MEDIOEVO TEMPLARE |
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a cura di Vito Ricci |
di Vito Ricci
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2.1 Dalle origini a Innocenzo III - 2.2 Il periodo svevo - 2.3 Il periodo angioino - 2.3 Il declino dell'Ordine. Le Inquisizioni e il processo di Brindisi |
2.4 Il declino dell'Ordine. Le Inquisizioni e il processo di Brindisi
Nel Regno di Sicilia il vicario Roberto d'Angiò impartì ai suoi siniscalchi l'ordine di arresto dei Templari del regno e il sequestro dei beni dell'Ordine. Al Giustiziere della Terra di Bari fu ordinato di arrestare i Templari che fossero sbarcati a Barletta, mentre al castellano di questa città fu affidata la custodia di un gruppo di cavalieri costituito da Michele Cersi, Oliviero di Bivona, Guglielmo Angelico, Bartolomeo e Andrea di Cosenza; Angelo di Brindisi fu catturato in località Piczani (Picciano di Matera) il 12 marzo 1308, e Sfefano di Antiochia fu arrestato nella domus di Ruvo di Puglia. Il 27 febbraio 1308 Roberto ordinò al giustiziere di Terra d'Otranto di procedere alla redazione di un inventario dei beni templari; il 25 marzo ordinò lo stesso per i beni della domus barlettana.
L'inquisizione
contro i Templari nell'Italia meridionale ebbe inizio con l'invio
dell'inquisitore Giacomo di Carapelle, canonico di S. Maria Maggiore di Roma
(dicembre 1308) e successivamente di Guglielmo di S. Marcello (febbraio 1309).
Parallelamente all'attività inquisitoria la Curia angioina provvide ed
emanare atti relativi all'amministrazione dei beni templari posti sotto
sequestro. Il 27 marzo del 1309 il re di Napoli ordinava ai procuratori dei
beni templari in Capitanata Bartolomeo de Carbonaro di Salpi e Giacomo di
Lucera di rifornire di legname la fabbrica della chiesa di S. Maria e di
inviare 40 buoi e tutti i bufali per il trasporto, scegliendoli tra le bestie
migliori delle mandrie sequestrati ai Templari. Nel maggio dello stesso anno
venivano nominati altri procuratori per i beni dell'Ordine in Terra d'Otranto
e, quasi contestualmente, fu ordinato ai giudici Angelo di Ruvo e ad Andrea di
Donnaperna di Barletta di provvedere alla conservazione e alla vendita al
miglior prezzo di pelli, cuoiami e lane ottenute dalle mandrie templari della
domus di Barletta. Il 2 giugno 1309 Roberto d'Angiò diede l'ordine ai due
giudici sopracitati di prelevare qualche somma di denaro dalle rendite della
domus barlettana per spenderle a favore dei cavalieri prigionieri al fine
di migliorarne le tristi condizioni.
Le
uniche inquisizioni contro i Templari nel Regno di Napoli di cui si ha notizia ebbero luogo nella primavera del 1310 a Lucera e a Brindisi.
L'inquisizione nella città della Capitanata iniziò nell'aprile del 1310 con
testimoni Gerard de Bourgogne, che raccontò di essere stato obbligato a
rinnegare la croce il giorno del suo ingresso nell'Ordine presso la domus di
Torre Maggiore, e Galcerand de Teus [?],
il quale dichiarava di essere stato ricevuto nell'Ordine in Catalogna
con riti "criminali" (rinnegamento della croce, bacio sull'ombelico,
sodomia), ma la sua testimonianza appare in netto contrasto con quelle dei
Templari iberici, tutti concordi nel difendere l'innocenza dell'Ordine. È da
sospettare che tale testimonianza sia stata estorta con violenza, non si
comprende altrimenti perché un solo cavaliere della penisola spagnola abbia
rivolto tali accuse.
La chiesa di Santa Maria del Casale oggi
Indubbiamente di maggiore portata fu il processo celebrato a Brindisi. Iniziato il 15 maggio del 1310, si concluse nel giugno dello stesso anno, presso la chiesa di S. Maria del Casale, ma è probabile che le inquisizioni si svolsero in qualche convento o edificio adiacente la cappella intitolata alla Madonna del Casale, dato che la struttura attuale della chiesa fu costruita, incorporando un'antica cappella preesistente, solo nel 1310 per volontà di Caterina di Valois principessa di Taranto. Il processo doveva essere presieduto dall'arcivescovo di Napoli Umberto che però non poté prendervi parte essendo impegnato nella consacrazione di Nicola, vescovo di Monopoli. Il suo posto fu preso da Bartolomeo, arcivescovo di Brindisi, che inaugurò il processo ai Templari alla presenza degli inquisitori Giacomo di Carapelle e Arnolfo Bataylle arcivescovo di Natzamia. Dopo la formula di rito, gli inquisitori citarono i cavalieri templari e il Gran Precettore di Puglia Oddone di Valdric affinché si presentassero davanti alla commissione. Nonostante l'affissione dei bandi di citazione nella cattedrale, nel castello e nella domus templare di San Giorgio solo due fratres si presentarono; molti Templari erano riusciti a fuggire o erano stati arrestati, trovandosi reclusi nei sotterranei dei castelli del regno (ad esempio nel castello di Barletta). I Templari furono dichiarati contumaci.
Il 4 giugno la commissione inquisitoria tornò nel castello di Brindisi per interrogare gli unici cavalieri presentatisi: Ugo di Samaya e Giovanni da Neritone (Nardò), accolti non in qualità di accusati, ma in quella di testimoni. Il primo ad essere interpellato fu fra' Giovanni da Nardò, precettore della domus di Castrovillari in Calabria, il quale raccontò di essere stato ricevuto nell'Ordine l'anno dopo la caduta di S. Giovanni d'Acri (quindi nel 1292) presso la domus di Barletta, nella sala del Pavilon, in occasione della festività dei SS. Simeone e Giuda (28 ottobre), alla presenza del Magnus Praeceptor di Apulia Rainaldo di Varena. Il frate, ricordando il suo ingresso nell'Ordine, affermò di essere stato più volte "invitato" a rinnegare e calpestare la croce; inoltre confermava che i Templari adoravano un gatto: infatti, mentre erano nella sala del Pavilon all'apparire di un gatto dal pelo grigio tutti i fratres si alzarono, si tolsero i cappucci, adorandolo. Fra' Giovanni, non avendo nulla in testa, fu costretto a chinare il capo in segno di rispetto. Riferì anche del bacio scandaloso sul ventre e di atti di sodomia.
Il 5
giugno fu chiamato a deporre Ugo di Samaya, precettore della domus di S.
Giorgio di Brindisi. Ugo raccontò di essere entrato nell'Ordine durante la
festa di
S. Giovanni Battista di un anno che non ricordava. La cerimonia di ingresso
non aveva alcunché di immorale o sacrilego, né mai aveva sentito parlare di
pratiche contrarie alla fede e alla religione. Successivamente, inviato a
Cipro, nella mansione di Limassol, conobbe il frate Goffredo di Villaperos che
gli chiese se al momento di entrare nell'Ordine aveva rinnegato la croce. Ugo
rispose negativamente e alcuni mesi dopo lo stesso Goffredo assieme a dieci confratres di notte, dopo aver forzato la porta, si recò nella stanza di
Ugo e tracciò una croce sul pavimento, intimandogli di calpestarla. Frate Ugo all'inizio cercò di opporsi, ma davanti alla minaccia dei militi
armati fu costretto all'orribile atto di ripudio. Alla richiesta del motivo di
tale gesto, frate Goffredo rispose che da tempo quella era una consuetudine
dell'Ordine. Successivamente frate Ugo confessò l'episodio al frate minore
Martino di Rupella che, per penitenza, gli ordinò di digiunare per dieci venerdì
consecutivi e di fare elemosine. Al termine della deposizione di Ugo di Samaya,
gli atti dell'inquisizione brindisina furono inviati al pontefice Clemente V
per il Concilio di Vienne e il processo contro i Templari in tal modo si
concluse.
Se
le uniche perquisizioni a sud del Garigliano furono solo quelle di Brindisi e
Lucera, e se il contenuto degli atti a noi pervenuto è veritiero, appare chiaro
che la Curia angioina volle assumere una posizione di attesa e prudenza nei
confronti dei Templari, limitandosi a provvedere alla custodia e
all'amministrazione dei beni sequestrati. Roberto d'Angiò sembrò voler
assecondare tanto il papa Clemente V (che tra l'altro doveva incoronarlo re di
Napoli) tanto Filippo IV (imparentato con gli Angioini).
Durante
il Concilio di Vienne il pontefice, con la bolla Vox
clamantis in excelso (3 aprile 1312), decretava la sospensione
dell'Ordine del Tempio che, di fatto, si tradusse in una vera e propria
soppressione; mentre con la bolla Ad
Provvidam (2 maggio 1312) si ebbe l'assegnazione dei beni templari
agli Ospedalieri, ai quali finirono la maggior parte delle proprietà
dell'Ordine in Italia meridionale; in alcuni casi i beni furono acquistati con
frode o con violenza dai feudatari locali o finirono per accrescere il
patrimonio di enti religiosi. I cavalieri templari imprigionati nel 1307
poterono lasciare le carceri angioine: alcuni tornarono allo stato laicale,
altri rimasero sacerdoti o cappellani nelle parrocchie; quelli maggiormente
"compromessi" furono inviati in luoghi lontani o a combattere contro
gli infedeli sotto i vessilli di altri Ordini militar-cavallereschi.
Jacques de Molay
È
interessante notare che dopo il rogo di Parigi (18 marzo 1314) in cui fu arso
vivo l'ultimo Gran Maestro Jacques de Molay, nel regno di Napoli esistevano
ancora gruppi di Templari senza più un'organizzazione amministrativa e senza mezzi di sostentamento, tanto che papa Giovanni XXII invitò i
Frati Minori e i Domenicani a soccorrere e mantenere questi confratres. Ulteriori testimonianze della temporanea sopravvivenza dei Templari, in
Puglia almeno, sino ci è fornita da un documento del 1332 dal quale si
apprende che frate Giovanni, «Abbas Sacri
Templi Domini Jerosolimitani», dava in affitto una casa a Bari, mentre in
un atto di permuta del 1394 è ricordato un «frater
Marinus (Martinus) ordinis Templi Ierosolimitani prior ecclesie Sancti Elie de
Baro».
©2004 Vito Ricci