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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 27 |
Santa Sofia di Kiev in un disegno di Westerfeld (1651).
In
questo nostro lavoro abbiamo parlato molto spesso della steppa ucraina, degli
scontri dei nomadi con la Rus’ di Kiev, delle relazioni che talvolta
(ma poi sempre più frequentemente) questi popoli stabilivano (e mantenevano)
fra i principi rispettivi russi e polovzi ricorrendo addirittura ai matrimoni
dinastici e quindi dovremmo avere un’idea già abbastanza realistica davanti a
noi del ruolo che i Polovzi ebbero nella storia russa che stiamo attraversando. Innanzi
tutto diciamo che, a parte i popoli eterogenei che abitavano il Caucaso e
dintorni, la maggior parte delle genti della steppa erano di ceppo turco (turcofone)
e quindi mantenevano relazioni molto strette anche fra regioni lontanissime come
l’attuale Gansu a nord della Cina! è utile
a questo punto ricostruire le circostanze che si crearono in questi paesi
all’inizio del XIII sec. per capir meglio gli eventi che racconteremo qui
avanti. Secondo
i turcologhi (Roux, Hambis, Vladimircov, Gumiljov, Minorsky, Bubjonok e molti
altri), intorno alla metà del sec. XI i turchi Kipciaki già si erano separati
dagli Oghuz (anch’essi popoli turcofoni) che nomadizzavano intorno al Mare di
Aral e si erano mossi verso occidente oltrepassando il fiume Jaik (oggi Ural) ed
entrando nella steppa ucraina. Così facendo avevano spinto i Peceneghi sempre
più verso il Danubio. Per la
prima volta nel 1054 questi Kipciaki col nome di Polovzi sono notati dalle
Cronache Russe e le stesse ci informano che erano giunti sotto i confini delle
Terre di Kiev preceduti da un clan residuo degli Oghuz. Quest’ultimo clan
riesce a giungere fino al Danubio, dove poi sarà sconfitto e annientato
completamente dopo vari scontri dai Bizantini e dai Bulgari. I
Kipciaki-Polovzi invece si fermano fra l’Ural e il Dnestr, alleandosi e
legandosi con i numerosi popoli dell’Anticaucaso prima, e venendo a contatto
coi russi, poi. Nel
XIII sec. ormai si sono già in parte sedentarizzati, almeno nel senso che non
migrano più stagionalmente su grandissime distanze come era stato fino a decine
di anni prima. E così lungo il delta del Danubio c’è il clan (in turco
meglio jurt) danubiano variamente composito, mentre appena sotto Kiev,
per quel che qui ci interessa, troviamo il clan del khan Kobjak e quello
del khan Konciak sulla riva sinistra del Dnepr. Tutte queste genti sono
quelle che talvolta sono chiamate collettivamente nelle Cronache Russe i Cappelli
Neri… Come
giustamente dice il turcologo G. Cossuto in un suo studio sui Turchi di Dobrugia,
i Polovzi-Cumani-Kipciaki non costituirono mai un’unità politica, ma di
fronte ad un pericolo comune sapevano unirsi e battersi con tutte le loro forze.
E questo lo abbiamo già potuto constatare nel corso della nostra storia. Tuttavia qui va sottolineato un altro aspetto: quelle che i russi considerano splendide vittorie sui Polovzi, in realtà
erano soltanto una delle tante fughe di questi nomadi davanti ad un inutile
combattimento. Essi infatti, non avendo da difendere terra coltivata o territori
ben definiti (consideravano la steppa messa a disposizione da Dio per chi vi
abitava), non appena si accorgevano che la battaglia volgeva verso la sconfitta
o alla perdita di tempo e di uomini ecco che ai combattenti veniva dato
l’ordine di ritirata. Per questi motivi, risparmiando uomini e sforzi, dopo
qualche tempo erano in grado di ritornare alla carica come se niente fosse
accaduto! Per
quanto riguarda poi il loro comportamento e le loro relazioni coi contadini
russi che vivevano nei pochissimi villaggi sulla frontiera della steppa lungo
l’ormai famoso Vallo Serpentino, dobbiamo dire che i nomadi avevano
come abitudine di commerciare per quanto possibile con loro. Ben sapevano però
che c’era poco da ricavare dagli acquisti da parte di poveri contadini e
quindi piuttosto spesso ricorrevano alla razzia che provocava così o la
reazione militare dei bojari locali che risiedevano nella città fortificata
vicina oppure, nel lungo termine, portava a stipulare con loro accordi di
acquistare beni di scambio di lusso dai Polovzi per tenerseli buoni o persino di
associarli negli affari (specialmente nel prelievo dei dazi delle merci che
fluivano lungo i fiumi). Inoltre,
in modo negativo ed esecrando soltanto secondo la morale odierna, il traffico più
proficuo era la vendita in Crimea (espertissimi mediatori in questi commerci
erano le repubbliche marinare italiane!) dei giovani schiavi prelevati nelle
razzie. Per questo i Polovzi incutevano paura quando cercavano di catturare
giovani e giovanette, piuttosto che distruggere raccolti o rubare oggetti di
poco valore! Possiamo
quindi dire tranquillamente che le affermazioni catastrofiche o moraleggianti
contro i “terrificanti delitti” dei nomadi che appaiono nelle Cronache non
corrispondono pienamente alla realtà! Se poi
volgiamo lo sguardo ai declivi dell’Anticaucaso, qui troviamo un’altro
popolo particolare, ormai alleato e quasi assimilato ai Polovzi: Gli Alani!
Saranno proprio questi a trasmettere le prime avvisaglie del movimento di truppe
vittoriose ostili in arrivo dal sudest! Era
ormai da qualche decina d’anni che circolavano notizie lungo le strade
carovaniere che congiungevano la lontana Cina alla Persia dell’apparizione di
un nuovo popolo formatosi nel lontano deserto del Gobi, estremo lembo orientale
della steppa eurasiatica, a cui era dato il nome di tataro… Non
possiamo qui rifare tutta la storia di questi Tatari, né delle conquiste del
loro famosissimo sovrano, il tataro-mongolo Temügin meglio noto come Cinghiz
Khan, ma ci limiteremo ad accennare alla conquista dei sultanati che si
trovavano a quell’epoca nella regione orientale caspica e le sue conseguenze
sulla steppa ucraina. Nel quriltay
(assemblea dei nobili tataro-mongoli) della primavera del 1206 Temügin fu
eletto Gran Khan delle tredici tribù (in gran parte turche) e in quella
occasione si attribuì il nome di Sovrano Oceanico o Cinghiz Khan,
a significare che aveva in progetto la conquista di tutto il mondo, circondato
dall’Oceano come si credeva a quei tempi. Il
mondo conosciuto era stato perciò diviso in parti secondo le quattro divisioni
dell’esercito tataro a ciascuna delle quali era affidato il compito militare
della conquista e come loro capo era assegnato uno dei figli di Temügin. Non
entreremo qui nelle diverse interpretazioni date dagli storici (russi
soprattutto) sulla posizione geografica di queste quattro regioni e diremo
soltanto che Temügin riuscì a mettere insieme una formidabile armata composta
da più di un centinaio di migliaia di cavalleggeri abilissimi e iniziò le sue
imprese conseguendo molti successi. Le
prime campagne furono naturalmente contro la Cina con vari scontri ed esiti
incoraggianti, ma quando si pensò all’occidente Cinghiz Khan trovò
davanti a sé il potente stato dei Kara Khitai o Qitan Neri.
Questi dominavano proprio i territori fino alla steppa ad oriente e al nord del
Caspio, avendo assoggettato a tributo il Khwarismshah, a sud del Mare d’Aral
(dove oggi è Khivà), la Choresmia ed altri staterelli, tutti di religione
musulmana e di antica cultura persiana sebbene le loro élites rimanessero
turco-selgiuchide per la maggioranza. Nel
1211 i Kara Khitai debbono però cedere a Cinghiz Khan, abbandonando a
questo punto il Khwarismshah direttamente esposto alle forze mongole. Il
sovrano locale, l’intraprendente Maometto figlio del turco Takasc’, proprio
in quegli anni stava cercando di estendere il proprio dominio fino alla vicina
India con il beneplacito dei Kara Khitai. Qui però, dove oggi è
l’Afghanistan, aveva trovato la combattiva dinastia Ghaznavide di Maometto il
Ghoride. Maometto del Khwarismshah riuscirà ad eliminare questo potere
ghaznavide soltanto dopo la morte del suo omonimo avversario e giusto nel 1206,
l’anno in cui Cinghiz Khan comincia la sua brillante carriera. Dunque
nel 1215 il Khwarismshah è certamente lo stato dominante della regione ad
oriente del Mar Caspio avendo incorporato tutte le altre realtà statali vicine.
In realtà, lo ripetiamo, Maometto era riuscito nel suo intento solo perché
glielo avevano permesso i Kara Khitai, ma poi, non intendendo rimanere vassallo
di costoro solo in ragione di questo aiuto virtuale, aveva trovato terreno
favorevole a Samarcanda presso il principe karakhitaide locale, anch’egli alla
ricerca dell’indipendenza personale. Insieme
a quest’ultimo occuperà Bucharà e le altre città intorno al Mare d’Aral
suscitando la pronta reazione militare dei Kara Khitai. Purtroppo
il generale karakhitaide, inviato contro Maometto e il suo alleato di
Samarcanda, è battuto e preso prigioniero con grande esultanza di Maometto. Neppure
Samarcanda però intende dipendere dal Khwarismshah ora che il pericolo dei Kara
Khitai è scomparso e così dopo vari litigi si viene ad un conflitto che si
conclude con l’esecuzione del principe karakhitaide e con la conquista
definitiva di Samarcanda da parte di Maometto. A
questo punto il trionfante sovrano si trova faccia a faccia con Cinghiz Khan
che è deciso a non avere ostacoli nell’espansione verso Occidente. Secondo le
fonti, Maometto riuscì comunque a stringere un patto di non aggressione con il
sovrano mongolo, continuando a dominare gran parte dell’itinerario che seguiva
la Via della Seta. Tuttavia
il patto non sarà mantenuto a lungo poiché Maometto sottovalutando la potenza
del vicino incorre nell’errore fatale di dare poco valore ai salvacondotti
forniti dai mongoli ai loro mercanti diretti in Persia. A causa di ciò ci fu il
famoso Saccheggio di Otrar e la strage dei Tatari accompagnatori. Ne seguì
subito una protesta e una richiesta di risarcimento dei danni alla carovana
danneggiata e per i soldati uccisi. Maometto
risponde sopprimendo anche i Tatari inviatigli per le trattative! Cinghiz
Khan condanna subito tale comportamento e si pone a capo di una
spedizione punitiva contro il fedifrago nel 1218. Tutta la regione è sconvolta
dagli scontri che nella steppa si frammentano facilmente in tutti gli angoli
possibili. I
Tataro-mongoli sfruttarono quella volta anche il fatto che il decadente
Califfato di Baghdad non vedeva di buon occhio il rafforzamento del Khwarismshah
nelle vicinanze della sua Baghdad e la proposta tatara di collaborare
all’annientamento di Maometto fu
accolta perciò con grande gioia. Per di
più l’Emiro di tutti i Credenti, il Califfo an-Nasir (1180-1225), aveva da
tempo condannato Maometto come settario dell’Islam, perché eretico sunnita
insieme a gran parte dei suoi. Il Califfo quindi inviò i suoi agenti
sobillatori nel Khwarismshah che operarono acchè i Sunniti sotto la protezione
di Maometto si rivoltassero contro gli orotodossi sciiti sotto la protezione del
Califfo, sfociando in una specie di guerra civile e religiosa in tutta la
regione dell’antica Persia. Fu
giusto quando la situazione si mostrò più favorevole che i Tatari cominciarono
la loro tattica delle razzie e delle guerre sparse! Le le città del
Khwarismshah caddero una dopo l’altra. I Tatari però non facevano
prigionieri, se non quelli ancora giovani e in forza che potessero essere
utilizzati come schiavi oppure gli artigiani che servivano sempre quali
“fabbriche ambulanti” di oggetti utili, per cui la carneficina fu enorme e
provocò un massiccio spopolamento della regione e la fuga sulle montagne di chi
riuscì a salvarsi. I due
generali tatari Subedei e Gebe (li rivedremo ancora nella nostra storia)
prevalsero ancora una volta conquistando alla fine la capitale del Khwarismshah,
Urgenc’ (Organza), e, contemporaneamente all’inseguimento del vinto Sultan-shah
Maometto, ricevettero l’ordine da Cinghiz Khan di mettersi in campagna
di ricognizione in tutte le direzioni possibili oltre il Caspio. Ed
ecco che ora si aprono le porte verso il sudovest del Continente Asiatico fino
al Mar Mediterraneo Orientale, ma si offre anche la possibilità di penetrare
nelle steppe ucraine attraversando il Massiccio Caucasico per i due passi sulle
montagne: quello di Derbent ad oriente o quello di Darjal ad occidente. E Maometto? Senza più appoggi ed aiuti, l’anziano Sultan-shah ormai malato, riuscito fortunosamente a rifugiarsi su un’isola del Mar Caspio, nel 1221 muore. Subedei Subedei
e Gebe intanto assaltano la Georgia, passano il Kura, il fiume di Tbilisi,
capitale di questo sfortunato regno cristiano, e giungono sotto Derbent (nelle
vicinanze dell’odierna Bakù). In
questa occasione Alani e Circassi (nelle Cronache sono chiamati rispettivamente Jasi
e Kasoghi), venuti a sapere della terribile minaccia che sta per
travalicare il massiccio del Caucaso, cercano immediatamente di far lega coi
vicini Polovzi e insieme a loro e ai locali abitanti delle montagne a forze
unite tentano di impedire il passaggio e interrompere la marcia ai Tatari. I
generali tatari però avevano accumulato abbastanza informazioni ed esperienze e
conoscevano bene la debolezza soprattutto degli Alani e così, dopo una
battaglia senza esito, ricorsero agli stratagemmi soliti. Mandarono dei messi ai
Polovzi promettendo loro che se fossero diventati loro alleati, nessuno avrebbe
fatto loro del male, ma che lasciassero Alani e Circassi a sbrigarsela da soli.
Naturalmente le proposte erano accompagnate da ricchissimi doni e impegni
formali a lasciare ai Polovzi il saccheggio di qualsiasi città o villaggio che
fosse stato conquistato nella steppa dai Tatari. Questi,
abbagliati e inorgogliti dalle parole e soprattutto dai regali e dalle promesse
dei messi tatari, abbandonarono i loro alleati al loro destino e si ritirarono
nelle loro steppe in attesa. Lo scopo di Subedei (Gebe era rimasto in
retroguardia) era però di riuscire a guadagnare tempo per riportarsi al più
presto sulle pianure coi loro cavalli e i loro armati in modo da poter così
ritornare alla tattica militare abituale che li aveva portati alla vittoria fino
a quel momento. L’impresa
riuscì e i Tatari, giunti nella steppa e rimessisi a loro agio in sella ai loro
cavalli, ripresero le razzie in tutti i villaggi che incontravano, senza alcun
ritegno. Naturalmente
i Polovzi non stettero a guardare che ci si prendesse gioco di loro e ci furono
pesanti scontri che però finirono con la sconfitta di questi ultimi. Ricordiamo
qui, per provare che i Polovzi erano ormai avviati verso una completa
russificazione e sedentarizzazione, che il figlio di Kobjak si chiamava Daniele
e quello di Konciak, Giorgio, e perciò erano battezzati cristiani quando
morirono proprio nelle suddette battaglie. Tutte
queste notizie logicamente giunsero sino alle orecchie dei Cronachisti russi che
scrissero:
«Nell’anno 6732 (è
il computo degli anni secondo lo stile bizantino e corrisponde al nostro
1223-1224 d. C.)... a causa dei nostri peccati, sono giunti dei pagani (nel testo
si dice “figli di Agar”, la schiava di Abramo che aveva generato gli Arabi
musulmani) sconosciuti. Nessuno sa bene
chi siano e da dove provengano, nè
che lingua parlino nè di che stirpe siano o quale sia la loro fede. Li chiamano
tatari, ma altri li chiamano tauromeni e altri peceneghi. Altri ancora, fra cui
il vescovo di Patara, Metodio, attestano che costoro sono usciti dal deserto di
Jetreb... Dio solo sa chi siano e da dove vengono. I saggi, coloro che sanno
interpretare i libri sanno bene chi sono, noi però lo ignoriamo e, affinchè i
principi russi lo ricordino, abbiamo qui scritto di loro e delle disgrazie che
sono capitate ai principi per causa loro. Abbiamo infatti saputo che hanno
conquistato le terre di molte genti...». E
vediamo allora la situazione intorno a Kiev in quel periodo. Abbiamo
lasciato il nuovo Velikii Knjaz Mstislav, figlio di Romano di Smolensk,
mentre nel 1219 a Galic’, chiamato dai bojari locali, succedeva un altro
Mstislav detto l’Ardito, figlio di Mstislav il Coraggioso. Il già defunto
Coraggioso a sua volta era lo zio di Mstislav di Kiev. Purtroppo, come il nostro
lettore avrà notato, il ripetersi dei nomi di famiglia fra i Rjurikidi porta in
questi anni ad avere molti parenti con lo stesso nome. Non possiamo farci nulla
e bisognerà perciò fare attenzione a non causare confusione fra i diversi
personaggi che incontreremo in questo nostro racconto, ricorrendo ai soprannomi. Mstislav
di Galic’ (l’Ardito) era sposato con una figlia del khan Kotjan e
quando dagli spalti della città fu annunciato che lungo il Dnestr era stato
avvistato proprio il khan con i suoi “non in assetto di guerra”, si
pensò immediatamente che i Polovzi fossero venuti a chiedere aiuto per qualche
loro problema urgente. Kotjan
portava con sé varii doni per suo genero e ragazzi e ragazze per i bojari della
città. Infatti sapeva bene come andavano le cose a Galic’ dove il principe
non decideva alcunché senza l’approvazione dei bojari locali! Solo se questi
potenti lo avessero bene accolto, avrebbe potuto parlare con Mstislav ed
esporgli i suoi guai! Tutto
andò per il verso giusto e finalmente il consiglio presieduto dal knjaz
si riunì e il khan poté spiegare la ragione della sua visita. Naturalmente
è ascoltato con benevolenza e in parte pure creduto, quando racconta quel che
è successo giorni or sono negli scontri con i Tatari, ma quando poi spiega che
è qui per chiedere aiuto perché sa che i Tatari muoveranno presto verso
occidente e quindi verso il Dnepr, sarà lo stesso Mstislav a cercare in tutti i
modi di ridimensionare le esagerate paure del suocero. Comunque
che stia tranquillo, Kotjan! Si aspetterà la fine dell’inverno e subito dopo
si intraprenderà qualche azione. Così ha deciso il Consiglio di Galic’! Kotjan
dunque deve subire l’affronto di vedere ancora per un po’ i Tatari svernare
nelle sue terre e addirittura non poter impedire che persino la sua Crimea venga
devastata e che Soldaja venga assediata, espugnata e saccheggiata. Subedei
naturalmente con queste sue azioni cerca in realtà di rendersi conto della
situazione nella steppa e saggiare le difese dei Polovzi e addirittura si
avvicina così al Vallo Serpentino. Queste
notizie giungono a Mstislav di Galic’ il quale, ormai convinto
dell’emergenza, chiama Kotjan e con l’approvazione dei bojari si reca
immediatamente a Kiev insieme ai doni (dei Polovzi) necessari per essere
ascoltati dal Velikii Knjaz. Questi
non crede che la faccenda sia così grave e urgente, ma Mstislav di Galic’
insiste e dopo molti discorsi finalmente si indice una nuova assemblea dei
principi più importanti delle Terre Russe intorno a Kiev. A
presiedere, com’è la regola, è il Velikii Knjaz di Kiev, Mstislav
figlio di Romano. E’ presente Mstislav di Galic’, figlio di Mstislav il
Coraggioso, e con lui c’è anche Mstislav di Cerni’gov, figlio di Svjatoslav,
e infine Mstislav detto il Muto di
Volynia, oltre a Kotjan e i suoi alleati e i khan parenti. Con
chiarezza i Polovzi chiedono la formazione di una lega comune contro i Tatari,
sottolineando che se i Russi non li aiutano oggi i Polovzi saranno certamente
battuti, ma domani toccherebbe a Kiev e agli altri udel subire la stessa
sorte. Per
convincere i Russi ancora una volta Kotjan tira fuori i cavalli della steppa,
famosi per la loro resistenza, i maestosi cammelli bactriani ed altri animali
d’allevamento, ma soprattutto fa sfilare le tante ragazze da servizio. Addirittura
uno dei khan del gruppo si fa battezzare proprio in quell’occasione! Mstislav
di Galic’ naturalmente perorò per la sua parte quanto Kotjan e i suoi
richiedevano e alla fine sembrò che gli elementi per prepararsi con diligenza
allo scontro con questi famigerati Tatari ci fossero proprio tutti. E così fu deciso: si sarebbe andati tutti insieme contro i Tatari! Anzi, si sarebbe
richiesta anche la partecipazione del principe di Suzdal che sembrava da tempo
non essere più interessato alle faccende di Kiev. Suzdal infatti rispose, ma
con poco entusiasmo e da Rostov-la-Grande fu destinato il suo principe con la druzhina,
mentre la vicina Rjazan’ si rifiutò. Tutto
insomma era pronto verso la fine di aprile dell’anno 1223. Il
punto di concentramento degli armati fu una cittadina della riva destra del
Dnepr vicino ad Olesce, presso la cosiddetta Isola del Variago. Di qui si guadò
e poi gli armati continuarono a piedi per dirigersi a Perejaslavl, lasciando che
la cavalleria invece giungesse via terra. Riassumendo,
c’erano dunque le forze di Kiev, di Smolensk, di Cernìgov, di Novgorod dei
Severiani, della Volynia e della Galizia e, con grande sopresa di tutti e quale
prova che i Tatari erano molto vicini… si fecero annunciare persino i messi di
Subedei! Costoro
avevano ricevuto istruzioni precise suggerite dalle circostanze di cercare di
dividere gli alleati e soprattutto tentavano di sapere quanti erano gli armati e
che armi avevano e di raccogliere qualsiasi altra informazione miltare utile. Le Cronache riportano le loro parole:
« Naturalmente
gli alleati non si fecero convincere e rimandarono i Tatari senza alcuna
risposta particolare. Una
cosa non fu registrata dai Russi e questo fu il loro più grande errore: I
Tatari avevano ormai capito che la grande e ricca Rus’ di Kiev aveva due
centri nevralgici: Kiev, il centro politico, e Novgorod la Grande. Occorreva
prima di tutto abbattere il centro politico, mentre il centro economico sarebbe
stato un obiettivo secondario, dato che lo si poteva controllare già dalle vie
d’acqua che esso sfruttava per i commerci. Questo dunque fu il piano sul quale
si stavano concentrando i Tatari a dispetto della miopia di Kiev… E così,
come se questa fosse stata una spedizione contro i soliti nomadi della steppa,
la faccenda fu condotta nella massima calma. Si aspettò ancora un momento gli
armati a piedi dalla Galizia che arrivarono giusto in tempo dopo essere discesi
lungo il Dnestr e aver risalito il Dnepr fino all’isola di Hortiza sulle
barche, vicino alle rapide. Anche i Cappelli Neri arrivarono e,
finalmente, ci si mise in cammino verso sud. In
avanscoperta erano stati mandati intanto i principi più giovani con altri
uomini per cercare di conoscere, seguendo non visti i messi tatari, la
consistenza e l’armamento del nemico. Al ritorno questi raccontarono che a
loro i Tatari erano sembrati talmente inferiori da essere addirittura dal punto
di vista militare peggio dei Polovzi. Solo uno degli esploratori, più vecchio e
più esperto, avvertì al contrario che a lui sembravano essere dei buonissimi
cavallerizzi e degli arcieri formidabili. Già
lungo la confluenza del fiume Hortiza col Dnepr ci fu il primo avvistamento dei
Tatari. Non essendoci un comando unificato, il giovane Danilo di Volynia decise
senza consultarsi con Mstislav di attraversare il Dnepr e si lanciò
all’attacco. I
Tatari secondo la loro solita tattica mostrarono di fuggire tirandosi dietro i
russi. A questo punto, affinché non lo si accusasse di codardia, Mstislav di
Galic’ seguì il nipote e dopo un lungo inseguimento riuscirono insieme ad
avere uno scontro frontale con l’avanguardia tatara la quale si fece
facilmente battere. Con
questo primo apparente successo gli armati alleati diressero verso sudest dove
presumibilmente avrebbero incontrato il grosso delle truppe nemiche. Con una
marcia di circa dieci giorni giunsero così sulle rive del fiume Kalka
(l’odierno Kaliec). Nessun
nemico era in vista e così quando tutti gli armati si raccolsero, si fece
consiglio. Il Velikii
Knjaz era per attestarsi in quella posizione e attendere il nemico, mentre
Mstislav di Galic’ era per continuare la ricognizione e stanare il nemico. A
questo punto Mstislav di Kiev si attestò su un’altura che dominava il fiume e
si organizzò per l’attesa, come aveva deciso sin dall’inizio, mentre
Mstislav di Galic’ e gli altri alleati, sicuri della presenza dei Tatari sulla
riva opposta, decisero di attraversare il fiume e di ingaggiare battaglia. Nel
frattempo si lasciò che Danilo e il khan Jarun coi loro uomini tenessero
occupati i Tatari con le loro scaramucce, non appena questi si facessero vivi. I
Tatari infatti erano lì e facilmente circondarono gli armati dei due
sopradetti, mentre accorrevano anche gli altri principi russi. Lo scontro fu
terribile e i Polovzi come era loro costume, appena videro che stavano perdendo
troppe forze, rinunciarono e fuggirono. Ciò sparse il panico nelle file degli
alleati russi che si trovarono improvvisamente il nemico da tutti i lati e,
giacchè questo prevaleva per il suo numero molto grande, le sorti della
battaglia non erano molto favorevoli. La
battaglia comunque proseguì per tre giorni quasi senza interruzione tanto che
Subedei, sempre accorto a non sprecare inutilmente forze in una regione a lui
ostile, chiese una tregua. Il
generale tataro aveva infatti notato che una parte di russi si trovava
sull’altura e questi avrebbero potuto essere pericolosi. Mandò così da
questi il suo messo che annunciò che Subedei aveva deciso di interrompere lo
scontro e che avrebbe lasciato che Mstislav di Kiev se ne tornasse incolume coi
suoi, se la sua partecipazione alla guerra si fosse fermata qui. Mstislav,
avendo visto i tanti morti delle druzhine russe, pensò bene di salvare
almeno la propria e acconsentì a ritirarsi. Naturalmente,
invece che lasciato andare, fu assalito dai Tatari e sbaragliato completamente. I
Tatari non avendo alcun bottino da fare, eccetto cadaveri e carcasse, lasciarono
il campo e si allontanarono verso sudest, mentre gli alleati si ritrovarono in
fuga a contare i loro morti e ad accusarsi vicendevolmente dell’insuccesso. Mstislav
di Cernìgov cadde in battaglia, Mstislav di Galic’ insieme con Mstislav il
Muto e Danilo di Volynia riuscirono a raggiungere le loro barche che fecero
subito bruciare dopo essere giunti sull’altra riva per non correre il rischio
di essere inseguiti ed infine Mstislav di Kiev rimase ucciso nella mischia dei
fuggitivi. Per
quanto riguarda i Tatari, continuando la loro marcia verso est, si scontrarono
prima coi Bulgari del Volga battendoli senza grossi problemi, dopodiché
proseguirono oltre il Jaik per ricongiungersi con il grosso dell’armata oltre
il Caspio, nella steppa poco a nord del Khwarismshah. E
possiamo immaginarci i visi e i cuori dei russi sopravvissuti alla cocente
sconfitta mentre ritornavano lungo la riva sinistra del Dnepr… Probabilmente
ci si interrogava del perché e del come ciò fosse potuto accadere, sebbene
tutti fossero sicuri di essersi battuti con tutta la forza e la volontà di
vincere possibile. Qualcuno aveva tradito? Oppure i Tatari erano proprio così
imbattibili? E perché non avevano continuato lungo il fiume per prendere e
saccheggiare magari proprio la grande Kiev? Certamente sarebbero tornati. E
quando? E come difendersi da un prossimo attacco? Certo!
Cose strane erano accadute all’interno della coalizione. Ad esempio, Vasilko
di Rostov-la-Grande aveva impiegato più tempo degli altri a raggiungere il
punto d’incontro e, arrivato con gran ritardo a Cernìgov, ma in tempo per
apprendere della disfatta sul Kalka, si affrettò a tornarsene a casa coi suoi,
contento di averla scampata! Era stato proprio un caso? O il suo ritardo era
stato voluto da Giorgio di Vladimir-sulla-Kljazma? Su
questa disfatta naturalmente in seguito si favoleggiò e si disputò, ma pure si
cantò, come è in uso fra tutti i popoli che trasformano le battaglie e le
imprese, anche non riuscite, in poesia epica e si raccontò che per la malvagità
dei Tatari erano periti ben settanta fra i più eroici dei combattenti russi fra
cui Dobrynja Cintura d’Oro e Alessandro Popovic’ col suo servo polovzo Torop… Al di
là di questo, nessuno intuì che era proprio il fatto di non aver fatto piani
di guerra e di non aver avuto un comando unificato che aveva causato la
sconfitta… Quel che ora restava era il risultato finale: La Rus’ aveva
subito un bruttissimo colpo! Ricominciarono
dunque i litigi e le lotte intestine. Al
posto del defunto Mstislav, Kiev passò nelle mani di Vladimiro figlio di Rjurik,
un uomo avido e insignificante che passava tutto il tempo a Kiev dedicandosi
solo ad accumulare ricchezze per sé soltanto. Per
lui Kiev non rappresentava più una realtà politica di prestigio, e, benché
non potesse neppure essere considerata alla stregua di un udel qualsiasi,
aveva perso ormai gran parte dei cespiti che l’avevano resa splendida fino al
quel fatidico 1223 e perciò la logica era di arraffare quel che si poteva. Il Velikii
Knjaz ormai non è niente di più che un capo militare educato alla sola
scuola della guerra e del saccheggio per avere un bottino da dividere coi suoi
uomini. Il suo prestigio sacrale avuto fino al tempo di Andrea Bogoljubskii
quando era seduto sul trono di Kiev si è ormai dissolto. L’unica
istituzione che rimane integra e prestigiosa è invece la Chiesa. E
vediamo un po’ meglio. Per le
truppe ritornate a Kiev dopo la disfatta sul fiume Kalka ci fu sicuramente da
parte della Chiesa una solenne celebrazione consolatoria. Si tentò di provare
con questa che i barbari delle steppe avevano prevalso e ucciso tanti cristiani
proprio a causa dei peccati che questi ultimi avevano commesso e non a causa
della loro divisione e disorganizzazione. Fu indetto un digiuno e un pentimento
collettivo e si aspettò che Dio risollevasse le sorti della città e delle sue
terre. Nel
frattempo, in assenza di un Velikii Knjaz di valore, la Sede
Metropolitana salì ai più alti livelli di consenso in tutte le Terre Russe e
questa fu un’ondata di ottimismo e di speranza verso la divinità cristiana.
L’autorità religiosa vide in ciò la buona occasione da sfruttare
per cercare di riunificare le Terre Russe e battere la minaccia tatara
sotto l’unico “unto del Signore”, un giusto e buon Velikii Knjaz!
Dio non avrebbe permesso che Kiev cadesse nelle mani degli infedeli, se il Velikii
Knjaz fosse stato un uomo pio! Così
processioni e funzioni liturgiche solenni diventarono quasi quotidiane a Kiev. E non
solo in questa capitale! Le diocesi nel resto delle Terre Russe erano aumentate
di numero e perciò in questi anni ci fu un andirivieni di prelati che
arrivavano in città per farsi consacrare per poi subito recarsi nelle
rispettive diocesi loro assegnate ad esercitare il loro ministero. Con
questi vescovi e arcivescovi c’era sempre un folto stuolo di pellegrini che
venivano a venerare i diversi santi e a visitare i santuari di Kiev, portando
offerte di tutti i tipi alle tombe dei santi russi, a cominciare da San Teodosio
e da Santa Eufrosina di Polozk nel Monastero delle Grotte per finire ai Santi
Fratelli Boris e Gleb a Vysc’gorod! Queste
cerimonie diventarono occasioni di incontro dei potenti perché insieme ai
vescovi venivano a Kiev anche i principi locali e quindi si creava la possibilità
di parlarsi e di prendere accordi benché poi tali accordi non si rispettassero
mai! Dunque
tutto dava adito a pensare che ci fosse una ripresa e una nuova fiducia nella
forza e nella potenza delle Terre Russe che gridavano vendetta… Ed
invece i segni che venivano dal cielo in quei tempi continuvanao ad essere
funesti e sfavorevoli e le Cronache li elencano come segni della volontà divina
volta a punire coloro che non avevano rispettato la legge di Cristo. Infatti
nel 1230 ci fu un forte terremoto che fu sentito da Novgorod nell’estremo nord
fino a Kiev e qui fu particolarmente distruttivo. Si
racconta che la Chiesa della Madre di Dio nel Monastero delle Grotte si crepò
in ben quattro punti proprio mentre si celebrava l’anniversario di San
Teodosio delle Grotte in presenza del Metropolita Cirillo I e quando Vladimiro
figlio di Rjurik era appunto il Velikii Knjaz. Calcinacci caddero dalla
volta rovinando tutta la tavola preparata per la refezione solenne alla fine
della cerimonia… A
Perejaslavl invece il terremoto fece i maggiori danni nella Chiesa di San
Michele che risultò pesantemente lesionata in ben due punti! Il notevole, che
il Cronachista non perde l’occasione di sottolineare, fu che in quell’anno
ci fu pure un eclissi di sole e che la gente ammutolì per lo spavento per la
tutta la durata del fenomeno. Anche
una cometa, apportatrice di disgrazie, apparve nel 1233! Insomma,
altro che rinascita! Si annunciavano nuove calamità e nuove disgrazie e i
principi russi non si erano ancora preparati a far penitenza… Nel
1227 muore Cinghiz Khan, c’è un nuovo quriltay che elegge il
nuovo Gran Khan nella persona di Öghedei e costui annuncia che il
compito dei Tatari che si trovano già in occidente sarà ora quello di
conquistare al più presto le Terre Bulgare (del Volga), il Paese degli Asi
(Alani, intendendo così il Caucaso e le terre viciniori) e le Terre Russe che
finora sono rimaste indipendenti. Questo
sarà il destino delle attività del figlio di Giöci (figlio di Cinghiz Khan) a
nome Batu Khan, assegnato a questa porzione di mondo. Nel
frattempo riprende la lotta per Kiev, un’ennesima volta coinvolgendo i
Monomachidi e gli Olgovidi, e Michele di Cernìgov (Olgovide) d’autorità e
con la minaccia armata toglie il posto a Vladimiro figlio di Rjurik (Monomachide).
Si
erano schierati i partiti per l’uno e per l’altro candidato e fra quelli che
appoggiavano Vladimiro c’è anche il giovane Danilo che abbiamo visto darsi da
fare nella battaglia sul fiume Kalka. Si
viene alle mani e purtroppo gli Olgovidi con l’aiuto dei soliti Cappelli
Neri battono gli alleati, Danilo e Vladimiro, e quest’ultimo è fatto
prigioniero dai Polovzi. I
potenti bojari, vista la meschina figura fatta da Danilo, non aspettano che
torni in città e chiamano a Galic’ Michele di Cernìgov che nel frattempo ha
passato la mano a Kiev a Izjaslav di Novgorod dei Severiani (un pronipote di
Oleg del Cantare di Igor, per intenderci). Michele accetta con
entusiasmo, visto la rinomanza e la ricchezza di Galic’ rispetto alla
decadente Kiev. Vladimiro
figlio Rjurik però non ha rinunciato e, fattosi pagare il riscatto, ritorna
alla carica a Kiev. Da
Suzdal arriverà persino Jaroslav (il padre del famoso eroe russo Alessandro
Nevskii in fuga dal nordest proprio a causa del nuovo arrivo dei Tatari) che si
porrà di forza sul trono di Kiev. Intanto
nel 1236 Batu Khan ha già completato la conquista della Bulgaria del Volga che
viene assoggettata a tributo. L’anno seguente è la volta di Rjazan’. La
città è ben guarnita con le sue mura alte e possenti, ma i Tatari sono giunti
con le macchine d’assedio disegnate dagli ingegneri cinesi e persiani e il 21
dicembre la città è presa. I Tatari continuano la loro marcia malgrado
l’inverno (anche perché col fondo ghiacciato è più facile proseguire lungo
le foreste) verso il nord. Probabilmente il loro obiettivo è Novgorod-la-Grande.
Lungo
la strada occupano e saccheggiano Vladimir-sulla-Kljazma, ma non riescono a
scontrarsi con Giorgio, il principe locale. Successivamente però lo
sorprenderanno e lo uccideranno sul fiume Sit. Cadono anche Rostov-la-Grande, Tver e Mercato Nuovo, città novogorodese a
poche decine di chilometri da Novgorod-la-Grande. Il nemico tuttavia non
prosegue per il nord e nei pressi del Lago Seligher ripiega verso sudovest
attraversando i territori di Smolensk e poi di Cernìgov che devastano e danno
alle fiamme. è una
catastrofe unica… con un fuggi-fuggi generale dei nostri impavidi principi!
Danilo
è il più coraggioso poiché, quando Michele di Cernìgov fugge in Ungheria,
Danilo entra a Galic’ e di qui ne approfitta per assoggettare con la scusa
della difesa dal pericolo comune tutte le piccole città del sud delle terre
Russe, compresa… Kiev! Tutto
questo avviene perché, oltre allo spavento suscitato da quello che si è
ripetuto sul fiume Sit con le druzhine russe, Mengu Khan, il fratello di
Batu Khan, mentre era in corso proprio quest’ultima operazione nel nordest era
riuscito sulla via del ritorno lungo la riva di Cernìgov ad avvicinarsi a Kiev
e aveva fatto una ricognizione a vista dell’esterno della città appollaiata
sulle colline. Di lì aveva fatto sapere ai kieviani del Podol che i Tatari
erano disposti a non assalire Kiev e a non devastarla come avevano fatto con le
altre che non avevano accettato la signoria tatara, purchè il loro principe
venisse ad omaggiare il khan e ad accordarsi per un tributo fisso. La risposta dell’impauritissimo Michele di Cernìgov fu un timido rifiuto che però sembrò avere il suo effetto poiché i Tatari si allontanarono, inspiegabilmente. è
l’inverno del 1240 quando giungono notizie che i Tatari sono di
nuovo diretti verso il Dnepr dalla lontana Crimea… L’esercito
è numeroso ed è accompagnato dalle macchine d’assedio. Queste
devono essere state tantissime, se si tiene presente che
nell’assedio della città di Nishapur più o meno in quegli anni i
Tatari avevano attaccato le mura di mattoni crudi con ben 3000
balestre pesanti (non da spalla!), 300 catapulte, 700 lanciafuoco
(lanciatori di recipienti pieni di miscele incendiarie) e, se si
contano i cavalli di ricambio e il foraggio e le riserve di cibo, si
può immaginare come questa enorme “macchina da guerra” certamente
metteva paura a chiunque e, in special modo, per il fatto di muoversi
tutta all’unisono sotto il ferreo comando del generale in capo, nel
nostro caso di Batu Khan e dei suoi sottoposti Subedei e Burundai. Dicono
le Cronache che il rumore che faceva questa grande massa di
uomini e carriaggi era tale che, man mano che si avvicinava, a Kiev
non si riusciva più a parlare e a capirsi per il frastuono… Quasi
indisturbati i Tatari senza problemi attraversano quindi il grande
fiume e si portano sotto Kiev. Tutto
questo avviene sotto gli sguardi spaventatissimi della gente
raccoltasi nella città alta. Il Velikii Knjaz Danilo di
Galic’ il “coraggioso” è fuggito in Ungheria e ha lasciato in
città il suo luogotenente Demetrio. Con lui c’è un Tataro fatto
prigioniero mesi prima che ora fa da consigliere e costui afferma che
ha riconosciuto lo stendardo di Batu Khan e perciò è sicuro che la
campagna non si fermerà finchè la città non cadrà. I
Tatari intanto stanno cercando il punto debole dove attaccare la prima
cinta di mura. Viene individuato il lato giusto dalla parte
occidentale della Porta Polacca (Ljatskie Vorota), più o meno
dove oggi c’è il corso principale del Kresc’ciatik a Kiev e dove
allora c’erano paludi e sabbie mobili, e, tastato il terreno per
posizionare le pesanti macchine d’assedio, mettono in atto il piano
d’attacco prestabilito. Comincia
così il bombardamento con palle di pietra e olle di pece infuocata
che continua senza interruzione giorno e notte finchè non si apre una
breccia. A questo punto i Tatari vedendo le mura in fiamme sciamano
con grandi grida nella città di Jaroslav. Devastano
e danno alle fiamme tutta la parte bassa e poi si rivolgono verso
quella alta, la città di Vladimiro, dove i kieviani cercano di
raccogliersi e di difendersi come possono. è
difficile e dispendioso tirare su le macchine lungo un dislivello così
alto, ma i Tatari non rinunciano e alla fine riescono a raggiungere la
Città Alta e ricominciano il bombardamento. Gli ultimi difensori
devono dunque asserragliarsi nella Chiesa della Decima. La calca però
è tale che per il peso degli uomini raccoltisi nel coro della chiesa,
questo crolla e mette lo scompiglio… Sono
passati quasi cinque giorni e, malgrado la disperata difesa, Kiev
cade: E’ il 6 dicembre 1240! è uno
spettacolo terribile. La città è ormai un cumulo di rovine e di
corpi inanimati ammucchiati per le strade, mentre i Tatari bivaccano
sulle eleganti vie dell’antica capitale e arraffano tutto quel che
trovano di utile o di prezioso nelle case e nelle chiese! Anche
Demetrio è stato catturato, ma, mentre tutti gli altri prigionieri
vengono passati a fil di spada, il luogotenente del Velikii Knjaz
è risparmiato, benchè sia coperto di ferite da capo a piedi, perché
Batu Khan decide di premiarlo per il coraggio mostrato! Conclude tristemente N. Karamzin:
«L’antica
Kiev scomparve per sempre giacchè nel XIV e nel XV secolo era ancora
un mucchio di macerie… Invano il viaggiatore curioso cercherebbe qui
i monumenti sacri a tutti i russi: Dov’è finita la tomba di Santa
Olga? E i resti di San Vladimiro?… Restò in piedi solo il monumento
funebre di Jaroslav il Saggio forse a ricordare che la gloria dei
legislatori civili è immortale e la più sicura da conservare…». Oggi certamente la Madre delle Città Russe non è più un mucchio di fumanti rovine come in quel lontano 1240, ma i resti della città antica con le tracce della devstazione fanno ancora capolino qui e là sapientemente restaurati e Kiev è ritornata ancora più nuova e più bella!
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Estratto ed adattato dal libro:
RASDRABLIENIE, STORIA DELLA RUS’ A PEZZI, di Aldo C. Marturano, 2005.
©2006 Aldo C. Marturano.