Sei in: Mondi medievali ® De castro venandi cum artibus ® 8. I racconti dei miseri misteri minimi


DE CASTRO VENANDI CUM ARTIBUS  a cura di Falco, Girifalco e Metafalco

I racconti dei miseri misteri minimi, pagina 2

Maestro Anonimo Veneziano


     

   

L’elefante dal retro zappatore annuì con quegli occhietti graticciati e arieggiò i suoi sventoloni auricolari: implicito invito all’ascolto.

 

«Intanto iniziamo a dire che qui di astratto non c'è niente, che astratto è astractum o meglio di lastricum astractum, vi è solo l’actractum, perché, come vedi qui c'è solo attrazione turistica, jè tutto nù gibillero. E mò assittete e ascolta bene» (gibillero sta per finimondo, corruzione della parola giubileo).

 

L’ingiunzione a posare il mio fondo schiena sul settimo gradino della scala che introduce al portale dei Leoni (ma in verità l’ingresso più utilizzato in tempi remoti era la porta posta sul retro), non poteva essere disattesa considerando che forse grandi rivelazioni notturne dell’Ovolo Rosso Incappucciato potevano aprire orizzonti nuovi. La promessa di parlare, poi, in italiano corrente accresceva la mia curiosità ad apprendere. E così iniziò:

 

«Devi sapere, caro amico degli sforacchiati medievalisti del Professore, che qui, ora, dove vedi il castello, al tempo del Popolo dei Pidocchi sorgeva un tempio dove si coltivava l’amore terreno e quello per la Luna, una donna coi fianchi anforosi con due mani che sulla testa reggevano un disco. Era un popolo che veniva dal mare, grandi pastori e produttori di formaggi, tanto che ne avevano pure sposato sapore e puzza. Su questo colle a loro sacro, si riunivano, o come si dice in andriese murgiano a fè nu’ ritidd’, quando nel primo solstizio alla prima luna piena rossa, rapida ad apparire per poi accendersi di bianco, praticavano intensi amori comunitari. La sacerdotessa della dea si congiungeva con il capo tribù, facente funzione, per poi alla successiva ottava luna, dove si ripeteva il tutto con il capo tribù nuovo, perché quello vecchio ci rimetteva le penne. E per ricordarsi dell’ottava luna, il tempio aveva una pianta ottagonale!... Eh, loro sì che sapevano rinnovare la classe dirigente!... Al centro del tempio ottagonale era incisa una stella a cinque punte».

 

Concluse con un: «Beh, venerabile studente, che mi dici?»

 

«E che devo dire?chiosaiso che sta parlando dei Peuceti, del culto della dea Madre, o di Demetra, della tradizione greca mitica del “re sacro”, che veniva sacrificato per far posto ad uno nuovo, ma non ho capito chi i sono i sette bagnanti, fratelli o sorelle che siano, e che c'entrano con la luna? E per quanto mi sforzi che attinenza hanno Demetra, la luna, il re sacro con i sospiri, e con tutto quello che si assimila dal semplice soffio d’aria, del Puer Apuliae?».

 

«Ahhh, mai tu vuoi fare lo gnorri?riprese con veemenza il buon affabulatoreTempo al tempo, devi avere la pazienza di ascoltarmi per poi riferire al Professore e combriccola similmedievalista, il segreto ottagonale dello spiraliforme concetto temporale dello Scotennato, il consulente di Federico che neppure seppe predire la caduta del tetto sul suo conturbato capoccione che lo fece secco. Bene, devi sapere che il filo conduttore di questo segreto è proprio nella Luna, sia piena che cornuta. E perché allora secondo te si chiama Santa Maria del Monte? A proposito, come ti cognomi, Riccardo o IO?».

 

Mentre riflettevo sull’opportunità di lasciare i formaggi a stagionare un po’, considerando l’insuccesso nel mio tener testa, il vento sbuffò all’improvviso alzando un polverone che la luce dei riflettori illuminò come se fossero fiocchi di neve, e il signor Ovolo Rosso divenne un’ammanita muscaria, lo assimilai ad una magica folleidea notturna, che più che sorprendente era storicamente curiosa; già, la Storia è fatta per chi è fondamentalmente un curioso del passato. Il mio notturno compagno mi guardò come ispirato per investigare:

 

«Ma non è che sei Riccardo di Montefuscolo redivivo? Proprio lui che è l’unico che può sapere la verità sulla benedetta parola actractum, o meglio Riccardo di San Germano, notaro di cambiamenti e ricambiamenti di spose, eredità, castelli?».

 

«Oddio, che gli rispondo?», pensavo tra me e me, non conoscendo bene i documenti che si riferivano ai quei personaggi e dove volesse andare a parare, ma, così senza nemmeno avere cognizione di quello che dicevo, esclamai: «Certamente non sono Riccardo da Venosa, signore!».

 

Stavo incosciamente mettendo alla prova le conoscenze del federiciano notturno. Per nulla turbato, Ovolo Rosso si tolse il coppolone e con una manata lo spolverò, liberandosi dalla follidea allucinogena. Il mite pachiderma si declinò sul posteriore e la proboscide segnò un punto interrogativo.

 

«Bene. Siamo vicini  svelare il segreto. Però devo suggerirti che secondo me, questo Riccardo di Venosa... la storiella di Camomilla e Salsiciccillo da lui scritta e dedicata a Federico, era uno che mirava a sfruculiare gli amori dell’imperatore. Mi sa che il venosino non fece una bella fine, ma non lo so, devo ancora scavare da quelle parti».

 

Mi guardò negli occhi con un sorriso similottagonale, come a dirmi «e tu con chi credi di avere a che fare, con uno stupido ignorante?».

 

Convenni tra me e me che il signor scavafosse doveva avere buone conoscenze storiche: Riccardo di Venosa era un giudice che dedicò a Federico II un poemetto farsesco sui mille sotterfugi escogitati  dai due vetusti amanti, Paolino e Polla, per sposarsi (ma anche questa è un’altra storia ). Provai ad insistere:

 

«Ma signor scavabastenache [carote], lei confonde actractum con contractum, del resto cosa si doveva fare per costruire un castello? Un capitolato, se non un contratto o una impegnativa! Eppoi, diciamo la verità, considerando che cita Riccardo Montefuscolo a cui fu affidato dall’imperatore di sovrintendere alla costruzione di questo castello, per sua tranquillità, l’Io Riccardo lo trova qui, vede, inciso sul portale nell’anno 1756, in pieno illuminismo».

 

«Sì, mo’ fai pure il sostenitore dell’Enel, l’illuminato! Giovinotto, non si facenn’ l’abbagliato detassato afforza [forse un riferimento alla recente detassazione del governo italiano 2004?] o l’istruito informatico, che t’ann’ pure ditt’ i forumisti che si nù marinatore di promonibus... (sì ciucc’ a scrivere, ma così facciamo contenti pure i critici che con la critica fanno campare i giornali, appunto di critica), e giù la fronte davanti a Gregorio Magno Funghi! Io di questo sito sono la Storia Vivente e Sopravvivente del settimo raggio, avendo dapprima sotterrata quella cadaverica e poi riesumato ceneri e ossa, purificate!».

 

L’elefante allargò la bocca e la proboscide lanciò verso il cielo buio pronomi e chiocciole internaute, esprimendo con un barrito la sua soddisfazione per il netto ridimensionamento del critico intellettuale di pasoliniana memoria.

 

«Non mi interrompere, parlerò tricolore per farmi capire bene bene. Devi sapere che dopo il popolo dei pidocchi qui ci fu l’abbandono totale, sino a quando non arrivarono quelli delle crociate, i braccidiferro e compagni [normanni] che eressero una specie di torre fortificata che ha più a cheffare con ruggerone secundi che con il guglielmone per via di un’operaKitab nuzhat al mushtaq fi htiraq al afaq [opera astronomica araba del XII secolo, il cui autore è Idrisi] che accompagnava un planetario d’argento dell’idriz che non è l’acqua gassata, ma che già era uno che contava di stelle, costellazioni, pianeti, fasi lunari, in barba a tutti quelli che sul castello oggi ci scrivono ancor oggi di astronomiastrologica, di Orione e Sirio».

 

Una pausa per soffiarsi il naso a cipolla e riprese: «Le cose andarono così. In una di quelle notti in cui la luna è regina del cielo nel pieno della sua pregna luminosità, lo Svevo passeggiava sul lido lì ove si erge il castello di Barletta. Teneva per mano la sua vera unica amata, l’umile Bianca Lancia, bellissima, illuminata dal chiarore lunare che la esaltava nella sua seducente veste di raso bianco con i capelli lunghi e biondi come la seta».

 

L’ovolone sospirò come se la mente lo avesse richiamato in qualche suo ricordo seppellito in qualche buca e riprese a favoleggiare: «Federico le sussurrava le parole di un qualche sua poesiola e rimirando la luna s’accorse che la scia luminosa che la luna affidava alle dolci onde del mare lo seguiva passo passo, con la stessa luna che faceva da perno. La scia gli sembrava una bianca lancia che seguiva in ogni direzione  tutti i suoi passi e ogni suo sguardo: era come se la sua amata Bianca Lancia fosse divenuta un riferimento su cui si permeava tutto l’amore in ogni suo colore e dimensione.

  

Era maturo il tempo che lì sulla collina, sulle pendici di Femmina Morta (per inciso morta non è, invece, una bella donna dotata  di rigogliose formosità e frementi passioni), sulla sua cima, che da un lato guarda il mare e dall’altro il castello di Guaragnone, fosse edificato un castello. Così si poteva controllare strategicamente la via del grano tra l’entroterra e la costa. Al momento sul colle vi erano mura semidirute e un convento, ch’era stato prima dei benedettini, poi di templari, dedicato a Santa Maria del Monte.

   

L’Hohenstaufen in questo suo raro e autentico momento di serenità amorosa pensò di costruire un castello che fosse illuminato dal movimento lunare in tutte le sue fasi. Prese Bianca tra le braccia e le disse: "Costruirò un castello, il più bello e possente tra tutti, lo farò delle forma della mia corona, quella corona che ti spetta e che meriti; e solo ragioni di Stato m’impediscono di fartene dono come vera unica regina del mio cuore, e sarà questo il manifesto al mondo intero dell’amore che ho per te, mia amata Bianca più luminosa di questa luna, che come te è magia del tempo, dello spazio, della vita che si rinnova!"». 

 

La favola terminò con un rinnovato e più lungo sospiro di Gregorio Magno, tra lo stupore di me, o Io Riccardo, e dell’elefante che s’era accovacciato arricciando la proboscide in segno di meraviglia. Finalmente il segreto era svelato! Il castello era l’espressione più alta del dono dell’amore federiciano! Altro che cabale e templarismi vari, moltiplicato per undici! E segmenti aurei!

 

Ah!, se sapessero le guide del castello, che storia ci potrebbero ricamare!

 

 

«Incommensurabile!», esclamai, né potevo dire altro per l’enfasi e il trasporto con cui Gregorio aveva svelato l’arcano della forma ottogonale, e continuai:

 

«Sembrerebbe un racconto incredibile. Finalmente possiamo porre fine al segreto templare, alla favola del graal custodito sotto il castello, che invero sofisticate apparecchiature hanno confermato esserci solo roccia, roccia, roccia e nient’altro! Fine ai miscugli conditi con ogni salsa esoterica e pepe occultistico. Ma Gregorio – aggiunsi – come fa a sapere questo? E che fine ha fatto il templarismo massonico? Scusi, ma quali sono le sue fonti o fontanelle?».

 

«Giovinotto, Riccardo o non Riccardo o meglio venerabile studente – enfatizzando la parola venerabile – ogni buca che scavo è un pezzo di storia che viene alla luce, non solo archeologicamente parlando, ma è la reliquia di un’anima che svela la sua vita, la sua passione,  le sue omissioni terrene, e il suo futuro. è in errore chi pensa che l’anima ha solo un passato-presente, ha anche un suo futuro, che non conosce! Ognuno di noi è un’anima. Questo vale anche per chi crede e per chi è agnostico, sia per quelli del sesto che del terzo raggio teosofico».

 

L’elefante annuiva come a confermare le tesi del sorprendente mistico romantico Gregorio che continuò: «Templari o massoni? Ma no! Federico amava troppo uccellare in senso faunistico e figurato; con Bianca Lancia si sentiva in colpa e la volle incoronare a modo suo, per sempre. La fonte? Nel 1943, che fanno somma otto, purtroppo andarono in fumo i registri [bruciati per rivalsa a Napoli dai nazisti, n.d.A.] ove era registrata la direttiva all’architetto che voleva il castello in "forma regis in laude Bianca Lanciae". Eh..., nessuno sa e nessuno può confermare... però fra poco la luna da ovest illuminerà l’ottava torre, dalla fessura posta in alto filtrerà la luce che illuminerà una pietra, se la rimuoviamo, perché è mobile, troveremo una brocca piena di latte immarcescibile, bianca pozione d’amore per chi la beve, e una pergamena, una poesia o un giuramento d’amore a Bianca Lancia, dove è scritto che la forma ottagonale è l’emblema della corona sveva che alla fine Bianca indosserà. E così fu».

 

Nuovo sospiro, come essersi liberato da un peso: «Il castello è ad ottagono con le torri ottagonali a somiglianza della corona imperiale e di qualche lampadario, ma anche per seguire ogni minima fase intermedia del ciclo lunare. Se ci si applica, con po' di conti lo si scopre. Altro che sole, zenit, solstizi ed equinozi, Vega che a settembre è sulla perpendicolare del castello, Chartres che si congiunge in linea retta con la piramide di Cheope passando per Castel del Monte, mentre invece la linea passa in mezzo al golfo di Manfredonia».

 

Aggiunsi: «Ancor più sorprendente, forse non sai, la recente tesi di una – storica? – che sostiene essere il cielo stellato visibile dal terrazzo di Castel del Monte identico a quello segnato sulla cupola del tempio di Salomone. Pensa tu: una tesi avvalorata pure dall’accademia della briscola! Ormai  si racconta di tutto, di epigrafi che segnano riti o porte massoniche, che invece è come scrivere oggigiorno "fesso chi legge", di mosaici sprizzanti energie, di pietre murali residuali messe apposta per glorificare la grandezza federiciana, del Baphomet templare, che invece è il gobbo o il corno che si mette dietro le porte per scongiuro».

 

Non so se l’elefante sorrise compiaciuto, ma l’impressione che dava era quella, quindi chiesi ancora lumi: «Ma la massoneria, i templari non c'entrano proprio niente, caro signor Gregorio, con Castel del Monte?obbiettai per poi insinuante aggiungereMa non è che sei Gregorio IX che ce l’aveva un po' con il puer apuliae?».

 

«Ma figurati se i papi vanno in cerca di funghi, forse di pecore! La massoneria? E che vuol dire massoneria? è un ginepraio...».

 

Mister cercafunghi annusò l’aria come in cerca di un sentiero da seguire per un ragionamento, insomma come per trovare una dritta su un argomento che come quello massonico desta preoccupate sensazioni. Il segreto ha sempre una doppia visione, può affascinare o intimorire, anche se praticare la vera religione che è la verità, può metterci al riparo da occulte forze polarizzate sulla negazione del bene.

 

«è molto complicato, parlare di massoneria. Tra ‘600 e ‘700, si racconta che fossero sorti in Inghilterra con la corporazione dei maestri edili, ma è stato un fenomeno di sociabilità e di politica. Ben tre presidenti dell’Unione d’America sono stati massoni. Non lo sai? In Italia il fenomeno è stato piuttosto debole, a parte l’asburgico Leopoldo, granduca di Toscana. Che ti devo dire? Vogliamo parlare di Sant’Anfibolo [vedi antifobolia] che edotta Sant’Albano? Ma sarebbe lungo e noioso, e qui mettere in mezzo pure i santi ci complicherebbe la vita».

 

Obiettai sul fatto che da lui, con le fosse che scavava, era lecito aspettarsi qualcosa di più, ed infatti la provocazione fu raccolta:

 

«Forse è meglio se andiamo più indietro, ai tempi ellenistici. Vi era un certo Mesone, un attore comico originario di Megara, in Sicilia, che inventò la maschera del cuoco, che si dice maison».

 

Replicai: «Maison?».

 

E il berrettone continuò: «Confermo ardigasticamente, maison - con l’accento acuto sulla a; a quei tempi i cuochi non erano semplici cuochi che cucinavano i cardoncelli, erano in pratica sacerdoti e cerimonieri culinari dei sacrifici e relativo rituale agli dei! Ora da màison si arriva a masson, massone! E per essere massoni, oltre che con cazzuole, calce, mattoni e malta, bisogna saperci fare con intrugli e pasticci! Idem con patate per i metallurgici».

  

Compendiai: «Vuoi dire che questi intrugli sono, in pratica, i segreti che si tramandono i templaristi e massoni?».

 

«Certamente! – ammise il mio bravo storico notturno – Vi sono integrazioni di varia natura che sono riassunti nel percorso della massoneria. Ma ti dirò di più. Per complicare le cose, cioè renderle più segrete, hanno tradotte molte parole greche in ebraico. Ti faccio un esempio. Quando si è ammessi al primo grado della gerarchia massonica alla parola Boaz si risponde Jachin. Boaz e Iachin soni i nomi delle due colonne d’ingresso del tempio di Salomone, citate nell’antica bibbia».

 

Il signor “movimento terra” mi sembrava fin troppo preparato in materia, tanto che interrompendolo gli domandai: «Ma anche gli scavatori di fosse rientrano in qualche gerarchia massonica?».

 

Se mi poteva triturare meglio della sabbia più fine dei lidi adriatici, lo avrebbe fatto in quel momento stesso, per come mi guardò tralignando e mi rispose con tono minaccioso: «Vuoi passare dalla condizione di venerabile a quello di venerato? Queste due parole invece, per fartela breve, sono di origine greca: boào Iàkchon, cioè invoco Iacco; Iacco è Dionisio».

 

Conclusi: «Quindi siamo ritornati ai riti dionisiaci, eleusini, di Demetra etc.».

 

E lui proseguì: «Bravo. è così. Ti potrei fare molti esempi. Un altro solo, anche per non tediare oltre le pachidermiche orecchie, e per essere più convincente. Questa volta scomodiamo Payne, il numero uno della massoneria moderna. Nel suo rituale di ingresso al percorso massonico si domanda all’adepto "Datemi la parola di Gerusalemme", e si risponde "Giblin"! Ci capisci qualcosa?».

 

«Francamente no!», risposi.

 

«Ti spiegocon aria soddisfatta del sapiente, mister Scavafosse aggiunseGerusalemme sta per jeros lemme, che vuol dire parola sacra, e Giblin sta per Kybèlen, cioè Kybele, che vuol dire Cibele, una versione, diciamolo pure, un po’ orgiastica, di Demetra. Vedi come siamo sempre immersi nel passato? Ora ti è chiaro? è sempre la stessa solfa dai tempi in cui fu scoperto che un Cro-Magnon di circa 30.000 anni fa, si ornava di una tonaca fatta da diecimila perline di ossa di mammut forate, che solo per sagomarle ed infilarle ci vogliono migliaia di ore lavorative. Forse cos’era, un re, un proto cuoco-massone? Perché siamo divenuti Sapiens Sapiens? Mi sai rispondere? Grazie al simbolismo, alla capacità narrativa, all’invenzione!».

 

«Quindi per i massoni la parola sacra è Cibele!riflettei ad alta voce, e commentai a mio modoPoi nel Settecento i gradi gerarchici sono diventati trentatré. E allora perché il medico si fa dire trentatré da un sospetto bronchitico, forse la polmonite ha che fare con la massoneria? Certamente no. Ora i gradi sono trentatré, così ognuno si fa gli scalini che vuole, in quanto il rituale è una esigenza psicologica che dà l’idea del percorso sino ad arrivare agli anni di Cristo, quando salvò il mondo con il Crocifisso».

 

   

Ormai l’elefante ed io eravamo proprio stremati, l’esoterismo, che volete?, non fa bene né ai pachidermi né a me.

 

Il cappelluto rosso ruggine mi guardò di traverso per l’improvvida, per lui, interruzione, ma tutto sommato sembrava acconsenziente, anche per lui il tempo passava e probabilmente prima che sorgesse il sole qualche buca c’era ancora da scavare e qualche crisantemo supplementare d’informazione da aggiungere.

  

«Un'ultima spiegazione, ma perché Io Riccardo è l’aiutante etc etc?», chiesi con la curiosità dello studente.

  

«Intanto siamo nel 1756, in piena età di illuminata massoneria, e qui la vasca ottagonale c’è ed è la cisterna, ma è sempre asciutta, perché l’acqua sulla Murgia è scarsa e quel poco che si raccoglieva non era nemmeno sufficiente per lo scarico dei gabinetti del castello che sono tanti. Gli aiutanti sono del grado diciassette, per via del compito davvero disgraziato che avevano, infatti erano quelli che portavano l’acqua dalle cisterne esterne al castello. Anche se qui al massimo più di una guarnigione e aiutanti, non vi è mai stato di più. Come ben sai Federico per via di una indigestione di pere cotte morì che quasi il castello non era proprio del tutto terminato».

 

«Insomma Riccardo era un povero disgraziato?», lo incalzai.

 

«Disgraziato? Ma no! Chi si sottopone ai rituali deve un po’ sacrificarsi!confermò – Era anche addetto a lucidare tutto il pentolame di bronzo per tenerlo lindo e pulito; il graal, in questo caso sta per negroamaro, che è un buon vino di queste parti molto gradito ai guerrieri. L’alluce di Federico è un riferimento alla sottomissione che si doveva fare gratificando di una carezza il piede di una statua. Forse, dello Svevo, statua che oggi non c'è più e che guardava ad oriente».

 

«Mi sembra tutto così banaleesclamai e aggiunsiE da dove nasce questo culto esoterico per Castel del Monte?».

 

Chiosò: «Qui di esoterico non c’è proprio niente! C’è solo una pagina di storia, e una promessa d’amore che ha una sua dimensione umana. La verità è che si vuole forzare la mano con il turismo esoterico. Questo serve ad alimentare la leggenda, quasi a farne divenire un fatto conclamato». Ovviamente sottolineò l‘affermazione roteando l’indice sulla tempia.

 

«Già, e perché tutto questo marketing esoterico?», facendomi più da presso.

 

Replicò: «Hanno bisogno di un tempio. Senza tempio non si possono ordinare i fratelli!, cioè apprendisti e via cantando. Castel Del Monte risponde a questo requisito. E se ci sono i fratelli con qualche maestro si può fare una loggia, e in questo caso, più si conclama la natura sovrannaturale e templaristica del castello più la loggia potrà essere importante e segreta, con tutto quello che ne consegue. Quindi tutti quelli che coltivamo suggestioni ed ispirazioni esoteriche qui saranno incoraggiati e benvenuti».

 

L’orizzonte, lì dove i leoni federiciani vigilano sui due solstizi, si schiariva con un tenue violetto con sfumature sempre più rosee, l’umidità aeriforme dell’alba incominciava a sciogliersi. Un'aureola di anelante verità cingeva il castello con tutti i suoi numeri e le sue magiche combinazioni. L’elefante si rimpicciolì sino a ritornare al suo posto verso la parte nord del castello, lì dove le stelle non si muovono. Speriamo che gli “esoteristi ed occultisti” di turno non lo scoprano, sarebbe una vittima innocente immolata sull’altare dell’arcano.

 

Il mio storico notturno vedendo la nuova luce si accomiatò: «Statt’buene, e studia! E qualche volta non trascurare di sentire il canto dell’ulivo!».

 

Cosa è stato dunque Federico? Un re mitico, un mago, un poeta, un dominatore, un romantico innamorato? 

 

Gli mancò la felicità.

 

O’ Voi che avete gli intelletti sani,

mirate le dottrine che s’asconde

sotto il velame di versi strani

(Dante, Inferno, canto IX)

 

Terminai la lettura del quadernetto che avevo tra le mani, un quadernetto con la copertina nero lucido rigato che concludeva la storia con:

La Fine del Principio

   

  

Avevo lasciato Venezia da poco, la città della Scolastica, mi ero avventurato in una visita per calli, sottoporteghi e campielli poco turistici, ma affascinanti. Dopo una sosta a Palazzo Grassi per visitare una mostra su Dalì, ero andato a visitare la Madonna della Salute.

 

Una chiesa eretta in onore della madonna per la solita peste, questa volta del 1630, sulle ex fondamenta di un monastero teutonico. La chiesa è a pianta ottagonale ed il prof. Gerhard Goebel-Shilling si è presa la briga di studiarne la costruzione, con la straordinaria scoperta che tutte le misure della chiesa sono sulla base di multipli dell’otto e per undici, tenendo per riferimento, diciamolo per correttezza, la misura del piede veneziano, pari a cm 35,09.

 

L’architetto fu un tal Balhasar Longinus, italianizzato in Longhena (la lancia di Longino?), figlio di uno scalpellino ebreo di nome Melkisedek; di lui si sono perse le tracce. Pare che si sia ispirato per il progetto al tempio di Venere Phisizoa, forse ottagonale (?), di cui si legge nell’Hypnerotomakia Poliphili, conservato nella biblioteca marciana.

 

Mi aveva incuriosito anche il mosaico che è al centro della chiesa, una corona di rose, circondata a sua volta da un’altra corona di dieci rose e per undicesima un disco metallico su cui è inciso «unde  origo indi salus». Un’altra testimonianza rosacrociana?

 

Troppe erano le analogie “esoteriche” di questo tempio con quelle di cui si disquisisce anche per Castel del Monte.

 

Mi ero seduto un momento per riflettere, quando sulla soglia della chiesa, per terra, notai un quadernetto nero, con la copertina lucida e rigata. Mi sono voltato e rigirato per vedere se ci fosse chi l’aveva smarrito, ma in chiesa, oltre l’icona della madonna, non c’era anima viva.

 

L’ho raccolto.

 

    

   

©2005 Pino Gadaleta

    


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