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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI SALERNO

in sintesi, pagina 2

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

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Nocera Inferiore (palazzo Fienga)

Foto di Frank Gegna, dal sito https://plus.google.com/101666418196158933826/   Foto di Frank Gegna, dal sito https://plus.google.com/101666418196158933826/

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto da Ridiamo vita al Castello (https://www.facebook.com/RidiamovitaalCastello)   Foto da Ridiamo vita al Castello (https://www.facebook.com/RidiamovitaalCastello)   Foto da Ridiamo vita al Castello (https://www.facebook.com/RidiamovitaalCastello)   Foto da Ridiamo vita al Castello (https://www.facebook.com/RidiamovitaalCastello)

«La struttura attuale, realizzata dalle famiglie Guidobaldi e Fienga (la seconda nota per la mania per il collezionismo che l'ha portata ad accumulare circa 3000 reperti di epoca romana), è stata costruita [alla metà del secolo XIX] a fianco alle strutture medievali, col preciso intento di non obliterarle. Posta su due livelli, ha pianta rettangolare e comprende, nella parte bassa, due cortili: il primo è posto intorno alla torre medievale; il secondo, più ampio, è un’ampia piazza d’armi circondata sui quattro lati da ambienti con il prospetto merlato. Vi si affaccia anche una cappella con una piccola cupola che fu edificata intorno alla metà dell’800. Durante l’estate ospita manifestazioni teatrali e musicali. L’edificio ospita la sede del Patto territoriale dell’Agro Nocerino Sarnese. Il palazzo ospite anche il Teatro Virtuale della Valle del Sarno che, visitabile previa prenotazione, propone attraverso la realtà virtuale un excursus archeologico che passa attraverso le ricostruzioni alcuni dei principali monumenti dell'agro nocerino sarnese ...».

http://www.noceratv.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1970&Itemid=171


Nocera Inferiore (palazzo Guerritore Broya)

Dal sito www.fotoeweb.it   Dal sito http://postidavisitare.com

«Palazzo Guerritore Broya, conosciuto anche come Torre Guerritore, è uno dei monumenti di interesse di Nocera Inferiore. Su tratta di una costruzione di epoca risorgimentale, realizzata nel XIX secolo su un palazzo preesistente appartenente ai Califano di Sperandei. La conformazione architettonica attuale venne data dalla famiglia Guerritore, divenuta proprietaria del complesso dopo la famiglia Broya. Attualmente il palazzo si presenta come un’ampia torre merlata, decorata da una serie di archetti disposti sotto una cornice. La struttura include anche la Cappella di San Giacomo dei Califano, attualmente sconsacrata, che risale all’inizio del XVII secolo. Palazzo Guerritore è attualmente di proprietà privata».

http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti-provincia-salerno/cartina-monumenti-nocera-inferiore...


Nocera Inferiore (ruderi del castello del Parco, torre normanna)

Dal sito http://iluoghidelcuore.it   Dal sito www.ecampania.it   Dal sito www.fotoeweb.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto da Ridiamo vita al Castello (https://www.facebook.com/RidiamovitaalCastello)   Foto da Ridiamo vita al Castello (https://www.facebook.com/RidiamovitaalCastello)   Foto da Ridiamo vita al Castello (https://www.facebook.com/RidiamovitaalCastello)   Foto da Ridiamo vita al Castello (https://www.facebook.com/RidiamovitaalCastello)

«La più antica attestazione del castello risale al 984 da un documento del Codex Diplomaticus Cavensis, anche se il castello diventa importante soprattutto durante la dominazione Normanno-Sveva e poi angioina. Forse durante la prima fase doveva esistere una struttura molto semplice (una torre con un piccolo recinto). Sotto Federico II di Svevia fu realizzato sul banco di roccia calcarea l'arce con la sua grande torre-mastio pentagonale ancora oggi conservata, circondata da un recinto quadrato con ai lati quattro torri ottagonali (secondo uno schema attestato in altre fortificazioni federiciane) delle quali purtroppo oggi ne resta solo la base di una. Il vero ampliamento si ha però durante la dominazione angioina. Carlo I d'Angiò, venendo spesso a Nocera per villeggiare e per "respirare l'aria salubre delle campagne nocerine" fece ampliare la vecchia fortezza e s'iniziarono i lavori per alcuni ambienti di carattere residenziale che trasformarono lentamente il castello in un vero e proprio palazzo. Ma è dal 1303 che si hanno i veri lavori di restauro, che videro la costruzione di un nuovo imponente impianto difensivo caratterizzato da una triplice cinta di mura che dalla sommità della collina scendeva fino al fiume Saltera guardato da un accesso con ponte levatoio. Dal XV sec. in poi, soprattutto a causa dell'introduzione della polvere da sparo, il castello andò lentamente in disuso, passando di famiglia in famiglia per finire poi nel XVI sec. insieme all'intera città di Nocera al conte Tiberio Carafa, il quale trasformò parte della collina in un grande parco per la caccia ai cervi e dove durante il periodo estivo si ritirava per godere "l'aure soavi, che spirano ivi li venti quando li rimanente della campagna brucia per lo soverchio caldo della stagione". Estinta la famiglia Carafa il castello passò in mano a vari signori locali per finire poi agli inizi del XIX secolo ai De Guidobaldi, i quali incominciarono a spianare parte della collina per costruire una cappella dedicata alla Madonna, e da questi ai Fienga, che demolirono tutto il lato sud per realizzare un nuovo grande palazzo. Successivamente il parco fu abbandonato e alla fine degli anni '60 fu acquisito dal Comune di Nocera Inferiore. Durante questo grande arco temporale il Castello godette della presenza di illustri personaggi storici: vi fu prigioniera Maria Elena degli Angeli, moglie di Manfredi, qui risedette Carlo Martello e forse lo visitò anche Dante durante un suo breve soggiorno nel napoletano. Carlo I e Carlo II spesso risiedevano qui durante i mesi estivi mentre Papa Urbano VI nel 1385 fu assediato a Nocera dalle truppe di Carlo III di Durazzo.

Dell'impianto architettonico la più antica testimonianza, sebbene il lato sud risalga all'800, è la torre pentagonale, eretta intorno al 1250-60 da Guidone Filangieri secondo uno schema ripreso da alcuni testi vitruviani. Dietro la torre sono inoltre conservati i resti di una cappella, forse quella palatina di S. Leone, e al suo interno sono ancora presenti affreschi, purtroppo non ancora oggetto di studio. Alle spalle della torre, ad un'altezza leggermente inferiore si trova invece la cosiddetta "sala dei giganti", un enorme salone costruito con pietra calcarea e facente parte del grande palazzo realizzato durante la dominazione angioina. La grande sala doveva essere coperta da un tetto a doppio spiovente, sorretto anche dalle restanti paraste ancora conservate. Lungo le grandi pareti della sala, sono ancora conservate una bifora, di cui purtroppo manca la colonnina centrale e in alto sulla parete est tre grandi finestre di cui una trilobata, composta da una bifora con monofora superiore, completamente realizzata in tufo e miracolosamente conservatasi perché murata durante il XVII secolo. Di altre due finestre resta solo la cornice esterna in tufo. Alle spalle di questa sala si diramano altri numerosi ambienti, fino a raggiungere il vecchio portale di accesso seguito da un atrio quadrangolare. Sempre al periodo angioino è la Cavallerizza Reale, situata ad un livello inferiore e costituita da un grande ambiente diviso in campate da ampie volte a botte. È inoltre possibile vedere alcuni resti dei cammini di ronda tra la prima e la seconda cinta muraria, con una grande cisterna circolare guardata da una torre triangolare scarpata, e le semitorri che interrompevano la cortina mediana, mentre è completamente scomparsa la cinta ai piedi della collina».

http://www.castcampania.it/nocera-inferiore.html  (a cura di Giuseppe Sonetti)


Novi Velia (torre, resti del castello)

Dal sito www.comune.novivelia.sa.it   Dal sito www.comune.novivelia.sa.it   Dal sito www.comune.novivelia.sa.it

  

«è disposto in una posizione strategica da cui è possibile osservare l’intero territorio del Cilento dal Mar Tirreno del Golfo di Velia alla catena degli Alburni, e, nei giorni senza foschia, anche la costiera amalfitana con i monti Lattari e le sue località abitate, la penisola sorrentina e Capri. La prima notizia documentata dell'esistenza di Novi si trova in un diploma del 1005 con cui il principe di Salerno Guaimario IV fa dono dei suoi possedimenti a Luca, abate del monastero di Santa Barbara, sito in territorio "de Nobe". I normanni Umfredo e Guglielmo d'Altavilla, che avevano esteso i loro possedimenti nel Cilento, spostarono la curia da Sicignano a Novi e la affidarono a Guglielmo de Magna, ossia de Alemagna, appartenente ad una famiglia di chiare origini germaniche. Al tempo della guerra del Vespro (1298) proseguirono i lavori di costruzione (iniziati nel 1291) del nuovo palazzo feudale iniziato da Guglielmo Marzano, Signore dello Stato di Novi, che sostituì il castello longobardo costruito probabilmente intorno all'XI secolo, e donato ai Celestini assieme al santuario della Vergine del Sacro Monte. Il nuovo castello fu trasformato e fortificato nel 1323 da Tommaso Marzano duca di Sessa, barone di Novi e principe di Rossano, che lo dotò di possenti torri che destarono non pochi sospetti sia nei principi salernitani che in Roberto d'Angiò. Re Carlo II, con suo ordine del 26 ottobre 1297, stabilì di non abbattere e diroccare il nuovo Castello di Novi, come prima era stato ordinato, in quanto questa "nuova Fortezza era veramente propugnacolo assai buono contra nemici e da esso Guglielmo ben munita".

Il Palazzo appartenne ai Marzano, assieme alla baronia di Novi, per tutto il periodo del Regno degli Angioini fino al re Ferrante d’Aragona, contro il quale Marino, che ne aveva sposato la sorella, e ultimo successore della potente famiglia dei Marzano, tramava per il ritorno degli Angioini sul trono di Napoli. Marino fu arrestato e imprigionato con la confisca di tutti i suoi possedimenti tra cui la Baronia di Novi con il suo Castello. Il Palazzo assieme alla baronia subì le vicissitudini del Regno di Napoli del periodo rinascimentale; fu venduto prima a De Petrucis, primo ministro del re Ferrante, quindi a Berlangiero Carrafa, maggiordomo del re Federico d’Aragona e successivamente a Giulia Carrafa, figlia ed erede di Berlangiero, la quale sposò Camillo Pignatelli, Conte di Borrello, che divenne, così Barone di Novi; la Baronia di Novi con il suo castello rimase alla famiglia Pignatelli per tutto il ‘500 fino al ’600. Il castello conobbe il periodo di massimo splendore proprio quando il feudo appartenne ai discendenti di questa famiglia e in particolare al duca Ettore Pignatelli che fu Gran Contestabile e Grande Ammiraglio del Regno di Sicilia. Nel 1660 la Regia Camera della Sommaria ordinò all’ing. Cafaro l’estimo della Baronia di Novi nella quale è riportato che vi "…Si trova una torre quadra alta ed antica supra un poco di relevato del medesimo monte. Serve oggi di Carcere. Sotto il quale è il Palazzo del Barone di Stato nel quale si entra per una porta e si trova il cortile scoverto grande … All’incontro detta porta è quella sala grande che sta al piano del cortile … e a destra due camere grandi all’incontro le quali sono altre camere e una loggia verso ponente e mezzogiorno dalle quali si vede tutta la terra e quasi tutti i suoi casali e buona parte del Cilento. Marina di Castello a mare della Bruca ed altro…".

L'ingresso principale è rappresentato da un portale in pietra calcarea locale composto dalla soglia, in cui è possibile individuare bilateralmente i punti di ancoraggio del portone in legno, l’arco sommitale a tutto sesto, a conci cuneiformi terminanti al centro con il concio in sommità (chiave); le estremità dell’arco poggiano lateralmente sui due colonne a conci rettangolari; sulla faccia anteriore dei due conci basali, uno a destra e uno a sinistra sono riportate figure, che ricorrono frequentemente nell'iconografia longobarda. A sinistra la figura richiama probabilmente una fibula, mentre a destra è chiaramente visibile la figura del fiore della vita a otto petali, simile a quello raffigurato alla base della fonte battesimale in pietra della Chiesa parrocchiale di S. Maria dei Lombardi, a riprova della presenza longobarda a Novi, assieme ad altre significative testimonianze. Nel 1682 il castello fu venduto alla famiglia Zattera, che, ottenuto dal re Carlo III nel 1752 il titolo di marchese, tenne il Feudo di Novi fino alla sua soppressione, avvenuta con i francesi all’inizio dell'Ottocento. Giacomo Zattera lo trasformò in palazzo gentilizio. Nel 1902, gli eredi dell'ultima marchesa Zattera lo vendettero a tre famiglie del luogo che trasformarono completamente il castello in abitazioni».

http://castelliere.blogspot.it/2014/01/il-castello-di-sabato-18-gennaio.html


Ogliastro Cilento (palazzi storici)

Palazzo De Stefano, dal sito www.cilentoregeneratio.com   Palazzo De Falco, dal sito www.cilentoregeneratio.com   L'ingresso di palazzo Cirota, dal sito www.comune.ogliastrocilento.sa.it

«Ogliastro Cilento è un borgo storico, con 2.274 abitanti, collocato in una splendida posizione naturale: una collina che domina la pianura di Paestum. La vista panoramica regala scorci sull'intero Golfo di Salerno, il Monte Stella, il Vesole, con un orizzonte talmente ampio che lo sguardo può spaziare dal paesaggio montano a quello marino. Sulla collina domina boriosamente la pianta di ulivo. Non a caso, il suo nome deriva da “Oleastrum” e lo lega indissolubilmente all’ulivo e all’olio. Le prime attestazioni storiche di questo borgo si hanno nell’anno 1059, anche se sembrerebbero attestate preesistenze precedenti. Ogliastro si caratterizza per il clima mite, per i prodotti tipici (fichi bianchi del Cilento, olio, vino e latticini) che fanno da cornice alla dieta mediterranea, per la tranquillità e per la sua posizione strategica, da cui si raggiungono in pochi minuti i maggiori collegamenti stradali più importanti e le maggiori località turistiche del territorio. Per raggiungere il mare bisogna percorrere solo 5 km. Le frazioni maggiori di Ogliastro sono Eredita e Finocchito. Il centro storico tra casette contadine, case rurali e antichi palazzi delle famiglie nobili. Palazzo De Stefano: che risale al 1525 ed è stato di proprietà delle diverse famiglie che ne furono proprietarie fino a divenire la dimora della famiglia De Stefano. Palazzo Cirota: risale al 1500 con un piano terra adibito a cantine e stalle e un piano adibito ad abitazione della famiglia. Palazzo De Falco: il nucleo originario risale al XVI secolo, che agli inizi del 900 venne ampliata e arricchita con un giardino privato. L’edificio, a pianta quadrangolare e fornito di tre cortili interni, una cappella gentilizia ed è impreziosito da ricchi elementi architettonici e decorativi. Al suo interno sono conservati pregiati pezzi di arredamento, una collezione di spade e un prezioso archivio composto da circa 60 pergamene, manoscritti e documenti sciolti».

http://www.cilentoregeneratio.com/it/citta/ogliastro-cilento


Oliveto Citra (castello normanno)

Foto di Adelmo Senese, dal sito www.borgodellaregina.it   Dal sito www.comune.oliveto-citra.sa.it   Dal sito www.tuttobicitech.it

«...Il complesso sorge al centro dell'abitato ed è uno dei tipici castelli baronali del Sud. I reperti più antichi sono stati trovati nei dintorni di Oliveto, dove sono state fatte scoperte archeologiche di un certo rilievo, con reperti risalenti al VI sec. a.C. L'impianto del paese è di origine medioevale, la prima notizia che ne ricorre è nel 1114, quando S. Maria de Foris, casale di Oliveto, fu dato all'arcivescovo di Conza dal conte Quaimario di Giffoni. Oliveto è ricordata all'epoca del Catalogo dei Baroni, cioè negli anni 1166-1189, in quel tempo un normanno francese, Guglielmo di Toille (Tuilla) aveva in feudo Oliveto. Da Guglielmo in poi, e fino a tutto il Risorgimento, il castello fu la sede dei feudatari e dei baroni locali, negli anni 1269-1270 Oliveto era feudo ditale Giovannuccio (Johannucius de Oliveto). è quello del 15 dicembre 1300 il documento in cui il re Carlo Il, nel richiedere ai suoi feudatari per la prima guerra del Vespro contro gli Aragonesi di Sicilia, un barone armato, con almeno tre cavalli ed un asino e, con tutte le armature possibili, fa il nome, tra gli altri, di Giovanni (Johanni) barone di Oliveto; successivamente il castello e la terra di Oliveto furono, nel 1495, di Ferrante Diaz Garlon. Le sue prime strutture risalgono all'epoca medioevale, soltanto in senso planimetrico può avanzarsi qualche ipotesi in tal senso, data anche la non conclusione dei castrum di Oliveto tra le fortezze da restaurare sotto gli Svevi, con le famose prammatiche del 1230-31, è da pensare che in epoca imprecisata, ma certamente intorno alla piena età rinascimentale il castello fosse ripristinato con un altro tipo di elevato, consono ai nuovi tempi della fortificazione dell'architettura baronale, infatti, nel nuovo castello vennero ad abitare i feudatari che dal 1600 alla fine del 1700 tennero Oliveto.

Attualmente sono visibili le scuderie tipiche e gli angoli ove le mura si ingrossano per la presenza delle torri e dei luoghi ove è ancora possibile recuperare ambienti sepolti. Dal 1556, fino ai primi del 1600, Oliveto fù dei Blanch, da costoro, poi ancora passò al marchese Marc'Antonio. Cioffi di Salerno nella metà del 600 e dai Cioffi, per ramo di parentela nella seconda metà del 700 ai Macedonio, marchesi di Reggiano, e da loro, per via femminile, è passato ai baroni Guerritore. A questi ultimi il castello di Oliveto Citra passò per estinzione maschile della famiglia Macedonio. Infatti, la figlia del marchese Marcantonio sposò il barone Andrea Guerritore. è dunque nel periodo marchionale dei Blanch-Cioffi-Macedonio-Guerritore che deve intendersi ricostruito il castello di Oliveto, forse databile con un certo margine di approssimazione alla prima metà del XVI secolo, con aggiunte successive dei secoli citati. Il castello a forma vagamente trapezoidale e giace su un compatto masso calcareo, la planimetria rimanda ad un disegno castrense largamente recepito nella tarda fortificazione normanna, cioè un recinto tendenzialmente circocentrico; questa è la sola ipotesi verificabile in senso storico, per cui è credibile che la nuova fortificazione rinascimentale abbia usato le basi antiche, o almeno il disegno antico di cui si è discorso. Attualmente il castello presenta ancora delle finestre, di cui alcune tompagnate, con caratteri stilistici seicenteschi, o almeno tardo rinascimentali. In un punto a N.O., in cui il muro di cortina assume quasi veste turrita, sono evidenti i segni di assestamenti edilizi, forse del Seicento».

http://www.comune.oliveto-citra.sa.it/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/44


Pagani (resti del castello di Cortimpiano)

Dal sito www.comune.pagani.sa.gov.it   Dal sito www.comune.pagani.sa.gov.it

«Cortimpiano è un castello (oggi praticamente scomparso), che si trova nel centro storico della città di Pagani. Il toponimo Curtis in plano (Curtem in plano all'accusativo) è attestato fin dal IX secolo nei documenti del Codice Diplomatico Cavese. La struttura è originariamente citata tra i possedimenti di Potone (nipote del duca di Benevento). Successivamente diventa Baronia e possesso dei Filangieri. Nel 1433 Pietro Pagano ebbe la signoria di Cortimpiano. Da quel momento tale località viene indicata nei documenti come locus paganroum, casa paganorum e casalis paganorum. All'incirca all'inizio del Settecento era in rovina ma vi si scorgevano: gran parte del castello o palagio e si vedeva altresì una casa dove la gabella dell'olio si esigeva […] e una porta. Della struttura principale (di proprietà privata), rimane solo un torrione circolare».

https://it.wikipedia.org/wiki/Cortinpiano


Palinuro (torre Caprioli)

Dal sito http://golfopolikayak.altervista.org   Dal sito www.airbnb.com.sg

«La Torre Caprioli (o Torre dei Caprioli) è una delle Torri costiere del Regno di Napoli, costruite nel '500 come protezione contro le incursioni saracene. Si trova a Caprioli, di cui segna il limite con Palinuro. Attualmente risulta adibita a residenza privata, proprietà di un signore tedesco, cui è stata venduta da una famiglia locale di nome Mautone».

https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Caprioli


Palomonte (ruderi del castello longobardo)

Foto di gianniB, dal sito http://rete.comuni-italiani.it   Foto di Gianluigi Cruoglio, dal sito www.panoramio.com

«Il castello di Palomonte è un'antica fortificazione longobarda, situata nella parte alta del paese di Palomonte, in provincia di Salerno. Le notizie riguardanti questa fortezza sono scarse e frammentarie. Oltre alla datazione della sua costruzione in epoca longobarda, infatti, è solamente possibile inferire che esso fosse il luogo di difesa degli abitanti dell'antica Palo (nome originario di Palomonte, mutato il 20 agosto 1862. Alcune fonti riportano che esso fosse certamente presente nel 1022, avendo come castellano il normanno Gismondo Parisi, ma tale notizia non è ritenuta univocamente vera. In conseguenza del sisma del 23 novembre 1980, che semidistrusse anche buona parte del centro abitato, il castello ha subito gravissimi danni. Allo stato, è osservabile poco più di qualche avanzo di muratura nella parte sud-occidentale della struttura originaria».

http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Palomonte


Petina (borgo)

redazionale


Pioppi (castello Vinciprova)

Dal sito http://picasaweb.google.com   Foto di Geofix, dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.comune.pollica.sa.it

«Il Palazzo dei Vinciprova fu edificato a Pioppi in relazione alla vicenda dei Ripolo, famiglia di mercanti originaria della Catalogna, stabilitasi a Pollica in epoca di dominio degli Aragonesi su Napoli. Cresciuti in ricchezza, i Ripolo cozzarono negli interessi di predominio su Pollica con un'altra famiglia spagnola, i della Cortiglia, mentre erano state costrette nell'ombra le più ricche famiglie autoctone: Volpe, Farina e Cantarella. Di tali rivalità e vendette che flagellarono il paese per anni si tramanda anche attraverso una nota leggenda popolare. Nel 1888 il castello appartenne al sindaco Giuseppe Sodano, che, in seguito, lo avrebbe ceduto ai Vinciprova di Omignano. “Il castello”, così come è, ancora oggi, chiamato dal popolo palazzo Vinciprova, si presenta come una struttura architettonica forte ed armoniosa, composta di tre corpi: due torri laterali terminanti in terrazzi dai merli arabeschi, mentre un corpo centrale li unisce; il fronte mare si abbellisce di un ampio portico che regge uno splendido terrazzo soprastante, affacciato quasi sopra alle acque. Esso si compone elegantemente in linee barocche e decori di influenza moresca con un voluto effetto visivo di castello, soprattutto per l’osservatore in navigazione dal prospiciente mare. Oggi è proprietà del Comune di Pollica che vi ospita delle singolari istituzioni relative al mare e all’alimentazione: Il Museo Vivo del Mare, al livello terraneo, e Il Museo Vivente della Dieta Mediterranea Ancel Keys, al piano superiore. ...».

http://www.comune.pollica.sa.it/pagine/view_page.php?p=007a&t=il-castello-vinciprova


Pisciotta (palazzo marchesale Pappacoda)

Dal sito www.massiminoiannone.it   Dal sito www.paesionline.it

«Pisciotta viene da tutti riconosciuta come uno tra i borghi medievali del Cilento meglio conservato. è arroccata su una collina in cima alla quale spiccano i palazzi nobiliari e la Chiesa madre, difesi da tutti gli altri antichi edifici in pietra. è fatta di vicoli, a volte molto angusti, che si diramano come in un labirinto, tanto che non sempre si comprende dove portino. Immaginando una visita al paese il miglior punto di partenza potrebbe esser la grande Piazza Raffaele Pinto, tutt’ora centro culturale e sociale del borgo. Salendo gli scaloni si arriva al primo punto panoramico, la Piazzetta del Cannone: una piccola terrazza sospesa apre la vista sui tetti delle case e sulle colline che costeggiano il fiume Fiore. Proseguendo ci si trova ai piedi del Palazzo marchesale settecentesco, eretto dalla famiglia Pappacoda, feudatari del paese sino alla fine del sistema. Di notevole interesse architettonico sono il portale e l’imponente scalone in pietra arenaria, oltre agli archi a tutto sesto e alla facciata. Il Palazzo, che ospita la Biblioteca comunale, si affaccia direttamente sulla distesa di ulivi secolari che, come una valanga, degradano a mare fino al piccolo Porto Turistico di Marina di Pisciotta. ... Proseguendo su via Roma scorgiamo le bandiere che segnalano la sede comunale. Avvicinandoci ci accorgiamo che si tratta del Palazzo Mandina, caratterizzato da archi su cui si erige un meraviglioso scalone. Più avanti ammiriamo un altro palazzo nobiliare, il Palazzo Francia, affacciato su una piazzetta molto cara ai pisciottani, perché dedicata ad un medico benefattore, Michelangelo Pagano. ...».

http://www.scopripisciotta.it/borghi-del-cilento/pisciotta.html


Pogerola (resti del castello, torre)

Dal sito http://lnx.cainapoli.it   Dal sito www.rblob.com

«Il casale di Pogerola compare nelle carte ufficiali soltanto nel X secolo: esso è indicato dal Castrum Pigellule, cioè da un castello che si ergeva sul dorso della collina occidentale di Amalfi, detta monte Falconcello. ... Il Castrum Pigellule non corrispondeva al villaggio: esso era soltanto una fortificazione, mentre il caseggiato si sviluppava alle sue spalle. Questo castrum, che tra angioini e aragonesi sarà un castello provinciale di significativa importanza, retto da castellani soprattutto provenzali, viene documentato per la prima volta nel 1021. Della struttura difensiva originaria ora restano due torri, tratti di mura verso settentrione e una cisterna. Nel suo ambito fu edificato un monastero benedettino femminile dedicato a S. Sebastiano. La chiesa monastica attestata fin dal 993 si trova alla base della cosiddetta Torre di Pogerola, una sorte di torre di avvistamento di forma quadrata, attribuita al XV secolo: molto probabilmente su semplicemente restaurata in quella data ma doveva esistere fin dal X secolo. Il Castrum Pigellule fu più volte impegnato in combattimenti ardui per difendere la popolazione di Amalfi: nel 1388 sosteneva nella lotta per il trono di Napoli, Ladislao di Durazzo contro Ludovico d'Angiò appoggiato dal Castrum Scalelle, collocato sulla collina orientale di Amalfi» - «Furono i provenziali ad innalzare questa bastia che nel XV secolo fu restaurata dai Piccolomini. La sua tozza silhouette incombe su Amalfi ed è visibile anche da Pontone, Scala, Ravello e naturalmente dal mare. La Torre che attualmente è in stato decadente non è visitabile».

https://it.wikipedia.org/wiki/Pogerola#Storia - http://www.fotoeweb.it/sorrentina/Pogerola.htm


Pollica (castello dei principi Capano)

Dal sito http://uncem.map-hosting.it   Dal sito http://uncem.map-hosting.it   Dal sito www.cilentoemenevanto.com

«Il Castello dei Principi Capano fu ereditato nel 1290 da Guido d'Alment, giunto in Italia al seguito di Carlo I d'Angiò, e successivamente acquistato dalla famiglia Capano. L'attuale sistemazione architettonica è frutto del restauro effettuato nel 1610 per volere di Vincenzo Capano, XV° principe di Pollica. Particolarmente pittoresca è la possente torre a pianta quadrata che si erge su tre piani, ciascuno con una monofora, e che domina il piccolo centro abitato. Suggestivi gli ambienti di servizio del Castello (l'"ugliaro", il frantoio, i posti di guardia e le stalle), intatti nella loro semplicità. Nel Castello Capano, secondo la tradizione, soggiornò varie volte S. Alfonso De' Liguori che raccolse a Pollica notizie sulle abitudini pagane del Cilento. Una camera del Castello è conosciuta come "la stanza di S. Alfonso". Dal 1997 il Castello è stato acquistato dal Comune».

http://www.comune.pollica.sa.it/pagine/view_page.php?p=002a&t=il-castello-dei-principi-capano


Pontone (torre dello Ziro o di San Felice)

Dal video www.youtube.com/watch?v=UvlNtbH62dU   Dal sito www.unescoamalficoast.it   Dal video www.youtube.com/watch?v=UvlNtbH62dU

«Sullo sperone di roccia che si protende verso il mare, tra Atrani ed Amalfi, si eleva la torre dello Ziro, con uno stretto camminamento, cinto da mura merlate, che la collega al punto estremo della spianata. Come si mostra ora la torre ha tutti gli elementi delle opere difensive di epoca angioina; si tratta, infatti, di una costruzione cilindrica con base scarpata e toro aggettante all’imposta del cilindro sulla base. Il coronamento doveva presentare una merlatura di cui sopravvivono alcuni elementi; le uniche aperture sono al di sopra della cornice, una più ampia che doveva servire da ingresso, le altre più piccole (quattro vani finestra di forma quadrata). Le prime notizie su questa torre risalgono al 1151, quando viene ancora chiamata “Rocca di S. Felice”, mentre a partire dal 1292 diventa Turris cziri. A questa struttura è legata una storia molto conosciuta tra la gente del luogo; si racconta che la torre fu utilizzata come luogo di prigionia per Giovanna d’Aragona. Questa, sposata giovanissima ad Alfonso Piccolomini duca di Amalfi, quando troppo presto (a circa venti anni) divenne vedova, intraprese una relazione amorosa con il suo amministratore (servo) Antonio Bologna, che in seguito sposò in segreto e da cui ebbe dei figli. Quando i due fratelli di lei, il cardinale Carlo e Federico, scoprirono la cosa, mostrarono il loro dissenso cercando di dividere i due amanti; questi fuggirono, ma, rintracciati, il Bologna fu ucciso e Giovanna fu ricondotta ad Amalfi dove sparì. La storia, svoltasi nel 1500, è un fatto realmente accaduto, raccontato tra i tanti da Matteo Bandello nelle sue novelle, testimone oculare della vicenda perché era amico del Bologna; poi venne addirittura trasposta in forma di tragedia da John Webster, nel XVI secolo, che però conclude la vicenda con l’uccisione di Giovanna da parte di un sicario, il Bosola. La tradizione locale racconta invece che Giovanna, ricondotta ad Amalfi, fu rinchiusa nella Torre dello Ziro e murata viva insieme ai figli, frutto dell’amore segreto; la riprova di questa conclusione sta, secondo la vox populi, nell’assenza di porte nella torre. La torre è visitabile dall’esterno».

http://www.unescoamalficoast.it/it/component/k2/itemlist/tag/beni%20scala%20atrani?tmpl=component&type=raw


Positano (torre Sponda, torre Trasita, torre Fornillo)

Torre Sponda, dal sito www.cvvillas.com   Torre Trasita, dal sito www.visititaly.it   Torre Fornillo, dal sito www.cancelloedarnonenews.com

«Parlare delle Torri di Positano è come parlare di una parte importante della storia di Positano perché testimoniano quanto fosse concreto e sentito il problema degli sbarchi dei saraceni in Costiera Amalfitana. Tra queste merita attenzione la Torre della Sponda che si trova nella zona alta che sovrasta la Marina Grande di Positano. Ormai inutilizzata, essa fu smobilittata nel 1758 e, successivamente, dal 1817 divenne una abitazione privata. La Torre Trasita, invece, si trova a metà strada lungo il percorso che porta dalla Marina Grande alla spiaggia di Fornillo e, secondo una opinione diffusa, si chiama così proprio per la zona in cui è sorta. Seguì le stesse sorti della Torre della Sponda, ma nel 1950 è stata massicciamente restaurata. Sempre tra le Torri di Positano, inoltre, la Torre di Fornillo è la più recente perché realizzata nel ‘500. Come le altre due fu smobilitata nel 1758 e venduta nel 1817. Nel 1930, invece, fu restaurata. I resti di un’ultima torre – di epoca angioina – infine si trovano sugli isolotti de “Li Galli”, ma proprio per la sua importantissima posizione aveva una particolarità: la torre de Li Galli, infatti, aveva un suo castellano. Figura che mantenne a lungo prima di divenire motivo di attrazione per le celebrità che ha ospitato a partire dal 1925 in poi. Oltre alle Torri ed alle chiese Positano presenta anche alcune stupende ville settecentesche. Alcune di queste ultime – le ville settecentesche di Positano – sono state trasformate in alberghi ma conservano intatto il loro antico fascino. Tra le ville che meritano di essere ammirate figurano: Palazzo Murat (che si trova lungo la strada che porta al mare), Villa Sersale che si trova in Via Cristoforo Colombo, ed ancora Villa Orseola (ex Villa Margherita), Villa Stella romana ed altre ancora».

http://www.positanolife.it/monumenti-positano.html


Positano (torri delle isole de Li Galli)

Dal sito http://blog.weplaya.it   Dal sito www.amalficoast.it   Dal sito http://xoomer.virgilio.it/analfin

«La parte estrema del territorio della costiera amalfitana era difesa da Positano e dalle prospicienti isolette de Li Galli. Le isole de Li Galli, anticamente dette Sirenuse, erano protette da tre torri, fatte costruire a sue spese da Pasquale Cementano di Positano, per impedire ai corsari l'approdo sulle isole stesse e dunque di avvicinarsi alla costa; delle tre torri restano oggi solo le tracce di quella circolare sul Castelluccio e dell'altra quadrata sul Gallo Longo. Di fronte alle isole de Li Galli, Positano era protetta dalle torri che facevano parte della cinta muraria sul mare che proteggeva gli abitanti del luogo dalle scorrerie che Pisani e Genovesi facevano sulla costa col pretesto di appoggiare Corradino di Svevia contro Carlo d'Angiò».

http://xoomer.virgilio.it/analfin/ligalli6.htm


Praiano (torre Assiola)

Dal sito www.visititaly.it   Dal sito www.salernoturismo.it

«Certamente la più nota [tra le torri costiere medievali adattate] è quella svettante presso Praiano, detta Assiola, o Sciola, la cui presenza è storicamente comprovata sin dal 1269-70: l’appellativo lo mutuò dalla località d’impianto che un documento del 1202 cita appunto per Sciola, toponimo mai dismesso. Dal punto di vista architettonico quanto attualmente visibile e la configurazione assegnatale allorquando la si reputò idonea, sebbene con compiti di raccordo, all’inserimento nel torreggiamento del Ribera. Nella circostanza subì una cospicua cimazione, perdendo l’intero corpo cilindrico sovrastante la base scarpata, che invece venne risparmiata munendola, però, del tipico coronamento in controscarpa, con troniere a spatola. La riduzione d’altezza deve attribuirsi piuttosto che ad una pericolosa fragilità, prassi peraltro corrente nel corso della cosiddetta ’architettura militare di transizione’, alla incompatibilità strutturale con l’impiego del cannone petriero. La eccessiva altezza della piazza e la conseguente ristrettezza non si conciliavano, probabilmente, a l’esigenze sollecitando per giunta la debole muratura. Il corpo tronco conico della torre e suddiviso in due ambienti sovrapposti, entrambi coperti con volte a calotta realizzate in getto, retaggio della primitiva impostazione. Lo spessore murario alla base sfiora m 3, rastremandosi fino ai 2 della sommità, e consta di piccoli conci di pietra calcarea di estrazione limitrofa. L’abbattimento dello estradosso è uniforme in perfetta concordanza con le torri vicereali quadrate. Proprio la cimazione vicereale origina una curiosa perplessità interpretativa: perché torre Assiola fu eretta tanto alta, essendo la costa alle sue spalle ripida e di gran lunga più elevata? Se l’altezza residua sembro agli ingegneri rinascimentali sufficiente per la difesa della sua guarnigione, a cosa poteva mai servire tanta precedente eccedenza?

Non certo per garantirsi un maggior orizzonte visivo, bastando nel caso impiantarla più in alto, non esistendo per giunta nessuna controindicazione imposta dall’ armamento. Pur potendosi senza eccessive difficoltà attribuire, al pari delle consimili, alla dinastia angioina non può altrettanto semplicisti-camente, per quanto appena rimarcato, relazionarsi alla vigilanza costiera ed alla segnalazione di eventuali incursioni saracene ed, in un secondo momento, agli insulti della flotta siciliana nel corso della Guerra del Vespro. è probabile allora che il settore da sorvegliare, e magari da difendere con il tiro delle balestre, fosse il lembo di mare adiacente al banco d’impianto, non altrimenti dominabile: ed il perché di tanta attenzione andrebbe in tal caso ricondotto alla presenza del corallo e della sua remunerativa pesca che appunto gli angioini incentivarono lungo la costa per gli ingenti introiti fiscali derivanti. Subentrata a partire dal 1282 la guerra del Vespro, e sentendosi la dinastia minacciata dalla flotta nemica, varò un programma di sorveglianza costiera mediante catene di torri identiche all’Assiola. Simili, infatti, se ne incontrano tutt’oggi in Calabria, ed anche in Puglia, a dimostrazione dell’ampiezza del dispositivo. In ogni caso quell’antesignano torreggiamento fu esclusivamente allertativo e settoriale. Alla stessa tipologia appartengono pure torre Trasita, edificata su di uno spuntone di roccia dominante la spiaggia di Positano e di Fornillo, e torre Sponda, poco discosta dalla precedente, entrambe a basamento scarpato e corpo cilindrico. ...».

http://www.torreomnia.com/Testi/flavio_russo_torri/torri_009.htm (a c. di Flavio Russo)


PriGNano Cilento (castello o palazzo marchesale Cardone)

Dal sito www.comune.prignanocilento.sa.it   Dal sito www.mercatocilento.it

 

«Che Prignano fosse uno dei più antichi casali del Cilento è cosa provata dalla testimonianza di alcuni documenti. Nell’anno 796, infatti, venne donato da Agismondo, principe di Salerno, ai monaci della Badia di Cava. I Benedettini, a causa della loro ammirabile operosità e del fervore religioso, popolarono tutte le terre del Cilento durante il dominio Longobardo. Essi fissarono la dimora in rustiche celle solitarie, poi si dedicarono alla costruzione di molte chiese e conventi, trasformando così i secolari boschi di querce in fecondi vigneti e uliveti. Da alcuni ritrovamenti di reperti archeologici, quali monete greche e romane, tombe con vasellame bianco e figure dipinte di nero, grandi tegoloni di tufo pestano, muriccioli di leggeri laterizi, si può desumere che le origini di Prignano potrebbero risalire a tempi antecedenti proprio al 1796. Il feudo è poi ricompreso tra i territori restituiti nel 1276 dagli Angioini alla famiglia Sanseverino. Successivamente, Prignano venne ceduto da quest’ultima ad Antonello Prignano, il cui nipote Fabio lo alienò nel 1458 a Prospero Lanara. A seguito di altri passaggi, il feudo, comprensivo dei villaggi di Melito e di Poglisi (oggi scomparso), venne acquistato nel 1564 dal poeta napoletano Bernardino Rota. Nel 1649 passò a Pietro Brandolino, che nel 1701 lo cedette a Tommaso Cardone, di origine spagnola, che vi ebbe il titolo di marchese. La famiglia Cardone, che risulta iscritta nel Libro d’oro della nobiltà italiana (1933) col titolo di marchese di Melito e del Predicato di Prignano, ne mantenne il possesso fino all'abolizione del regime feudale. Proprio ai Cardone è intitolato il sontuoso palazzo marchesale situato in Piazza del Plebiscito, di fronte alla chiesa di San Nicola di Bari, costituito da quattro ali intorno ad un cortile centrale e che appare in tutta la maestosità con i suoi terrazzi, i comignoli, il vecchio parafulmini. La facciata è caratterizzata da una robusta torre cilindrica merlata, elemento di sicura originalità, in quanto non rinvenibile in altri palazzi coevi che costellano il territorio del Cilento. Il palazzo è di proprietà privata e non è visitabile. L’edificio fu costruito verso i primi anni del 1600 e durante l’ultima guerra mondiale (1940-1943) venne adibito ad ospedale militare dalle truppe tedesche dislocate a difesa della costiera cilentana».

http://castelliere.blogspot.com/2014/07/il-castello-di-domenica-20-luglio.html


Ravello (mura)

Dal sito http://free-stock-illustration.com   Dal sito www.localidautore.it

«La città di Ravello mostra ancora oggi non poche tracce dell’antica murazione, quello stesso baluardo che riuscì a proteggere il centro collinare dai numerosi attacchi che nel corso dei secoli dovette subire. Le fonti storiche, costituite principalmente dalle pergamene dell’Archivio Vescovile di Ravello, non danno alcun ragguaglio circa la costruzione di una cinta muraria che dovette sin da subito, almeno da quando Ravello si impose all’attenzione sullo scenario storico della Costa d’Amalfi, allora ducato afferente all’importante centro di Amalfi, (si può pensare che una prima difesa fu fatta in una data molto vicina all’elevazione del centro a sede vescovile autonoma per volere di Roberto il Guiscardo, che voleva in questo modo controllare la vicina Amalfi, filobizantina). Analizzando ciò che lo storico Matteo Camera scrive nella sua opera, riportando il testo del Regesto di Carlo I d’Angiò che nel 1286 fu ordinato al Giustiziere del Principato Citra di dotare la città di un sistema murario per evitare che i nemici potessero conquistarla. L’invito a potenziare alcuni tratti di mura lo ritroviamo poi anche fatto da Carlo II nel 1289 con precise indicazioni su come e dove operare aggiustamenti. Ma si può pensare che fino al 1286 almeno la città non sia stata difesa da alcun muro, in quanto fino a quella data c’erano stati almeno due attacchi dei Pisani, uno nel 1135 bloccato nei pressi del castello di Fratta a Nord del centro urbano, grazie all’arrivo delle truppe di Ruggiero, l’altro del 1137 con il quale i Pisani ebbero la meglio. Risulta interessante proprio il primo attacco; infatti dalla descrizione dell’avvenimento che ci viene fatta da Alessandro Telesino circa i movimenti delle truppe pisane, sappiamo che Amalfi e Scala furono prese facilmente e che poi l’attacco fu rivolto al castello di Fratta dove ci fu la pesante sconfitta dei nemici. Quindi se Ravello non fosse stata ancora dotata di mura i Pisani avrebbero portato l’attacco direttamente nella città, senza rivolgersi al castello più a Nord e lontano dal nucleo urbano. Provata, senza dubbio, l’esistenza di una cinta fortificata già prima del termine cronologico a cui fanno riferimento le fonti, si può facilmente capire come la città abbia potuto, sin dall’origine della sua storia, sfruttare la posizione dominante e le caratteristiche geomorfologiche dell’area per contare su una difesa affidata in parte anche ai pendii scoscesi. Il riferimento che troviamo nelle fonti dei regnanti angioini sono da riferirsi a restauri avvenuti posteriormente soprattutto in virtù della fortuna che la città godette presso questa casa regnante, grazie ai rapporti di una delle famiglie più importanti, i Rufolo, che, si racconta abbia ospitato più volte presso il proprio hospitio domorum il re Carlo II d’Angiò. ...».

http://www.comune.ravello.sa.it/turismo/il-patrimonio-culturale-materiale/le-difese/le-antiche-mura


Ravello (palazzi gentilizi)

Resti del palazzo Della Marra, dal sito www.tripadvisor.it   Palazzo Sasso oggi, dal sito www.palazzoavino.com   Palazzo Confalone oggi, dal sito www.ilvescovado.it

«Palazzo Della Marra. Le rovine del palazzo di questa nobile famiglia ravellese si possono vedere sulla via di accesso che immette nella piazza principale del paese. Le strutture sopravvissute al tempo e alle manomissioni (le due grandi arcate che coprono la strada non sono gli unici interventi operati sulle strutture in epoca moderna) permettono di ricostruire a grandi linee i caratteri della costruzione originaria; il palazzo era, infatti, a più piani, con ambienti interni per lo più voltati (si vedono ancora gli innesti delle volte a crociera) ed aperture arcuate e decorate da fasce marcapiano in tufo scuro. L'estensione del complesso occupa l'area che va da Via Roma alle Rampe B. Mansi; si suppone una via d'accesso a valle del palazzo. Le caratteristiche architettoniche datano le strutture all'XI-XII secolo. Ciò che sopravvive del Palazzo Della Marra è occupato da abitazioni private. ... Palazzo Sasso. Appartenuto alla famiglia Acconciagioco e passato poi alla famiglia di origine scalese Sasso, il palazzo mostra le caratteristiche architettoniche proprie delle costruzioni di prima età angioina. La struttura, a più piani, si sviluppa intorno ad un cortile centrale, decentrato rispetto all'ingresso, che è costituito da un portone ad arco a sesto acuto che immette in ambienti di passaggio e di accesso ai piani superiori. Interessante è la facciata verso E, alleggerita da ampie aperture ad arco a sesto acuto con balconata di colonnine sagomate ad "otto". Il palazzo ha subito grandi lavori di riadattamento già in passato, quando si iniziò ad utilizzarlo per uso ricettivo (vecchio hotel Palumbo). Il palazzo è utilizzato come albergo e quindi non è aperto alle visite.

Palazzo Confalone. La data di costruzione è incerta anche se alcuni caratteri costruttivi e la stessa storia di questa nobile famiglia ravellese indicano un periodo tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV. La famiglia Confalone, infatti, era originaria di Scala e il primo membro di essa a trasferirsi a Ravello, trasformando il cognome da Compalone a Comphalonum, fu Aniello, detto il Sagese, nel 1384. Il palazzo è a due piani, con copertura a tetto a doppio spiovente; vi si accede attraverso un portone ad arco a tutto sesto incorniciato da due piccole colonne con capitelli compositi, in cui compaiono foglie di palma e tre fiori; sul punto di chiave dell'arco appare lo stemma della famiglia, in marmo: un leone rampante a sinistra, poggiante su una banderuola a doppia punta sventolante. Dal portone si entra in un cortile chiuso su due lati da archi a sesto acuto con sottarchi a piani digradanti, retti da colonne con capitelli di spolio di tipo composito, in marmo giallo paglierino. L'androne, ora completamente coperto da una struttura in vetro, mostra l'originaria apertura in alto al centro, e per questo può essere ricondotto alla prima età angioina (1270-80). Dal lato opposto all'ingresso, nel cortile, una scala inquadrata da un arco a tutto sesto leggermente ribassato e da due colonne, a tutta luce, con piccole rampe di scalini, conduce al secondo piano, dove gli interventi settecenteschi sono più evidenti; le stanze, infatti, adibite attualmente a sala da pranzo, presentano coperture di vario tipo (volte a semibotte, volte a botte, soffitto piano). Nella seconda di queste stanze, il soffitto presenta un affresco che lo occupa completamente, ben conservato perché a lungo coperto da uno strato di intonaco. L'affresco, in cui prevale un cromatismo molto forte con punte di verde rame nella cornice, incorniciato da stucchi, riproduce, tra grottesche e intrecci vegetali, una scena marina in un riquadro in cui forse una Venere (la conchiglia alle spalle potrebbe far pensare a questo soggetto) si staglia sullo sfondo con un palazzo, due cornucopie da cui fuoriescono frutti sullo stipite di una porta e un ovale con erma di donna, con due amorini dormienti, sull'altra porta. La vita edilizia del palazzo non permette di verificare l'ipotesi della presenza di una struttura più piccola antecedente alla costruzione attuale, inglobata in essa. Il palazzo è circondato ad E da un giardino con belvedere, delimitato da colonne ottagonali che richiamano il Belvedere di Villa Rufolo, che appartenne ai Confalone fino al 1551. Il palazzo è adibito ad albergo».

«Palazzo D'Afflitto, altra splendida residenza ravellese, decorata con numerosi pezzi architettonici in marmo provenienti dalla Chiesa di Sant'Eustachio, santo di cui la famiglia di origini scalesi sosteneva di discendere. Palazzo Tolla, palazzo gentilizio del XIII secolo, sede dell'amministrazione comunale dal 1931. ... Palazzo del Principe Compagna; i resti di Palazzo Grisone (1251); cortile della famiglia Cortese, parte residua dell'antico omonimo palazzo; cortile della famiglia Mansi, in cui è stato di recente scoperto un bagno romano in perfetto stato di conservazione».

http://www.univeur.org/integratiosta/-id=131&id_art=568.htm - ...566.htm - ...567.htm - http://www.amalficoast.it/paesi/ravello-10.aspx


Ravello (resti del castello di Fratta)

Resti del castello di Fratta, dal sito www.unescoamalficoast.it   Ravello, dal sito www.ilvescovado.it

«In origine la città di Ravello dovette poter contare su una difesa verso le montagne costituita dalla prima fase del castrum di Fracta, con le torri, distrutte dai Pisani nel 1137, e da un muro che le foto aeree testimoniano e che doveva andare a definire come zona protetta solo la propaggine immediatamente a sud del Monte Brusara, a valle del quale è testimoniata l’abbazia benedettina di S. Trifone; la difesa verso il mare era il castrum di Supramonte che comunque doveva essere meno munito di mura, considerata la richiesta di potenziamento nel 1289. Lungo il muro di Fracta poi si ritrovano, tra la seconda e la terza torre, delle strutture che sono disposte a circa 2,5 m l’una dall’altra, che si configurano come blocchi cubici uniti nella parte bassa dal muro che unisce le torri, una merlatura che fa pensare più a postazioni per balestre. Ed infatti, ancora in epoca angioina la soluzione più seguita per utilizzare le nuove armi da gittata era quella della incastellatura, una struttura sporgente di legno posata su mensole infilate in apposite buche pontaie lasciate nella struttura del muro; da questa struttura ben riparati i soldati procedevano al lancio. Più in basso poi l’ultima torre ben conservata conserva verso sud l’attacco del muro che continuava e che sembra proprio andare in direzione sud-est quasi a chiudersi sulla strada che poi porta verso le case. Tornando in alto è interessante notare che nelle vicinanze della prima torre conservata si possono identificare tre elementi interessanti: una sporgenza di forma triangolare che fuoriesce dal percorso del muro e si pone perpendicolare alla torre conservata, più a nord invece due piccoli cumuli di terra su cui sono cresciuti alberi che rivelano nelle parti più basse pietre giustapposte che non sono certamente muri a secco di contenimento del terreno ma vecchie strutture crollate; lo rivela la presenza disseminata attorno di pietre ben squadrate che hanno subito lo stesso trattamento di quelle che formano la muraglia più bassa.

Molto probabilmente qui dovevano sorgere le più antiche torri essendo in questo luogo quello che coincide con il punto più in alto rispetto al valico sottostante verso la terra di Tramonti. Ed infatti lasciando sulla sinistra le ultime torri e seguendo il sentiero che rivela un forte rimaneggiamento della roccia già in situ, dopo aver percorso una piccolissima depressione sottolineata a destra e a sinistra da un salto di quota di circa 1 m, si inizia la salita verso quella che appare la continuazione della montagna ma che in realtà è una collinetta artificiale creata dai crolli successivi degli alzati della struttura difensiva. Sulla propaggine più meridionale di questa collinetta, che termina con una ripida discesa nei castagneti sottostanti e ormai nei terrazzamenti coltivati a viti, c’è la cisterna e, vicino, un buco perfettamente rotondo che sembrerebbe la parte rimanente della vera di un pozzo. L’area è completamente cosparsa di pietre divelte dagli alzati e la vegetazione rende difficile la ricognizione del terreno. Per le pendenze della zona è probabile che la più alta concentrazione di frustuli di ceramica vada da ricercarsi ad ovest dove si notano successivi balzi di quota che sono sicuramente coevi all’impianto della difesa. L’opera costruttiva è quella incerta poco disordinata con pietre ricavate dall’immediato circondario e in alcuni casi tenute insieme da una malta ricca di lapillo come si può vedere nei pressi della cisterna. Si nota nella cavità cilindrica del pozzo un’ottima tenuta idraulica mediante coccio pesto il cui spessore molto elevato e il buon grado di conservazione farebbero pensare ad epoche più recenti. La situazione costruttiva nonché quella topografica rende questa struttura molto simile al castello di Montalto, che è praticamente di fronte e sicuramente collegato visivamente con questo».

http://www.comune.ravello.sa.it/turismo/il-patrimonio-culturale-materiale/le-difese/le-torri-di-fratta


Ravello (torre dello Scarpariello)

Dal sito www.unescoamalficoast.it   Dal sito www.torreomnia.com

«Questa torre è una delle strutture che furono costruite per far fronte alle incursioni in epoca vicereale anche se molto spesso esse andavano ad obliterare torri di epoca angioina, Si delinea come una torre a doppia altezza con feritorie adattate a finestre, priva di armi. Detta anche della “Ficarola”, presenta ancora l’aspetto originario anche se interventi di età moderna hanno creato alcune modifiche» - «Questa torre, di epoca vicereale, è una struttura a doppia altezza con feritorie adattate a finestre, priva di armi. Detta anche della “Ficarola”, presenta ancora l’aspetto originario anche se ha subito numerosi adattamenti ad abitazione in età moderna. La torre è di proprietà privata».

http://www.comune.ravello.sa.it/turismo/il-patrimonio-culturale... - http://www.unescoamalficoast.it/en/military-archaeology/item/403-torre...


Ravello (villa Cimbrone, villa Rufolo)

Villa Rufolo, dal sito www.roadtvitalia.it   Villa Cimbrone, dal sito www.villacimbrone.com

«Notizie attendibili di Villa Cimbrone si hanno intorno al XI secolo e si fondono con quelle del periodo d’oro di Ravello. Essa, trae le origini del suo nome, dal costone roccioso su cui insiste, facente parte anticamente di un vasto podere di lussureggiante vegetazione di oltre otto ettari, denominato Cimbronium. Appartenne inizialmente alla nobile famiglia degli Acconciajoco e poi dalla metà del 1300 alla potente e facoltosa famiglia dei Fusco, nobile casato ravellese imparentato con i Pitti di Firenze ed i d'Angiò di Napoli.  Grazie all'appassionato impegno della famiglia Vuilleumier, da qualche decennio Villa Cimbrone ha riacquistato la sua antica dignità sia come luogo storico che come giardino botanico dopo un periodo di relativa decandenza a cavallo della Seconda Guerra mondiale. L'intuizione di Marco Vuilleumier al finire degli anni '60, inseguita con profonda tenacia, è all'origine di questa felice impresa di recupero, conservazione e tutela di uno dei più importanti beni culturali campani» - «Villa Rufolo è costituita da un vasto complesso di strutture, riconducibili al modello del palazzo-giardino, non tutte cronologicamente contemporanee e che sono state arricchite di nuovi ambienti fino al termine del XVIII secolo. Le due torri quadrate, di cui la più piccola contiene l'ingresso attraverso un arco a sesto acuto che immette in un viale alberato ed è coperta da una cupola ad ombrello, non servivano alla difesa dai nemici ma assecondavano il progetto del palazzo-giardino di chiara impronta islamica. Al termine del viale alberato, alla cui destra resti di pilastri fanno supporre l'esistenza di alcune sale ora crollate ma un tempo sicuramente situate tra quella struttura che oggi è chiamata cappella e l'ingresso, si giunge al nucleo originario del palazzo, risalente al XIII secolo, costituito dal cortile moresco, il cui ingresso è da ravvisare in quello costruito in tufo giallo, abbellito da volute; il cortile è a pianta rettangolare, con una galleria doppia su tre lati e con una successione di ambienti in alzato molto complessa, soprattutto dopo i lavori di contenimento dei crolli successivi al terremoto del novembre 1713. ...».

«Villa Rufolo, uno dei complessi architettonici più famosi e di maggior pregio della città di Ravello. Fatta costruire dalla famiglia Rufolo, tra le più in vista e potenti nel periodo medievale, consta di vari ambienti: l'edificio vero e proprio (XIII secolo), il viale alberato d'ingresso, le due torri, i giardini, la cappella, il cortile moresco. Particolarmente significativo fu l'intervento di restauro operato da Francis Neville Reid nel 1851, nonché l'allestimento dei giardini che ispirarono Richard Wagner per la scena del Giardino incantato di Klingsor. Villa Cimbrone, aggrappata sul costone roccioso omonimo, fu acquistata nei primi anni del ‘900 da Lord Grimthorpe che avviò imponenti lavori di ristrutturazione, affidandoli al ravellese Nicola Mansi. Per tutto il secolo scorso divenne luogo di ritrovo dell'élite intellettuale dell'epoca: si racconta che lo scrittore inglese D.H. Lawrence prese qui ispirazione per la stesura del suo capolavoro L'amante di Lady Chatterly. Dal Belvedere di Villa Cimbrone si può ammirare uno dei panorami più spettacolari dell'intera Costiera Amalfitana. Villa La Rondinaia, così detta per la sua particolare posizione, aggrappata alla roccia dello sperone del Cimbrone come un nido di rondine, fu in passato di proprietà di Lord Grimthorpe ed annessa alla proprietà di Villa Cimbrone. Vi si accede dopo aver attraversato un suggestivo viale alberato che immette all'edificio, costruito a strapiombo sul mare. Per molti anni è stata la residenza dello scrittore Gore Vidal».

http://www.villacimbrone.com/it/history.php - http://www.univeur.org... - http://www.amalficoast.it/paesi/ravello-10.aspx


Rocca Cilento (castello)

Dal sito www.cilentoregeneratio.com   Dal video www.youtube.com/watch?v=4txfE7sGJLA   Dal video www.youtube.com/watch?v=4txfE7sGJLA

«Circondato da un antico borgo medioevale, in una posizione dominante sul territorio circostante a circa 635 m. sul livello del mare, si erge maestoso il castello di Rocca Cilento. Acquistato nel 1961 da Ruggero Moscati, docente di storia dell'arte, il castello, caduto in rovina e abbandonato, è stato completamente restaurato nel rispetto dei canoni estetici originari e con materiali d'epoca; è stato così recuperato uno dei patrimoni storici ed artistici più preziosi della nostra provincia. Fu costruito ad opera del gastaldato longobardo della Lucania intorno al IX-X secolo, epoca in cui i Longobardi iniziarono a spartirsi le nostre terre in contee e signorie, cedute in vassallaggio ai membri delle famiglie nobili salernitane. Fu allora che il castello subì probabilmente i primi interventi di rafforzamento architettonico dei torrioni e delle mura, seguiti solo nel secolo XVI dai restauri eseguiti da Giuliano da Sangallo che aumentarono le potenzialità difensive della rocca. E fu verso la metà del Cinquecento che il destino della rocca fu segnato in quanto il castello divenne teatro di aspre contese e decadde assieme al grande baronaggio politico del Mezzogiorno d'Italia. Iniziò così il lento ma inesorabile declino della baronia cilentana che, smembrata in un'infinità di feudi minori, segnò anche la fine di Rocca del Cilento. Il castello, impostato su uno schema assimilabile ad un pentagono allungato, si sviluppa su un perimetro di 238 m., sul cui lato esterno sono realizzate undici torri di vario diametro quasi tutte rifatte o almeno visibilmente restaurate. La facciata, rivolta verso sud e verso l'antico borgo, presenta tre torri che sporgono decisamente dalla cortina su cui si apre l'ingresso, oggi raggiunto da una stradina che si inerpica con brevi e ripidi tornanti e che un tempo doveva essere protetto da un ponte levatoio. L'ampiezza dell'atrio della possente dimora già prelude alla vastità degli ambienti che la compongono. Nella penombra degli archi e delle volte, si incontrano sulla destra le cucine; percorrendo un cortile si accede a quelli che un tempo erano gli ambienti riservati al ristoro dei soldati e della servitù. Al piano superiore, lungo le cortine ad est e ad ovest, si snodano gli ambienti riservati alla vita privata degli uomini di potere che li abitarono. In una prospettiva sfuggente di uno stretto corridoio, le stanze si schiudono le une nelle altre, rivelando ancora piccoli tesori. I mobili, le armi, le suppellettili rimaste intatte testimoniano l'opulenza e la potenza di questo luogo, purtroppo ora rimasto in parte spoglio. Tenuamente illuminate si aprono la stanza di Giovanbattista Vico simile ad un eremo, il salone, con la cappella adiacente, la sala convegni e il piccolo museo allestito dal prof. Moscati dove sono raccolti con pazienza e devozione oggetti rinvenuti sul luogo. Nell'ala opposta, le stanze da letto padronali si affacciano su di un giardino interno, dove la freschezza dei pergolati, delle chiome dei pini e delle querce, doveva un tempo alleviare la calura dei torridi pomeriggi estivi».

http://xoomer.virgilio.it/analfin/roccil5.htm


Roccadaspide (castello)

Dal sito https://geolocation.ws   Foto di serendypita, dal sito www.tripadvisor.it   Dal sito www.wikiwand.com

  

«Oggi il Castello ha il tipico aspetto delle costruzioni militari quattrocentesche. Si ritiene che la data della sua fondazione sia il 1245, quando Federico II pose l’assedio a Capaccio. Altre fonti invece la fanno risalire addirittura al 1092, secondo un documento di Gregorio di Capaccio in cui si parla del “Castello di Rocca”. Sono state formulate altre ipotesi, prive però di sostegno. Sicuramente prima dell’attuale costruzione, doveva essere una rocca fortificata al tempo dei Principi longobardi del ducato di Benevento, ampliato con nuove opere difensive sotto la baronia dei Fasanella, avvicinandosi al suo aspetto attuale con le installazioni difensive quattrocentesche del ramo della famiglia Sanseverino, baroni del Cilento. Nella metà del XVI secolo la baronia del Cilento, che costituiva fino allora una sola “Università” (comune), fu divisa in un gran numero di feudi che furono posti in vendita. Il Castello di Rocca fu acquistato dai principi Filomarino che lo tennero fino ai primi decenni dell'Ottocento, con Giovanbattista, che divenne primo signore di Rocca nel 1549 e Tommaso. I due avevano ricevuto dal papa, come riconoscimento del coraggio dimostrato durante la battaglia d’Otranto del 1480 contro i Turchi, due statuette di legno. In esse erano contenute le reliquie dei santi Sinforosa e Getulio e dei loro sette figli, martiri sotto l'imperatore Settimio Severo nel 194 d.C. - i due santi divennero i patroni di Roccadaspide. La costruzione ha subito ristrutturazioni anche con i Filomarini: Le torri cilindriche sono del cinquecento, mentre l’ala Sud-Est presenta rifacimenti settecenteschi. Attraverso una gradinata esterna del settecento e un passaggio a volta si entra al cortile interno, che presenta caratteristiche simili a quelli dei palazzi quattrocenteschi; da qui si sale per una scalinata con porticato, al piano abitato dagli attuali proprietari. Tracce delle antiche mura che lo circondavano oggi incorporano costruzioni riedificate dopo il bombardamento alleato del 1943. All’inizio del 1800 la proprietà passò alla famiglia Giuliani. I discendenti, ancora oggi, ne custodiscono le opere d’arte, collocate nei saloni e stanze destinate alle famiglie principesche e alla corte».

http://www.cittadiroccadaspide.it/il_castello.html (a c. di Enzo Crescella)


Roccapiemonte (resti del castello di San Quirico)

Dal sito www.facebook.com/media/set/?set=a.251580581521898.71662.243634788983144&type=3   Dal sito www.facebook.com/media/set/?set=a.251580581521898.71662.243634788983144&type=3

«Il castello di Roccapiemonte, risalente al 1042, denominato Rocca di S. Quirico da Guaimario principe di Salerno, è posto sulla cima del monte Solano a protezione delle strade militari sottostanti. Durante il periodo normanno fu assegnato da Roberto il Guiscardo all'abate di Cava da cui passò poi nel 1169 alla famiglia degli Altavilla. Nel periodo svevo il castello fu attribuito ai castellani Maniero Rapano, Ugone della Rocca e Pietro Marchesano, fedeli a Federico II, e successivamente a Giacomo Brusone che si era unito in matrimonio a Ilaria Filangieri, a cui successe suo figlio Riccardo. Sotto gli Aragonesi il castello passò ai Piscitelli che lo vendettero a Ferdinando Spinelli duca di Castrovillari e successivamente passò ai Caracciolo, agli Amato e ai Raveschieri. Attualmente del castello restano solo i ruderi, tra cui è possibile distinguere i resti della triplice cinta muraria e le due porte con la torre di vedetta a forma cilindrica».

http://xoomer.virgilio.it/analfin/rocpiem3.htm


ROFRANO (resti del castello, porte)

Dal sito www.cilentontheroad.it   Dal sito www.cilentontheroad.it   Una delle porte del borgo, dal sito www.cilentontheroad.it

«Le sue origini risalgono fra il III e il IV secolo e vengono attribuite a dei nobili crociati, allora abitanti nelle prossimità della montagna di Piaggine in un luogo che chiamarono Ruffium (da qui l'antica denominazione di Ruranu). A seguito di epidemie (non accertate) e di brigantaggio, l'abitato si spostò avvicinandosi all'attuale ubicazione e cambiando il suo nome in Ruffio, per poi arrivare a Rufra e infine Rofrano (parola riferita alla terra che frana sotto i nemici). Nel Medioevo il feudo di Rofrano veniva concesso da Roberto il Guiscardo ad uno dei suoi cavalieri. Il relativo Castello, ampliato su un maniero preesistente di origine Longobardo-Bizantina, è tuttora visibile. Il portone di accesso, fino all'inizio degli anni Ottanta, era sormontato da un fabbricato costituito da muratura con travi di legno intrecciate e riempimento in pietrame, di chiara origine Nord-europea. Nelle campagne è possibile ancora imbattersi in vecchi edifici in muratura con balconate in legno, frequenti nelle aree germaniche e Nord-Europee» - «L’agglomerato urbano, che sorse intorno all’insediamento religioso, costituiva il centro direzionale e di scambio e si sviluppò alle falde del poggio degradante verso l’alveo del fiume Faraone. Successivamente l’abitato fu cinto da mura munite di 3 porte: ad est Porta S. Antuono, a sud Porta Vallone ed ad ovest Porta del Leccio. La Porta S. Antuono era munita di una torre cilindrica di guardia; sull’arco della porta esiste una epigrafe in cui si ricordano gli ufficiali e i serventi partiti da Rofrano per la seconda crociata, offerti come tributo dalla collettività a Ruggero II che concesse, con l’emissione di una bolla, il feudo di Rofrano nel 1131 alla comunità di monaci Basiliani. Il nucleo storico di Rofrano conserva l’assetto urbanistico originario della rete di vie e scale che creano un sistema complesso di collegamenti che distribuiscono gli edifici ai vari livelli».

https://it.wikipedia.org/wiki/Rofrano#Storia - http://www.comune.rofrano.sa.it/index.php?action=index&p=76


Romagnano al Monte (borgo)

Dal sito www.comune.romagnanoalmonte.sa.it   Dal sito www.comune.romagnanoalmonte.sa.it

«Arroccato su un vertiginoso picco collinare a 650 metri dal livello del mare, tra Campania e Basilicata, Romagnano al Monte è il più piccolo dei quattro centri che gli fanno corona: Buccino, San Gregorio Magno, Ricigliano e Vietri di Potenza. In questa posizione sembra svolgere il ruolo di guardiano della vallata in cui scorrono il fiume Bianco ed il Platano alla confluenza del Nero. Tutta la sua economia è basata su un antico regime agri-pastorizio. La pianta più coltivata nel suo territorio è in assoluto l'ulivo. Il nome fa intuire chiare origini latine. In epoca tardo romana, infatti, la zona faceva parte dell'"ager Volceianus" ed era comunemente indicata come "fundus Romanianus", probabilmente appartenente ad una famiglia di patrizi detta "Romanius". Successivamente fu abbreviato in "Romagnano" e solo dopo l'Unità d'Italia si aggiunse "al monte" per distinguerlo dall'altro, in provincia di Novara.  Sul volgere del primo millennio, in epoca feudale, fu costruito in quel posto un munitissimo castello, la cui formazione sarebbe stata graduale nel tempo a seconda delle funzioni che era chiamata a svolgere. Si potrebbe ipotizzare questa successione: la torre, il castello, le mura ed i rifugi. La parte più antica inizia verso Est nei dintorni della chiesa della Partita intitolata alla Madonna del Parto e, man mano che si sale verso Ovest l'abitato diventa sempre più recente. L'intreccio di vicoli e stradine è tutto disseminato di numerosissimi scalini, i quali oltre a dare accesso alle abitazioni fungevano da vere e proprie panche. Le prime notizie su Romagnano compaiono su un registro databile al 1167, dov'è denunciato il numero del servizio militare prestato dai feudatari al re. Questo feudo, che rientrava nei possedimenti di Roberto Quaglietta, era tenuto ad armare un solo cavaliere al quale, in caso di necessità, se ne sarebbe aggiunto un secondo.

Dall'età angioina fino alla metà del XVIII secolo si susseguirono vari signori come: Alfonso D'Aragona, Pietro de Alagno, Petricone Caracciolo ed i Ligni. Il 20 giugno 1759 Francesco Torella divenne barone di Romagnano. L'antico castello medievale abitato fino alla fine del 1600 fu, molto probabilmente, abbandonato dopo il terremoto dell'8 settembre 1694. Dopo questa data, infatti, la famiglia marchesale dei Ligni la troviamo trasferita in Via Borgo. Nel 1656, un terribile contagio, molto probabilmente dì peste, dimezzò letteralmente la già esigua popolazione, che da 501 abitanti scese di colpo a 251. Successivamente la densità demografica aumenterà gradua-lmente fino al massimo di 950 unità nel 1881. Negli anni 1763-64 ci fu una terribile carestia. La gente era a tal punto debilitata dalla fame che "la terra sembrava abitata da cadaveri ambulanti" (così scrive l'Arciprete Don Ruggiero Casale). Quindi la popolazione venne ridotta nuovamente. Sulla fine del 1700 e gli inizi del secolo successivo scoppiò il fenomeno del brigantaggio, in cui fu molto attivo un certo Giuseppe Paterna, sacerdote di San Gregorio Magno, (il fatto non è molto sorprendente se si pensa che, nel 1806 Augusto Mermet, Generale di Divisione dell'armata napoleonica contò su sette capi briganti presi in provincia di Salerno, ben quattro ministri della religione). Contro di lui si accanirono generali murattiani, che nel 1809 lo trovarono e lo uccisero a Romagnano».

http://www.comune.romagnanoalmonte.sa.it/index.php?action=index&p=76


Salento (palazzo baronale)

Dal sito www.cilentontheroad.it   Dal sito www.cilentontheroad.it

«...Anticamente il paese si chiamava “Sala di Gioi” (un secondo piccolo centro, “Salella di Gioi”, adiacente a Sala di Gioi rimane disabitato con la peste del 1656) ed era un piccolo casale agricolo della dipendenza longobarda dello Stato di Gioi. Fino all’VIII secolo d.C. il centro presenta uno scarso popolamento, solo con gli insediamenti dei monaci italo-greci, con la conseguente colonizzazione agricola di vaste aree dell’agro comunale, si avrà una vera e propria crescita urbanistica. I primi lignaggi italo-greci che si insediano nel centro giungono tra VIII e X secolo dal cenobio basiliano di Pattano; seguono il percorso del torrente “fiumicello” e si insediano nella zona di denominata San Basilio e San Veneranda (oggi questo percorso basiliano è denominato anche strada degli agriturismi). Il quartiere più antico fondato dai basiliani è collocato nel centro storico del comune. Il lignaggio fondatore dei De Marco fonda il primo quartiere intorno alla chiesa di Santa Maria, gemellando l’omonima chiesa della badia di Pattano (anche se prime notizie di fonti notarili del centro iniziano a partire dal 1043). Il centro urbano acquisisce l’attuale forma urbis nel corso del Settecento, quando la nuova direttrice del paese segue un percorso diverso dai vecchi insediamenti basiliani. Viene costruito un nuovo quartiere caratterizzato dalla presenza delle dimore della nuova élite borghese (case palazziate) che partendo dalla costruzione del palazzo baronale (Degni-Bammacaro) dei primi decenni del Settecento (collocato al nuovo ingresso del paese), vede poi la costruzione di altre dimore delle famiglie Palazzo, Scarpa, Sollazzo, Parrillo. Il quartiere è collocato sulla via che va dall’attuale palazzo baronale alla chiesa di Santa Barbara (nella cui piazza è collocato anche il municipio). Sala di Gioi diventa, staccandosi da Gioi, comune autonomo nel 1811. ...» - «...Il Palazzo Baronale, oggi Degni-Bammacaro, fu costruito alla fine del Seicento dalla famiglia Bernolla e poi ceduto insieme al feudo di Sala ai Bammacaro. Diviso in due parti, conserva decorazioni e arredi del XVIII secolo. Di costruzione settecentesca sono i due Palazzi Scarpa, famiglie che avevano dato entrambe molti professionisti: il primo collocato in via Roma appartenne al generale Scarpa, il secondo fu forse dell’eroe risorgimentale dei moti del Cilento, Marcello Scarpa Valiante. ...».

https://www.viveresalerno.it/citta/salento/comune-di-salento - https://www.infocilento.it/turismo/salento


Salerno (castel Terracena)

Dal sito www.dattolicostruzionigenerali.it   Dal sito http://ambientesa.beniculturali.it

«Il Palazzo Terracena (o Castel Terracena) fu costruito dal duca normanno Roberto il Guiscardo in un periodo che va dal 1076 al 1080. Si trovava a ridosso delle mura orientali di Salerno, sulla sommità di un'altura, ad est del Duomo. Il Palazzo Terracena era la "Reggia" normanna a Salerno, diversa da quella longobarda. La zona dove si può ancora oggi riconoscere il Complesso di Castel Terracena (anche se ci sono dubbi sul reale sito del complesso), per quanto gravemente manomesso e deturpato dalle successive stratificazioni, è quella che, dall'attuale Museo archeologico, giunge alle absidi del Duomo, in via Genovesi, per poi continuare su via dei Canapari e via Mario Iannelli. In questo complesso sono chiaramente riconoscibili alcune torri decorate in "tarsie" di tufo giallo e grigio. Lo scopo della costruzione fu quello di rafforzare le difese della città e di fornire ai nuovi sovrani normanni un palazzo del potere diverso da quello longobardo. La sua esistenza fu breve, avendo avuto termine, in circostanze misteriose, fra il 1251 (data della sua ultima citazione) e il 1261, anno della morte di papa Alessandro IV che donò ai monaci benedettini il suolo sul quale era stato edificato. Castel Terracena, la reggia normanna considerata una tra le perle dell’epoca medievale, fu fatta costruire dal Guiscardo con sfarzo favoloso in omaggio a Sichelgaita, sua seconda moglie, che non volle più abitare nella vecchia reggia longobarda sita ad oriente della Cattedrale. La nuova residenza regale avrebbe potuto forse ricordare i fasti della corte del padre Guaimario IV e del fratello Gisulfo II.

Scalee sontuose e maestose si aprivano su corridoi luminosi i quali, andando verso i piani bassi, si disperdevano in oscuri sotterranei. Immensi saloni finemente ornati, colonne di marmo con preziosi capitelli, mosaici, erano sistemati lì insieme a decine di stemmi in bronzo, argento e oro. La scelta del luogo fu certamente dettata da esigenze di sicurezza militare, ma anche della presenza, nelle immediate vicinanze, della cattedrale, voluta dallo stesso Roberto per sancire l’accordo faticosamente raggiunto con il potere religioso e, nello stesso tempo, per erigere un fastoso monumento alla grandezza della nuova dinastia regnante. Alle stesse esigenze era ispirata sicuramente anche l’edificazione della reggia, simbolo del potere civile, che si poneva così in contrapposizione, ma anche in continuità, con la sfolgorante reggia che Arechi II aveva fatto erigere molti secoli prima in un altro luogo della città. L’individuazione del castello di Terracena ci è confermato dal ritrovamento di due torri, di un camminamento con cisterna e di diversi elementi architettonici, di cui la parte più interessante è costituita dalla decorazione in tufo giallo e grigio della torre sulla traversa S. Giovanni. Qui le ricorrenze orizzontali delle finestre sono animate da fasce con i motivi più vari, da quelli ad andamento geometrico a quelli più complessi, mentre le decorazioni investono gran parte delle pareti dell’attuale vicolo Castel Terracena. La fabbrica, ad ogni modo, non esisteva più già dal secolo XIV, probabilmente abbattuta dal tremendo terremoto del 1275 che distrusse la città e molti centri dell’avellinese e del salernitano, quando Alessandro IV donò il suolo al monastero di S. Benedetto, sul cui lato meridionale sarebbe sorto il Castelnuovo che ospitò nel secolo XV la regina Margherita di Durazzo».

http://arcansalerno.com/visitsalerno/Arte/Sistema_Difensivo/Castel_Terracena.html


Salerno (castello di Arechi)

a cura di  Vito Bianchi

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Isabella Nuovo (https://www.facebook.com/zi.sabellin)   Foto di Isabella Nuovo (https://www.facebook.com/zi.sabellin)


Salerno (Forte La Carnale)

Dal sito http://lamiasalerno.blogspot.it   Dal sito www.expressbus.it   Dal sito http://xoomer.virgilio.it/analfin

«Ubicato presso la foce del fiume Irno, il Forte (o Torrione) la Carnale faceva parte di un sistema difensivo costituito appunto da torri, realizzato alla metà del Cinquecento per difendere la città dalle invasioni saracene. Probabilmente, il Forte prende il nome da una strage di Saraceni verificatasi intorno all’anno 872. Trentamila corsari, approdati a Salerno, la cinsero di duro assedio; già la città stava capitolando per fame, quando la morte improvvisa e accidentale di Abdila, capo degli assalitori, seminò lo scompiglio fra loro. I Salernitani ne approfittarono e assalirono i nemici, trucidandone circa quindicimila. Gli altri, atterriti dalla disfatta e tornati alle loro navi, si dettero alla fuga; ma colpiti da una tempesta presso le Calabrie, perirono tutti. Per la sua posizione strategica, si pensa che la Carnale ospitasse uomini a cavallo con il compito di avvertire la popolazione, in caso di attacchi dal mare. Verso la metà del Seicento, Ippolito da Pastena, il Masaniello salernitano, utilizzò il forte come base di comando per una rivolta contro gli Spagnoli. Vi stabilì anche un presidio di 100 uomini per fronteggiare lo sbarco di truppe francesi, sottraendo Salerno alla capitolazione. Durante la Seconda Guerra mondiale, il forte fu rinforzato con vari "bunker" e dotato di batterie costiere. Subì gravi danni durante lo sbarco alleato del 1943, ovviamente contrastato dai Tedeschi. Recentemente ristrutturato su due livelli, il Forte è utilizzato per mostre ed esposizioni culturali».

http://guide.travelitalia.com/it/guide/salerno/forte-la-carnale


Salerno (mura, porte)

Dal sito http://arcansalerno.com   Porta Nova, dal sito www.bbregine.it

«La storia delle mura della città è molto complessa. Secondo Amarotta le mura raggiunsero la vetta del Monte Bonadies intorno all'anno 1010 mentre lo storico Fiore invece ritiene che queste percorressero, già in età romana (I-II secolo), il monte Bonadies ed arrivassero fino alla via dei Mercanti dove andavano a formare il primo nucleo romano. In quel periodo esistevano tre porte: la Nocerina ad ovest, la Porta del Mare a sud e la Rotese ad est. Intorno al III secolo le mura si allargarono verso oriente in quanto porta Rotese si spostò verso l'attuale zona di Largo Plebiscito per poi salire verso il castello. Intorno al V secolo, invece, le mura occidentali si staccano dalla precedente posizione nei pressi della chiesa di Sant'Andrea e rientrano giungendo fino all'attuale via di Porta Mare. Da qui procedevano fino alla parte alta di largo Dogana Regia per poi ricongiungersi alle vecchie mura nei pressi del vicolo Barliario. Durante la dominazione longobarda Arechi II fortificò ed ampliò la città. Egli recuperò l'antico castello romano, detto Torre Maggiore, e creò nuove fortificazioni difensive creando quattro alte torre, oltre quella centrale, unite tra di loro per mezzo di ponti e di mura con merli. Delle torri una affacciava a nord ed era provvista di porta di ferro, una ad ovest detta Pentuclosa (pentagonale), un'altra ad est detta Mastra ed un'altra più piccola detta Torricella. Nell'ambito del sistema difensivo longobardo il castello costituiva il vertice del cosiddetto sistema difensivo triangolare. Anche il rinnovamento delle mura fu profondo tanto che viene ricordato con il nome di Rifondazione Arechiana. Egli sopraelevò le mura e le ampliò verso oriente e probabilmente intorno al castello realizzò un fossato. Con la morte di Arechi II prese il potere il figlio Grimoaldo che innalzò nuove mura andando a creare il quartiere detto inter murum et muricitum.

Con gli assedi dei Saraceni e le lotte interno alla Langobardia Minor il sistema difensivo fu nuovamente ampliato e nelle mura si aprivano sei porte: dei Respizzi e Nocerina ad ovest, Rateprandi e di Mera a sud ed Elina e Rotese ad est. Verso la fine dell'VIII secolo le cinte murarie si espandono ancora verso occidente raggiungendo l'attuale piazza Sedile del Campo e verso oriente toccavano l'attuale via Porta di Mare. Nella salita verso il Monte Bonadies inglobavano il monastero di San Benedetto e, allacciandosi alle preesistenti mura di via Bastioni, risalivano verso il castello. Le porte della nuova cinta muraria sono: ad ovest la Busandola, a sud la porta del Fornaro e la porta Rateprandi a Largo Campo, la porta dell'Angelo e la porta Elina ad est, nei pressi del convento di San Benedetto. Con Manfredi la cerchia muraria venne nuovamente rinforzata. Egli riattivò i camminamenti sotterranei che collegavano le varie torri e ristrutturò la Bastiglia. Delle antiche mura oggi sono rimasti pochi avanzi nei fianchi del monte Bonadies ed in alcune zone isolate del centro storico come in via Fusandola, in via San Benedetto ed in via Arce. Quasi intatto è invece il muro che definiva il fossato intorno al castello. Le porte. Porta Nova: è posta lungo il lato meridionale delle mura di cinta. La porta fu costruita nel 1754 per sostituire la Porta Elina. La porta è in stile settecentesco ricoperta di marmo e sormontata dalla statua di San Matteo. Porta Catena: scomparsa. Era la porta principale di Salerno nel primo Rinascimento verso Napoli e la costiera amalfitana. Si trovava di fronte al campanile sanfeliciano della Chiesa dell'Annunziata».

http://it.wikipedia.org/wiki/Mura_di_Salerno


Salerno (palazzi storici)

Palazzo Fruscione, dal sito http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it   Palazzo dei Copeta, dal sito www.gazzettadisalerno.it   Palazzo Conforti, dal sito www.gazzettadisalerno.it

  

«Si parte dal Corso Vittorio Emanuele, zona, in epoca romana, dedicata ai sepolcri e alle attività artigianali. Quindi, dall’InfoPoint Turistico del Comune di Salerno, sito al piano terra della Galleria Capitol percorriamo pochi metri e svoltiamo a sinistra su Via Velia per giungere all’attuale piazza Flavio Gioia, meglio conosciuta come “la Rotonda” dove, a metà settecento, fu riposizionata la Porta, voluta da Carlo III di Borbone, che si apriva sul lato orientale della cortina muraria della città. La Porta è sormontata da una statua del Santo protettore della città. La Piazza, storicamente destinata al mercato cittadino, dopo l’ultimo intervento di restauro, è stata ripavimentata e dotata di una fontana realizzata dall’architetto Riccardo Dalisi. Poco più in là, attraversando l’antica Porta, e risalendo sulla destra incontriamo piazza Portanova, che prende il nome dall’antico varco. L’area di Portanova era confinante con una vasta zona pianeggiante, destinata allo svolgimento dell’antica Fiera di S. Matteo, che si teneva due volte l’anno, il 21 settembre e il 4 maggio. ... Ritornando a piazza Portanova e imboccando l’attuale via dei Mercanti, un tempo detta “drapperia”, per indicare le merci che maggiormente vi si commerciavano: velluti, damaschi e stoffe preziose. Si arriva, dopo pochi metri in piazza G. Matteotti, dominata dalla chiesa del SS. Crocifisso ... Continuando lungo la via dei Mercanti, incontriamo sulla destra la chiesa di S. Gregorio, già esistente al 1508, mentre una lapide oggi al Museo Diocesano, riferisce di una sua ricostruzione al XII secolo. La chiesa di S. Gregorio, opportunamente restaurata, oggi ospita il Museo Virtuale della Scuola Medica Salernitana, munito di installazioni multimediali e stereoscopiche. Proprio di fronte troviamo Palazzo Pinto, dimora signorile del XVIII secolo, attualmente sede della Pinacoteca Provinciale, che custodisce opere databili dal XV al XVIII secolo, con una sezione dedicata alla pittura della seconda metà dell’Ottocento e dei primi del Novecento. Poco oltre si incrocia via Duomo. Scendendo sulla sinistra ci si trova davanti alla chiesa di San Giorgio, splendido esempio d’arte barocca. Il monastero di San Giorgio, di cui la chiesa era parte, è una delle fondazioni longobarde più antiche. Procedendo verso il mare, sulla sinistra, è Palazzo Sant’Agostino con l’omonima chiesa, oggi sede dell’Amministrazione Provinciale, ma fino al XIX secolo, convento dell’Ordine degli eremitani di Sant’Agostino. Ritornando su via dei Mercanti, percorrendo pochi metri sulla sinistra, incontriamo la via delle Botteghelle, il tratto viario che, nell’alto Medioevo, segnava il confine oltre il quale, ad occidente, si era sviluppata la città longobarda e, ad oriente, invece, la vasta area indicata come Hortus Magnus, poco edificata, che vedrà sorgere gli edifici più importanti del periodo normanno.

Proseguendo su via Mercanti, si arriva alla chiesa di S. Salvatore, risalente al XV secolo. Gli scavi condotti anni fa all’interno dell’edificio hanno appurato che, parte della chiesa, poggia su un balneum di XI secolo. A circa 8 metri di profondità si è rinvenuto un canale di scolo delle acque di pertinenza delle terme romane. L’impianto termale occupava tutta l’area che, secoli dopo, sarà indicata come Curtis Dominica, dove il duca-principe Arechi II (758-787), nel 774, costruirà il suo splendido palazzo, con la ricca cappella palatina intitolata ai santi Pietro e Paolo. L’area della corte arechiana si raggiunge salendo lungo via dei Canali, pochi metri dopo la chiesa di S. Salvatore. La cappella palatina di San Pietro a Corte, affacciata sul larghetto omonimo, è l’unico ambiente superstite della residenza del principe. Si trattava di una chiesa privata, alla quale si accedeva direttamente dall’interno del palazzo, attraverso un loggiato. Il palazzo di Arechi II si articolava su due livelli e si estendeva sull’asse nord-sud, avendo ad est ed a ovest due corti, nella prima delle quali, la maggiore, erano posti uffici, caserme, scuderie, mentre dalla seconda, la minore, estesa lungo l’attuale via Porta di Mare, una scalinata monumentale conduceva ad una serie di ambienti che culminavano nella sala del trono. A questo secondo livello si legava la Cappella palatina di San Pietro a Corte. Lungo il versante settentrionale erano finestre, monofore e bifore, disposte su due livelli, che consentivano l’illuminazione interna della chiesa. Le indagini archeologiche, condotte nell’area antistante la cappella e negli ambienti sottostanti la stessa, hanno restituito una stratigrafia piuttosto articolata che dai livelli di frequentazione contemporanei, arriva fino alle fasi di vita più antiche della città di Salerno (I-III sec. D. C.), rintracciate ad una profondità di circa otto metri sotto l’attuale livello di calpestio. La cappella si imposta sull’ambiente del frigidarium della terma romana. Nella stessa area troviamo Palazzo Fruscione. L’edificio, a pianta quadrangolare, mostra nei primi due piani della facciata che prospetta sul vicolo dei Barbuti, un’elegante decorazione composta da monofore, bifore e tarsie policrome, decorazione che rimanda ai secoli XII-XIII. Tale facciata, oggi laterale, era probabilmente, il prospetto principale dell’edificio originario. Nel loggiato superiore la decorazione ad archi intrecciati arriva al momento culminante della sua espressione. Sempre su via dei Canali, incontriamo il Conservatorio dell’Ave Gratia Plena, la sede settecentesca dell’istituto di beneficenza per fanciulle povere, fondato nel 1650.

Tornando indietro sulla via principale, via Dogana Vecchia, si giunge in piazza Largo Campo. Anticamente questo era il luogo deputato al mercato del grano: il Campus Grani. Questa era anche la sede del Seggio del Campo, uno dei tre seggi in cui era divisa la città, amministrati dai nobili che vi risiedevano. Sul fondo della piazza, in direzione del mare, si erge il maestoso Palazzo Genovese, realizzato tra il 1746 e il 1754. Il portale monumentale, in pietra calcarea, è sormontato dallo stemma di famiglia. Nell’angolo settentrionale della piazza, invece, la Fontana di Largo Campo, una delle più note di Salerno, citata per la prima volta in un documento del 1639. Alle spalle della fontana, su via Porta Rateprandi, si trova la chiesa di Sant’Andrea de Lavina, nel cuore dell’antico vicus Amalphitanorum, il quartiere dove, il duca di Benevento Sicardo (832-839) stanziò un gruppo consistente di Amalfitani, pensando di favorire il decollo economico e commerciale di Salerno. ... Da Largo Campo, si continua il percorso lungo via Portacatena, che ricorda nel nome l’antica porta che si apriva nella cortina muraria occidentale. A destra l’edificio che, dal XIV secolo, fu sede dell’Ospedale della SS. Annunziata, poi, dal 1620, di S. Biagio dell’Ordine di S. Giovanni di Dio, oggi Scuola Media ‘Lanzalone’. Esso aveva sostituito quello voluto nel 1183 da Matteo D’Aiello, cancelliere alla corte di Guglielmo II di Sicilia, edificato nell’area oggi di S. Anna al Porto. Di fronte si staglia il bel campanile della chiesa della SS. Annunziata, realizzato agli inizi del XVIII secolo da Ferdinando Sanfelice. La costruzione della chiesa attuale fu avviata nel 1627, dopo che un’alluvione, il 4 dicembre dell’anno precedente, aveva travolto la struttura di fine ‘400. Si è giunti, a questo punto, al margine occidentale della città antica, delimitato dalla cinta muraria che, partendo dalla vetta della collina, lambiva il torrente Fusandola e arrivava fino alla linea di costa. I resti della cinta muraria medievale sono ancora visibili a ridosso del complesso di S. Giovanni di Dio. ... A questo punto s’imbocca la strada sulla destra e, percorrendo via Bastioni, si arriva al largo Plebiscito. Nell’angolo orientale troviamo la piccola Cappella del Monte dei Morti eretta nel 1530 a ridosso delle mura orientali della città, nei pressi dell’antica Porta Rotese, come ex voto dei cittadini scampati alla peste. La cappella nel 1615 divenne sede della Confraternita del Monte dei Morti. Tutto il lato sud di largo Plebiscito è occupato dal Museo Diocesano, checustodisce alcune delle più importanti opere d’arte di Salerno: il ciclo di lavori medievali, la più vasta e completa raccolta esistente al mondo, l’Exultet, un rotolo di pergamena miniato risalente al XIII secolo, la raccolta di codici medievali e una ricca pinacoteca con quasi 100 dipinti.

Da largo Plebiscito si continua lungo via Romualdo II Guarna e si arriva al largo Abate Conforti. Prospettano sulla piazza: l’Archivio di Stato, l’ex chiesa dell’Addolorata e il Convitto Nazionale (ex convento di S. Maria Maddalena). Costeggiando il Convitto Nazionale e salendo lungo via Trotula de Ruggiero, a sinistra si trova subito l’ex monastero altomedievale di Santa Sofia (oggi occupato, in parte, dagli uffici della Soprintendenza Archeologica), dinanzi al quale s’inerpica via San Massimo, diretta ad un altro quartiere importante della Salerno longobarda: il Plaium montis. La zona, ricca di falde acquifere, era l’area più settentrionale del perimetro urbano di Salerno, dove si apriva, verso occidente, la Porta Nocerina e finiva il centro abitato. Qui, nel IX secolo, il principe Guaiferio costruì un nuovo palazzo, dotato di una cappella privata intitolata a San Massimo, alla quale affidò anche un consistente patrimonio fondiario. Del palazzo resta oggi un edificio che conserva il nome di palazzo San Massimo, il cui aspetto però risente fortemente degli adeguamenti settecenteschi e degli ultimi decenni. ... Scendendo i Gradini S. Lorenzo, che troviamo di fronte, si giunge in Via Trotula de’ Ruggiero, dove incontriamo lo splendido Palazzo Galdieri che ospita il Museo di Storia della Medicina e della Strumentazione Chirurgica ‘Roberto Papi’. Da Palazzo Galdieri, pochi gradini ci portano in via T. Tasso, uno dei percorsi più antichi e importanti della città di Salerno. Si tratterebbe, infatti, di un decumano del castrum romano, poi divenuto una platea medievale e rimasto in uso fino ad oggi. Scendendo di pochi metri, si costeggia il limite settentrionale del quartiere degli Amalfitani, fino ad incontrare, sulla destra, i Gradoni della Lama, sui quali si apre l’ingresso attuale della chiesa della Madonna della Lama. ... Ritornando su via Tasso, si sale ancora e si ammirano sulla destra altri due esempi di palazzi signorili, risalenti ai sec. XVII-XVIII: palazzo Ruggi d’Aragona, con la bella fontana del Nettuno nel cortile, e palazzo Conforti, preceduto dal maestoso portale lapideo e con la scala aperta sul cortile. Dopo aver superato Porta Nocerina, l’ultimo tratto della via arriva al Giardino della Minerva. Di proprietà della famiglia Silvatico sin dal XII secolo, nel 1300 Matteo Silvatico, maestro della Scuola Medica Salernitana, vi istituì un giardino dei semplici, antesignano di tutti i futuri orti botanici d’Europa. Ciò che oggi appare al visitatore è uno dei luoghi più incantevoli del centro storico di Salerno, risultato di una serie di interventi realizzati tra il XVII e il XVIII secolo. Il Giardino si sviluppa su diversi livelli, alimentati da vasche e fontane attraverso un complesso sistema di distribuzione e canalizzazione delle acque. Dai vari livelli, collegati da una lunga scalea pergolata costruita sul settore occidentale delle mura antiche, si ha la visione di un panorama che spazia dal mare all’intera città di Salerno e alle colline retrostanti. ...»

http://www.bbregine.it/dove-siamo


SALERNO (resti di castel Vernieri)

Dal sito www.zerottonove.it   Dal sito http://arcansalerno.com   Dal sito http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it

«La storia della città di Salerno non può prescindere dal suo apparato difensivo. Un sistema, questo, che prevede più di un castello. Creati non in base ad un’unica visione difensiva della città, furono piuttosto il risultato di singole iniziative attuate nel tempo dei Longobardi e dei Normanni secondo le loro esigenze. Insieme ai tre castelli salernitani: Castello Arechi, Palazzo Arechi e castello di Terracena (di cui solo il Castello Arechi esiste attualmente, gli altri sono andati distrutti), costituivano parte integrante del sistema difensivo salernitano anche Castel Vetrano e Castel Vernieri. In località Fuorni, su un colle a circa 100 m sul livello del mare, sorge il Castel Vernieri, situato, in pratica, alla porta sud di Salerno. Tutt’oggi, percorrendo il tratto di autostrada da Salerno a Pontecagnano, si intravede a destra sulla sua collina. Su castel Vernieri non esiste alcuna notizia storica certa. Probabilmente è di origini normanne. Il Carucci, indirettamente, ne fa un accenno quando parla di “fortilizi” o “avamposti” che vigilavano sulla piana del Sele e sui borghi dell’entroterra. Struttura e dimensioni degli ambienti fanno pensare ad una residenza signorile più che ad un vero e proprio fortilizio, famoso per essere stato nel ‘200 la residenza del celebre Giovanni Da Procida».

http://www.zerottonove.it/castel-vernieri-monumento-salerno/


SALERNO (torre Angellara)

Dal sito www.salernoturistica.it   Dal sito http://arcansalerno.com

«La torre è a pianta quadrata con cinque caditoie per lato e, diversamente dalla torre della Carnale, sorge tuttora isolata. Posta ad est di Salerno, appena un po’ fuori dal centro abitato, in un contesto di periferia oggi destinato ad attività turistico-balneari, a meno di trecento metri dal mare, prende il suo nome dal luogo in cui si trova, che era denominato "Angellara", dal torrente Anguillerium che attraversa la zona e nel quale, probabilmente, si effettuava la pesca delle anguille. Questa torre non viene nominata nell’ordine di costruzione del 1563, ma sicuramente i lavori per la sua erezione furono iniziati nel 1569 e da quella data in essa risulta attivo anche il servizio di guardia del litorale. Ai primi dell'Ottocento, nella torre fu sistemato un posto telegrafico insieme con un posto di dogana, rimasto attivo fino al 1866, quando tale fortificazione fu messa in vendita con tutte le altre. Il posizionamento della torre era stato studiato ad arte per evitare ogni possibile via di accesso dalla piana di Mercatello, costringendo quindi l'invasore a spostare il proprio percorso di attacco più a sud, nell'area detta Migliaro. Torre Angellara era, insieme con La Carnale e la Crestarella di Vietri sul Mare, la più imponente fra le opere di difesa contro i Turchi erette in provincia di Salerno. Le dimensioni, decisamente maggiori rispetto al progetto tipo degli ingegneri vicereali e la posizione strategica, posta sulla spiaggia ma vicino ad una campagna fertile, lasciano supporre che fosse una torre di tipo difensivo. Nel tempo la struttura non ha subito eccessive manipolazioni, tuttavia la garitta del terrazzo è stata sostituita ed ampliata per la realizzazione di nuovi ambienti, mentre nell'area esterna adiacente fu realizzata una masseria, poi abbattuta durante il ventennio fascista per far posto alla Colonia Marina. Attualmente sulla terrazza di avvistamento della torre, dal lato terra, tre ambienti comunicanti, ricordano la stessa composizione spaziale presente a coronamento della torre della Carnale, per cui si potrebbe ipotizzare che l’aggiunta di queste stanze nelle due torri sia avvenuta nello stesso periodo, probabilmente come parte di un unico intervento di ampliamento attuato agli inizi dell’Ottocento. La torre, dopo essere stata usata per molti anni come alloggio per alcuni militari, attualmente è abbandonata ed è stata di proprietà della Marina Militare di Napoli fino al 2014 quando, grazie alle nuove norme in merito al federalismo demaniale, è stata acquisita gratuitamente dal comune di Salerno».

https://whatsuptoday.com/salerno/dealer/IvGOnHZbIe


SALERNO (torre Bastiglia)

Dal sito http://cir.campania.beniculturali.it   Dal sito http://cir.campania.beniculturali.it

«Verso il 1075, il principe longobardo Gisulfo Ii volle prepararsi a resistere all'assedio del cognato Roberto il Guiscardo che mirava all'acquisto del dominio di Salerno. All'uopo egli eresse varie torri sulle colline circostanti,tra cui quella chiamata la Bastea, sulla collina alquanto più elevata del castello, allo scopo di respingere gli assalitori alle spalle di questo. Nella seconda metà del sec.XVII lo storico Antonio Mazza ricordò questa torre appellata la "Bastea". Questa risultò non soltanto un'opera di difesa, ma anche di offesa, in quanto gli armati che la presidiavano, potevano colpire alle spalle i nemici.  La Bastiglia è un edificio isolato con pianta data dall'unione di due corone circolari. Le strutture verticali sono in muratura di pietrame». La torre è stata restaurata e, dal 2001, riaperta al pubblico.

http://cir.campania.beniculturali.it/salerno/visite-tematiche/galleria-di-immagini/A00060976


SALERNO (torre dei Ladri)

Dal sito http://arcansalerno.com   Dal sito www.facebook.com/media/set/?set=a.805026532922265.1073741937.194615993963325&type=3

«Dal periodo longobardo in poi la città è stata puntualmente aggiornata nelle sue fortificazioni, con ampliamenti murari e torri difensive. All'interno del centro storico sono oggi presenti e ben identificabili due torri, entrambe longobarde: la Torre dei Ladri, nel rione Madonna delle Grazie, e la Torre di Guaiferio, nel rione Municipio. La Torre dei Ladri si mostra in tutta la sua possanza tra i residui del muro di cinta occidentale. Della torre non si hanno molte notizie storicamente certe e le poche informazioni giunte a noi somigliano più a strane leggende che a fatti realmente accaduti. Si narra che, in epoca Longobarda, ai merli di questa fortezza venissero appesi ed esposti i corpi dei ladri giustiziati quale monito verso chi commetteva reato. I corpi erano in seguito consegnati alla Scuola Medica per essere studiati. Da questa leggenda prenderebbe il nome di Torre dei Ladri. Ancora oggi, alcuni salernitani sono convinti dell'esistenza di un passaggio segreto che la collegherebbe al Castello Arechi, risalendo i pendii del Monte Bonadies. Un'ultima leggenda riguarda la convinzione che, a partire dal XIV secolo, la torre ed i suoi sotterranei erano usati dai ladroni per sfuggire all'arresto e nascondervi dei favolosi tesori».

http://arcansalerno.com/visitsalerno/Arte/Sistema_Difensivo/Le_Torri_del_Centro_Storico.html


SALERNO (torre di Guaiferio, torre del Cetrangolo)

Torre di Guaiferio, dal sito http://arcansalerno.com   Torre  del Cetrangolo, dal sito http://cir.campania.beniculturali.it

«Torre di Guaiferio. La Torre denominata di Guaiferio è sita nel rione Municipio e prende il nome dall'omonimo principe longobardo che, nell'871, fece rinforzare le mura della città con la realizzazione di quattro nuove torri dislocate strategicamente per contrastare le continue scorrerie dei saraceni. Oggi la torre si presenta solo parzialmente agli occhi dei passanti poiché nel corso dei secoli è stata pian piano inglobata nelle nuove edificazioni. È però ben visibile l'accentuata curvatura della liscia e compatta muratura originaria a cui si è aggiunta una sopraelevazione relativamente recente, sempre circolare. Circa l'effettivo uso quale torre difensiva non vi sono opinioni concordi. ... Torre del Cetrangolo. Non sono molte le informazioni relative alla torre detta del Cetrangolo (dal nome del cetrangolo o arancio amaro, le cui erbe sono potenti digestivi oltre che antispasmodici, e di cui probabilmente sussiteva una coltivazione nell'area). L'edificio è posto nel punto in cui, secondo gli studi dello storico A.R. Amarotta, la nuova murazione longobarda intersecava le vecchie mura romane, nella zona cosiddetta Orto Magno. Oggi la torre, che nei secoli ha subito consistenti modifiche, si mostra solo parzialmente alla vista con un massicio corpo avanzato scandito da due imponenti archi affacciati sulla via dei Canapari. Anche in questo caso l'effettivo utilizzo quale torre difensiva non è unanimemente accettato nonostante l'impostazione architettonica sia riconducibile alla tipologia della torre».

http://arcansalerno.com/visitsalerno/Arte/Sistema_Difensivo/Le_Torri_del_Centro_Storico.html


SALERNO (torre Picentina)

Dal video www.youtube.com/watch?v=XkyxaXlkJsU   Dal sito http://digilander.libero.it/salernostoria

«è la prima torre a pianta circolare che si incontri procedendo da Salerno verso Agropoli. Comunemente definita Torre Picentina per via della vicinanza alle sponde del fiume Picentino, viene però ufficialmente definita, nelle fonti ufficiali più antiche, con la denominazione di Vicentino. La torre è sita al limite del comune di Salerno col comune di Pontecagnano, a monte della strada Litoranea che da Salerno conduce ad Agropoli e si configura come una struttura dal tronco conico, su pianta circolare, con otto caditoie e muretto di coronamento. La struttura è attualmente di proprietà privata ma, in quanto bene vincolato e quindi non suscettibile di modifiche, è stata lasciata in uno stato di totale abbandono con il conseguente inesorabile decadimento. Come le altre torri, compresa nel piano del 1563 ed attiva dal 1568 per la guardia del litorale, passato il pericolo delle incursioni turche, fu inizialmente destinata a posto di dogana, ma, come la Torre di Tusciano, fu abbandonata, prima del 1825, a causa della generale insalubrità dei terreni alluvionali di cui è composta la piana del Sele. Ancora oggi la torre conserva il suo carattere di isolamento, essendo contornata da un ampio terreno di pertinenza - chiuso da un cancello, bloccato da ogni genere di materiali di risulta - ma non il suo antico rapporto col mare, dal quale risulta separata non solo dalla strada Litoranea, ma anche da un complesso sportivo sito sulla costa. Con parte delle caditoie, del parapetto di coronamento e della muratura crollate, la torre di Vicentino è ancora parzialmente intonacata all’esterno. Anch’essa non può dirsi rimasta conforme all’origine, a causa delle evidenti manomissioni subìte in epoca recente, che, tuttavia, per la mancanza di documentazione, non possiamo datare con precisione. La manomissione più recente è certamente del secolo scorso e consiste in una sopraelevazione in calcestruzzo armato e mattoni che ne ha deturpato le caratteristiche peculiari e la linea sobria e leggera. Evidente nella muratura uno squarcio di notevole entità, successivamente riparato con una muratura in mattoni, probabilmente causato dall'apertura di un vano di accesso al piano terraneo che originariamente era, anche qui come in tutte le altre torri della piana, del tutto privo di collegamenti con l’esterno. Oggi tale accesso è privo di qualsiasi infisso e per il suo tramite si raggiunge un ambiente che risulta sottoposto al piano di campagna della torre di quasi un metro. Gli orizzontamenti interni sono costituiti da volte emisferiche ed all’interno una scala conduce dal primo livello al terrazzo di copertura, mentre di una scala esterna che conduceva direttamente all’accesso del primo piano si conserva solo parte della base di un piedritto di sostegno. Tale scala esterna, come per le altre torri, fu probabilmente aggiunta solo nel XIX secolo, ma verosimilmente agli inizi del XX era già crollata».

http://arcansalerno.com/visitsalerno/Arte/Sistema_Difensivo/Le_Torri_Fuori_le_Mura.html


Salitto (ruderi del castrum Olibani)

Foto di Michele Cicatelli   Foto di Michele Cicatelli   Foto di Michele Cicatelli   Foto di Michele Cicatelli

«La costruzione sorse sulla sommità dell’attuale omonimo monte Castello (m. 636 s.l.m) incastrato sapientemente tra due colossali massi rocciosi in direzioni nord- ovest-sud-est e validamente difeso da anfratti e dirupi inaccessibili ai rimanenti due lati. Le torrette avanzate lungo le mura di cinta furono ottimi osservatori su tutta la pianura sottostante. Chi ha la fortuna di visitare ed ammirare l’attuale rudere può rendersi conto che la fortezza era inaccessibile ed inespugnabile e ciò torna a vanto ed orgoglio di quelli che la edificarono. Attualmente è possibile ammirare la costruzione centrale e la doppia cinta di mura con le torrette avanzate. L’unica porta di entrata era situata ai piedi di un enorme masso roccioso, ancora ora esistente esattamente all’inizio della borgata che dalla antica porta del castello conserva il nome di “La Porta”. La costruzione di una catena di fortificazioni (Castrum, castello, roccaforte, modellati sull’esempio di quelle romane) si rese necessario sin dall’inizio del sec. IV e V in tutto il vasto territorio circostante la città di Salerno, per provvedere alla difesa della medesima. Il Castrum Olibani quindi era il naturale e necessario collegamento con quelli costruiti più al sud e cioè il Castelluccio di Battipaglia e quelli di Eboli, Capaccio, Agropoli ed altri. Assolse bene la sua funzione per l’evidente privilegiata posizione geografica.

I Saraceni ed altri popoli invasori, per lo più provenienti dal mare o dalle Calabrie, non riuscirono mai ad occupare Salerno e comunque giunsero fino ad Agropoli. Da considerare che l’attuale piana del Sele o di Salerno allora era impraticabile per le paludi e gli acquitrini, che scoraggiavano chiunque ad avventurarvisi, per i gravi pericoli e le insidie mortali per l’uomo. Il periodo più burrascoso e confuso fu certamente quello relativo alle incursioni della pirateria ed alle invasioni barbariche. Un periodo di maggiore tranquillità e stabilità si determinò dopo il rafforzamento del principato longobardo di Salerno e la successiva dominazione normanna, con l’arrivo a Salerno di Roberto Guiscardo. Sin dall’epoca del predominio longobardo il castello di Olevano fu affidato alle responsabilità della Chiesa di Salerno, che naturalmente doveva provvedere a tutte le spese del mantenimento di questa fortezza. Ma in corrispondenza dei sopradetti periodi di stabilità politica e benessere economico la Chiesa medesima riduceva le spese per l’occorrente del castello di Olevano. è interessante conoscere che la guarnigione era costituita da ventisette soldati, un castellano, ed un cappellano in tempo di pace.
Una sola donna provvedeva alla conservazione delle derrate alimentari ed alla cucina. In occasioni di immediati pericoli, conflitti esterne o stati d’allarme di varie origine il numero dei soldati saliva a quaranta, restante invariato il rimanente personale. La costruzione comunque era tanto grande ed ampia da poter ospitare tutti gli abitanti delle sottostanti borgate in casi di gravi e imminenti pericoli per le popolazioni minacciate dai nemici. In tal caso le provviste aumentavano nella misura giusta per tutti ed anche i cittadini contribuivano alla difesa del castello con compiti ben precisi ed a turni con perfetto ordine e regolarità.

Il castello e tutta la popolazione delle borgate della Valle del Tusciano, nonché le altre località vicine, furono teatro di aspre contese durante la guerra del Vespro, scoppiata nell’anno 1282 che si concluse con la pace di Caltabellotta nell’anno 1302 tra Aragonesi ed Angioini. Degna di ricordo e l’occupazione del castello di Olevano per mano di Federico II di Svevia, per conflitti e discordie sorti tra il papato e l’imperatore. L’imperatore infatti occupò i castelli di Olevano e di Battipaglia e li lasciò soltanto alla sua morte nel testamento. All’interno dei “Castra exempta”, un elenco dei castelli demaniali del Regno di Sicilia che l'imperatore Federico II, con decreto imperiale del 5 ottobre 1239 emanato a Milano, alla voce di Giustizierato di “Terre Laboris, comitatus Molisii, Principatus et Terre Beneventane” è citato anche “Olibanum”. In quel periodo il castello fu amministrato da un giustiziere di nomina dell’imperatore Federico II. Per sola curiosità riportiamo i Giustizieri che si Susseguirono nel governo del Castello di Olevano:  Pietro de Dardania; Errico de Palo; Rodoerico de Rutunda, venuto nel 1240; Ermanno, di origine tedesca; Menagoldo, di origine tedesca. All’interno del Castrum ebbe la sua residenza Hermann von Salz (italianizzato come Ermanno di Salza), fedele braccio destro di Federico II, che in effetti mori proprio nella provincia di Salerno nel 1239. Il cavaliere è considerato il fondatore dello Stato Prussiano. Inoltre, secondo le leggi in merito promulgate dall’Imperatore svevo, i castellani non potevano allontanarsi dai loro castelli di residenza. è ragionevole quindi supporre che Ermanno di Salza fu sempre nel suo castello di Olevano e se ne allontanò solo per curarsi nella vicina Salerno, sede della Prestigiosa Scuola Medica Salernitana».

(testo tratto dal volume di Crescenzo Cicatelli e Michele Cicatelli, Olevano sul Tusciano. Storia Fede Tradizioni Leggende; le foto sono a c. del dott. Michele Cicatelli)


San Cipriano Picentino (castello di Montevetrano)

Dal sito http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it   Dal sito www.comune.sanciprianopicentino.sa.gov.it

«Il territorio comunale si apre a Sud dalla collina di Montevetrano. Alla sommità della motta si erge il Castello omonimo, presidio d’osservazione per l’accesso alla Valle del Picentino. Castrum romano sin dal III secolo a. C., tra l’XI ed il XII secolo venne dotato di mura perimetrali, aperte sul lato nord dall’antica porta di accesso».

http://www.comune.sanciprianopicentino.sa.gov.it/client/scheda.aspx?scheda=970&stile=1&ti=1


San Giovanni di Stella Cilento, castello o palazzo Vassallo)

Dal sito www.cilentoregeneratio.com   Dal sito www.facebook.com/ilcastello.palazzovassallo?fref=photo   Dal sito www.tripadvisor.it

«Il Palazzo Vassallo, adagiato nel comune di Stella Cilento, si trova in una delle più suggestive cornici dell'entroterra campana. Esso, con portale in pietra e piccole torri, detto dal popolo "il Castello" per la posizione strategica a difesa delle abitazioni poste all'ombra della sua imponente mole, fu, nel finire del XVIII secolo, assegnato alla famiglia Ventimiglia dalla Regia Corte con una vendita all'asta. In seguito, da una discendente di questa famiglia, fu portato in dote il solo castello per il matrimonio con Giuseppe Vassallo. Il nucleo storico del palazzo è costituito da più corpi che mostrano alcune singolarità come la presenza di una torre d’angolo, di chiara impronta tardo rinascimentale, contraddistinta da coppi e da finestre ad arco sui lati, oggi ospitante una sontuosissima camera che permette agli ospiti di rivivere le magiche sensazioni tipiche dell’ epoca seicentesca. è inoltre di inestimabile valore anche l’autentico portale in legno castagno che si trova nella corte del palazzo e che conduce alle celle e al frantoio. All’interno della struttura, ritroviamo poi, affreschi, stucchi ed arredi di ottima fattura. Tra questi risulta essere di rilevante importanza il suggestivo altare seicentesco nascosto in quello che sembrerebbe un imponente armadio dell’ epoca, dove è possibile celebrare ancora tutt’ oggi messe, matrimoni e battesimi. ...».

http://www.cilentoregeneratio.com/it/aziende/bb-residenza-depoca-il-castello


San Gregorio Magno (resti della torre di San Zaccaria)

Dal sito http://digilander.libero.it/apdiet   Dal sito http://digilander.libero.it/apdiet

«Il paese è situato nell'Alta Valle del Tanagro, al confine con la Basilicata ed è raggiungibile uscendo al casello di Sicignano degli Alburni e Contursi Terme dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, dalla quale dista circa 15 Km. Il luogo dove sorge ora S. Gregorio Magno apparteneva in epoca romana al territorio di Volcei, l'odierna Buccino. Siamo all'interno dell'antica Lucania. Il paese sorge verso la fine dell' XI secolo, come piccolo nucleo abitato da contadini che si erano spostati per mettere a coltura nuovi terreni tant'è che già nell'undicesimo secolo ebbe ufficialmente i Capitoli e gli Statuti. La prima notizia diretta su San Gregorio Magno, accertabile attraverso le fonti documentarie, rimane il privilegio dell'11 novembre 1200 concesso da Papa Innocenzo III all'arcivescovo di Conza Pantaleone, con il quale il pontefice confermava e sanzionava la circoscrizione dell'arcidiocesi elencando tutte le terre, abbazie e chiese in essa comprese. Dai ricostruiti registri della cancelleria angioina risulta che S. Gregorio, seguendo la sorte di molte città e terre demaniali date il feudo da Carlo I ai cavalieri francesi che lo avevano aiutato nella conquista del regno, fu assegnato a Gilles de Blémur. La data della concessione può essere collocata nel periodo compreso fra la fine del 1268 e la metà del 1272. La lunga guerra fra gli Angioini e gli Aragonesi, scoppiata con i Vespri Siciliani del 1282, coinvolse anche S. Gregorio, che fu obbligato a contribuire al vettovagliamento dei soldati del re Carlo con il versamento giornaliero di una salma di frumento e di una di grano. Il Comune si sarebbe in seguito accresciuto per l'emigrazione della popolazione proveniente dal vicino villaggio di San Zaccaria, distrutto nel 1429. Dal 1568 e fino al 1678 i feudatari del paese furono i Caracciolo duchi di Sicignano, legati all'Impero Borbonico. Nel 1700 subentrò, come unico erede della duchessa di Sicignano Ippolita Caracciolo, il pronipote Carlo Tocco, principe di Montemiletto. Gli anni immediatamente successivi videro lo smembramento dell'antico patrimonio feudale: San Gregorio - insieme a Sicignano, S. Licandro e Cardile - fu acquistato dal duca di Cannalonga Giacinto Falletti e da questa famiglia passò per successione nel 1774 a Giuseppe d'Anna, duca di Laviano e ultimo intestatario del feudo, il quale sostenne il marchese Giuseppe Marchione di Valva, cubicato regio, nell'affidamento e nella costruzione della Via del Grano voluta da Ferdinando IV di Borbone (la strada è ancora oggi percorribile)».

http://www.gruppofolkgregoriano.it/un_po_di_storia.html (da http://www.comune.sangregoriomagno.sa.it/index.php?action=index&p=76)


San Severino Cilento (borgo, torre, castello, palazzo baronale)

Il palazzo baronale, dal sito www.nobili-napoletani.it   Dal sito www.parks.it

«San Severino di Centola, nel basso Cilento, è un borgo medievale abbandonato situato sulla sommità di un colle costituito nella sua struttura da rocce calcareo-scistose, con la cima bipartita da una sella, la quale divide in due zone l'insediamento in cui si distinguono i ruderi del castello e della chiesa, dall'area in cui vi sono le abitazioni abbandonate dai cittadini. Il colle ha la parete nord-est che si erge a strapiombo dalla riva destra del fiume Mingardo (che solca la "Gola del Diavolo"), mentre dalla riva sinistra si erge il monte Bulgheria che ha preso il nome dai mercenari bulgari guidati dal duca Altzek che giunse in Italia con le sue truppe, dapprima nel Molise e poi anche a Paestum e Policastro, nel VII secolo. Il borgo era noto come "San Severino de Camerota", di cui fu casale per un lungo periodo, mentre dopo il 1861 prese l'attuale denominazione di San Severino di Centola. Il casale conserva ancora i caratteri architettonici del borgo medievale che si è adattato al luogo e "si affaccia sul fiume Mingardo, come un'appendice del castello; esso appare congelato nella sua minima dimensione, perché le condizioni dei luoghi non consentivano altro sviluppo". Lo sviluppo successivo del villaggio conserva tracce dei periodi longobardo, angioino, aragonese, del Seicento, del Settecento e vi sono tracce più marcate dell'Ottocento, mentre le tracce della prima metà del Novecento sono legate all'ultimo periodo di vita di San Severino con l'abbandono da parte degli abitanti e alla sua progressiva "distruzione". Non c'è dubbio che il colle venne scelto per la sua posizione strategica di difesa e di controllo del territorio, per la facilità di collegamento visivo dei propri sistemi difensivi con gli altri presenti nella zona. Infatti i due strapiombi rocciosi che si affacciano sulla "Gola del Diavolo" rendevano, prima la torre quadrata e poi il castello, inaccessibili da due lati, mentre gli altri passaggi erano salvaguardati dalla cortina di abitazioni che erano costruite in maniera tale da costituire una barriera simile a quella delle mura, le quali considerata la morfologia del luogo che non forniva spazi ampi per effettuare delle manovre militari di attacco, potevano essere sostituite dalla cortina edilizia, con il lato esposto verso la vallata con poche e piccole aperture, per cui l'abitato stesso costituisce "lo Muro", il limite fisico tra la residenza e la campagna, realizzando un sistema difensivo mimetizzato dalle abitazioni. Comunque al termine del regno della dinastia aragonese, quando il Mezzogiorno d'Italia dopo un breve periodo di divisione tornò ad essere unito (1504) sotto il dominio della monarchia spagnola, in alcuni documenti della prima metà del XVI secolo, viene segnalata la consistenza delle opere fortificate nella provincia di Salerno e apprendiamo che San Severino di Camerota aveva "muros buenos y castillo fuerte al pié de la tierra en una rocca", di cui non restano tracce sufficienti che rendano leggibile la loro forma originaria. Comunque delle zone più esposte erano fortificate, infatti nelle relazioni degli "stadi d'anime" del Settecento una zona del borgo viene censita con la denominazione "ubi dicitur lo Muro". Il complesso più antico, costruito nella zona più alta e arroccata del colle sullo strapiombo della "Gola del Diavolo", probabilmente risale al X-XI secolo. ...

Della torre longobarda ci sono pervenuti solo pochi resti, con tracce di una piccola volta a botte, dalla quale attraverso un passaggio sottostante, raggiungibile solo attraverso scale mobili, si accedeva a un recinto murato quadrangolare con i lati lunghi quattro metri, da cui sicuramente si dipartivano i passaggi per accedere ai piani superiori. La torre di San Severino venne costruita sull'estremità del colle verso il monte Bulgheria e la Valle del Mingardo, l'altezza effettiva non è nota, ma era sicuramente tale da controllare tutte le vie di comunicazione sia verso l'interno che verso il mare. Non si conosce la data di fondazione del Castello, si può fare un'ipotesi legata alle notizie storiche degli eventi che sono intercorsi nell'area cilentana. Il principe Gisulfo II, nel 1054, nominò conte di Policastro Guido - per coordinare meglio le difese in una zona di frontiera - il quale da esperto guerriero comprese subito che sul colle di San Severino la sola torre era insufficiente e probabilmente iniziò la costruzione di un castello. Del castello rimangono ancora alcuni archi a sesto acuto, costruiti con la pietra locale, è visibile la sala del castello e nelle mura superstiti della sala si conservano ancora una nicchia e delle monofore ogivali sul lato sud-ovest. Nei pressi della torre, vi sono resti che fanno supporre la presenza di una porta, di cui resta un cenno di androne e, all'interno, la muraglia si amplia in uno spazio per il presidio, per i servi, per il bestiame e per riunirvi gli abitanti del borgo in casi di emergenza. Non ci sono elementi che fanno ipotizzare la tipica presenza di un "maschio" ritenuto superfluo per la presenza della torre longobarda. Venuta a mancare ogni importanza strategica del colle, la torre ed il castello vennero abbandonati, dando così inizio alla loro decadenza. Sulla Gola del Diavolo si affaccia un piano roccioso su cui si trovano i resti della chiesa, dedicata a Santa Maria degli Angeli, con abside pentagonale e ad unica navata, ampliata nelle dimensioni attuali presumibilmente nel XV secolo. Farebbe parte di un complesso più antico, come testimonia il campanile, a base quadrata che, addossato alla facciata in maniera innaturale, risulta chiaramente di costruzione precedente all'attuale chiesa, insieme alla camera sepolcrale interrata ...

Il Palazzo Baronale è l'edificio di architettura civile più importante del borgo. È stato abitato fino agli anni Cinquanta e l'impianto originario occupava gran parte dell'attuale piazzetta Santa Maria degli Angeli. Lo sviluppo dell'edificio ha portato nel tempo al congiungimento di due edifici distinti; l'edificio che si affacciava sull'attuale piazzetta era l'edificio più antico di cui è pervenuto a noi solo una metà che si congiunge all'altra unità edilizia con un corpo-cerniera rettangolare chiaramente leggibile sia nella forma che nella tessitura muraria. Il palazzo si sviluppa su tre livelli senza collegamenti verticali ed è articolato secondo una rigida gerarchia che pone al livello seminterrato il frantoio (nei locali vi sono ancora le macine in pietra) e i locali di servizio; al primo livello ci sono due unità abitative, l'una con l'ingresso lungo le scale che scendono sul lato est del palazzo e l'altra con l'ingresso da via San Severino che presenta il lato ovest semi diruto in seguito alle demolizioni che gli abitanti di San Severino decisero di fare per costruire una piazza più ampia. Al secondo livello, il piano nobile del palazzo, c'è un'unica unità abitativa che presentava un modesto portale in pietra locale (ne resta solo metà) e le soglie delle finestre in arenaria finemente decorate. L'edificio è il più imponente dell'intero borgo che si impone per la sua mole e rappresenta un fuori scala nell'economia delle altre costruzioni presenti nell'abitato».

http://www.cilentocultura.it/cultura/severin/severin1.htm


Sant'Angelo a Fasanella (castello baronale)

Dal sito www.webcilento.com   Dal sito www.parks.it   Dal sito http://phasanella.altervista.org

«Giungendo a Sant'Angelo si nota immediatamente lo sperone roccioso che emerge con evidenza, con le caratteristiche laminazioni del calcare locale, rocca naturale sulla quale sorge il castello baronale, isolato e ormai abbastanza malridotto dopo il terremoto del 1980. Il castello, quasi al centro dell'abitato attuale, si estende occupando la parte preminente dell'abitato più antico, lasciando ai suoi margini solo poco più che delle ripide scarpate, in gran parte inaccessibili. L'edificio utilizza, insomma, la quasi totalità della superficie disponibile, avendo all'ingresso una vasta corte esterna di forma trapezoidale, che costituisce il 'guasto' o largo del castello, a fini di difesa, tipica di tali strutture soprattutto nella loro più antica organizzazione. Poiché la superficie disponibile sulla terrazza naturale non consentiva lo sviluppo con corpi di fabbrica estesi sui quattro lati, il fabbricato fu articolato già in origine, prima delle modifiche successive, come una L rovesciata fortemente allungata, il cui braccio maggiore seguiva il bordo meridionale del pianoro, mentre il braccio minore, cui si affiancarono corpi di fabbrica secondari, fronteggiava il paese verso sud ovest, dove - sotto la ripida scarpata naturale - un breve spazio destinato ad orto e uliveto costituiva un'altra piazza a ridosso delle basse mura meridionali. Le corti avevano perciò una configurazione parzialmente aperta verso nord, dove la forte pendenza e gli strapiombi della roccia rendevano l'accesso molto difficile. L'edificio attuale conserva solo limitatamente l'aspetto di quello che doveva essere l'antico impianto, poiché già ai primi del Cinquecento subì trasformazioni per adeguarlo alle nuove esigenze residenziali. Nella facciata meridionale verso valle, corrispondente al lato più lungo del fabbricato, si riconoscono le tracce di importanti trasformazioni subite dall'antico edificio nel corso dei secoli; in particolare una notevole variazione nella disposizione e nel numero delle aperture, originariamente più piccole, corrispondente alla successiva destinazione a palazzo patrizio, già verosimilmente alla fine del XVI secolo.

Di rilevante interesse urbanistico è l'insediamento della chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, su di uno sperone naturale accanto al castello, posta quasi di fronte all'ingresso della prima corte. Qui si spezza l'antica via della Chiesa o via Roma per riprendere più giù, con le prima case dell'antico abitato subordinato al castello, dove la strada conserva ancora il toponimo medioevale di "via piedi la terra". La conferma della posizione centrale e dominante del castello viene dall'estensione del territorio che lo circonda, ancora in parte munito di mura e resti di torri, come verso la via comunale dei "Iardini", altro toponimo che ricorda le sistemazioni a terrazze ortive di questo lato del paese e del terreno competente al castello. Tornando alla configurazione della fabbrica, è evidente la sua organizzazione a corti successive, rispetto alle quali era ancora possibile, per tutto l'Ottocento, se necessario, apprestare una difesa costituita da sbarramenti successivi, prima di giungere alla scala che conduce agli appartamenti. Di tale organizzazione difensiva è oggi visibile soprattutto la torre angolare, ancora provvista di saettiere e mensole delle caditoie, ma priva del coronamento della merlatura; altre saettiere si riconoscono lungo il muro perimetrale sul prospetto orientale, raggiungibili un tempo con passerelle in legno oggi scomparse, ma di cui si notano ancora i fori d'imposta. Il castello attuale deve la sua costruzione al ripristino del potere feudale nella zona, dopo che Federico II di Svevia - in seguito alla congiura di Capaccio, cui parteciparono Pandolfo e Riccardo di Fasanella - ebbe raso al suolo molti dei villaggi della baronia, e certamente quindi anche la sede fortificata di Fasanella, posta su di una collina a circa due chilometri dalla sede attuale. ...».

http://phasanella.altervista.org/index.php/castello.html (da L. Kalby, Il feudo di Sant'Angelo a Fasanella, Edizioni Elea Press)


Sant'Angelo di Campagna (castello de Alegisio)

La collina su cui sono i ruderi del castello, foto di Liberotag73, dal sito it.wikipedia.org   La collina su cui sono i ruderi del castello, foto di Liberotag73, dal sito it.wikipedia.org

«Il castello de Alegisio è stato un castello medievale ubicato in località Sant'Angelo del comune di Campagna, in provincia di Salerno. L'edificio, di origine longobarda (X secolo), è citato per la prima volta nella Ricognizione dei beni appartenenti alla chiesa e all'arcivescovato salernitano, fatta ad istanza dell'arcivescovo Romoaldo II del 1164. In tale data la rocca viene descritta già come rudere. Sorgeva presso un contrafforte roccioso del Monte Ripalta, sul versante meridionale, nei pressi del tracciato della medievale strada campanina che collegava Eboli a Campagna, a monte del piccolo casale Sant'Angelo e sicuramente aveva lo scopo di controllare la sottostante Piana del Sele e in particolare il territorio limitrofo denominato locus Furano. Chi fosse tale Alegisio, non esistono fonti o documenti che ne diano notizie. Il castello si sviluppa lungo un crinale, a diverse quote di livello a 350 m/slm circa. Sono visibili i ruderi di un edificio, presumibilmente una torre, quadrangolare con perimetro di 24 m, realizzato con pietre irregolari calcaree e laterizi».

https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_de_Alegisio


Santa Maria di Castellabate (palazzo Belmonte)

Dal sito www.historytraveller.com   Dal sito www.cilentiamoci.it   Dal sito www.palazzobelmonte.com  

«Palazzo Belmonte è una residenza storica risalente al XVII secolo. La dimora fu realizzata per volere del principe di Belmonte e marchese di Castellabate che eresse questa lussuosa residenza sulla marina di Santa Maria di Castellabate. Per oltre quattro secoli la residenza è appartenuta alla famiglia Granito Pignatelli. Alle spalle del palazzo si trova un immenso parco che si estende per circa cinque ettari e che fu riserva di caccia del principe di Belmonte e negli anni ha ospitato re di Spagna e quello d'Italia per battute di caccia. Recentemente il principe di Belmonte, che ancora oggi abita un'ala privata del palazzo, ha aperto le porte della residenza storica a coloro che sono in cerca di un raffinato ed esclusivo soggiorno in un'area di grande interesse naturalistico. Non è un caso che Palazzo Belmonte sia compreso nei confini del Parco Nazionale del Cilento. Il tratto di costa con suggestivi scenario naturali e, soprattutto, un mare limpido e cristallino che si può fregiare del riconoscimento della Bandiera Blu. Gli ambienti del palazzo ospitano oggi camere e suite in cui rivive il fascino e la storia degli antichi ambienti. Ampi spazi, soffitte a volte, oggetti e antichi mobili, decorano le camere in cui sono stati inseriti tutti i moderni comfort, senza alterare il contesto storico originario. I terrazzi delle camere si affacciano sul giardino, sul parco, sulla corte interna, sempre adorna di fiori e sul mare del Cilento. Gli ospiti di Palazzo Belmonte possono alloggiare sia nel Palazzo Principale, sia nella Palazzina "Edoardo", uno splendido gioiello architettonico del Seicento in cui è stato ricavato un esclusivo e lussuoso appartamento. ...».

http://www.historytraveller.com/it/c/palazzo-belmonte


Santa Maria di Castellabate (torre Perrotti o Pagliarola, e altre torri)

Dal sito www.torreperrotti.it   Dal sito www.cilentocasavacanze.it   Dal sito www.facebook.com/pages/Torre-Perrotti/

«Sono diverse le torri costiere dislocate su tutto il territorio che fanno parte del sistema difensivo predisposto a Castellabate per avvistare le imbarcazioni saracene che si avvicinavano alla costa con l'intento di depredarla o conquistarla e offrire alle popolazioni locali così una prima difesa da possibili invasori. Tra queste, quella meglio conservata è la torre normanno-aragonese della "Pagliarola" (meglio conosciuta in loco come "Perrotti"), che accorpata a "palazzo Perrotti" domina la Marina Piccola di Santa Maria. L'origine viene fatta risalire nell'epoca medievale, ma è stata ulteriormente potenziata negli anni 1570-71. È costituita da una torre a pianta circolare, circondata da una torre più bassa di epoca successiva. Questa opera aveva il compito di difendere gli scambi commerciali che avvenivano in via Pagliarola grazie alla presenza del porticciolo "U Travierso". Le postazioni di avvistamento più antiche, risalenti al periodo angioino, di cui restano visibili quasi esclusivamente i ruderi, sono la torre costiera duecentesca "di Tresino" (1277), collocata nei pressi di punta Tresino, e quella "di Licosa", contemporanea alla precedente. Nel periodo 1567-69 fu costruita la torre "Cannitiello" detta anche "Mezzatorre", presso Licosa, nel 1569 quella "di Ogliastro" o "di Ogliarola" nella punta di Ogliastro Marina, nel 1570 l'altra di avvistamento, posta sulla collina di Licosa e detta "Torricella" o torre "del Semaforo". Dello stesso periodo, caratterizzato dalla presenza aragonese, è anche la torre "dei Zappini" sempre collocata a Tresino, nei pressi di punta Pagliarola. Alla fine del 1592 risale la realizzazione adiacente alla spiaggia di Casa del Conte della torre "della Marina di Ogliastro", detta anche "dell'Arena" o "delle Ripe Rosse", rientrante nel territorio comunale di Montecorice. Tutte queste postazioni, situate in importanti punti strategici dove poteva essere meglio perlustrato tutto il litorale, comunicavano con segnali di fumo o di fuoco tra loro e con l'abitato sul colle di Castellabate, dove la popolazione nel caso vi fosse l'arrivo di nemici dal mare chiudeva le porte del paese e si rifugiava all'interno del Castello dell'Abate».

http://viaggi.virgilio.it/guide_di_viaggio/europa/italia/campania/castellabate/storia.html


Sarno (palazzo baronale o palazzo Napoli)

Dal sito www.lodis.org   Dal sito www.comune.sarno.sa.it

«Il palazzo ex-baronale (ora Napoli) fu eretto dalla famiglia Tuttavilla, feudatari della città per tutto il ‘500 ma l’aspetto attuale risale al radicale rimaneggiamento eseguito nel primo ’800, quando l’edificio, che ospitava anche alcuni locali dell’Università, passò, con parte delle costruzioni della piazza, dall’ultimo feudatario, Luigi de’Medici, ai proprietari della filanda (all’interno, resta ancora l’abitazione dell’ultimo direttore della Filanda, il cav. Napoli); il palazzo ha una pianta ad "U", con un giardino antistante con fontana e pensilina sull’ingresso di stile "liberty", proveniente da un albergo napoletano. Si è sempre favoleggiato della preesistenza di una domus imperialis di età romana, suggerita forse dalla presenza di resti dell’antico Acquedotto Claudio (in parte ancora visibili) nel giardino del palazzo ai piedi del quartiere di Terravecchia. Il Rivo Palazzo sgorga proprio presso la costruzione (da cui prende il nome): alla sua sinistra, presso l’attuale acquedotto comunale (oggi la sorgente, detta della Pesa, è a secco); a destra, formando un piccolo laghetto presso un giardino all’inizio di via de’Liguori, dominato da un terrazzo del palazzo, retto da un arcata appoggiata sullo sperone di roccia».

http://www.lodis.org/sarno14.htm


Sarno (resti del castello di Arechi II)

Dal sito www.comunesarno.it   Dal sito www.lodis.org

«La nascita del castello e della città di Sarno determinò la fortificazione del colle su cui essi erano sorti. La cinta muraria, di cui restano ancora notevoli brani, è di forma triangolare, con il fronte che corre sul terrazzo principale di San Matteo (il camminamento delle mura deve corrispondere alla via principale del quartiere) e che doveva essere in parte appoggiato sui resti degli archi dell’acquedotto romano (di cui sembrano scorgersi tracce). In essa si dovevano aprire varie porte; si conserva, presso la torre c.d. "normanna", una delle principali, che collegava la città con il Borgo; un’altra è localizzabile nell’angiporto sotto la chiesa di San Matteo e conduceva verso la Tabellara e Salerno. Ben conservato è il lato sinistro delle mura, con una doppia torre quadrangolare (ritenuta normanna ma forse risalente al sec. XIV) all’inizio e altre torri circolari che si inerpicano lungo il monte fino al castello, un esteso complesso, che oggi si trova tutto allo stato di rudere al sommo della collina del Saro, in un luogo di difficile accesso da cui si controlla tutta la valle e la zona di Episcopio. Fu eretto in età altomedievale insieme ad un piccolo insediamento di abitazioni, che è stato poi abbandonato quando la città si è insediata più a valle. Del nucleo centrale restano le mura perimetrali e la piazza d’armi poco riconoscibile (nel complesso insisteva anche un mulino); poco distanti due torri aragonesi (sec. XV), una isolata e più in alto del castello, detta ‘orsina’ (perché voluta dagli Orsini), l’altra in basso e collegata al castello da un lungo muro, che costituiscono l’ulteriore difesa creata nella parte più sguarnita del complesso, quella verso Nocera, costruite qualche decennio prima del definitivo abbandono della postazione, avvenuto alla fine del ‘400, quando il complesso, che aveva ospitato uno dei maggiori fautori della "congiura dei baroni", il conte di Sarno Francesco Coppola, fu rovinato per ordine del re».

http://www.lodis.org/sarno13.htm


Scala (resti del castrum Scalellae e del castrum Scalae Maioris)

Ruderi del castrum Scalellae, dal sito www.ulyxes.it   Scala, dal sito http://palazzomansi.it

«Situato a circa 400 metri s.l.m., Scala è il paese più antico della Costiera Amalfitana. Scala è costituita da sei contrade il cui punto accentratore è costituito quasi sempre da una chiesa: Centro, Minuta, Pontone, Campidoglio, Santa Caterina e San Pietro. Il toponimo Scala deriverebbe dalla conformazione del terreno, quasi tutto in pendio e coltivato a gradini, interno alla vallata scavata dal torrente Dragone. ... Scala era facile da proteggere ma molto difficile da espugnare: addossato a monti alti e scoscesi, il paese è protetto ad est dal promontorio di Ravello. Nel corso della massima espansione della città di Amalfi, poiché non era possibile creare nuovi rioni o borghi nei pressi immediati della città, gran parte della popolazione in eccesso si stabilì nei paesi satelliti, di cui il principale era Scala. Nel Medioevo fu uno dei principali baluardi del territorio amalfitano. Venne distrutta nel IX secolo e fu interamente ricostruita e fortificata, passando così a un periodo di grande prosperità concomitante con lo splendore di Amalfi. Un antico documento di Carlo D’Angiò rende nota l’esistenza di due castelli nel territorio scalese: il primo, del quale restano tracce su una vetta ad oltre 1000 metri di altezza, era denominato castrum Scalae Maioris, e l’altro, i cui resti sono ancora visibili nella frazione chiamata Pontone, era detto castrum Scalellae. Fu sede vescovile dal 987 al 1818. ... Nel 1073, dopo un lungo assedio, fu incendiata da Roberto il Guiscardo; subì, poi, saccheggi e distruzioni ad opera dei Pisani, delle truppe di Ottone Brunswich (1210) e dei Siciliani dopo il famoso Vespro (1283). Scala aveva al pari di altre città del regno un sedile di gente patrizia illustre e distinta. In essa vi erano ascritte le nobilissime famiglie D’Afflitto, Sasso, Bonito, Coppola, Imperatore, Alfano, Mansella, Bonello etc. ... Verso il XIV secolo la nobile e ricca famiglia Frisari ampliò a sue spese nel centro abitato la attuale cattedrale a tre navate in onore di San Lorenzo martire, protettore di Scala, con il prospiciente palazzo vescovile, oggi Palazzo Mansi. Le continue rivalità e guerre tra le famiglie patrizie di Scala e tra queste e quelle di Ravello, insieme alla peste del 1528 portarono ad un periodo di decadenza di questa città opulenta e nobilissima. Scala riacquistò popolarità nel Settecento ed Ottocento quando divenne una tappa obbligata del Grand Tour in voga tra gli intellettuali di quell’epoca soprattutto per i suoi paesaggi e le sue numerosissime chiese. Ancora oggi questi paesaggi sono indescrivibili: salendo su a Contrada Campidoglio si arriva ad una scalinata che sale verso il punto più alto della montagna, offrendo uno scenario strepitoso su Amalfi».

http://palazzomansi.it/storia-breve-di-scala/


SERRE (palazzo ducale)

Foto di Giovanni Grieco, dal sito www.panoramio.com   Dal sito www.tecnobuildingsrl.it

«Il Palazzo Ducale sorge nel sito occupato in epoca medioevale da un castello. Durante la metà del XVI secolo, quando Serre cessò di essere contea di Chiazzo, i de Rossi, divenuti duchi di Serre, stabilirono nel palazzo la loro dimora. La pianta del Palazzo, che ricalca quella del castello medioevale sul quale è stato fondato, si compone di due ali che, unendosi ai muri di cinta urbani, formano un impianto di tipo quadrangolare, con cortile centrale, dove tutt’oggi si conserva un pozzo in pietra. Ascrivibili al XVI secolo sono due portali che danno accesso al palazzo da piazza Cucci n. 2 e da piazza Mazzini. Entrambi in pietra calcarea locale, presentano morivi floreali alla base e all’imposta con l’arco, che reca in chiave l’effigie dei de Rossi».

http://www.aracneeditrice.it/pdf/9788854804227.pdf (Chiara Ingrosso, Architetture del Rinascimento nel territorio di Salerno. Cilento e Vallo di Diano, Aracne editrice 2006, estratto)


Sicignano degli Alburni (Castello Giusso)

redazionale


Teggiano (castello Macchiaroli o dei Sanseverino)

redazionale


TERRAVECCHIA (borgo fortificato, resti del castello)

Foto del Comune di Giffoni Valle Piana, dal sito www.flickr.com   Foto del Comune di Giffoni Valle Piana, dal sito www.flickr.com   Foto del Comune di Giffoni Valle Piana, dal sito www.flickr.com   Particolare del borgo di Terravecchia, dal sito http://viaggi.ciao.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Antonio Rinaldi (https://www.facebook.com/antonio.rinaldi.505). I ruderi del castello prima del restauro-ricostruzione in corso (2016).   Foto di Antonio Rinaldi (https://www.facebook.com/antonio.rinaldi.505). Il lato nord del castello in corso di restauro-ricostruzione.   Foto di Antonio Rinaldi (https://www.facebook.com/antonio.rinaldi.505). Il lato sud del castello in corso di restauro-ricostruzione.

«Il complesso fortificato di Terravecchia è situato nella Valle Picentina nel Comune di Giffoni Valle Piana, a circa 3 Km dal centro e a 20 Km da Salerno. É la frazione più piccola di Giffoni, ha solo 51 abitanti ed è situata sul cocuzzolo di una collina, un’oasi di tranquillità immersa in uliveti secolari, circondata da antichi luoghi di culto, viuzze strettissime, scalinate con muri a secco, sentieri che si incrociano e si inerpicano verso il Castello o che scendono giù lungo il fianco del colle fino a Giffoni, come il “sentiero della Stampella”. Il Borgo medievale e il Castello, le cui origini risalgono all’anno Mille, rappresentano un complesso urbanistico di rilevante importanza storica, culturale e architettonica. Oggi, dopo l’attento ed accurato recupero, questo complesso costituito da edifici in pietra rientra a pieno titolo tra i borghi medievali più belli d’Italia. Il Castello risale al XII sec. ma è sicuramente realizzato su un precedente presidio romano del 146 a.C., domina il Borgo con le sue cinte murarie di cui la prima, merlata e ben conservata, è lunga oltre 200 metri e tratti di cortine merlate con feritoie e 14 torri. Dopo la caduta dell’Impero romano, Terravecchia fu dimenticata fino al 1240 quando Federico II di Svevia re di Sicilia ne fece la propria residenza per circa un anno, dopo averne ordinato il restauro. ... In seguito al restauro. il Castello assunse la doppia funzione, così come voleva il sovrano svevo, di castrum e domus ovvero residenza e dimora ideale per la caccia. Il Castello e le mura sono attualmente oggetto di un’opera di totale recupero e ristrutturazione ed è proprio dalle mura che si gode di una magnifica vista della vallata circostante e dei monti e, nelle giornate più limpide, del mare.

Terravecchia ha le caratteristiche prevalenti di un borgo fortificato di tipo rurale. All’interno del Borgo sono ubicate le due Chiese di S. Leone e S. Egidio, entrambe risalenti al XI sec., quest’ultima conserva affreschi tardo trecenteschi di particolare bellezza. La viabilità è costituita da gradonate e stretti vicoli, caratteristici del tipico impianto urbanistico medievale e che conservano l’originario selciato in pietra locale. Tutte le case a Terravecchia avevano ed hanno una tipologia costruttiva identica: rispondente alle esigenze abitative dell’epoca. Anticamente, infatti, ogni famiglia dimorava in questi fabbricati ma viveva a valle, dove coltivava la terra e allevava animali, per poi a sera ritornare a casa con i propri armenti. Da queste esigenze nasce la casa agricola di un borgo medioevale: autonoma, quasi una fortezza nella fortezza; con tutti i servizi, le cantine, i forni, le stalle e le cisterne per la raccolta di acque meteoriche collocati al piano terra. Il lato est di Terravecchia, quello più abbandonato, dal 2000 è stato oggetto di un enorme intervento di ristrutturazione con 8 edifici interamente recuperati, dai quali sono stati ricavati 25 appartamenti, per un totale di 90 posti letto. Ciascun appartamento è stato concepito ed arredato nel rispetto della tradizione, unendo ricercate pavimentazioni in cotto con il calore del legno e i colori della ceramica vietrese. Tutti gli edifici sono coperti da un sistema wireless che permette la connessione ad internet da ogni angolo del Borgo».

http://www.borgoterravecchia.it/it/il-borgo


Torchiara (palazzo baronale de Conciliis e palazzi gentilizi)

Palazzo baronale de Conciliis, dal sito www.cilentoregeneratio.com   Palazzo baronale de Conciliis, dal sito www.torchiaraturismo.it   Palazzo Torre, dal sito www.torchiaraturismo.it

«Palazzo Torre. Al centro del borgo antico di Torchiara si possono ammirare le linee particolarmente originali di questa dimora gentilizia, ricostruita nel XIX secolo sopra un impianto decisamente più antico. Suo elemento caratteristico è l’imponente torre merlata, a pianta quadrangolare, che si vuole inglobi ciò che rimane di una delle antiche torri che circondavano il paese. Palazzo Pavone. Anch’esso situato nel centro storico di Torchiara, fin dal Settecento ospitò una fra le famiglie più in vista del paese. L’edificio ha pianta rettangolare, con un’ala sporgente verso l’interno. Il portale d’ingresso reca ancora lo stemma di famiglia, con l’immagine di un pavone adagiato su tre monti. Durante il periodo mussoliniano, palazzo Pavone fu sede della Casa del Fascio. Oggi ospita un elegante ed accogliente Bed and Breakfast. Palazzo Bilotti. Altra affascinante e antica dimora gentilizia è palazzo Bilotti, risalente a un periodo tra Settecento e Ottocento. Particolarmente pregevole il portale in bugnato con arco a tutto sesto. Palazzo baronale de Conciliis. Continuando verso Copersito, si giunge al palazzo dei baroni de Conciliis, che ebbero a lungo la signoria su queste terre. L’edificio, risalente al Cinquecento, presenta una struttura quadrangolare, con cortile interno, arricchita da due torri: una quadrata, l’altra – una volta adibita a luogo di prigionia – di forma circolare. La corte e molte delle camere presentano importanti decorazioni in ceramica. Il grande salone al primo piano dell’edificio è ornato da affreschi e da un sontuoso soffitto a cassettoni decorato. Nel 1980, per volontà del barone Nicola, palazzo de Conciliis fu donato al Comune di Torchiara, con l’obbligo per quest’ultimo di restaurare la struttura e di destinarla ad attività culturali e sociali. Palazzo de Feo. Anche la frazione Copersito, distante poco meno di due chilometri dal centro di Torchiara, è ricca di antiche dimore gentilizie, come l’ottocentesco palazzo de Feo, costruito da Salvatore de Feo per la propria consorte nella seconda metà dell’Ottocento. Palazzo Siniscalchi. Risalente al XVII secolo, si vuole sia stato edificato nel luogo dove una volta sorgeva un’antica torre appartenente alla famiglia Galano. L’antico oratorio di famiglia si caratterizza per un pregevole pavimento in ceramica vietrese. Palazzo Albini. è in località Fontana Vecchia di Copersito, ed oggi è stato trasformato in struttura ricettiva dai discendenti della famiglia che lo edificò agli inizi del Settecento. Particolarmente interessante l’antica cappella, intitolata alla Madonna dell’Acqua Santa, come devozione per il ritorno di Andrea Albini dalla campagna napoleonica di Russia. Palazzo Mangoni. Sorge in posizione elevata, circondato da un ampio parco con torre piccionaia. Particolarmente elegante la facciata, con una bella balconata ornata da busti marmorei. La cappella di famiglia conserva una preziosa tela della Vergine».

http://www.torchiaraturismo.it/?page_id=105


Torchiara (torre Mangoni)

Dal sito www.torchiaraturismo.it   Dal sito www.torremangoni.it   Dal sito www.assotutorcilento.it

«Fuori dal borgo di Torchiara, sulla strada che conduce alla frazione Copersito, si trova l’antica torre dei conti Mangoni, anch’essa oggi divenuta struttura ricettiva di grande charme. Costruita tra il Seicento e il Settecento, presenta ancora tutte le caratteristiche di struttura fortificata, con due robusti torrini al di sopra dei quali vennero successivamente aggiunte delle colombaie. Dalla bella terrazza è possibile godere un panorama mozzafiato, che si apre sullo splendore del golfo di Agropoli».

http://www.torchiaraturismo.it/?page_id=105


Torre/Licinella (torre di Paestum)

Dal sito http://amicidipaestum.blog.tiscali.it   Dal sito http://cilentochannel.com   Foto di Roberta D'Amato

«La Torre di Paestum è una rozza costruzione a tronco di cono con merlatura su sporti. L’interno è diviso in due ambienti sovrapposti; è possibile accedere all’ambiente superiore tramite una scala esterna; un’altra scala conduce alla terrazza da cui si può godere uno splendido panorama» - «In prossimità del mare vi è la Torre di Paestum, una costruzione militare a tronco di cono terminante con una merlatura. L’interno è diviso in due ambienti sovrapposti raggiungibili attraverso una scala esterna. Al momento dello sbarco degli Alleati sulle coste di Paestum, durante lo sbarco a Salerno, i tedeschi avevano posizionato sulla sommità della torre una postazione di mitragliatrici, e solo per pura fortuna la torre non fu distrutta dai cannoneggiamenti navali».

http://www.comune.capaccio.sa.it/client/scheda.aspx?scheda=713&stile=2&ti=8 - http://it.wikipedia.org...


Torri di avvistamento della costiera amalfitana

Maiori, Torre Lama del Cane, dal sito www.mexitalians.com/blog/antiche-torri-difensive-della-costiera-amalfitana   Torre d'avvistamento, dal sito www.sorrento-coast.it

«Lungo la Costa, tra Vietri e Sorrento, numerose torri Ottomane e Saracene ne caratterizzano il paesaggio. Furono costruite come torri di avvistamento o di difesa dai Turchi e dai Pirati. Le torri di avvistamento si differenziano dalle torri di difesa in quanto le prime hanno una forma rettangolare mentre le altre una forma cicolare. Di seguito le diverse torri presenti lungo la Costiera Amalfitana, alcune oggi adibite ad attività turistiche (hotel e ristoranti), altre ad uso abitativo. Le Torri della Costiera Amalfitana: Vietri sul Mare: la prima torre che incontriamo arrivando da Salerno in direzione Positano è Torre Crestarella oppure torre del Chiatamonte, costruita nel 1564 e ristrutturata nel 1578-79. Come protezione del villaggio di Vietri sul Mare nel 1569 furono costruite altre due torri: la torre Vito Bianchi a Marina di Vietri, oggi utilizzata come edificio della Guardia di Finanza e la seconda a Marina d’Albori, oggi proprietà privata. Cala di Fuenti: torre di Bassano, una torre di avvistamento costruita nel 1563. Cetara: la torre di Cetara costruita nel 1576 sulla struttura di una vecchia torre già esistente, probabilmente del XIV secolo. Di proprietà dell’amministrazione pubblica per convertirlo in museo della pesca. Erchie: la torre di Erchie, una delle torri meglio preservate anche se datata al 1532 e Torre Capo Tummolo, costruita nel 1570 ma quasi totalmente distrutta. Tra Erchie e Maiori troviamo la Torre di Lama del Cane, 1532-33, ora in rovina; Torre Badia, 1570, oggi abitazione privata come anche Torre Cesare. Maiori: la famosa Torre Normanna o torre di Salicerchio, costruita tra il 1534-90, ben preservata. Oggi è un rinomato ristorante. La Torre di Mezzacapo, costruita nel 1584 anch’essa ben tenuta. Minori: su quel che rimaneva di Torre Paradiso, è stata ristutturata e adibita ad abitazione. Ravello: la Torre dello Scarpariello, anche nota come Ficarolat, costruita intorno al 1533, ma completamente rinnovata all’interno. Atrani: la torre di Atrani costruita tra il 1544 and 1549 è oggi un nightclub. Amalfi: Torre dello Ziro, su una collina di Amalfi, con la fortezza di Pogerola e quella di Santa Sofia oggi distrutta, erano parte del complesso difensivo della città di Amalfi. La Torre dello Ziro costruita intorno al 1278 e ristrutturata nel 1440 è oggi abbandonata. Conca dei Marini: Torre Bianca o Torre del Silenzio costruita nel 500, sorge su un promontorio davvero suggestivo sia visto da mare che dall’alto. Era usato come cimitero. Praiano: Torre Assiola o Sciola costruita nel 1270 e commissionata da Carlo d’Angiò. Per tanti rappresenta la torre medievale più bella della Costiera Amalfitana. Torre Grado, costruita nel 1564 è oggi completamente ristrutturata. Positano: presenti tre torri. Torre di Sponda, simile a quella dello Ziro, costruita tra il 1268 e 1269,di proprietà del Conte Pattison; Torre Trasita, situata su una roccia a strapiombo sul mare, completamente distrutta ma sulla quale fu costruita le Torre di Cozzi. Torre Fornillo, di fronte ai due scogli chiamati La Madre e il Figlio, costruita tra il 1532-33, parte di un complesso oggi conosciuto come Castelletto. Massa Lubrense: Torre Crapolla Tower, Torre Recommone, Torre di Cantone, Torre di Montalto. Punta Campanella: Torre Minerva (or Campanella), Torre Fossa della Papara, Torre Collina della Terra, Torre Punta San Lorenzo, Torre di Capo Corbo. Sorrento: Torre di St. Elia di Ceremegna, Torre di St. Fortunato, Torre di Gallo».

«Quella di Punta Vaccola (o Baccoli) venne demolita per realizzare l’acquedotto per Capri. E, così, sono rimaste trentaquattro le torri edificate per l’avvistamento delle navi saracene lungo il fronte marino della costiera sorrentino-amalfitana. Ventisette miglia di storia dalla cala di Vietri a Castellammare di Stabia con i resti delle torri a rievocare i tempi delle ferocie ottomane. Seguendo le rotte dei saraceni si può disegnare la mappa del territorio sottoposto per secoli alle scorrerie dei predoni del mare e costretto a tentare di opporsi con ogni mezzo di difesa alla sopraffazione dei pirati saraceni, turchi, barbari. Mancano le tracce delle fortificazioni amalfitane del X e XI secolo, ma resistono, nonostante le stratificazioni successive, gli originari coni murati edificati dagli Angioini nel XIII secolo, le prime torri del XVI secolo, erette da don Pedro di Toledo, che risentono dello stile architettonico del tardo medioevo. Il suggestivo campionario archeologico delle torri costiere s’inserisce in un patrimonio ambientale inestimabile, oggi tutelato con l’istituzione della riserva marina di Punta Campanella, malgrado il sopravvento della natura e il saccheggio urbanistico. L’itinerario di queste fortificazioni consente tuttora di ammirare la Torre di Rovigliano a Castellammare di Stabia, le torri Marina di Seiano e Capo d’Orlando a Vico Equense, le torri Crestarella, Vito Bianchi e Marina D’Albori a Vietri sul Mare, la Torre di Cetara, le torri Erchie, Tummolo, Lama del Cane, Badìa, Cesare, Normanna e Mezzacapo a Maiori, le torri Paradiso a Minori e Scarparello a Ravello, Capo d’Atrani e Ziro ad Amalfi, Capo di Conca e Capo della Vite a Conca dei Marini, Assiola a Praiano, Grado a Vettica Maggiore, le torri Sponda, Transita e Fornillo a Positano, le torri di Marina del Cantone, Montalto, Punta Campanella, Fossa di Papa, Punta San Lorenzo, Capo Corbo e Capo di Massa nel comune di Massa Lubrense. Questo stuolo di torri costiere racconta in ventisette miglia pagine di terrore e devastazioni, scorrerie e sacrilegi, quando le flotte barbaresche infestavano la costiera sorrentino-amalfitana ed erano una maledizione più spaventosa di pestilenze e carestie. Sciagure inenarrabili come la strage di Conca dei Marini e i trecento cittadini di Cetara assaliti e catturati da ventidue galee turche, come la feroce invasione del 12 giugno 1558 a Sorrento e dintorni. ... Le torri costiere erano dette cavallare dal nome del cavaliere che, dopo l’avvistamento delle navi, andava a dare allarme ai cittadini. Avevano un sistema complesso di comunicazione. Di giorno, all’avvistamento dei pirati, mentre partivano i “cavallari”, si suonavano campane particolari. Di notte le segnalazioni avvenivano con fuochi accesi sul lastrico delle torri che, per questo motivo, erano state costruite su alture e promontori. Nel 1532 fu il viceré don Pedro di Toledo a ripristinare e impiantare nuove torri, sullo stile architettonico di quelle costruite tra il 1332 il 1343 dal re di Napoli Carlo d’Angiò, sul maggiore degli isolotti Li Galli e sulla Punta Campanella. L’ordine di mobilitazione generale, però, venne impartito soltanto nel 1563 dal viceré don Parafan de Ribera duca d’Alcalà. A edificarle concorsero in larga parte famosi “magistri murari” di Cava, tra cui Marino de Monica, Cafaro Pignaloso, Giovan Felice Buongiorno, Camillo Casaburi. Trentaquattro torri costiere stanno ancora lì, lungo le rotte dei saraceni: ventisette miglia di storia da Vietri a Castellammare di Stabia».

http://www.travelamalfi.com/tours/827-827?lang=it - http://www.sorrento-coast.it/temi-vacanza/cultura/monumenti/352-torri-saracene.html


Tramonti (resti dei castelli di Montalto e S. Maria la Nova)

Resti dell'eremo di Santa Caterina, legato al castello di Montalto, dal sito http://eremosantacaterina.blogspot.com   Resti del castello di S. Maria la Nova, dal sito www.unescoamalficoast.it

«Il castello di Montalto, costruito intorno al X secolo sul monte Civita, fu eretto dai cittadini di Ravello a protezione dell'accesso al territorio amalfitano attraverso il Valico di Chiunzi. Ancora efficiente durante il regno di Ladislao da Durazzo, fu distrutto in seguito alla ribellione degli abitanti di Tramonti al regio potere e di esso non è rimasta traccia. Durante il periodo aragonese, per opera di Raimondo del Balzo Orsini principe di Salerno, furono costruiti un nuovo castello in frazione Pollica, e una torre sul Valico di Chiunzi. Il castello di cui oggi esiste solo la cinta muraria esterna, prese il nome di S. Maria la Nova e comprendeva vasti appartamenti, scuderie, serbatoi per la raccolta delle acque piovane, sotterranei e prigioni, tutti racchiusi in un perimetro fortificato, munito di dieci torricelle e sette bastioni quadrati. La torre sul Valico di Chiunzi, ricordata come il castello di Tramonti, ha costituito fino a pochi anni fa una caratteristica del paesaggio, oggi è totalmente trasformata» - «Castello di Montalto. Costruito sullo sperone di roccia tra la vallata di Tramonti ed il territorio di Ravello prendeva il nome di "castrum Montalto" o di "Trivento" ed appare citato già in un documento del 1131. Se le strutture fossero private della copertura vegetazionale sarebbe possibile seguirne l'andamento. Esso ha pianta rettangolare con a S i resti di un torrione, mentre sul lato E si trovavano le strutture di una cisterna, rivestita in cocciopesto ed in parte crollata. Il materiale utilizzato per la costruzione è la pietra calcarea, in blocchi di diversa misura e chiaramente provenienti dal circondario (è possibile identificare facilmente gli scassi da dove fu prelevata la pietra). Il sito è di facile accesso dal punto di vista della viabilità ma occorre conoscere il sentiero (non è indicato e attraversa, inoltre, castagneti privati), perché non è di facile individuazione ... Castello di S. Maria La Nova. A difesa del territorio di Tramonti fu costruito il Castello di S. Maria la Nova, così chiamato dalla presenza al suo interno di una cappella dedicata alla Madonna. La descrizione del castrum, ormai scomparso, viene fatta dallo storico Camera, che racconta che la costruzione fu iniziata solo nel 1458 e previde una struttura con cortine presidiate da dieci torrette e sette mezzi bastioni quadrati, con cisterne ed una campana per gli allarmi contro attacchi nemici. I resti del castrum sono definitivamente scomparsi».

http://xoomer.virgilio.it/analfin/tramonti6.htm - http://www.univeur.org/integratiosta/-id=135&id_art=620.htm - ...619.htm


Trivio CODOLA (eremo di Santa Maria a Castello o castello di Fossalupara)

Dal sito https://sanbiagiolanzara.wordpress.com   Dal sito https://sanbiagiolanzara.wordpress.com

«L’Eremo dedicato alla Madonna del Castello è situato ad un’altezza di 280 metri sul livello del mare, proprio sulla sommità della collina denominata Sant’Apollinare, primo baluardo montuoso all’estremità orientale della vasta pianura vesuviana che annuncia i primi rilievi dell’Appennino campano verso la Valle dell’Irno e l’Irpinia. La sua invidiabile posizione geografica offre alla vista del visitatore un panorama unico e suggestivo, infatti lassù, dal belvedere delle sue terrazze a picco sul costone roccioso, si gode lo spettacolo del golfo di Napoli con le isole di Ischia e Procida, del Vesuvio che incontrastato e superbo domina tutta la pianura campana solcata dallo storico fiume Sarno, più a nord, alle pendici del monte Saro, l’antica città di Sarno sovrastata dai resti del poderoso castello. Orientando lo sguardo ad oriente appare invece tutta l’alta valle dell’Agro Nocerino, denominata già in epoca longobarda Apud montem, che si spinge fino alla valle dell’Irno ed ai contrafforti montuosi irpini della catena dei monti Mai ed al massiccio del monte Terminio. A sud invece appare la valle metelliana con la “Città della Cava” che introduce lo sguardo al golfo salernitano fino al “sinus paestano”. La storia di questo stupendo Eremo e la urbanizzazione di questo sito affonda le radici in epoche molto remote nel ricordo dell’antica e misteriosa città di Fractanova. La mancanza purtroppo di fonti certe ha permesso la formulazione di numerose ipotesi sulle origini di quell’antica città, fondata, secondo alcuni studiosi, da un gruppo di pompeiani che, fuggiaschi dalla terribile eruzione del Vesuvio del 79 d.C., trovarono albergo sul colle di Sant’Apollinare e ne iniziarono la urbanizzazione; ma c’è anche chi, come il dottor Napoli, intendente dell’antichità di Salerno, alcuni anni or sono, durante un sopralluogo, osservando alcuni reperti trovati in loco, da espertissimo e competentissimo in materia di archeologia, segnalò che quella città distrutta, cinta ancora da antiche muraglie era sicuramente di epoca preromana. Tali affermazioni sono state rafforzate negli ultimi anni da ulteriori studi e ritrovamenti. Sono stati individuati infatti ruderi di opera incerta, abbondante materiale fittile tra cui molti frammenti di ceramica magno-greca a figure rosse ed infine due oboli bronzei della zecca di Irnum ritrovati dall’esperto ed appassionato sig. Gaetano Izzo. Anche Lorenzo Giustiniani, illustre storico del ‘700, nella sua magistrale opera Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli ne sottolinea l’esistenza: “...è fama costantissima che in questo territorio vi fosse stato un paese appellato Fractanova e precisamente su di quel monte chiamato Sant’Apollinare, verso Nocera, ritrovandosi molte fabbriche, sepolcri, vasi e monete, cose tutte che indicano di esservi stata popolazione”.

La prima notizia manoscritta riguardante Fractanova è contenuta nell’antica Platea di Materdomini risalente al 1200. Secondo questa fonte si rileva che, sin da quell’epoca, sul pianoro, sulla sommità del colle c’era una casa di recente fabbricata, una cisterna già costruita con tutto l’Eremo che è poi l’antica fortezza di Fossalupara e che su questo altipiano vi erano due chiese, una in onore di Sant’Apollinare ed un’altra contenuta nella fortezza dedicata a San Gregorio. Nel territorio compreso tra le due chiese vi era una grande abbondanza di fondamenta di case e cisterne diroccate, e siccome lassù come altrove, i primi cristiani trovarono il popolo che conservava i costumi romani ed ancora pagani nel godere la vita, e nel continuare forse il culto degli idoli, delle passioni e delle luride superstizioni antiche, la città di Fractanova per i suoi peccati, o meglio per la sua corruzione “…propter peccatum ipsius...”, fu devastata, disabitata ed abbattuta completamente dalle fondamenta. ... La storia di detta città non può essere divisa da quella dell’attuale Eremo di Santa Maria a Castello che nacque nel periodo 758-786 come fortezza voluta da Arechi II principe longobardo di Benevento sulle rovine dell’antico accampamento romano “Castrum Augusti”, entrando a far parte di quella lunga catena di castelli che da Castellammare, Lettere, Gragnano, Angri, Sarno, Fossalupara (odierno Santa Maria a Castello), Castel San Giorgio, Mercato San Severino, Montoro, Solofra, fino al Sannio assicuravano un perfetto controllo di tutto il Principato Longobardo di Benevento. Tutti questi castelli, infatti, erano posti in modo tale che ognuno era visibile dall’altro e quindi, attraverso segnalazioni luminose di notte e fumogene di giorno, erano in grado di poter comunicare tra di loro come una sorta di satelliti per telecomunicazioni dei giorni nostri. Con la caduta dell’ultimo principe longobardo Gisulfo II, ad opera del normanno Roberto il Guiscardo, l’antico Castello di Fossalupara perse la sua funzione militare e fu donato con tutte le sue pertinenze alla Badia Benedettina di Cava de’ Tirreni come compenso dell’aiuto offerto durante la lunga lotta contro il principe longobardo Gisulfo II. Dopo circa un secolo di parziale abbandono, ridotto al solo romitaggio, il Castello fu affidato alla cura dei Padri Bianchi della vicina Badia di Materdomini e,verso la fine del 1200, fu l’Abate Giovanni a fondare l’Eremo di Santa Maria a Castello. ...

In seguito l’Eremo fu fornito di un discreto patrimonio di terreni e case in quel di Lanzara dal possidente nocerino Guglielmo de Bene nell’anno 1383. L’Eremo che per circa tre secoli fu luogo di riposo, di ritiro spirituale e di preghiera per i Preti Bianchi Benedettini passò nell’anno 1575 alla cura dei Francescani Conventuali che risiedevano in quel tempo nel convento di Sant’Antonio di Padova in Nocera Inferiore. Nel 1808, con l’avvento del governo Napoleonico e le leggi eversive della soppressione istituite da Gioacchino Murat, i Padri Conventuali persero oltre al loro convento principale di Nocera Inferiore anche l’Eremo di Santa Maria a Castello che passò così di proprietà del demanio dello Stato. Dopo la parentesi napoleonica l’Eremo tornò di nuovo alle dipendenze della Badia di Cava dè Tirreni e per competenza alla Parrocchia di San Giovanni Battista di Roccapiemonte che dipendeva da tale Badia. Solo nel 1856, in seguito ad un vero e proprio concistoro tenuto in uno dei saloni di rappresentanza del signorile palazzo Lanzara in Lanzara, con la partecipazione dell’Arcivescovo di Salerno S.E. don Marino Paglia, dell’Abate Ordinario della Badia di Cava dè Tirreni don Onofrio Granata, dell’Arcivescovo di Sidenze don Innocenzo Terrieri e di numerose altre autorità ecclesiastiche, fu stabilito che la Parrocchia di Roccapiemonte cedeva alla Parrocchia di San Biagio di Lanzara l’Eremo di Santa Maria a Castello con la frazione Trivio. I frequenti restauri e rimaneggiamenti, non sempre felici, hanno trasformato e spesso distrutto nel corso dei secoli molti tratti delle tipiche strutture dell’antico castello prima e dell’originario Eremo poi. Degno di menzione è l’affresco trecentesco posto al di sopra dell’altare maggiore della cappella dell’Eremo raffigurante l’icona della Madonna del Castello seduta su una sedia recante il Celeste Bambino tra le braccia. ...».

https://sanbiagiolanzara.wordpress.com/category/storia-del-territorio... (a cura di Francesco Lauro)


Valva (castello o villa D'Ayala)

Dal sito www.irpinia24.it   Dal sito www.villadayala.altervista.org   Dal sito www.valva2000.com

«La villa d’Ayala, detta castello, ha uno sviluppo planimetrico di circa 600 metri quadrati ed abbraccia la torre ed il contiguo cortile interno per una altezza massima di circa 20 metri per un totale di tre piani e un sottotetto. Il perimetro superiore del secondo piano e del sottotetto sono provvisti di merli e agli angoli sorgevano cinque torrette, crollate e demolite a seguito dei danni causati dal sisma del 1980. La Torre, denominata da alcune fonti Torre Normanna, è addossata al lato nord del Palazzo e rappresenta la preesistenza più antica del complesso. Il Parco della Villa, cui si accede da valle, in prossimità del centro del paese, si sviluppa per una misura compresa tra i 17 e i 18 ettari ed è interamente circondata da mura. Il suo disegno attuale è riconducibile ad una realizzazione del XVIII secolo e di quest’epoca presenta alcune caratteristiche tipiche. Il Parco si configura come un bosco ceduo misto, con una prevalenza di lecci, castagni ed aceri, di grande estensione e, come caratteristico dell’epoca, appunto, come bosco produttivo: esso è solcato da viali pressoché rettilinei ma che disegnano una scacchiera irregolare, dei quali alcuni ripercorrono i tracciati originali altri sono di epoca più recente. Il parco a funzione produttiva è poi caratterizzato da alcuni episodi verdi, laddove più forte emerge la traccia dell’intervento dell’uomo, che sono fondamentalmente i due giardini all’italiana, quello in prossimità dell’ingresso e quello di pertinenza del Castello, ed il Teatrino di Verzura. Tutto il parco risulta disseminato di arredi quali fontane, statue, piccole architetture; di estremo interesse è il sistema di caverne e canali, probabilmente risalente ad epoca romana e con funzioni di incanalatura delle acque, che attraversa il parco nella sua estensione. Per quanto attiene in particolare agli aspetti botanici, bisogna distinguere il grande parco da quelli che sono stati definiti episodi a carattere eccezionale. Il Parco, che occupa quasi la intera estensione della proprietà, può essere distinto, a sua volta, in zone a seconda della essenza prevalente. A questa caratterizzazione delle diverse zone del Parco si sovrappongono viali alberati, di volta in volta, con prevalenza di Platani, Aceri montani, Laurocerasi: sono inoltre osservabili esemplari isolati di essenze, inserite probabilmente nell’Ottocento e con finalità ornamentali, quali cedri, magnolie ed altri. Per quanto riguarda gli episodi eccezionali essi sono – come si accennava – fondamentalmente tre: i due giardini all’italiana ed il teatro di verzura. Il primo Giardino all’Italiana, di ridotte dimensioni, si trova a pochi passi dall’ingresso del Parco, nella zona a valle; il secondo Giardino all’italiana è quello tipicamente disegnato come una unità formale con la Villa, prospiciente il bel prospetto con il porticato a tre arcate; il terzo episodio è costituito dal Teatrino di Verzura, probabilmente di realizzazione Ottocentesca, realizzato con siepi di bosso ed arricchito da busti di figure umane.

Cenni Storici. La Villa dei Marchesi d’Ayala di Valva e l’annesso parco, sorgono nel Comune di Valva, in provincia di Salerno, su un terreno ad andamento degradante, alle pendici del Monte Marzano. Valva inizia la sua storia sin dal fatidico anno Mille, quando divenne feudo di un signore di nome Gozzolino che, secondo l'uso normanno, traeva il suo predicato dal possedimento stesso. Fu forse proprio lui a far costruire la torre normanna che, pur danneggiata dal sisma del 1980, ancora si erge a guardia del parco. Accanto a essa, sul finire del XVIII secolo, un suo discendente, il marchese Giuseppe Maria Valva, volle erigere un edificio per villeggiare, che curiosamente riecheggiava, pur in proporzione ridotta, il rinascimentale castello vescovile del Buonconsiglio a Trento. Nominato da Ferdinando IV di Borbone sovrintendente di tutte le strade e i ponti del Regno di Napoli, dopo aver tracciato la rotabile che da Eboli conduce in Basilicata, Giuseppe Maria si dedicò totalmente alla risistemazione del feudo. Fra le diverse migliorie messe in atto, grande rilevanza assunse l'ideazione di un giardino che accresceva le attrattive della villeggiatura estiva, avvalendosi dell'opera dei migliori botanici, giardinieri e floricoltori del regno. Nascono, così, il bosco ceduo, i frutteti, i viali di platani, magnolie e cedri, i due parterres all'italiana, le peschiere, il laghetto e il teatrino di verzura ad anfiteatro capace di mille posti. Un giardino, quello di Valva che sembra compiacersi del proprio essere anacronistico, ignorando - tranne che per la folla di statue mitologiche che lo popola silenziosamente - il sogno neoclassico ingenerato dai primi scavi ercolanensi condotti dal principe d'Elboeuf e teorizzato in quegli anni dal Winkelmann e dall' Abate di Saint Non. Piuttosto che ai coevi esiti paesaggistici del jardin à l'anglaise e alla tersa maestosità d'impronta francesizzante della vanvitelliana reggia di Caserta, Valva, con il suo impianto formale, si propone di recuperare stilemi tratti dalla grande stagione italiana tra manierismo e barocco. Alla morte del marchese Giuseppe Maria Valva nel 1831, la villa passò per via matrimoniale ai d'Ayala, strettamente legati al Sovrano Militare Ordine di Malta. Nel 1959 l'ultimo dei d'Ayala, Giuseppe in mancanza di eredi diretti, volle donare la villa e tutte le proprietà all'Ordine cavalleresco cui apparteneva. L’intero complesso è stato, pertanto, il frutto di una continua azione che la famiglia dei Marchesi Valva e d’Ayala è andata conducendo nei secoli, con continui rifacimenti, abbellimenti, arricchimenti. Di tale continua azione, che secondo alcune fonti fu particolarmente attiva dal XVIII secolo fino ai primi del XX secolo, deriva l’attuale immagine d’insieme del parco-villa-torre. Gli ultimi lavori ed interventi vennero realizzati dal marchese Francesco d'Ayala».

http://ambientesa.beniculturali.it/BAP/?ID=46&comune=&luogo=Parchi%20e%20giardini&provincia=Salerno&q=luoghi&src=


Vatolla (castello Vargas-Machucha)

Dal sito www.visitcilento.com   Dal sito www.paolinovitolo.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Vito Cassano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100006252105008). Castello di Vatolla, l'ingresso   Foto di Vito Cassano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100006252105008). Interno del castello, l'ingresso del piccolo museo dedicato a G. B. Vico   Foto di Vito Cassano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100006252105008). Castello di Vatolla, lapide esterna che ricorda G. B. Vico

«Vatolla, oggi frazione di Perdifumo, ha una storia rilevante, di cui il castello (palazzo) Vargas-Machuca è testimonianza. Esso sorge sul luogo dove, probabilmente già in età longobarda, fu eretto un castello, sede del rappresentante dell’abazia di S. Mango (cui Vatolla fu assegnata nel 994), e poi dei Sanseverino, baroni del Cilento dal 1110. Del castello originario, dal recinto approssimativamente rettangolare, restano il perimetro e le alte strutture cilindriche circolari angolari, una volta torri. Pervenuto il feudo ed il castello ai Griso nel 1487, probabilmente subì le prime modifiche necessarie a trasformarlo in una abitazione signorile. Ma solo alla fine del ‘500, gli stessi Griso, rientrati in possesso del feudo dopo un ritorno dei Sanseverino, costruirono il corpo di fabbrica detto “Palazzo nuovo”. Nel 1660, il palazzo ed il feudo furono acquistati dai Rocca, famiglia presso la quale fu precettore G. B. Vico, che abitò, saltuariamente, nel palazzo dal 1686 al 1695. E da quell’epoca le strutture, il portale, la corte e parte degli arredi interni sono rimasti invariati, nonostante il passaggio alla famiglia Vargas-Machuca (di cui il palazzo oggi porta il nome). Oggi è sede del Parco Letterario intestato al grande filosofo».

http://trionfo.altervista.org/Monumenti/vatolla.htm (a cura di Pietro Di Lorenzo)


Velia (resti del castello, torre angioina)

Dal sito www.campaniatour.it   Dal sito www.torredivelia.it   Dal sito https://esperienzediviaggi.files.wordpress.com

«La torre di Velia fu costruita alla fine del secolo XIII, ai tempi della guerra dei vespri siciliani. Come è noto, con il moto dei vespri, scoppiano il 31 marzo 1282, la Sicilia si ribellò agli Angioini e passò sotto il dominio di Pietro d’Aragona, provocando, così, una lunga e terribile guerra tra Siciliani-Aragonesi e gli Angioini di Napoli. Questa guerra ebbe come uno dei fronti principali il mare e le coste del Cilento. Gli Angioini, per difendersi dagli attacchi provenienti dal mare, costruirono la torre di Velia e, successivamente, la torre di Castelnuovo Cilento. La torre di Velia fu edificata secondo i criteri progettuali importati in Italia dai maestri provenienti dalla Borgogna e dalla Provenza. Nello stesso sito preesistevano i resti di un castello alto-medievale, costruito verosimilmente in età longobarda e posto a difesa del territorio circostante contro la minaccia saracena con il controllo dell’antico porto fluviale di San Matteo alla confluenza dei due corsi d’acqua del Palistro e dall’Alento. Di questa più antica fortificazione rimangono ancora dei ruderi sul ciglio del promontorio (un torrino cilindrico e una parete a strapiombo). I maestri fabbricatori venuti con gli Angioini importarono nell’Italia meridionale le linee e i principi di architettura ricca di nuove idee e molto funzionale alle mutate esigenze di difesa e alle nuove tecniche militari. Osservando la torre rileviamo che la costruzione evidenzia una tecnica costruttiva evoluta manifestata, in particolare, nelle volte ribassate e di altezza minore a mano a mano che si sale, dalla copertura e nella stretta scala elicoidale che si svolge nello spessore murario del corpo cilindrico della torre collegando i tre ambienti sovrapposti circolari.

Altri elementi caratteristici sono le mensole di pietra sagomata del coronamento (chiamate beccatelli), per la creazione delle caditoie (fessure per il lancio di pietre) e l’ingresso sopraelevato. La parte sottostante era adoperata come grossa cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Dato che le torri erano adibite a difesa e non ad abitazioni l’accesso avveniva per mezzo di corde, non esisteva alcuna scala esterna o ponte levatoio. Questo fu installato, in epoca posteriore, con la costruzione di una torretta quadrata provvista di scala e posta in corrispondenza dell’ingresso per l’appoggio del ponte levatoio. Tutti questi elementi permettevano a poche persone di resistere validamente a numerose truppe, in quanto l’intero complesso era calcolato per la lotta corpo a corpo. Le caratteristiche della torre di Velia, costituita da un alto torrione cilindrico su base tronco- conica, si ritrovano in altre fortificazioni sorte nello stesso periodo (quella di Castelnuovo Cilento, di Castelcivita, di Maddaloni e quella di Amalfi chiamata dello ziro). In epoca aragonese in relazione a nuove esigenze, collegate all’impiego delle armi da fuoco, venne realizzata una cortina merlata con salienti cilindrici con relativo camminamento di ronda. La torre, alta circa 27 metri, si trova sull’acropoli dell’antica Velia a circa 75 metri sul livello del mare nel sito dove precedentemente c’era il tempio di Atena dea dalla sapienza e della guerra. Sicuramente furono riutilizzati e riciclati materiali di spoglio: blocchi di arenaria, pietre calcaree e mattoni velini. Quando vennero meno le esigenze militari belliche, la torre fu utilizzata come residenza protetta dai diversi feudatari che tennero, nelle diverse epoche, il feudo di Castellamare della Bruca costituito da tutte le terre e proprietà del territorio circostante (tra i feudatari ricordiamo Francesco San Severino, duca di Cuccaro, nel 1445; Stefano Maresca di Ascea che lo tenne fino all’abolizione della feudalità (1806); i Ferolla che lo tennero fino alla fine dell’ottocento). Il castello di Velia, un tempo il fulcro di un borgo noto come Castellamare della Bruca, oggi rappresenta un rarissimo o forse l’unico esempio di una torre medievale inserita in un contesto greco-romano. Dal 1994 la soprintendenza ai beni ambientali archeologici di Salerno, per garantire la conservazione della torre, ha intrapreso i lavori di restauro delle creste murarie nella parte esterna. ...».

http://web.tiscali.it/comprensivascea/documentarelascuola/velia.htm


VIETRI SUL MARE (torre Crestarella o del Chiatamonte)

Dal sito www.weagoo.com   Dal sito www.positano.com

«Vietri sul Mare: la prima torre che incontriamo arrivando da Salerno in direzione Positano è Torre Crestarella oppure torre del Chiatamonte, costruita nel 1564 e ristrutturata nel 1578-79» - Torri quattro troniere. A brevissima distanza da Vietri, impiantata su di un grosso scoglio quasi al livello del mare, spicca torre Crestarella. In discrete condizioni di conservazione, nonostante le pesanti superfetazioni, riusciva da quella felicissima ubicazione a tenere sotto il tiro delle sue artiglierie tanto la spiaggia adiacente alla cittadina quanto entrambe le piccole insenature ad essa simmetriche. Adattissima agli sbarchi la prima, perfette per gli agguati le seconde. Il che però richiedeva pezzi di calibro superiore e quindi dimensioni di piazza abbastanza ampie, da cui l’adozione delle quattro troniere. Queste, del tipo a piattabanda, sono caratterizzate da una scarsissima strombatura e da un’insolita larghezza, da connettersi quasi certamente con la ridotta altezza della torre in relazione alla larghezza, causa del resto del loro numero».

http://www.travelamalfi.com/tours/827-827?lang=it - http://www.torreomnia.com/Testi/flavio_russo_torri/torri_014.htm


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