DE CASTRO VENANDI CUM ARTIBUS | a cura di Falco, Girifalco e Metafalco |
I racconti dei miseri misteri minimi, pagina 2 |
Maestro Anonimo Veneziano |
L’elefante dal retro zappatore annuì con quegli occhietti graticciati e arieggiò i suoi sventoloni auricolari: implicito invito all’ascolto. |
«Intanto iniziamo a dire che qui di astratto non
c'è niente, che astratto è
astractum o meglio di lastricum astractum, vi è solo l’actractum, perché,
come vedi qui c'è solo attrazione turistica, jè tutto nù gibillero. E mò assittete e ascolta bene»
(gibillero
sta per finimondo, corruzione della parola giubileo)
L’ingiunzione
a posare il mio fondo schiena sul settimo gradino della scala che introduce al
portale dei Leoni (ma in verità l’ingresso più utilizzato in tempi remoti
era la porta posta sul retro), non poteva essere disattesa considerando che
forse grandi rivelazioni notturne dell’Ovolo Rosso Incappucciato potevano
aprire orizzonti nuovi. La promessa di parlare, poi, in italiano corrente
accresceva la mia curiosità ad apprendere. E così iniziò:
«Devi
sapere, caro amico degli sforacchiati medievalisti del Professore, che qui, ora,
dove vedi il castello, al tempo del Popolo dei Pidocchi sorgeva un tempio dove si coltivava l’amore terreno e quello per la
Luna, una donna coi fianchi anforosi con due mani che sulla testa reggevano un
disco. Era un popolo che veniva dal mare, grandi pastori e produttori di
formaggi, tanto che ne avevano pure sposato sapore e puzza. Su questo colle a
loro sacro, si riunivano, o come si dice in andriese murgiano
a fè nu’
ritidd’, quando nel primo solstizio alla prima luna piena rossa, rapida ad
apparire per poi accendersi di bianco, praticavano intensi amori comunitari. La
sacerdotessa della dea si congiungeva con il capo tribù, facente funzione, per
poi alla successiva ottava luna, dove si ripeteva il tutto con il capo tribù
nuovo, perché quello vecchio ci
rimetteva le penne. E per ricordarsi dell’ottava luna, il tempio aveva una pianta ottagonale!...
Eh, loro sì che sapevano
rinnovare la classe dirigente!... Al centro del tempio ottagonale era incisa una
stella a cinque punte».
Concluse con un: «Beh, venerabile studente, che mi dici?»
«E
che devo dire? –
chiosai –
so che sta parlando dei Peuceti, del culto della dea Madre, o di
Demetra, della tradizione greca mitica del “re sacro”, che veniva
sacrificato per far posto ad uno nuovo, ma non ho capito chi i sono i sette
bagnanti, fratelli o sorelle che siano, e che c'entrano con la luna? E per
quanto mi sforzi che attinenza hanno Demetra, la luna, il re sacro con i sospiri, e
con tutto quello che si assimila dal semplice soffio d’aria, del Puer Apuliae?
«Ahhh, mai tu vuoi fare lo gnorri? – riprese con veemenza il buon affabulatore – Tempo al tempo, devi avere la pazienza di ascoltarmi per poi riferire al Professore e combriccola similmedievalista, il segreto ottagonale dello spiraliforme concetto temporale dello Scotennato, il consulente di Federico che neppure seppe predire la caduta del tetto sul suo conturbato capoccione che lo fece secco. Bene, devi sapere che il filo conduttore di questo segreto è proprio nella Luna, sia piena che cornuta. E perché allora secondo te si chiama Santa Maria del Monte? A proposito, come ti cognomi, Riccardo o IO?».
Mentre
riflettevo sull’opportunità di lasciare i formaggi a stagionare un po’,
considerando l’insuccesso nel mio tener testa, il vento sbuffò
all’improvviso alzando un polverone che la luce dei riflettori illuminò come
se fossero fiocchi di neve, e il signor Ovolo Rosso divenne un’ammanita
muscaria, lo assimilai ad una magica folleidea notturna, che più che
sorprendente era storicamente curiosa; già,
la Storia è fatta per chi è fondamentalmente un curioso del passato. Il mio
notturno compagno mi guardò come ispirato per investigare:
«Ma non è che sei Riccardo di Montefuscolo redivivo? Proprio lui che è l’unico che può sapere la verità sulla benedetta parola actractum, o meglio Riccardo di San Germano, notaro di cambiamenti e ricambiamenti di spose, eredità, castelli?».
«Oddio,
che gli rispondo?», pensavo tra me e me, non conoscendo bene i documenti
che si riferivano ai quei personaggi e dove volesse andare a parare, ma, così
senza nemmeno avere cognizione di quello che dicevo, esclamai:
Stavo
incosciamente mettendo alla prova le conoscenze del federiciano notturno. Per nulla turbato, Ovolo Rosso si tolse il coppolone e con una manata lo
spolverò, liberandosi dalla follidea allucinogena. Il mite pachiderma si declinò
sul posteriore e la proboscide segnò un punto interrogativo.
«Bene. Siamo vicini svelare il segreto. Però devo suggerirti che secondo me, questo Riccardo di Venosa... la storiella di Camomilla e Salsiciccillo da lui scritta e dedicata a Federico, era uno che mirava a sfruculiare gli amori dell’imperatore. Mi sa che il venosino non fece una bella fine, ma non lo so, devo ancora scavare da quelle parti».
Mi guardò negli occhi con un sorriso similottagonale, come a dirmi «e tu con chi credi di avere a che fare, con uno stupido ignorante?».
Convenni
tra me e me che il signor scavafosse doveva avere buone conoscenze storiche:
Riccardo di Venosa era un giudice che dedicò a Federico II un poemetto farsesco
sui mille sotterfugi escogitati dai
due vetusti amanti, Paolino e Polla, per sposarsi (ma anche questa è
un’altra storia ). Provai ad insistere:
«Ma signor scavabastenache [carote], lei confonde actractum con contractum, del resto cosa si doveva fare per costruire un castello? Un capitolato, se non un contratto o una impegnativa! Eppoi, diciamo la verità, considerando che cita Riccardo Montefuscolo a cui fu affidato dall’imperatore di sovrintendere alla costruzione di questo castello, per sua tranquillità, l’Io Riccardo lo trova qui, vede, inciso sul portale nell’anno 1756, in pieno illuminismo».
«Sì, mo’ fai pure il sostenitore dell’Enel, l’illuminato! Giovinotto, non si facenn’ l’abbagliato detassato afforza [forse un riferimento alla recente detassazione del governo italiano 2004?] o l’istruito informatico, che t’ann’ pure ditt’ i forumisti che si nù marinatore di promonibus... (sì ciucc’ a scrivere, ma così facciamo contenti pure i critici che con la critica fanno campare i giornali, appunto di critica), e giù la fronte davanti a Gregorio Magno Funghi! Io di questo sito sono la Storia Vivente e Sopravvivente del settimo raggio, avendo dapprima sotterrata quella cadaverica e poi riesumato ceneri e ossa, purificate!».
L’elefante
allargò la bocca e la proboscide lanciò verso il cielo buio pronomi e
chiocciole internaute, esprimendo con un barrito la sua soddisfazione per il
netto ridimensionamento del critico intellettuale di pasoliniana memoria.
«Non
mi interrompere, parlerò tricolore per farmi capire bene bene. Devi sapere che
dopo il popolo dei pidocchi qui ci fu l’abbandono totale, sino a quando non
arrivarono quelli delle crociate, i braccidiferro e compagni [normanni]
che eressero una specie di torre fortificata che ha più a cheffare con
ruggerone secundi che con il guglielmone per via di un’opera –
Kitab nuzhat al
mushtaq fi htiraq al afaq
[opera
astronomica araba del XII secolo, il cui autore è Idrisi]
– che accompagnava un
planetario d’argento dell’idriz che non è l’acqua gassata, ma che già
era uno che contava di stelle, costellazioni, pianeti, fasi lunari, in barba a
tutti quelli che sul castello oggi ci scrivono ancor oggi di
astronomiastrologica, di Orione e Sirio».
Una
pausa per soffiarsi il naso a cipolla e riprese:
L’ovolone sospirò come se la mente lo
avesse richiamato in qualche suo ricordo seppellito in qualche buca e riprese a
favoleggiare:
Era
maturo il tempo che lì sulla collina, sulle pendici di Femmina Morta (per
inciso morta non è, invece, una bella donna dotata
di rigogliose formosità e frementi passioni), sulla sua cima, che da un
lato guarda il mare e dall’altro il castello di Guaragnone, fosse edificato un
castello. Così si poteva controllare strategicamente la via del grano tra
l’entroterra e la costa. Al momento sul colle vi erano mura semidirute e un
convento, ch’era stato prima dei benedettini, poi di templari, dedicato a Santa
Maria del Monte.
L’Hohenstaufen in questo suo raro e autentico momento di serenità amorosa pensò
di costruire un castello che fosse illuminato dal movimento lunare in tutte le
sue fasi. Prese Bianca tra le braccia e le disse: "Costruirò un castello, il
più bello e possente tra tutti, lo farò delle forma della mia corona, quella
corona che ti spetta e che meriti; e solo ragioni di Stato m’impediscono
di fartene dono come vera unica regina del mio cuore, e sarà questo il
manifesto al mondo intero dell’amore che ho per te, mia amata Bianca più
luminosa di questa luna, che come te è magia del tempo,
dello spazio, della vita che si rinnova!"».
La favola terminò con un rinnovato e più lungo sospiro di Gregorio Magno, tra lo stupore di me, o Io Riccardo, e dell’elefante che s’era accovacciato arricciando la proboscide in segno di meraviglia. Finalmente il segreto era svelato! Il castello era l’espressione più alta del dono dell’amore federiciano! Altro che cabale e templarismi vari, moltiplicato per undici! E segmenti aurei!
Ah!, se sapessero le guide del castello, che storia ci potrebbero ricamare!
«Incommensurabile!», esclamai, né potevo dire altro per l’enfasi
e il trasporto con cui Gregorio aveva svelato l’arcano della forma ottogonale,
e continuai:
«Sembrerebbe
un racconto incredibile. Finalmente possiamo porre fine al segreto templare,
alla favola del graal custodito sotto il castello, che invero sofisticate
apparecchiature hanno confermato esserci solo roccia, roccia, roccia e
nient’altro! Fine ai miscugli conditi con ogni salsa esoterica e pepe occultistico. Ma
Gregorio – aggiunsi – come fa a sapere questo? E che fine ha fatto
il templarismo massonico? Scusi,
ma quali sono le sue fonti o fontanelle?».
«Giovinotto,
Riccardo o non Riccardo o meglio venerabile studente – enfatizzando
la parola venerabile – ogni buca che scavo è un pezzo di storia che viene
alla luce, non solo archeologicamente parlando, ma è la reliquia di un’anima
che svela la sua vita, la sua passione,
le sue omissioni terrene, e il suo futuro. è
in errore chi pensa che
l’anima ha solo un passato-presente, ha anche un suo futuro, che non conosce! Ognuno di noi è un’anima. Questo vale anche per chi crede e per chi è
agnostico, sia per quelli del sesto che del terzo raggio teosofico».
L’elefante
annuiva come a confermare le tesi del sorprendente mistico romantico Gregorio
che continuò:
Nuovo
sospiro, come essersi liberato da un peso:
Aggiunsi:
Non
so se l’elefante sorrise compiaciuto, ma l’impressione che dava era quella,
quindi chiesi ancora lumi:
«Ma figurati se i papi vanno in cerca di funghi, forse di pecore! La massoneria?
E che vuol dire massoneria? è un ginepraio...».
Mister
cercafunghi annusò l’aria come in cerca di un sentiero da seguire per un
ragionamento, insomma come per trovare una dritta su un argomento che come
quello massonico desta preoccupate sensazioni. Il segreto ha sempre una doppia
visione, può affascinare o intimorire, anche
se praticare la vera religione che è la verità, può metterci al riparo da
occulte forze polarizzate sulla negazione del bene.
«…è
molto complicato, parlare di massoneria. Tra ‘600 e ‘700, si racconta che
fossero sorti in Inghilterra con la corporazione dei maestri edili, ma è stato
un fenomeno di sociabilità e di politica. Ben tre presidenti dell’Unione d’America sono stati massoni.
Obiettai
sul fatto che da lui, con le fosse che scavava, era lecito aspettarsi qualcosa
di più, ed infatti la provocazione fu raccolta:
«Forse è meglio se andiamo più indietro, ai tempi ellenistici. Vi era un certo Mesone, un attore comico originario di Megara, in Sicilia, che inventò la maschera del cuoco, che si dice maison».
Replicai: «Maison?».
E il berrettone continuò: «Confermo ardigasticamente, maison - con l’accento acuto sulla a; a quei tempi i cuochi non erano semplici cuochi che cucinavano i cardoncelli, erano in pratica sacerdoti e cerimonieri culinari dei sacrifici e relativo rituale agli dei! Ora da màison si arriva a masson, massone! E per essere massoni, oltre che con cazzuole, calce, mattoni e malta, bisogna saperci fare con intrugli e pasticci! Idem con patate per i metallurgici».
Compendiai: «Vuoi dire che questi intrugli sono, in pratica, i segreti che si tramandono i templaristi e massoni?».
«Certamente! – ammise il mio bravo storico notturno – Vi sono integrazioni di varia natura che sono riassunti nel percorso della massoneria. Ma ti dirò di più. Per complicare le cose, cioè renderle più segrete, hanno tradotte molte parole greche in ebraico. Ti faccio un esempio. Quando si è ammessi al primo grado della gerarchia massonica alla parola Boaz si risponde Jachin. Boaz e Iachin soni i nomi delle due colonne d’ingresso del tempio di Salomone, citate nell’antica bibbia».
Il
signor “movimento terra” mi sembrava fin troppo preparato in materia, tanto
che interrompendolo gli domandai:
Se
mi poteva triturare meglio della sabbia più fine dei lidi adriatici, lo avrebbe
fatto in quel momento stesso, per come mi guardò tralignando e mi rispose con
tono minaccioso:
Conclusi: «Quindi siamo ritornati ai riti dionisiaci, eleusini, di Demetra etc.».
E
lui proseguì:
«Francamente no!», risposi
«Ti spiego – con aria soddisfatta del sapiente, mister Scavafosse aggiunse – Gerusalemme sta per jeros lemme, che vuol dire parola sacra, e Giblin sta per Kybèlen, cioè Kybele, che vuol dire Cibele, una versione, diciamolo pure, un po’ orgiastica, di Demetra. Vedi come siamo sempre immersi nel passato? Ora ti è chiaro? è sempre la stessa solfa dai tempi in cui fu scoperto che un Cro-Magnon di circa 30.000 anni fa, si ornava di una tonaca fatta da diecimila perline di ossa di mammut forate, che solo per sagomarle ed infilarle ci vogliono migliaia di ore lavorative. Forse cos’era, un re, un proto cuoco-massone? Perché siamo divenuti Sapiens Sapiens? Mi sai rispondere? Grazie al simbolismo, alla capacità narrativa, all’invenzione!».
«Quindi per i massoni la parola sacra è Cibele! – riflettei ad alta voce, e commentai a mio modo – Poi nel Settecento i gradi gerarchici sono diventati trentatré. E allora perché il medico si fa dire trentatré da un sospetto bronchitico, forse la polmonite ha che fare con la massoneria? Certamente no. Ora i gradi sono trentatré, così ognuno si fa gli scalini che vuole, in quanto il rituale è una esigenza psicologica che dà l’idea del percorso sino ad arrivare agli anni di Cristo, quando salvò il mondo con il Crocifisso».
Ormai l’elefante ed io eravamo proprio stremati, l’esoterismo, che volete?, non fa bene né ai pachidermi né a me.
Il
cappelluto rosso ruggine mi guardò di traverso per l’improvvida, per lui,
interruzione, ma tutto sommato sembrava acconsenziente, anche per lui il tempo passava e probabilmente prima che sorgesse il sole
qualche buca c’era ancora da scavare e qualche crisantemo supplementare d’informazione da aggiungere. |
«Intanto
siamo nel 1756, in piena età di illuminata massoneria, e qui la vasca
ottagonale c’è ed è la cisterna, ma è sempre asciutta, perché l’acqua
sulla Murgia è scarsa e quel poco che si raccoglieva non era nemmeno
sufficiente per lo scarico dei gabinetti del castello che sono tanti. Gli
aiutanti sono del grado diciassette, per via del compito davvero disgraziato che
avevano, infatti erano quelli che portavano l’acqua dalle cisterne esterne al
castello. Anche se qui al massimo
più di una guarnigione e aiutanti, non vi è mai stato di più. Come ben sai
Federico per via di una indigestione di pere cotte morì che quasi il castello
non era proprio del tutto terminato».
«Insomma Riccardo era un povero disgraziato?», lo
incalzai.
«Disgraziato?
Ma no! Chi si sottopone ai rituali deve un po’ sacrificarsi!
–
confermò
– Era anche addetto a lucidare tutto il pentolame di bronzo per tenerlo lindo
e pulito; il graal, in questo caso sta per negroamaro, che è un buon vino di
queste parti molto gradito ai guerrieri. L’alluce di Federico è un
riferimento alla sottomissione che si doveva fare gratificando di una carezza il
piede di una statua. Forse, dello Svevo, statua che oggi non c'è più e che
guardava ad oriente».
«Mi sembra tutto così banale
–
esclamai e aggiunsi
–
E
da dove nasce questo culto esoterico per Castel del Monte?».
Chiosò:
«Qui di esoterico non c’è proprio niente! C’è solo una pagina di
storia, e una promessa d’amore che ha una sua dimensione umana. La verità è che si vuole forzare la mano con
il turismo esoterico. Questo serve ad alimentare la leggenda, quasi a farne
divenire un fatto conclamato». Ovviamente sottolineò l‘affermazione
roteando l’indice sulla tempia.
«Già,
e perché tutto questo marketing esoterico?», facendomi più da presso.
Replicò: «Hanno bisogno di un tempio. Senza tempio non si possono ordinare i
fratelli!, cioè apprendisti e via cantando. Castel Del Monte risponde a questo
requisito. E se ci sono i fratelli con qualche maestro si può fare una loggia, e in questo caso, più si conclama la
natura sovrannaturale e templaristica del castello più la loggia potrà essere
importante e segreta, con tutto quello che ne consegue. Quindi tutti quelli che
coltivamo suggestioni ed ispirazioni esoteriche qui saranno incoraggiati e
benvenuti».
L’orizzonte, lì dove i leoni federiciani
vigilano sui due solstizi, si schiariva con un tenue violetto con sfumature
sempre più rosee, l’umidità aeriforme dell’alba incominciava a
sciogliersi. Un'aureola di anelante verità cingeva il castello con tutti i suoi
numeri e le sue magiche combinazioni. L’elefante si rimpicciolì sino a
ritornare al suo posto verso la parte nord del castello, lì dove le stelle non
si muovono. Speriamo che gli “esoteristi ed occultisti” di turno non lo
scoprano, sarebbe una vittima innocente immolata sull’altare dell’arcano.
Il
mio storico notturno vedendo la nuova luce si accomiatò:
Cosa è stato dunque Federico? Un re mitico, un mago, un poeta, un dominatore, un romantico innamorato?
Gli
mancò la felicità.
O’ Voi che avete gli intelletti sani,
mirate le
dottrine che s’asconde
sotto il velame di versi strani”
(Dante,
Inferno, canto IX)
Terminai
la lettura del quadernetto che avevo tra le mani, un quadernetto con la copertina
nero lucido rigato che concludeva la storia con
La Fine del Principio
Avevo
lasciato Venezia da poco, la città della Scolastica, mi ero avventurato in una
visita per calli, sottoporteghi e campielli poco turistici, ma affascinanti.
Dopo una sosta a Palazzo Grassi per visitare una mostra su Dalì, ero andato a
visitare la Madonna della Salute.
Una chiesa eretta in onore della madonna per la solita peste, questa volta del 1630, sulle ex fondamenta di un monastero teutonico. La chiesa è a pianta ottagonale ed il prof. Gerhard Goebel-Shilling si è presa la briga di studiarne la costruzione, con la straordinaria scoperta che tutte le misure della chiesa sono sulla base di multipli dell’otto e per undici, tenendo per riferimento, diciamolo per correttezza, la misura del piede veneziano, pari a cm 35,09.
L’architetto
fu un tal Balhasar Longinus, italianizzato in Longhena (la lancia di Longino?), figlio di uno scalpellino ebreo di nome
Melkisedek; di lui si sono perse le
tracce. Pare che si sia ispirato per il progetto al tempio di Venere Phisizoa, forse ottagonale (?), di
cui si legge nell’Hypnerotomakia Poliphili, conservato nella biblioteca
marciana.
Mi
aveva incuriosito anche il mosaico che è al centro della chiesa, una corona di rose, circondata a sua volta da un’altra corona di dieci rose
e per undicesima un disco metallico su cui è inciso «unde
origo indi salus». Un’altra testimonianza rosacrociana?
Troppe
erano le analogie “esoteriche” di questo tempio con quelle di cui si
disquisisce anche per Castel del
Monte.
Mi
ero seduto un momento per riflettere, quando sulla soglia della chiesa, per
terra, notai un quadernetto nero, con la copertina lucida e rigata. Mi sono voltato e rigirato per vedere se ci fosse chi l’aveva
smarrito, ma in chiesa, oltre l’icona della madonna, non c’era anima viva.
L’ho
raccolto.
©2005 Pino Gadaleta