anzi! Occorre parlamentare altrimenti verrà
estromesso dal gioco politico generale. Mstislav conoscendo gli agganci del fratello in Svezia non vuole però
ripetere uno scontro che lo indebolirebbe inutilmente e propone, nell’incontro
di Gorodez, non lontano da Kiev, di dividersi le zone d’influenza rispettive. A lui sarebbe toccata Kiev e la riva sinistra del Dnepr e a Jaroslav il
territorio a partire dall’altra riva verso nordest. Jaroslav evidentemente non
può accettare e minaccia di riprendere le ostilità… è solo una finta, ma che ha successo poiché Mstislav rivede le sue
posizioni e cambia le pretese: Ora a Jaroslav toccherà Kiev e la riva destra e
a Mstislav quella sinistra, compresa Novgorod, nella quale città si va subito
ad insediare. Comunque l’accordo di non aggressione c’è e i due fratelli
ora, divisi solo dal grande fiume, possono concedersi un po’ di requie. Secondo noi, se esaminiamo bene le circostanze e il tipo di economia
sulla quale il potere (e il buon vivere nelle città) di entrambi i contendenti
si fondava, possiamo vedere da una parte Mstislav, lontano da Tmutorakan e
quindi in ambiente estraneo e probabilmente a lui ostile, avere in mano Cernìgov,
un posto daziario importante per i traffici diretti verso sud che però vale
poco se i traffici si fermano proprio lì e non proseguono oltre per Kiev.
Dall’altra c’è Jaroslav a Novgorod il quale, malgrado tutto, ha ancora un
certo peso politico presso la potente classe bojara locale e potrebbe dirottare
i traffici saltando il Dnepr e privando il sud dei proventi che questi
apportano, ma si sente comunque isolato dai grandi giochi politici europei.
Scontrarsi? Per ottenere che cosa? Alla fine ci sarebbe una nuova guerra che
impoverirebbe entrambi di uomini e di mezzi e metterebbe in allarme i mercanti
stranieri… Dunque è meglio mettersi d’accordo. Il canone novgorodese sarà
dimezzato e in parte ne godrà Cernìgov. è il 1028 e Jaroslav riprende le sue funzioni a Kiev, ma senza abusare
dell’altisonante titolo di Principe Anziano (in russo Velikii Knjaz)
naturalmente. Jaroslav da tempo ha capito di trovarsi nella città più importante di
tutte le Terre Russe e forse anche del resto dei territori non russi vicini,
vista la sua antichità, perciò è intenzionato a sfruttare la situazione nei
confronti degli Imperi Romani d’Oriente e di Occidente con i quali può
stipulare accordi – è poi questo, il suo ultimo interesse! – purché
costringano Mstislav a riconoscere la sua autorità per consacrarsi così come
il maggiore e unico sovrano delle Terre Russe. A tale scopo instaurerà
contatti, accoglierà ospiti importanti e manderà numerose missioni
all’estero per alleanze e accordi di ogni tipo, spacciandosi per il più
potente sovrano russo, come aveva fatto la sua ava Olga a Costantinopoli
settant’anni prima, per ottenere un analogo riconoscimento. Perché non viaggiare lui stesso per l’Europa per farsi conoscere? In
realtà sembra che il suo handicap fisico lo condizioni e la sua posizione
momentaneamente incerta anche. Deciderà quindi di rimanere a Kiev per il resto
della sua vita e ricevere lì gli altri potenti… Si dice persino che non indicesse così frequentemente grandi banchetti
come aveva fatto suo padre giacché… non amava mostrarsi in pubblico
zoppicante! Da grande imbonitore qual era però, gli occorreva un palcoscenico e un
teatro giusto per un pubblico internazionale di una certa levatura. Dalle intense esperienze fatte, di guerre di vittorie e di sconfitte, di
conoscenze con regnanti potenti e famosi, una volta ambientatosi nel terem
di suo padre, capì che doveva ripianificare questo territorio in modo che
tutti, dal più importante dei suoi notabili fino all’ultimo dei suoi
contadini lo riconoscessero come il loro proprio ed unico signore e padrone. Già era stato liberato dall’ambiguo Anastasio, il vecchio vescovo che
suo padre si era portato da Chersoneso in Tauride, che era fuggito al seguito di
Boleslao in Polonia con tutto quello che aveva potuto arraffare nella Chiesa
della Decima costruitagli proprio a suo uso e consumo da Vladimiro. Prima di proseguire, diamo una breve un’occhiata a questo stato in
fieri, detto la Rus’ di Kiev, che in quel momento è letteralmente
a pezzi e composto di uomini che sembrano “invisibili” per la storia. Noi abbiamo raccontato finora la storia dell’élite al potere,
mentre del resto della popolazione che avrebbe dovuto far da base umana a questo
stato voluto da Vladimiro sappiamo pochissimo o niente, salvo la notizia di
qualche rivolta nella città di Kiev, di cui diremo, e qualche voce di
opposizione in altre città. Come mai? Eppure una nazione è formata non solo da
chi comanda, ma anche da chi è comandato e questi sono di solito la
maggioranza. E facciamo qualche riflessione. Prima di ogni cosa una nazione ha un
bisogno fondamentale: i suoi uomini devono nutrirsi per vivere e riprodursi… Da tempo immemorabile in quasi tutta l’Europa l’agricoltura era la
maggiore industria di produzione “in serie” di cibo. Anche qui, nella
Pianura Russa, i contadini erano i produttori maggiori di derrate alimentari.
Sparsi in comunità e microscopici villaggi lontanissimi dalle città, il loro
prodotto di solito era in quantità appena sufficiente per i componenti della
comunità e… basta! L’eccedenza, quando c’era, veniva scambiata nei
mercati, che le stesse comunità organizzavano in comune, contro altri prodotti,
come arnesi per il lavoro o altri articoli voluttuari di piccolo valore. Inoltre
la situazione delle comunicazioni di quel tempo non consentiva a nessun
contadino di spendere giornate di viaggio per recarsi al più grande mercato
della città vicina per lucrare meglio sulle proprie eccedenze di produzione e
quindi le campagne erano, non solo sconosciute, ma anche completamente e
volutamente ignorate dal potere che risiedeva nelle città. Tuttavia il prodotto eccedente era necessario per la vita dell’élite
e questa doveva aver la sicurezza di poter contare su di esso regolarmente e il
contadino era l’unica forza lavoro conosciuta e l’unico produttore di quei
tempi. A questo punto si costrinse il contadino a produrre di più in ogni
caso perché d’ora in poi ci sarebbe stato un
prelievo “obbligato” (in russo dan’) destinato al mantenimento
dell’élite. Come giustificare questa nuova organizzazione (cleptocrazia)? Accettato questo aspetto del ruolo del signore, nel passato costui
partiva da Kiev coi suoi armati, mentre il contadino era in quiescenza
stagionale e perciò sicuramente presente nel villaggio, diretto nelle campagne
circostanti. D’inverno il territorio ghiacciato era meglio praticabile e più
velocemente percorribile. Questo viaggio circolare nei territori soggetti era chiamato in russo poljudie
e conseguiva tre scopi principali: 1. Dimostrare che il signore era vivo e
operante e pronto a punire chi non si assoggettasse 2. Assicurarsi il
tributo (compresi i giovani in più che l’economia contadina non poteva
sfamare e che quindi offriva da vendere come schiavi o servitori o come mogli e
concubine) e gli oggetti d’artigianato e 3. Dimostrare la “giustezza”
del tributo al principe visto che in queste occasioni assurgeva addirittura
a giudice supremo dirimendo liti e problemi localmente insoluti con sentenze
definitive (a pagamento!). In seguito il poljudie era stato superato già al tempo di Olga,
la quale, anche lei assistita da consulenti greci, aveva organizzato una rete di
suoi rappresentanti locali che potevano agire, conoscendo le leggi e i costumi
dei villaggi meglio di chiunque altro, per continuare senza interruzioni ad
eseguire le operazioni sopraindicate. La raccolta del
tributo dunque non cessò, ma si istituzionalizzò inasprendosi ed ora diventava
obbligatorio portarlo direttamente alla postazione fissata (pogost’)
dove faceva capo il rappresentante locale del potere kieviano, pena la “razzìa”
e la deportazione! Il tributo poteva essere grosso modo diviso in due porzioni, una
volta nelle mani dell’élite: Una per il consumo diretto (cibo,
vestiario, suppellettili etc.) e un’altra destinata all’esportazione giacché
la Pianura Russa era la grandissima fornitrice di materie prime e di
semilavorati per tutto il Mediterraneo e il Medio Oriente nel X-XI sec. Dunque i
mercanti itineranti o i mediatori di commercio (di solito ebrei) avevano il loro
bel daffare sia a Kiev sia a visitare regolarmente tutti i villaggi per ordinare
manufatti e semilavorati presso le famiglie contadine promettendo di scambiarli
con merci nuove e utili. Da questo quadro sommario si capisce subito che l’accumulazione delle
ricchezze presso l’élite al potere era enorme, incessante e rapida. Che succedeva però, come era il caso frequente, in caso di carestie o
di altre catastrofi naturali come le pestilenze che seguivano alle carestie o
alle razzie di predoni sfuggiti alla “difesa” del signore? Sicuramente il signore aveva tutti i mezzi migliori per affrontare e
superare queste disgrazie, ma il contadino? Non si sentiva forse abbandonato a
se stesso? E come reagiva? Una domanda ci sorge spontanea: La comunità del villaggio si sentiva
parte della Rus’ di Kiev? Che cosa si provava, oltre alla paura, per il
“proprio” signore e padrone? Oggi di solito c’è un sentimento nazionale ormai antico che tiene
insieme le grosse comunità. Il signore e padrone, quando c’è, non ha più
tutti i poteri di una volta… Ed inoltre lo stato-nazione si preoccupa che il
giro (turnover) produzione-esazione e raccolta del tributo si
chiuda attraverso l’erogazione di servizi dovuti al cittadino, ma a
quei tempi, oltre la funzione dell’esercizio della giustizia, l’unico
servizio che l’immaginario stato forniva al supposto suddito era la difesa
del territorio dai nemici esterni, reali o individuati dalla stessa élite
secondo i propri disegni politici. Ed allora, in tempo di pace o di
sconfitte militari come si comportava l’élite? Con
questa domanda, che lasceremo per il momento in sospeso, riprendiamo il nostro
racconto perché siamo sicuri che ci sarà forse la risposta… Dunque le minacce per Jaroslav a questo punto erano molto pesanti e
occorreva mettersi al lavoro al più presto per costruire uno stato forte che in
realtà suo padre aveva cercato di mettere insieme, senza riuscirci. A chi far capo per i giusti consigli? Sicuramente ai soliti, sicuri ed
esperti preti greci o ai loro colleghi bulgari che da anni frequentavano Kiev! Scoppierà così un amore intensissimo fra il Monastero delle Grotte (Pecèrskaja
Lavra) a pochi passi fuori Kiev e Jaroslav… Vladimiro aveva destinato al mantenimento della Chiesa e del suo
“servizio ideologico” la decima delle entrate dei traffici, aveva costruito
l’enorme chiesa dove questa decima veniva raccolta e per questo conosciuta in
città col nome di Chiesa della Decima (in realtà dedicata alla Santa
Madre di Dio) e Jaroslav naturalmente mantenne questo “contratto” salvo il
problema (che rimase insoluto) che la decima era difficilissima da calcolare,
data la mancanza di conti regolari nelle casse del principe. Che ne faceva la Chiesa di questa elargizione? è presto detto. Naturalmente c’era da pagare una cospicua prebenda al Patriarcato di
Costantinopoli che garantiva il funzionamento dell’apparato con la fornitura e
la messa a disposizione di archivi scritti e leggi, riconosciute come uniche e
vere. Poi c’era da mantenere in funzione tutta la liturgia e i suoi apparati
sacri, i vestiti e le suppellettili sacre,
la manutenzione e la costruzione dei templi, l’istruzione dei notabili
attraverso le scuole dei monasteri (le uniche istituzioni per l’istruzione
immaginabili a quei tempi!) etc. etc. Dopo il battesimo di Kiev, cominciò la colonizzazione ideologica della
campagna! Questa era un’operazione relativamente meno costosa, ma a lunghissimo
termine e non meno impegnativa, perché richiedeva il controllo, la divisione
del territorio e la conduzione affidata a gente che sapesse fare il suo lavoro
come solo i preti educati secondo gli standard bizantini. Sono dunque grandissime e continue spese che il potere principesco, fra
Chiesa e Stato, deve sostenere affinché lo spettacolo della sua esistenza si
svolga senza sosta. La gente, assistendovi e plaudendo, doveva poi vederlo come
l’unico evento sul quale regolare la propria vita! Logicamente Jaroslav, come sarà costume della sua dinastia, non si curò
più della produzione o dei villaggi, ma pensò soltanto ad abbellire la propria
capitale per ostentare potere e ricchezza e per avere un ambiente di vita il
migliore possibile. Se a Kiev c’è un principe al di sopra di tutti gli altri, qui ci deve
essere anche un’autorità religiosa al di sopra di tutte le altre. Purtroppo
non sappiamo quando Kiev divenne una Metropolia e, benché fra il 1018 e il 1023
si nomini un vescovo Giovanni, solo
qualche momento prima del 1030, quando si mette mano alla costruzione della più
grande chiesa del mondo cristiano di quei tempi, dopo quella di Costantinopoli,
si nomina il Metropolita Teopempto, evidentemente mandato direttamente
dall’Imperatore insieme con la squadra di ingegneri bizantini che Jaroslav
aveva richiesto per progettare le chiese di Kiev! Per la verità anche Mstislav si stava movendo lungo la stessa linea di
abbellire la sua Cernìgov ed addirittura i contatti di questo con Bisanzio
erano ancora più stretti di quelli opportunistici di Jaroslav. Non
dimentichiamo infatti che l’impresa di Mstislav in Crimea (di cui abbiamo
parlato prima) era stata concordata proprio con l’Imperatore Basilio II,
padrino di battesimo di Vladimiro! Cernìgov però non otterrà né Metropolita né Arcivescovo, sebbene si
costruisca comunque con la speranza di far concorrenza a Kiev. A Cernìgov la
disponibilità finanziaria e i disegni però sembrano più modesti e la locale
Cattedrale della Trasfigurazione è più un’imitazione della Chiesa della
Decima che un superamento di questa. Dobbiamo dare atto perciò a Jaroslav che i suoi sforzi veramente
titanici hanno maggior successo… benché non sia molto chiaro dove trovasse i
soldi per realizzare i suoi progetti! Vediamo allora che ne è di Kiev come città e come palcoscenico del
potere. Dunque i tecnici bizantini giunsero, studiarono il terreno e i materiali
e fecero le loro scelte. Era richiesto il rifacimento di tutta la città alta specialmente dalla
parte che guardava il piccolo affluente Kijanka a nordest. Qui il terem
di Vladimiro fu ingrandito di tal misura che nel cortile adesso si tenevano i
pranzi periodici per la popolazione della città (aggirantesi intorno a varie
migliaia di anime) con gran comodità per tutti. La Chiesa della Decima fu
lasciata intatta col suo scenario dei cavalli di bronzo “scippati” ai greci
di Chersoneso, ma, come abbiamo detto, non bastava alle aspirazioni di Jaroslav… Si spianò perciò ancora del terreno verso il lato del Kresc’ciatik,
cioè verso sudovest, e si ricavò un piazzale tre volte più grande della
vecchia “città di Vladimiro” dove la chiesa che pomposamente e
orgogliosamente sarà dedicata alla Sapienza del Signore, Santa Sofia,
trovò finalmente la sua collocazione! Ci vollero circa 20 anni, ma il tempio maggiore fu presto agibile! E allora, secondo noi, vale la pena di dare una descrizione seppur
sommaria e non troppo particolareggiata di questo grande monumento della Rus’
di Kiev che è la Cattedrale di Santa Sofia! La squadra bizantina per prima cosa si rese conto di non poter
utilizzare gran che pietre ornamentali per la costruzione, visto che i Carpazi
erano lontani e il basalto locale troppo duro da tagliare, e ricorsero alla
pietra “fatta dall’uomo” e cioè al mattone. Si dovettero naturalmente mettere insieme i migliori vasai e spiegare
loro come fare i mattoni che avevano una tecnica un po’ diversa. Si
costruirono numerose fornaci e, per le quantità enormi di mattoni che
occorrevano in breve tempo affinché si riuscisse a sfruttare il bel tempo, si
abbatterono un numero grandissimo di alberi. Nel 1037 comincia finalmente la costruzione! Ci siamo ripromessi di non entrare qui nelle particolarità tecniche, ma
cercheremo di mettere l’accento sulla spettacolarità che era poi la funzione
maggiore di quel contesto architettonico. Ricordiamo che in questo periodo Kiev,
come altre capitali europee, entra in quella tenzone costruttiva del XI sec.
che, giustamente, lo storico H. Dittmar chiamerà La Battaglia delle
Cattedrali. Questo è un aspetto importante perché Santa Sofia e i contorni
costituiscono il modello di riferimento per tutte le città russe (Vladimir
sulla Kljazma è un esempio tipico) che
saranno costruite in seguito. Il problema che già aveva affrontato Vladimiro di uno spazio abitativo
distribuito sulle diverse colline sulle quali giace Kiev fu risolto e la Città
Alta diventò un tutto unico dopo il riempimento degli avvallamenti fra una
collina e l’altra (usati fino a quel momento come discarica). La città alta risultò divisa in tre grandi superfici ben delimitate
dalle mura di cui abbiamo parlato, di cui la più antica è quella detta “Città
di Vladimiro” dove poi si trova il terem del principe e i palazzi dei
bojari importanti con, in più, la chiesa “di famiglia” che abbiamo detto si
chiama volgarmente Della Decima. Ad occidente di questo spazio si trova l’area dov’è Santa Sofia. E questo fu dunque il palcoscenico voluto da Jaroslav. Kiev non ebbe nemmeno bisogno di un degradante Cremlino come le altre
città russe poiché era imprendibile nella sua posizione a 60 m sul livello
della corrente del Dnepr e tuttavia ebbe le sue mura, in gran parte ancora di
legno, ma le sue porte ora erano in mattoni e con le sante cappelle sulla cima.
Di queste oggi restano solo le rovine, in parte ricostruite, della famosa Porta
d’Oro (ad imitazione dell’omonima di Costantinopoli). Aggiungiamo che i maestri bizantini concorsero persino alla costruzione
dei palazzi dei notabili che però mantennero quell’aspetto tipico di avere il
piano terra in mattoni e quelli superiori invece di legno. E parliamo dunque di Santa Sofia… In pianta è un quadrilatero che
misura 42 m x 55 m con cinque absidi sistemate sul lato più lungo, orientate
verso oriente. La parte in pianta che si può chiamare veramente tempio è una
chiesa a cinque navate con quella centrale larga circa il doppio delle navate
parallele laterali e si può iscrivere in un quadrato perfetto benché sia un
rifacimento della basilica romana. L’abside centrale naturalmente è
semisferica ed è più grande di quelle che l’affiancano ai lati. A questa chiesa interna si accede da tre accessi arcati, uno sul lato
frontale e due laterali posti in fondo alle navate più esterne dei lati
rispettivi. Al centro della navata centrale poggiata su quattro enormi pilastri si
eleva la cupola maggiore mentre dietro di essa c’è la semicupola
dell’abside, situata a livello più basso, che incombe sull’altare
leggermente sopraelevato dal pavimento. L’altare, ai tempi di Jaroslav quando
ancora non si usava l’iconostasi, è separato dagli astanti soltanto da una
balaustra e nella nostra chiesa ce n’erano ben cinque: uno per ogni abside!
Naturalmente il maggiore è quello centrale… Sulla parete interna della semicupola absidale centrale tutta coperta di
mosaici finissimi è ritratta la Vergine che prega con le mani alzate (Oranta
in russo e in greco) e che guarda quindi chi arriva dall’accesso principale a
cui abbiamo accennato sopra. Sotto la Vergine c’è la riproduzione
dell’Ultima Cena in cui Cristo è rappresentato due volte: all’estrema
destra e all’estrema sinistra ed ogni figura guarda verso gli apostoli che
siedono in due file parallele. Una volta distribuisce il pane e l’altra il
vino. Tutta questa parete, rimasta integra nei secoli, è la famosa Parete
Indistruttibile di Santa Sofia. La cupola centrale è impostata su un enorme tamburo alleggerito da
finestre lunghe e strette e porta all’interno la figura di Cristo Pantocratore
che il fedele vedrà solo quando si sarà posto al centro del tempio ed avrà
levato lo sguardo verso la luce che piove dalle finestre sopra di lui. Intorno alla cupola centrale sono impiantate altre dodici cupolette
tutte poggiate sui colonnati del “tempio interno”… Nelle vele della cupola centrale sono ritratti i quattro evangelisti
mentre le dodici cupolette, non molto evidenti dall’interno, rappresentano
evidentemente i dodici apostoli intorno al Cristo. Tutto è riprodotto con
finissimi mosaici che si sono conservati fino ad oggi, quasi intatti, malgrado
le vicissitudini del tempo e la distruzione dei Tatari nel 1240. Le scritte sono
ancora in greco… Il tempio interno è poi circondato dai tre lati, oltre ai propri, da
colonnati che sorreggono il coro naturalmente sopraelevato nel quale prendono
posto la famiglia del principe e i suoi eventuali ospiti. Oltre al coro, corrente sempre sui tre lati come un altro corpo più
esterno, c’è una galleria aperta con colonnato al pian terreno e un altro
colonnato e parapetto al piano superiore (allo stesso livello del coro) che
veniva usata per guardare e benedire le parate che si svolgevano davanti alla
chiesa. A questa loggia esterna (e al coro) si accede attraverso due torri
“esterne” poste in modo asimmetrico rispetto alla porta trionfale
principale. Una torre infatti è posta all’incirca lungo l’asse della navata più
esterna sinistra (per chi entra) risultando così interna alla loggia stessa,
mentre l’altra è posta nell’angolo della costruzione ed ha una funzione
prettamente militare perché guarda lo spiazzo da tutti i lati non protetti. Le
torri hanno una scala a chiocciola interna che permette l’accesso sia alla
loggia superiore che al coro più interno. Le pareti interne sono tutte affrescate con scene di vita contemporanea
e con qualche scena ispirata a vari avvenimenti tradizionali come, ad esempio,
la visita a Costantinopoli di santa Olga. E non solo le pareti interne perché
abbiamo prova che anche l’esterno era decorato e colorato con affreschi… Ci sono anche scritte profane sulle pareti. è stato tramandato che fosse tipico di quei tempi che chi non aveva
fiducia nel suo partner in un contratto di compravendita venisse a riscrivere
con poche parole chiave il testo stesso dell’accordo sulle pareti della
Chiesa, in modo che Dio fosse testimone e garante della stipula. Ed infatti
anche a Santa Sofia sono stati trovati alcuni graffiti di questo tipo…
fortunatamente non tanti! Il pavimento poi era coperto di lastre di piombo e rame molto belle e
luccicanti. La costruzione, abbiamo detto, è in mattoni e nelle pareti man mano che
si elevano, i mattoni vengono sostituiti con delle anfore lunghe e strette
(dette in russo golosniki) che alleggerendo la struttura allo stesso
tempo fanno anche da risonatori per le messe cantate. Se il pian terreno frequentato dalla gente semplice è praticamente in
penombra, il coro invece risulta illuminato a giorno e gli spazi a disposizione
qui sono delle camere con serratura che permettevano la custodia del tesoro
della chiesa e anche dei beni del principe e famiglia (compresi i libri!).
Naturalmente una parte del coro fa da matroneo ossia è lasciata alla
frequentazione delle donne della famiglia del principe o dei notabili. Ora che abbiamo
davanti a noi il tempio maggiore, gli spiazzi e il terem, sicuramente ci
staremo chiedendo a chi servisse visitare Kiev e il suo signore. Prima di tutto
erano i kieviani a goderne, poiché da quando il complesso entrò in funzione
quasi ogni giorno sfilavano processioni pittoresche che esercitavano un grande
fascino sugli astanti di fronte ai costumi variopinti e scintillanti, ai canti e
alle facce ispirate dei preti e del principe che pure partecipava rapito con gli
abiti migliori e tutta la sua famiglia. Alla fine di queste cerimonie, come era
consuetudine, c’era sempre una tavola con vari stuzzichini che aspettava
tutti… Un altro grande spettacolo per i cittadini erano i processi. Questi avevano luogo, anch’essi periodicamente e frequentemente (benché
si pagassero caro) nello spiazzo del terem. Erano di solito a carico di
grossi personaggi e la gente incuriosita assisteva prendendo parte ora per
l’una ora per l’altra parte, mentre tutti ascoltavano le requisitorie
sciorinate davanti al principe, seduto su un trono, che poi doveva emettere il
giudizio finale. Grande era la trepidazione nelle varie prove giudiziarie come
quelle del fuoco o dell’acqua o il duello all’ultimo sangue in cui il
vincitore aveva il diritto di tagliar la testa al vinto e tutti riconoscevano
quella morte come un giudizio divino! Nei casi meno cruenti, alla fine
sicuramente scaturivano applausi per la vittoria o mormorii quando perdeva la
parte preferita. Quelle erano queste le poche volte che la gente minuta era
ammessa in quello spiazzo! Talvolta c’era persino lo spettacolo del principe che tornava dalla
caccia nelle foreste vicine con gli animali uccisi che venivano arrostiti e
mangiati insieme alla gente… questa volta, nella piazza del mercato, nel
cosiddetto Podol! E poi c’erano molte altre celebrazioni, quali le grandi feste slave
dell’estate e dell’inverno o l’anniversario del battesimo di Kiev al 1°
agosto di ogni anno oppure il ritorno con bottino da una campagna militare
vincente! Jaroslav abitava e operava dunque qui, insieme alla sua famiglia. Ebbe una prima moglie della quale sappiamo pochissimo che gli generò un
maschio, Elia, che, come di consuetudine, fu inviato quale luogotenente a
Novgorod. Il ragazzo muore però ancora in giovane età e, probabilmente a causa
della sterilità della prima moglie, Jaroslav si risposa, stavolta con
Inghigherda. Da questa avrà ben sei maschi e quattro femmine. In quei tempi i figli e le figlie, specialmente, erano un capitale
enorme per il principe. Con i figli a disposizione si potevano stringere
alleanze e amicizie con altre casate e famiglie attraverso i matrimoni e quindi
è importante per la nostra storia sapere quali mariti o mogli presero questi
rampolli al fine di capire la strategia, da noi prima annunciata, del
riconoscimento della Rus’ di Kiev all’estero. Diciamo subito che l’educazione che fu impartita ai figli era severa e
fortemente imperniata sull’obbedienza cieca al padre e ai fratelli di età
maggiore. Questo tipo di educazione era necessaria perché il padre istruiva i
figli sin da piccoli ad assimilare un progetto di vita da lui concepito che poi
veniva direttamente ereditato e gestito da loro. In questo progetto di vita
l’esercizio del potere era lo scopo unico e solo in questo modo, il signore si
poteva fidare di suo figlio quando lo mandava a governare in un posto lontano,
visto che non c’erano né radio né televisione o telefoni per comunicare. Abbiamo anche accennato alla lestviza in vigore presso le bande
variaghe (delle quali Jaroslav continuò a sentirsi parte) in cui il fratello in
vita succedeva al maggiore defunto e non il figlio di questi. Ecco dunque come
si garantiva la continuità senza escludere però le lotte fratricide, come
abbiamo visto. Nella nostra storia la dinastia di Jaroslav si inventò (o ne esaltò la
vera esistenza) persino un capostipite, naturalmente variago e svedese, di nome
Rjurik e tutti i principi russi perciò erano suoi discendenti: i Rjurikidi. Soltanto i Rjurikidi avevano il diritto di spadroneggiare nelle
varie parti dell’immenso paese russo. Fra loro veniva certamente riconosciuto
un principe anziano, ma non c’era una cerimonia di omaggio o di riconoscimento
di ubbidienza ed ogni principe “non anziano” risiedeva nella sua città e
governava a modo suo e senza interferenze da parte del fratello maggiore. Il
problema era quando i membri “aventi diritto” ad un territorio da
“governare” diventavano tanti, le terre da dividere erano sempre le stesse e
nessun principe era disposto a rinunciare neppure ad un pezzettino dei propri
possedimenti. Questa organizzazione della Rus’ di Kiev dopo la rivolta di
Jaroslav contro suo padre e gli avvenimenti da noi fin qui narrati era ormai da
riformare. Un colpo di fortuna fu che Mstislav muore nel 1036 senza figli viventi e
Cernìgov ritorna nelle mani di Kiev. A questo punto la Rus’ di Kiev
ridiventa grande e in Jaroslav scoppia il fervore di trasformarsi in un grande
sovrano. Il territorio c’è, i figli anche… Il primo figlio Vladimiro, compiuti ormai 16 anni, può andare a
Novgorod… A detta delle Cronache norvegesi, quando Aroldo II, re d’Inghilterra,
fu battuto e ucciso da Guglielmo il Conquistatore a Hastings nel 1066, i suoi
figli furono costretti a rifugiarsi in Danimarca e qui Ghita fu data in sposa a
questo Vladimiro. Tuttavia le date in questo caso non coincidono poiché
Vladimiro era già morto nel 1052!! Una storia più sicura è invece quella della sorella Elisabetta. Nel 1040 costei va in sposa al re norvegese Aroldo Sigurdsson, nipote
del famoso Aroldo Bei-capelli. Questo Aroldo era stato nella sua giovinezza a
servizio da Jaroslav e lì si era innamorato della ragazza, la quale però lo
rifiutava perché non lo giudicava degno. Aroldo accecato d’amore va a
servizio dell’Imperatore di Costantinopoli e qui combatte con successo in
molti luoghi del Mediterraneo, finché, ormai coperto di gloria, si presenta a
Kiev dove finalmente è accettato. Non appena fu chiamato al ruolo di re di
Norvegia, purtroppo si scontrerà con un altro Aroldo II a Stanfordbridge in
Inghilterra, dove sarà battuto e morirà. La nostra vedova (Ellisif in
norvegese) passerà ora in sposa a Sven Estridsson, re danese, benché questa
tradizione non sia sicura. Nel 1042 a Goslar sulle rive del Reno, invece, arriva una missione da
Kiev in cui si propone il matrimonio all’Imperatore Enrico III della figlia di
Jaroslav, Anna, visto che l’imperatore è da poco rimasto vedovo. Il
matrimonio non si conclude, ma vengono messi in atto altri accordi che
serviranno a Kiev a proposito. Anzi! Svjatoslav-Nicola, secondo figlio di
Inghigherda, sposa la contessina Oda, nipote del suddetto Enrico III e del papa
Leone IX. Da questa coppia nascerà poi un famoso rampollo, Oleg, divenuto
l’eroe dell’epopea russa il Cantare della Schiera d’Igor. Malgrado il matrimonio mancato con Enrico III, Anna riuscì ad essere
scelta come sposa di Enrico I, re di Francia e figlio di Roberto Capeto. Costei
è la madre di Filippo I e, una volta vedova, si risposerà con Raul de Crépis-Valois
il quale, affascinato dalla sua bellezza, la rapisce e benché la sposasse, il
matrimonio non fu riconosciuto dal papa. Anastasia è altra figlia di Jaroslav. Costei sposò Andrea (Endre I),
re d’Ungheria, dopo averlo conosciuto a Kiev dove questi si era rifugiato, non
ancora re, affidato alla protezione di Jaroslav dal Re di Polonia, Casimiro,
insieme con i fratelli Levente e Béla… Un’altra figlia andò in sposa a Casimiro, figlio di Boleslao che
abbiamo conosciuto prima. Questo matrimonio sigillò una pace (prevista eterna)
fra Polonia e Rus’ di Kiev sulla questione delle città di Cerven’ ai
confini carpatici che erano passate da mano russa a mano polacca e viceversa per
parecchie volte. Le città furono assegnate alla Rus’ e Jaroslav ottenne
persino la restituzione di 800 prigionieri russi che erano stati trattenuti fino
a quel momento in Polonia sin dai tempi di Boleslao. A Kiev visse persino il norvegese Olaf il Santo che ricevette da
Jaroslav come appannaggio un territorio tutto per sé lì vicino. Qui Olaf ebbe
una visione che gli annunciava lo scontro con Canuto di Danimarca e abbandonò
Kiev per la sua terra natìa. A Kiev rimase ancora per qualche anno suo figlio
Maghnus… Dunque una vera tela di ragno si era tessuta tutt’intorno a Kiev e
l’Europa non poteva ormai ignorare l’esistenza di questa nazione
lontanissima e ricchissima. Nel 1043 però avviene un episodio inaspettato. Kiev decide di attaccare
Costantinopoli! Che cosa è successo? Le Cronache bizantine dicono a causa di un incidente fra mercanti
russi e greci e per indennizzi non corrisposti, mentre quelle russe parlano
di offese tanto gravi da dover ricorrere alla guerra. Il nostro Jaroslav garantito dall’amicizia con l’Impero Romano
Germanico, tranquillo dal lato del Baltico e delle steppe, sicuro oltre i
Carpazi, tenta il gran colpo: La conquista della più grande città del mondo!
Se gli dovesse riuscire, sarebbe lui ad incoronarsi Imperatore invece di doversi
accontentare del titolo di Arconte, l’unico concesso dai greci del
tempo al signore di Kiev! L’operazione non riesce… I bizantini con le loro tecniche di fuoco
(il famoso fuoco greco) riescono a sbaragliare le 6000 navi russe e i
russi catturati vengono mutilati e rimandati a casa con disprezzo.
S’intavolano lunghe discussioni e trattative finché anche tramite le manovre
della Chiesa nel 1046 si arriva ad una pace che non verrà più interrotta fino
alla caduta di Costantinopoli nel 1453. La pace viene addirittura consacrata con
il matrimonio fra Vsevolod e la figlia dell’Imperatore Costantino IX Monomaco,
di nome Maria, secondo le Cronache Russe. A questo punto,
forse per ripicca, dopo la scomparsa del Metropolita greco, Jaroslav decide di
porre sul soglio metropolitano un monaco russo, Ilarione! Non possiamo dire che questo personaggio fosse al servizio di Jaroslav,
tuttavia dobbiamo riconoscere che negli scritti del prelato c’è una certa
condiscendenza nel lodare continuamente tutto l’operato del principe di Kiev,
anche perché nel 1051 in un posto deserto ad ovest della città Jaroslav
concede lo spazio e il denaro per costruire la Chiesa Maggiore del famoso
Monastero delle Grotte, il primo e indiscusso simbolo della cristianità russa
fino al XIV sec. Scrive Ilarione: «Guardati la città (Kiev) dove la superiorità si vede con evidenza! Guardati le chiese che fioriscono! Guardati come il Cristianesimo qui si diffonde! Infine guardati questa città tutta intera, circonfusa di incenso, riempita dai canti di lode a nostro signor Gesù Cristo!». In realtà bisogna riconoscere che durante questo periodo molto fu fatto
per rafforzare la religione (e quindi la sua filosofia dello stato e della
società civile) nelle Terre Russe. Tanto è vero che subito dopo l’inizio
della costruzione di Santa Sofia, Jaroslav mandò i costruttori a erigerne altre
due, sempre dedicate a Santa Sofia - beninteso! - … a Novgorod e a Polozk! Lo scopo di questa scelta è chiaro per chi ci abbia seguito fin qui! Ad
ogni buon conto, come era anche logico, le due chiese risultarono più piccole
(meno importanti, cioè) di quella di Kiev e quella di Polozk persino più
piccola di quella di Novgorod. Nel 1050 muore Inghigherda e comincia la decadenza fisica di Jaroslav
che si ammala e quando sente la morte vicina chiama a sé i figli viventi e
tiene loro il seguente discorso, che noi riportiamo da Karamzin: «Figli
miei! Fra poco non sarò più al mondo. Voi siete figli di una sola madre e di
un solo padre e quindi dovete non solo riconoscervi come fratelli di sangue, ma
anche come amici che si amano dal profondo del cuore. Come sapete da quel che ho
subito io nella mia vita le lotte fra fratelli conducono sempre a guai enormi e
se doveste anche voi con tali liti e guerre distruggere la fama e la giustezza
di una nazione e di un governo, sarebbe la pena maggiore per quanto ho fatto io
e mio padre prima di me. La pace e la concordia fra di voi fanno la vostra
potenza. Ricordatevelo…». A questo discorso segue poi l’assegnazione dei diversi territori… Nel 1054 si fa trasportare a Vysc’gorod da suo figlio Vsevolod, presso
il terem della sua ava Olga, dove muore. Naturalmente oltre al sarcofago portato nella Chiesa di Santa Sofia di
Kiev fu anche disposto che si affrescasse l’evento della morte del suo
costruttore su una delle pareti. Nel
1939 fu aperto il sarcofago tradizionalmente attribuito a lui e i resti giacenti
all’interno furono estratti e sottoposti ad un esame necroscopico. La
commissione per questa indagine era formata da alcuni storici sovietici, da
medici e dal grande antropologo M. Gherassimov. Quest’ultimo esaminò il
cranio e cominciò a lavorarci su, secondo il metodo da lui inventato, per
riprodurre le fattezze del personaggio quando era ancora in vita. Intanto
l’indagine necroscopica confermò che il cadavere apparteneva ad un maschio
che aveva una gamba offesa dall’infanzia e quindi corrispondeva esattamente al
nomignolo attribuito a Jaroslav di Zoppo (in russo Hromez).
Tuttavia l’età rilevabile era di circa 66 anni! E qui c’era una notevole
discrepanza con quanto riportato dalle Cronache Russe che dicevano che Jaroslav
era morto la notte del 30 febbraio del 1054 all’età di 76 anni! Forse il
cadavere del sarcofago non era quello del principe? Intanto
M. Gherassimov aveva concluso il suo lavoro ed aveva riprodotto in un busto il
viso presunto di Jaroslav… ma come fare a confermare che quel viso
appartenesse con sicurezza al defunto principe? Finalmente
negli anni dell’URSS i lavori di restauro degli affreschi nella chiesa di
Santa Sofia di Kiev (l’ex cattedrale ora trasformata in museo dove si trovava
il famigerato sarcofago) portarono alla luce una scena sulla parete sotto il
coro dove era dipinta la famiglia del principe che aveva costruito la chiesa e
cioè di Jaroslav. E, guarda caso!, il viso ripreso dall’antico pittore era
proprio quello che Gherassimov aveva riprodotto! Allora,
insorsero gli storici della commissione, come mai l’età non corrispondeva? Semplice!
Il nostro principe si era fatto attribuire
dieci anni di più per risultare il più anziano dei fratelli viventi e
giustificare la sua posizione e quella dei suoi discendenti sul trono di Kiev!! Le
Cronache Russe appiopparono al povero Svjatopolk il nomignolo di “Maledetto o
Disperato” (in russo Okajànnyi) benché sicuramente fosse proprio lo
stesso Jaroslav dal nostro punto di vista odierno (non avremmo più dubbi a
dirlo!) l’usurpatore del trono e quindi il vero Disperato! Qual è l’eredità vera che Jaroslav lasciò alla Rus’? Olga la Santa, nonna di Vladimiro il Santo (padre di Jaroslav), alla
fine del X sec. aveva cercato in tutti i modi di unire nelle sue mani e in
quelle dei suoi discendenti le Terre Russe in un unico stato, la Rus’.
Non c’era riuscita per colpa del suo “miope” figlio Svjatoslav che si era
disinteressato completamente di un tale progetto. Era invece riuscito a Vladimiro e prima della sua morte la Rus’ si
poteva considerare come un’unità politica che si andava organizzando.
Così con la collaborazione dei suoi numerosi figli si era stabilito che: 1.
Novgorod prima di tutto fosse legata strettamente a Kiev e perciò affidata al
suo primogenito, 2. Le altre città russe sui confini provvisori del Volga
fossero affidate agli altri figli minori, e così via fino alla lontana
Tmutorakan (in russo Tamatarha) sul Mare di Azov. Con questo sistema ogni
città riconosceva la supremazia di Kiev perché quella era la sede del padre
del signore locale. Purtroppo la lestviza non fu mai istituzionalizzata o
riconosciuta dalla Chiesa e quindi, alla fine, mancavano delle chiare regole di
successione. Un esempio o modello costantinopolitano da imitare neppure
esisteva, viste le lotte che ogni volta insorgevano alla morte di un
Imperatore… Dunque si lasciò tutto alla sorte che la Chiesa a volte interpretava
come la “volontà di Dio” perché solo Dio decideva chi dovesse governare
sugli uomini. In altre parole in uno scontro per il potere diventava supremo
sovrano chi vinceva perché la vittoria era il segno che Dio aveva preferito il
vincitore, come era accaduto al primo imperatore romano, Costantino! Non poteva
essere stato il caso o la bravura dei contendenti. La
Chiesa aveva la sua teoria in cui tutti i sovrani terreni erano unti del Signore
che li aveva scelti per realizzare i suoi disegni misteriosi. Il potere era
perciò un dono che Dio concedeva su suo esclusivo volere. Con
tale teoria però un qualsiasi principe in qualsiasi territorio poteva vestirsi
addosso questo ruolo santo ed era difficile a questo punto sapere se questo
principe, in una battaglia da lui provocata e vinta, non fosse stato magari
scelto da Dio per essere messo a nuovo capo di tutte le Terre Russe, al posto
del vinto vecchio capo. Certo!
Una volta in cima al potere, il principe si prendeva gli oneri e gli onori di
proteggere ed incrementare il benessere suo e delle Terre Russe… difendendo e
mantenendo sicure tutte le vie attraverso le quali fluivano i commerci! Prima
di proseguire spieghiamo meglio il significato di qualche termine russo che
stiamo usando. L’Imperatore
Bizantino non riconosceva a nessun altro sovrano del mondo il titolo di
imperatore o re e ai signori dei nuovi stati “barbari” (come era considerata
la Rus’ di Kiev) attribuiva al massimo il titolo di capopopolo
(in greco arhon, ossia arconte), mentre noi abbiamo usato il
titolo principe. In realtà il titolo che il signore di Kiev attribuiva a
se stesso normalmente era una parola presa in prestito dai Cazari, antico Impero
della steppa, ossia kaghan. Successivamente fu introdotta la parola knjaz
che sostituì quella cazara e tutti i discendenti da Vladimiro, sia che avessero
un territorio sul quale governavano sia che non l’avessero (questi ultimi
erano gli izgoi e cioè il guaio più grosso per la divisione delle
eredità che entravano in lizza ad ogni morte di uno dei knjaz). Da
quanto abbiamo detto prima, in generale solo i rjurikidi avevano il
diritto di chiamarsi kniaz… e solo questi! Noi
abbiamo tradotto knjaz con quella più intelligibile di principe. Ogni
rjurikide di diritto doveva avere un territorio da sfruttare a suo piacimento
per vivere e questo territorio con capitale fortificata nella storiografia russa
è chiamato udel e noi useremo questo termine quando sarà necessario o
lo sostituiremo con la traduzione più corrente di appannaggio. Riprendiamo
la nostra storia. Jaroslav,
lo abbiamo visto, era un tipo chiuso e schivo e sempre attaccato ai suoi libri
alla ricerca della verità su sé stesso e sul mondo. Certamente in questo
atteggiamento è nascosta anche una grande superbia e una smodata ambizione
necessarie a difendere la sua altissima posizione… Dunque,
si documentava sui libri che gli venivano da Bisanzio per cercare il suo posto
nella storia e nella continuazione in questo nuovo paese del ruolo che suo padre
gli aveva lasciato in eredità. Se
questo è vero, vorremmo allora sapere come utilizzò le informazioni che
raccolse e studiò. A quali conclusioni giunse per rafforzare la sua posizione a
Kiev e nelle altre città russe? La
misura più famosa presa da Jaroslav è la raccolta delle leggi da applicare a
Kiev e, forse anche in altre città russe. è
una specie di Codice Civile in cui si stabilisce molto nettamente la differenza
di classe fra i membri dell’élite e il resto della gente che da essa
dipende. Questo corpus di leggi è
chiamato Pravda Rus’ka e ha avuto più stesure. Le più note sono le
due redazioni chiamate Breve e Lunga, di cui la Breve é
contemporanea a Jaroslav. Nella
Pravda, se si possono vedere gli sforzi di Vladimiro lungo le stesse
direttive di fissare nello scritto delle regole di convivenza fra il potere e
chi lo serve, bisogna anche aggiungere che proprio per opera di Jaroslav si
eliminarono molte misure troppo violente (benché in vigore nella società slava
e fra gli altri popoli slavizzati o in via di slavizzazione, nella Pianura
Russa), come la vendetta di sangue, sostituendole con il compenso pecuniario o
col lavoro forzato presso gli eredi di chi aveva subito l’uccisione per
vendetta. Si stabilirono le pene da pagare per l’uccisione volontaria e
involontaria dei sudditi (vira) che variava a seconda del rango
dell’ucciso definito in base al ruolo “concesso” al defunto dal principe.
Vengono fissate per la prima volta le classi della società kieviana e il
concetto che ogni persona che vivesse in quel territorio
fosse una proprietà personale del principe e che quindi la vira,
prima di tutto, era un indennizzo da pagare a lui! Non
ci dilungheremo su questo argomento perché ne abbiamo parlato in altro nostro
lavoro (vedi
i diversi articoli e la
bibliografia
nel sito), ma i tratti più interessanti sono proprio quelli sopra accennati e
cioè la ridefinizione in modo molto duro dei ruoli del potere rispetto al
principe. Perciò
regole nuove furono fissate per i membri da associare al potere principesco,
come i bojari. Per costoro furono dunque pianificate persino le dimore e i
terreni a loro concessi per lo sfruttamento e il conseguente (proporzionale)
pagamento dei proventi al principe stesso (raccolta del tributo). Come
mai c’è questo interesse più particolare? Vediamo un po’… Gli
unici prodotti industriali della Rus’ di Kiev provengono quasi tutti da
Novgorod. La città del nord va crescendo e va acquistando delle sue
caratteristiche ben precise, ma diverse da Kiev. Novgorod non vuole essere solo
la “fabbrica” e il “deposito blindato” di Kiev e quest’ultima non può
essere l’unica ad incassare la maggior parte dei profitti. Mentre
Novgorod ha bisogno di difesa perché fa gola a molti, Kiev non ha questa
necessità militare. Le mura kieviane sono solo dei limiti di un mondo
amministrativo, di un mondo di dolce far niente in cui il principe e i suoi
operano con la benedizione della chiesa. Questa è l’impressione che Kiev dà,
rispetto all’indaffaratissima Novgorod. Kiev vive all’interno di questo
“cerchio magico dei privilegi” dove si può avere il diritto a
partecipare… solo se lo decide il principe. Ci
sono segni in questo periodo di una diminuzione delle entrate dai traffici del
nord perché le merci novgorodesi cominciano a prendere altre strade (verso
l’Oriente o verso le nuovi corti occidentali europee) ed evitano sempre più
il Dnepr, sminuendo il ruolo della grande Kiev. Di qui la necessità per le
finanze del principe di trovare nuovi cespiti. E dove cercarli? Nei tributi
locali… Quindi ulteriore stretta ai contadini. Teniamo bene a mente questi
punti perché ci servono a capire gli eventi che seguiranno. Dunque,
perché dopo la morte di Jaroslav la Rus’ si spezzettò? Evidentemente con il
nuovo ordine si acutizzarono molte contraddizioni fino ad allora tenute sotto
controllo e noi cercheremo di capire allora dove e come qualcosa non funzionò. Come
dunque era stato disposto a Vysc’gorod, a Kiev andò Izjaslav. Nelle
altre città rimasero i principi che c’erano già, i quali però non fecero
omaggio o giuramento d’obbedienza a Izjaslav, ma semplicemente non sollevarono
alcuna obiezione al suo insediamento a Kiev. La
prima sorpresa che Izjaslav trovò insediandosi a Kiev fu suo zio Sudislav
rinchiuso in un porub! Il porub era una cella strettissima dove il
prigioniero era costretto a rimanere in piedi per tutto il tempo della
detenzione potendosi appoggiare solo alle pareti! è
a lui che dovrebbe quindi andare Kiev, ma il vecchio è ormai stanco e stufo e,
una volta liberato e avendo rinunciato ufficialmente a qualsiasi pretesa, viene
rinchiuso da monaco in un convento e di lì a poco morirà! Diciamo noi: anche questo sapeva fare Jaroslav!
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Estratto ed adattato dal libro:
RASDRABLIENIE, STORIA DELLA RUS’ A PEZZI, di Aldo C. Marturano, 2005.
©2006 Aldo C. Marturano.