MEDIOEVO TEMPLARE |
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a cura di Vito Ricci |
di Vito Ricci
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Andria - Bari - Barletta - Canne - Corato - Giovinazzo - Gravina di Puglia - Minervino Murge - Molfetta - Monopoli - Ruvo di Puglia - Sannicandro di Bari - Sovereto - Spinazzola - Terlizzi - Trani |
La prima testimonianza a Corato di una chiesa intitolata a
«San
Vito de Templo» risale ad un documento notarile datato 1206 e
riportato nel Codice Diplomatico Barese. L’intitolazione ha indotto
qualche studioso (Capozza) ad ipotizzarne l’appartenenza all’ordine dei
Cavalieri Templari, che avevano fondato "commende", ospedali e
chiese in Puglia, in prossimità delle città portuali di imbarco per la
Terra Santa, e che gestivano possedimenti terrieri nell’agro di Terlizzi e
Ruvo. Inoltre le domus templari spesso avevano nella propria indicazione la
dicitura «de Templo”. La successiva citazione come «Templi
S.Viti de Caurato" risale al 1276. La posizione della chiesa, fuori
dell’abitato medievale, ma in prossimità di una delle porte di accesso
alla città e dell’importante asse viario della Traiana, ne fanno una
presumibile stazione di accoglienza per viaggiatori e pellegrini. è
molto
probabile che, visti anche casi analoghi, alla soppressione dell’ordine
Templare la chiesa sia passata ai Cavalieri Gerosolimitani o Ospitalieri,
più tardi divenuti Cavalieri di Malta, dal momento che tarde testimonianze
la dicono commenda dell’ordine Gerosolimitano già nel 1600. La presenza
dei Templari a Corato rimane dubbia poiché non vi sono ulteriori
riferimenti e citazioni in altri documenti.
La presenza dei Templari a Giovinazzo è attestata ormai già nel momento
della crisi e del declino dell'Ordine. Infatti solo nel 1310, a seguito di
una permuta con l'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, ottennero la
proprietà della chiesa, con annesso ospedale, di San Pietro in località
Rubissano. Oltre a tale chiesa i Templari ebbero pure una grangia
(abbastanza ricca) in loco Piczani
che nel 1332 apparteneva alla domus
Hospitalis S. Johannis Jerosolimitani "que fuit Templi" che "annuatim
de proventibus olivarum terra giis et pensione domorum unc. quatuor"
Della
domus templare di Gravina rimane soltanto la chiesa di San Giorgio.
Essa era a pianta rettangolare e sorgeva, in epoca medioevale, nei pressi del torrente Casale, una
piccola gravina punteggiata di grotte che costituivano un complesso
rupestre. Attualmente versa in completo stato di abbandono e minaccia di
rovinare al suolo da un momento all'altro. Il tetto è crollato, è scomparso il rosone
e la parte alta della facciata. Si è salvata l'abside semicircolare
decorata di sei lesene e al cui interno è possibile ancora vedere degli
affreschi di epoca giovannita. Si può anche notare sull'architrave uno
stemma dell'Ordine dei Cavalieri dell'Ospedale di San Giovanni di
Gerusalemme che, come spesso accadde dopo la soppressione dell'Ordine
Templare, ebbero in gestione la chiesa di San Giorgio. Attualmente la chiesa
è di proprietà privata.
La
prima citazione in un documento della domus templare di Gravina risale al
1272, quando Carlo I d'Angiò ingiungeva a Loisio
de Belloico, signore di Gravina e probabilmente consanguineo di Guglielmo de Belloico (Guillaume de Beaujeu, maestro dell'Ordine in
Apulia-Sicilia e, nel 1273, Gran Maestro dell'Ordine) di restituire alcune
terre dei Templari che egli aveva occupato abusivamente. Da altri documenti
coevi si apprende dell'esistenza di un toponimo, nel circondario di Gravina,
forse presso l'attuale Poggiorsini, detto "ad
curtem templi". Si trattava di una masseria di campagna di proprietà
della domus di San Giorgio. Il 4 aprile del 1307 i Templari protestavano contro Raimondo
Berengario e Giovanni, conti di Gravina, fratelli di Roberto d'Angiò perché
si erano impossessati illecitamente della terra "de
Sancto Paulo" nelle vicinanze di Gravina.
L'ultima
citazione di tale domus risale al 12 marzo 1308, quando vennero arrestati
otto cavalieri templari dalle guardie del Giustiziere di Terra di Bari. Tra
questi cavalieri vi era fra' Domenico de Turrosa, catturato "in
domo de Gravina". Come già detto dopo la soppressione dell'Ordine
del Tempio la chiesa di San Giorgio passò agli Ospitalieri, sebbene non
esistano documenti in merito al passaggio, ma solo testimonianze
nell'architettura dell'edificio sacro.
La presenza dei Templari in questo paese è documentata in un atto di
vendita del marzo 1169, rogato dal notaio Leone, con il quale i Templari
Aimo e Giovanni, "consensu et
voluntate Henrici mag(istri) nostri cunctorum con(fratum) intus in civitate
Minerbino", vendevano per un'oncia d'oro a Giovannaccio, priore
della chiesa di S. Angelo, una vigna posta in località Monte Monacezzi. Tra i testi, oltre al suddetto Henricus,
figura anche Oddo, fr(rater) sacri
te(m)pli.
Sebbene
non si conosca con certezza quando i cavalieri rossocrociati si siano
stabiliti in questa città, la loro presenza è testimoniata in diversi
documenti (spesso atti notarili) che vanno dal 1148 al 1373.
La
prima citazione della presenza dei Templari risale al marzo 1148, a cinque
anni dalla più remota testimonianza scritta in assoluto in Italia meridionale che attesta un insediamento dei cavalieri a Trani nel 1143. Si
tratta di una donazione del primicerio (capo del clero minore) Ungro di
Leone all’abbazia della SS. Trinità di Cava nella quale viene ricordata
una "terra cum olivis fratrum Templi" in località Vaditello di
Molfetta. A tale data quindi i Templari già possedevano dei terreni
coltivati ad olivo nel circondario di Molfetta. Dopo qualche anno nel
febbraio 1152 da un atto di vendita di un molfettese al diacono Giovanni
viene ricordata in località "Turris" una "terra
Templi". Le proprietà dei Templari cominciarono ad accrescersi,
come spesso accadeva, a causa di donazioni e lasciti a favore dell'Ordine.
Nel giugno
1176 abbiamo notizia che tale Kalogiovanni, in qualità di epitropo
(funzionario pubblico) del
testamento di Ramfredo, dopo essere stato convocato da Durante per parte dei
Templari, rilasciava allo stesso Durante una "petia
terra olivarum" nelle pertinenze di Badistello, probabilmente si
trattava di nuove proprietà che andavano ad aggiungersi a quelle citate
nell'atto del 1148 vista la somiglianza tra Vaditello e Badistello che
lascia supporre l'identità dei due luoghi. Poiché la concessione in
questione è registrata "in curia domini nostri Roberti Palatini comitis Loretelli"
ciò lascia supporre che l'Ordine templare, ancora alla fine del XII secolo,
non avesse ancora a Molfetta una propria domus
e che quindi le terre sopraccitate fossero amministrate dai Templari di una
casa vicina.
Un
atto dal quale possiamo trarre importanti e significative notizie risale
all'agosto 1204 nel quale Maria, figlia di Giusto, per esaudire un voto di
suo padre offre a Giovanni Salvagio,
Rubensis domus sacre templi preceptoris, le pertinenze che possedeva
sulla chiesa di S. Nicola. Abbiamo due interpretazioni circa il contenuto di
questo documento.
Una
prima interpretazione che è stata fornita è che la chiesa di S. Nicola è
già domus precettoria dei
Templari a Molfetta i quali tra la fine del XII e l'inizio del XIII si erano insediati
stabilmente in città con l'apertura di una propria casa, sia per sfruttare
il porto della città per imbarcare vettovaglie e persone per la Terra Santa
e sia presumibilmente per meglio gestire le proprietà fondiarie che
possedevano nelle campagne molfettesi. La chiesa di S. Nicola era ubicata
nei pressi della piazza antistante l'attuale Palazzo di Città e i locali
che furono un tempo il sacro edificio oggi sono stati trasformati nella Sala
dei Templari usata per incontri, conferenze e mostre. A capo dei Templari
presenti a Molfetta c'era tale Giovanni Salvagio da Ruvo, precettore della
casa templare. Non appare molto chiaro tuttavia se il genitivo Rubensis
(di Ruvo) sia da riferirsi alla città di nascita o provenienza del
precettore, oppure sia da attribuire alla ubicazione di una domus.
Secondo un'altra interpretazione Giovanni Salvagio sarebbe il precettore
della domus Templare di Ruvo (città
vicina a Molfetta) che esercitava il possesso e l'amministrazione delle
terre templari nel territorio molfettese e che quindi giuridicamente era il
rappresentante dell'Ordine atto a ricevere la donazione delle pertinenze
sulla chiesa di S. Nicola, non ancora domus
templare di Molfetta nel 1204. Nel marzo 1205 i coniugi Girabello e
Maiorella di Molfetta vendono per sette once a frate Giovanni Salvagio per
parte sacre domus Templi, una casa confinante con il cimitero della chiesa
di S. Nicola ipsius
Templi.
Possiamo
affermare che una domus Templare a
Molfetta esisteva con certezza nel febbraio 1216 ed era ubicata presso la
chiesa di S. Nicola. Da un atto risulta che Gemmata, figlia di Leone Sammaro
e vedova di Giustiniano, donava a Matteo, "confratri
domus Templi sacre militie preceptoris sancti Nicolai in Melficta",
tutte le sue terre poste nelle pertinenze di Guarassano. Negli anni
successivi le proprietà fondiarie dei Templari continuarono ad aumentare
come testimoniato in vari atti, tra cui in uno del 1214 sono ricordate le "olivas
Templi" in località Badistello, in un altro del gennaio 1220 sono
nuovamente ricordate le "olivas
domus Templi" nella medesima località, mentre in un altro ancora
datato 29 novembre 1232 sono citate "in
pertinentiis Barbatti" presso Molfetta le "Olivas Templi". Ulteriori notizie degli oliveti Templari
sono riportare nel Codice Diplomatico Barese in località "Pulo", in località "Summo"
, ed è
riportata
anche la proprietà di un "clusum"
nella stessa città.
Non
si hanno più notizie sui Templari a Molfetta sino al 1308, quando oramai
l'Ordine è nel pieno del suo declino. In una lettera data a Napoli il 18 maggio 1308 la regia curia scriveva al giudice Pietro de
Ninna di Aversa, procuratore del Tempio di Barletta, perché Lippo
Scafarelli ed altri mercanti fiorentini, dimoranti in Barletta, avevano
prestato 1000 fiorini d'oro ai Templari della locale domus con
l'approvazione di Ottone de Valderiaco,
Maestro dell'Ordine cavalleresco in Puglia, e di Giacomo de Molay, Maestro
generale, ricevendo in cambio tutto l'olio che la domus
barlettana avrebbe ricavato dai possedimenti di Molfetta, valutato per la
somma di 1500 fiorini circa. Poiché i beni dei Templari del Regno erano
stati posti sequestro, ai fiorentini era stato concesso dal re e dal papa
che per riottenere il loro credito avrebbero dovuto attendere fino al
febbraio 1309 per la vendita dell'olio e se questa avesse ritardato, avrebbe
potuto venderlo direttamente. In questa testimonianza possiamo valutare la
portata della ricchezza dei possedimenti templari a Molfetta in termini di
produzione di olio di oliva.
La
chiesa di S. Nicola, con l'annesso ospedale, rimase ai Templari sino alla soppressione dell'Ordine (1312) e nel 1324 passò al conte
Amelio del Balzo. Successivamente fu occupata dall'Ordine Gerosolimitano di
S. Giovanni (Ospitalieri) e il 28 maggio 1373 quando Giacomo, arcivescovo di
Trani, dando pratica attuazione alle disposizioni di Gregorio IX, procedeva
all'inventario dei beni degli Ospitalieri della sua diocesi in cui, tra
l'altro, risulta che la casa di S. Nicola di Molfetta, già appartenuta ai
Templari, all'epoca dipendeva dal priorato di Barletta dell'Ordine
dell'Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme. La chiesa in seguito compare
nell'inventario dei beni della Commenda di S. Maria di Sovereto e, dopo
essere andata in rovina, fu acquistata dal Comune di Molfetta nel 1820.
Solo il Guerrieri, rifacendosi ad un documento del 1292, attesta la presenza
dei Templari in questa città. Secondo tale studioso i Templari ebbero una
propria domus che ricevette cospicue donazioni che le consentirono di
ingrandirsi notevolmente e in tempi brevi.
Dell'esistenza di una precettoria a Ruvo si ha notizia in due documenti del
1204 e 1205 redatti a Molfetta nei quali figura "Iohannes
Salvagius Rubensis domus sacre templi preceptoris". I Templari
dovevano possedere delle terre in zona molto estese o comunque assai
fertili, tanto da attirare la cupidigia di signorotti locali nella seconda
metà del XIII secolo. Infatti nel 1272 si ebbe un intervento di Carlo I d'Angiò
a favore dei Templari di Ruvo per far cessare l'occupazione illecita delle
loro terre da parte di Rinaldo de
Culant, signore di Ruvo.
In
un documento dato a Siena nel 1292 si ricorda che a Ruvo di Puglia i
Templari possedevano una domus ricca ed importante, la quale attirava la
cupidigia dei signori del luogo.
L'ultimo
riferimento alla domus templare rubastina è fatto in un documento del 24
marzo 1308, dove compare, tra i Templari reclusi nel castello di Barletta,
anche fra' Stefano di Antiochia "inventum
et captum…in domo eiusdem templi que est in Rubo". È probabile
che la domus Templare fosse ubicata presso la chiesa di Santa Maria
di Calentano, già insediamento di monaci basiliani poi passata ai cavalieri
Teutonici, ove uno studioso tedesco attribuisce degli affreschi presenti in
detta chiesa ad un maestro templare.
La sola notizia che sappiamo è che i Templari a Sannicandro ebbero delle
proprietà fondiarie che nella seconda metà del XIII secolo furono
illecitamente occupate da Giovanni de
Confluencia, signore di Sannicandro. I Templari nel 1272, dopo essersi
appellati al re, ottennero che l'occupazione avesse fine.
Sulla presenza dei Templari a Sovereto non c’è concordanza da parte degli
studiosi. Secondo alcuni (Bramato e Marinelli) la chiesa di Santa Maria di
Sovereto fu dapprima una domus templare e, dopo la soppressione di
quest’Ordine, passò ai Giovanniti, come accadde per altre proprietà templari in Puglia.
Altri studiosi (De Giaco, Valente) negano decisamente l’esistenza di una
domus Templare a Sovereto, sostenendo che l’unica presenza di Ordini
Cavallereschi in questa località è quella Ospitaliera. In altre parole
secondo costoro la chiesa di Santa Maria di Sovereto sarebbe sin
dall’origine una domus dell’Ordine di San Giovanni dell’Ospedale di
Gerusalemme.
Bramato
afferma che, sulla base di una leggenda, intorno al 1188 i Templari
“involarono” da Corsignano, nei pressi di Giovinazzo, un’immagine
miracolosa della Madonna per custodirla nella loro chiesa di Sovereto. Da
questo episodio avrebbe tratto origine la tradizione popolare che
attribuisce ai Templari la chiesa patronale di Santa Maria e l’annesso
ospedale. Questa è solo un fatto leggendario che non è suffragato da alcuna
testimonianza scritta e qui si ferma lo studioso Bramato. Tuttavia da un
inventario dei beni appartenenti agli Ospitalieri, già citato in altre
circostanze, redatto nel maggio 1373 da Giacomo, arcivescovo di Trani,
emerge, tra l’altro, che la casa di Santa Maria di Sovereto, all’epoca
dipendente dal priorato di Barletta dell’Ordine dell’Ospedale di S.
Giovanni di Gerusalemme era in precedenza Templare.
Santa Maria di Sovereto: una delle tre pietre tombali di cavalieri con la croce a otto punte.
La
prima citazione documentata della “Ecclesia Sancte Marie de Suberito”
risale al 1175. Stando al Valente, sappiamo con certezza che dai primi anni
del Trecento a Sovereto operò l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (Ospitalieri).
Prima di questa data vengono chiamati in causa tanto l’Ordine
Gerosolimitano quanto quello Teutonico che quello dei Templari. Da un
documento del 1203 si apprende che già da quella data operava nella chiesa
di Sovereto, con l’annesso ospedale, un ordine religioso maschile non meglio precisato. È da escludere una presenza dell’Ordine Teutonico, istituito nel
1198, ed è improbabile che in soli cinque anni i Teutonici avessero già
delle proprie case in Puglia. Secondo il Valente sono da escludere anche i
Templari, Ordine religioso all’inizio eminentemente militare che solo
successivamente si dedicò all’assistenza ospedaliera. Per esclusione lo
studioso afferma che la comunità maschile presente a Sovereto, almeno dal
1199, che gestiva l’hospitale era quella Giovannita, che alla metà
del XII secolo era l’ordine più noto e diffuso. A testimonianza di ciò
vi sarebbero altri documenti citati dal Valente nel suo studio e delle
lastre tombali di cavalieri e precettori Giovanniti dei secoli XIII e XIV.
In questo paese i Templari ebbero il castello di
"Guarascone" (ovvero del Garagnone), la chiesa di San Benedetto "de nuce",
ubicata in località san Cesario, la chiesa di San Giovanni al castello ed
altri beni vicini alle terre appartenenti alle monache di Gravina. Tali beni
con la soppressione dell'Ordine del Tempio passarono ai Giovanniti: infatti
ne abbiamo notizia dall'inventario dei beni degli Ospitalieri redatto nel
maggio 1373 da Giacomo, arcivescovo di Trani.
Da un documento rogato a Giovinazzo il 18 febbraio 1279 apprendiamo che
Viviano, priore e procuratore dell'Ordine Templare in Puglia, dichiarava che
l'Ordine cavalleresco "habet et
possideat in Terlicio ecclesiam unam que vocatur Santa Maria de Muro"
. Tale chiesa era titolare di terre, orti, vigne, oliveti, case ed altre proprietà
fondiarie e Viviano, non potendone curare l'amministrazione, locava la metà
di tali beni per un periodo di dieci anni al diacono Angelo per unici tarì
annui. La consistenza del patrimonio immobiliare della domus di Santa Maria de
Muro nella seconda metà del XIII secolo lascia supporre che la presenza
dei cavalieri templari a Terlizzi sia di molto anteriore alla data del
documento succitato. Con l'abolizione dell'Ordine la chiesa di Santa Maria de
Muro cadde in rovina e venne sospesa al culto nel 1725.
Era uno dei più importanti porti della Puglia, da sempre crocevia di popoli e culture del Mediterraneo e porta per l'Oriente, testimone con le sue chiese, con i suoi palazzi e con la sua storia, di quell'età di mezzo, da sempre ricca di fascino e di mistero.
Fu, pertanto, già nei primi anni di vita dell'Ordine che i Templari stabilirono lungo le vie di transito per Gerusalemme, le loro domus o mansioni, sorte, secondo l'idea per cui lo stesso Ordine era nato, a difesa e soccorso dei pellegrini, che si recavano ai Luoghi Santi. La tradizione vuole che i Templari abbiano costruito la chiesa di Ognissanti nella prima metà del XII secolo: infatti, la prima testimonianza della presenza a Trani dei cavalieri rossocrociati ci viene offerta dal Diacono Amando, futuro Vescovo di Bisceglie, il quale nella sua "Historia Traslationis Sancti Nicolai Peregrini" , riferendo sul fatto portentoso, che nel corso della cerimonia di traslazione del corpo del Santo, in un cielo completamente terso, si erano all'improvviso levate dalla Cattedrale due colonne di nuvole, asserisce che a tale processione erano presenti anche i Cavalieri del Tempio.
Dalle antiche carte risulta che i Templari dimoravano poco lontano dalla
città: in effetti nel 1143 Trani aveva una cinta muraria, che lasciava
"extra-moenia" tutta la
parte nord-occidentale del porto e quindi anche la chiesa di Ognissanti che,
con i corpi di fabbrica che la circondano, costitutiva l'antico Ospedale e
Abbazia, che ospitava i "Poveri Cavalieri di Cristo". Il tutto ci
viene confermato da una lapide murata in prossimità dell'accesso secondario
destro del Tempio, contenente la seguente iscrizione:
"Hic Requiescit Costantinus Abbas Et Medicus Orate Pro Anima Eius".
Costantino, dunque, un Templare appartenente alla classe dei canonici, Medico e Abate-Rettore della "Domus" tranese. Volendo datare questa lapide andremmo sicuramente oltre il 1139, anno in cui Papa Innocenzo II emanò la Bolla "Omne Datum Optimum" , fonte di tutti i privilegi dell'Ordine e in cui veniva istituita la figura dei Cappellani per il servizio religioso e liturgico delle Commende. In precedenza i Canonici avevano prestato servizio "per misericordia"; erano "distaccati" presso le domus e non appartenevano all'Ordine.
Trani, chiesa di Ognissanti.
Ne attesta, altresì, la paternità templare una serie di numerosi
documenti: l'Abbazia di "Omnium
Sanctorum de Trani" è ricordata, infatti, nel testamento datato 6
luglio 1170 del notaio ravellese Orso Rogadeo, che dona a questo Tempio
alcuni beni; ed ancora in un documento del 1158 dove Giovanni de Pagani,
protettore dei Templari, consente alla donazione di un tale Boemondo, barone
delle Puglie, a favore dell'Ordine, di alcuni suoi beni posseduti in Trani.
Nel 1191 Abelardo de Pagani, figlio di Giovanni, dà il consenso per la
concessione di una sepoltura al Giudice Lucifero in una chiesa di Trani, che
viene indicata come "Grancia dei Cavalieri del Tempio". Tale
chiesa è forse da identificare con quella di San Giovanni, alla quale
Alferada, vedova di Ruggiero "de
sir Sommaro" offriva il 28 settembre 1295 alcuni beni.
Altro documento a noi pervenuto è del 1196 e fa riferimento ad un certo Alferius, praeceptor della domus tranese; ed ancora un documento del 1213, che attesta l'avvenuto consesso presso la domus praeceptoria dei Cavalieri del Tempio di Trani del Capitolo Apulia-Terra di Lavoro, presieduto da Pietro di Ays, magister provinciale.
L'Ordine dei Templari ebbe la Chiesa di Ognissanti sin dal tempo di Ruggero II il Normanno (re di Sicilia) e la mantenne sino alla soppressione dell'Ordine avvenuta nel 1312 ad opera di Papa Clemente V con le Bolle "Vox Clamantis In Excelso" (22 Marzo) e "Ad Provvidam" (2 maggio).Le persecuzioni contro l'Ordine erano iniziate già nel 1307 con i primi processi dell'inquisizione, ma fu nel 1312 che le cose precipitarono vertiginosamente, fino alla drammatica caduta e al rogo, su cui nel 1314 arse l'ultimo Gran Maestro del Tempio, Jacques de Molay. Infatti, in una lettera datata 12 Agosto 1308 inviata da Pontiers, Clemente V si rivolge agli arcivescovi di Napoli e Brindisi, al Vescovo di Avellino; ad Arnuldo Bataille, Arcivescovo di Natzamia; al Maestro Berengario de Olargis, canonico narbonensis, e a Giacomo Carapelle, canonico di S.Maria Maggiore "de Urbe" ed ordina loro di recarsi nelle città, nelle diocesi e nelle province di Trani, Sorrento, Capua, Cosenza, Reggio, Napoli, Bari, Acheronte, Brindisi, Salerno, Benevento, Consana, S.Severina, Taranto, Siponto, Otranto, Rossano, Amalfi e svolgervi con diligenza l'inchiesta "circa apostasiae salus, detestabile ydrolatiae vitium, execrabile facimus sodomorum et haeres varias de quibus accusabantur magister et fratres militiae templi".
Negli anni immediatamente successivi allo scioglimento dell'Ordine tutti i
beni immobili dei Templari vennero ceduti ad altri Ordini Religiosi e tra
questi particolarmente privilegiati furono i Cavalieri di San Giovanni di
Gerusalemme (Gerosolimitani) e i Cavalieri Teutonici. è
datata - Vienne, 2
maggio 1312 - una lettera in cui Clemente V affida a Leonardo, arcivescovo
di Siponto, ai vescovi di Termoli e di Civitate, ad Oddone, arcivescovo di
Trani; al Vescovo di Melfi e al vescovo di Monopoli; a Landulfo, arcivescovo
di Bari; a Bartolomeo, arcivescovo di Brindisi e al vescovo di Canne,
l'esecuzione del passaggio dei beni Templari all'Ospedale di San Giovanni di
Gerusalemme.
Ancora, in una lettera datata 1 dicembre 1318, Giovanni XXII incarica l'Arciprete della Cattedrale di Trani, nonché il Priore dei Frati Predicatori ed il Guardiano dei Frati Minori di moderare l'assegnazione effettuata da alcuni Vescovi, dei beni già Templari ai Gerosolimitani, in modo che il superfluo venga utilizzato per la Terrasanta.
Da questi documenti si evince che i beni dell'Ordine Templare della Diocesi tranese siano passati ai Gerosolimitani, che proprio a Trani, al di là del bacino del porto, verso Oriente, avevano un loro Monastero di San Giovanni della Penna con annessa domus hospitalis.
Tutto questo, almeno per la chiesa di "Omnium Sanctorum", fino al 1378, anno in cui in un documento datato 29 Ottobre appare come Abate e Rettore Stefano Castaldi (appartenente ad una delle più cospicue famiglie del tempo). Custodita da Paolo de Turris (o Turcolis), Vescovo di Conversano e da suo nipote Filippo, venne donata nel 1479 a Pietro Lambertini, divenendo Cappella di patronato di quell'illustre famiglia.
Successivamente, come attesta il Beltrani attingendo la notizia da un documento datato 15 Gennaio 1524, il patronato della chiesa fu posseduto dalle famiglie: de Justis, Castaldi, Rogadeo, Achonzaico, dalle quali tornò in seguito ai Lambertini.
Una conferma inconfutabile di tale circostanza è costituita dagli stemmi in
bassorilievo, scolpiti sull'architrave di accesso alla sacrestia, nel
seguente ordine:
De Justis: col campo attraversato obliquamente da una fascia con sei corolle
di gigli.
Castaldi: campo partito in tronco con leone rampante nella parte superiore e
tre fasce oblique nell'inferiore.
- Lambertini: leone
rampante a tutto campo;
- Rogadeo: figura
inginocchiata ed orante davanti ad una croce greca con tre stelle;
- Achonzaico: campo a
scacchiera nella parte centrale e tre gigli.
Si tratta di famiglie di origine ravellese - ricordiamo che Ravello - al tempo - faceva parte del contado di Amalfi. Molto probabilmente le lapidi con i cinque stemmi fu apposta dal più illustre esponente della famiglia dei Lambertini: Cesare, che la fece murare tra il 1524 e il 1551 (anno della morte del Lambertini). Intorno al 1780 ebbe fine lo "ius patronale".
Scarse e poco attendibili sono le notizie sulla chiesa di Ognissanti nei
secoli XVII e XVIII. Nei primi anni del secolo e comunque entro il 1807,
l'Arciconfraternita della Beata Vergine dei Sette Dolori ebbe sede nella
nostra chiesa, prima di trasferirsi l'anno successivo in quella di S.Teresa,
resa disponibile dalla soppressione del convento dei Santi Teresa e Marco
dell'Ordine Carmelitano.
Nel
1832, in seguito alla demolizione dell'antica chiesa dell'Annunziata (Piazza
Longobardi), ne ospitò l'omonima Confraternita. Nel 1872 fu chiuso il
vicoletto che costeggiando la chiesa menava direttamente al mare. Eretta
parrocchia nel 1940, la chiesa "vulgo"
denominata anche del Purgatorio, ha cessato di esserlo nel 1975. è
stata sede, negli anni Ottanta, del Terz'Ordine Francescano.
Attualmente
la chiesa è aperta la domenica mattina ed è possibile visitarla.
©2004 Vito Ricci