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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI MANTOVA
in sintesi
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Asola (resti del castello e delle mura)
«Asola è attestata per la prima volta in un documento dell'anno 930, in cui la sua corte, situata nella contea di Brescia, è ceduta in livello dal monastero di Nonantola al conte Sansone, forse legato da rapporti di parentela con la stirpe di conti che durante il medioevo dominerà il territorio asolano: gli Ugonidi o Longhi. Da essi discenderanno numerose famiglie stanziate al confine delle attuali province di Mantova, Brescia e Cremona, come i Casalodi. Questi ultimi in particolare potrebbero aver lasciato una traccia della loro presenza ad Asola nello stemma del comune: esso è infatti molto simile all'arma che distingueva i conti di Casaloldo. Durante il consolidarsi delle Signorie, la città fu soggetta all'influenza bresciana, ma seppe ritagliarsi uno spazio d'azione formando, con i borghi limitrofi, un distretto relativamente autonomo, denominato "quadra" il quale, con confini leggermente modificati, ottenne in seguito anche il distacco e l'autonomia dalla Diocesi di Brescia cui era soggetto. La città fu a lungo contesa dai Gonzaga, signori di Mantova, dai Visconti di Milano e da Brescia. Nel 1440 scelse di assoggettarsi alla Repubblica di Venezia. La Serenissima seppe valorizzare la strategica posizione di confine della cittadina e la trasformò in fortezza. Promosse inoltre l'economia e la cultura, rispettando libertà autonomia, lasciando intatto l'antico privilegio di città nulli subdita. ...».
it.wikipedia.org/wiki/Asola_(Italia)
«La ristrutturazione urbanistica di Bozzolo risale a Vespasiano Gonzaga, che incomincia a occuparsene dopo aver completato la costruzione di Sabbioneta, a partire dal 1577. Nel 1584 chiude la Cittadella con portoni e nel 1587 rinnova completamente la possente cinta fortificata del castello, dandole la forma di un trapezio difeso da sei baluardi muniti di fossati. I muraglioni sono sostituiti da terrapieni per consentire di resistere all’artiglieria. Nella prima metà del XVII secolo, Giulio Cesare e Scipione Gonzaga cingono l’intero abitato di mura, munite di bastioni e lunette e interrotte da due porte, Porta Cremona e Porta Mantova. Le mura sono costruite alla moderna, provviste di un retrostante terrapieno, con mattoni provenienti dalle fornaci della zona e materiali ricavati dalla demolizione delle fortificazioni dei borghi del principato. Si tratta di mura solo apparentemente solide. Furono, infatti, costruite usando, come legante, la terra e ciò a reso instabili soprattutto i tratti di cortina innalzati sui terreni umidi nella parte nord est. Ciò le ha rese da sempre fragili e soggette a forte degrado dovuto all’azione degli agenti atmosferici e della vegetazione spontanea. Fra il XVIII e la prima metà del XIX secolo si ha una ricca documentazione relativa ai costanti interventi di restauro, ripristino e rifacimento delle parti di cortina e baluardi degradati. Tuttavia il castello, un baluardo maestoso simile a una cittadella fortificata pentagonale, viene venduto a privati e demolito già nella prima metà del XX secolo comincia a essere sentita come inutile, dannosa, fonte di spese per la comunità, ostacolo all’espansione economica del borgo: via via si procede all’abbattimento di vari tratti verso sud e ovest fino al settimo decennio del secolo (solo trent’anni fa!), quando, paradossalmente, nel 1972 circa, l’Istituto Italiano dei Castelli ne restaura un breve tratto presso porta San Martino o Porta Mantova».
http://www.comune.bozzolo.mn.it/opencms/opencms/bozzolo/paese/le_mura.html
«Singolare esempio di architettura barocca, la corte Luzzara sorge non molto distante dal centro di Canicossa, paese essenzialmente formato di corti agricole allineate lungo la strada, che costeggia il fiume Oglio, seguendo una conurbazione assai antica. Il territorio è quello che, da un punto di vista culturale, partecipa sia delle esperienze del Mantovano che del Bresciano e del Veronese; questa convergenza di spunti provenienti dai tre centri maggiori è confermata dall’impianto generale della villa Luzzara. Si tratta di un blocco compatto articolato alle estremità in due torrette e, verso il giardino, da un porticato centrale con sovrastante balconata, il complesso comprende anche due corpi di fabbrica simmetrici, rispetto all’asse principale dell’edificio, con funzione di scuderie; il periodo in cui venne iniziato l’organismo è la 2° metà del XVII sec., per terminare poi oltre la metà del secolo successivo. Le due torrette ed il modo di trattare il salone principale, a doppia altezza, attraverso la continuità del porticato e corridoi laterali, ribaditi dalla balconata superiore, quasi fosse una sorte di ambiente esterno, sono le principali caratteristiche che avvicinano questo edificio per esempio al “Labirinto” Suardi di Brescia, Fornaci, al “Castello” Soncini di Mairano, Pievedizio, al “Castello” Gambara di Pralboino, alla villa Martinengo di Roncadelle, che, sorte nella prima metà del Settecento o a cavallo tra i due secoli, ricalcano schemi tradizionali del territorio. Attualmente le caratteristiche di dettaglio, ripristinate nel restauro ottocentesco dovuto ai Viterbi, smentiscono, a prima vista, il momento originario della creazione dell’edificio, conferendo in parte anche all’interno un aspetto generale di cultura storicistica. Stato di conservazione buono, grazie alle ingenti opere di ristrutturazione e risanamento eseguite dalla proprietà nel corso degli ultimi 10 anni».
http://www.comune.marcaria.mn.it/index.php/i-monumenti/53-corte-luzzara-loc-canicossa
Canneto sull'Oglio (resti del castello di Canneto o di San Genesio)
«Il Castello di Canneto (o Castello di San Genesio, dal nome della chiesetta intorno alla quale sorse il maniero) è un'antica roccaforte risalente all'XI secolo di Canneto sull'Oglio, in provincia di Mantova. La struttura è collocata nel centro storico e si erge su Piazza Matteotti. Notizie storiche del castello si hanno già intorno al 1000 quando la struttura venne ceduta a Landolfo, vescovo di Cremona. Nel XI secolo faceva parte della cinta muraria del borgo, luogo strategico di confine a guardia del fiume Oglio. Nel 1200 entrò a far parte dei possedimenti dei conti Casaloldi che lo persero a favore del Comune di Brescia. Con l'avvento dei Gonzaga, signori di Mantova, anche Canneto e il suo castello passarono nei loro possedimenti. Castello e rocca vengono rafforzati da Gianfrancesco Gonzaga intorno al 1430. Con Federico I Gonzaga, per opera dell'architetto militare Giovanni da Padova, il castello viene ampliato, dotato di ponte levatoio e torri di difesa. Nel 1543 ebbe luogo un evento importante: l'imperatore Carlo V, mentre era in viaggio da Busseto, dove incontrò papa Paolo III, verso Trento, si intrattenne nel castello con Ferrante Gonzaga, col cardinale Ercole Gonzaga e con Margherita Paleologa, per legittimare a suo figlio Francesco la duplice investitura nei titoli di Duca di Mantova e Marchese del Monferrato, oltre a concordare le sue future nozze con Caterina, nipote dell'imperatore. In quella occasione incoronò il letterato e poeta mantovano Giampietro Penci. Nei secoli seguenti il maniero fu più volte distrutto e parzialmente ricostruito. Gli austriaci nel Settecento operarono il completo abbattimento della struttura e la torre rimane l'unico elemento integro sino ai giorni nostri».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Canneto_sull'Oglio
«Tipologia: Bene monumentale. Fortificazione circondata da fossato e dotata di passerella retraibile. l’edificio era munito di apparato a sporgere, che aveva una funzione decorativa più che difensiva. Epoca di costruzione: XVI secolo. Proprietà privata» - «...In epoca medievale, con l'alternarsi del dominio della signoria milanese, mantovana e veneziana, il comune di Casalmoro (l'attuale denominazione risale al 1192) fu direttamente coinvolto nelle aspre lotte tra guelfi e ghibellini, schierandosi a favore di quest'ultimi. Per ritorsione, nel XIV secolo fu saccheggiato e dato alle fiamme dalla parte guelfa di Asola. Nel 1438 un trattato di pace tra i visconti di Milano e i Gonzaga, alleati alla Serenissima assegnò definitivamente il territorio ai marchesi di Mantova. Risalgono a questo tormentato periodo di guerre e carestie, la Rocca Militare originariamente delimitata da un fossato denominata "Casotto", la costruzione del Castello anch'esso circondato da un fossato di cui resta ampia memoria nella denominazione della via principale del paese, ma soprattutto la realizzazione nella seconda metà del XIV secolo ad opera di Barnabò Visconti della Fossa Magna, che traendo le sue acque a nord-est di Carpendolo, scorre attraverso l'abitato di Acquafredda e Casalmoro per raggiungere Asola. ...».
http://www.sistemamusealeprovinciale.mantova.it/index.php/risorse/scheda/id/2051 - http://www.comune.casalmoro.mn.it...
Casaloldo (resti del castello dei Casalodi)
«...Una datazione del nucleo della torre è possibile grazie a un'epigrafe, di piccole dimensioni, murata sulla facciata dell'ingresso, che in latino e con cifre arabe e romane, attesta che fu edificata nell'anno 1437, il giorno 4 maggio, per mezzo di Bertone. Costruita durante la breve parentesi della dominazione mantovana, la porta fu quindi risparmiata dalla collera distruttrice del 1441, che forse comportò solo l'abbattimento del recinto e la riduzione dell'area occupata dal castello. Oltre alla torre d'ingresso, il castello era dotato di un'altra struttura muraria: il rivellino che consisteva in un ponte fortificato e munito di cancello. Un'immagine realistica del castello è raffigurata nel quadro votivo “La battaglia di Casaloldo”, custodito nella chiesa parrocchiale dell'Assunzione della Beata Vergine. Il castello di Casaloldo era caratterizzato essenzialmente da tre opere difensive: fossato, terrapieno e palizzata. Fino al XV secolo, infatti, molti castelli della pianura padana non avevano cinte murarie merlate, bensì terrapieni, solidi argini perimetrali (terragli) realizzati con la terra di scavo del fossato, che si ergevano alcuni metri sopra il piano campagna ed erano sormontati da palizzate o steccati detti palancati. Che il castello di Casaloldo fosse costruito in questo modo lo si evince dalla ducale del 10 giugno 1441, con la quale il doge Francesco Foscari provvide, a punire Casaloldo che si era ribellato a Venezia, schierandosi con i Gonzaga. Illuminanti due termini usati dal Foscari: “palanchata” e bastite, parole che indicano rispettivamente il recinto ligneo del terrapieno e un caposaldo in terra e legno. Le mappe disegnate tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell'Ottocento confermano tutto ciò e rivelano che quello di Casaloldo era un castello di dimensioni contenute, a pianta semicircolare con rari edifici in muratura: tra essi si riconosce la torre d'ingresso al castello, oggetto del restauro in corso. La torre è un manufatto in laterizio, a pianta quadrilatera, di circa 7,5 metri per lato, e altezza in gronda di circa 11 metri, con copertura a tre falde; dei quattro lati risultano liberi solo quelli rivolti a est e a ovest, perché al lato nord e al lato sud sono stati addossati in epoca successiva altri edifici. Sulla fronte, che si affaccia sulle attuali via Castello e via Dante Alighieri, si osservano i due ingressi, carraio e pedonale (pusterla), un tempo dotati di ponte levatoio e passerella retrattile. Vista da via Roma, vale a dire da ovest, la porta si presenta invece molto diversa e mostra una complessa stratificazione di trasformazioni, aggiunte e rimaneggiamenti; su tutto spicca una torretta di 18 metri, adattata a campanile, che sopravanza il tetto della porta».
http://gazzettadimantova.gelocal.it/cronaca/2011/08/08/news/il-castello-torna-a-splendere-1.765488 (a c. di Vincenzo Corrado e Mariano Vignoli)
«A pochi chilometri da Mantova, immersa nella verde campagna lombarda, sorge la Corte Castiglioni, un complesso rurale quattrocentesco, la cui destinazione è storicamente legata alla funzione agricola. Dal 1415, anno in cui i Gonzaga concedettero alla famiglia Castiglioni le terre di Casatico, la Corte appartiene alla stessa famiglia, che la abita nei secoli per il periodo della villeggiatura. Baldassarre Castiglione (1478 -1529) fu il più illustre abitante della Corte e il più noto rappresentante della famiglia. Letterato e diplomatico tra i più raffinati e colti dell'Italia rinascimentale, Baldassarre, grazie ai contatti con i maggiori protagonisti della vicenda artistica di quegli anni, diede un apporto significativo all’assetto architettonico della corte. Profonda fu l'amicizia che legò Baldassarre a Raffaello, che lo ritrasse in un dipinto ora conservato al Louvre, e a Giulio Romano, allievo prediletto di Raffaello, che per Baldassarre realizzò la cappella funebre nel Santuario delle Grazie, alle porte di Mantova. Al primogenito di Baldassarre, Camillo, si deve la radicale e significativa trasformazione della corte, in particolare del corpo padronale, secondo un'idea proprio di Giulio Romano, amico del padre e all'epoca architetto dei Gonzaga. È di questi anni la costruzione della torre stellare all’estremità del corpo padronale. Al riassetto architettonico seguirono interventi sulle pitture e le decorazioni interne, per l’esecuzione delle quali furono chiamati a Casatico alcuni tra i maggiori artisti mantovani del secondo 500. Del 700 sono gli ultimi interventi, e da allora l'aspetto della casa padronale e della corte rurale rimane pressoché invariato. La Corte è ancora proprietà della famiglia Castiglioni».
«Dopo l’esempio della corte gonzaghesca del Gambaredolo, questo complesso appare notevolmente più ricco ed anche morfologicamente originale. Le varie fasi della costruzione, descritte da Campagnari e Ferrari, portano, attraverso il Quattrocento, Cinquecento e Settecento, momenti principali degli interventi architettonici, alla formazione di un insieme, in cui “… il passaggio da un arioso viale al ritmo serrato e stringente dei cortili e dei torrioni, in un susseguirsi di spazi aperti e chiusi, doveva dare a chi giungeva finalmente nel cortile grande, il senso del risalto che derivava al palazzo non tanto dal suo volume, invero contenuto e quasi modesto, quanto dall’essere esso la residenza del signore del luogo”. Infatti la caratteristica più notevole del complesso è questo suo farsi per episodi alcuni dei quali di spiccata originalità tipologica e formale, come la torre stellare, collegati da un percorso concreto lungo diversi momenti funzionali e da una successione percettiva, che, per contrasto esalta come un’unità morfologica la grande corte quadrata, avente per fulcro la torre. In questo quadro non è possibile leggere una veste unitaria, quale presupporrebbe l’intervento di Giulio Romano, nello stesso senso in cui esso è estremamente palese nella corte Spinosa di Porto Mantovano; resta infatti evidente, al di là delle tematiche architettoniche, un clima quattrocentesco, temperato, anche nelle torri e nel cortile chiuso, in senso umanistico, non nel gusto fastoso della natura e delle capacità umane, che si riscontra nel palazzo Te. Stato di conservazione buono. Di recente sono state portate a termine dai proprietari diverse opere di risanamento conservativo del torrione laterale».
http://www.cortecastiglioni.it/storia.html - http://www.comune.marcaria.mn.it/index.php/i-monumenti/56-corte-castiglioni-loc-casatico
Castel d'Ario (castello scaligero, torre "della fame")
«Il patrimonio-simbolo del paese è il castello medievale, ricco di storia millenaria come attestano il rinvenimento delle ossa di sette prigionieri (tre membri della famiglia Pico della Mirandola e quattro della famiglia Bonacolsi) morti di fame ad inizio Trecento nel mastio interno, o gli affreschi con gli stemmi scaligeri della seconda metà del Trecento al piano nobile del palazzo pretorio, l’unico edificio recentemente restaurato e utilizzato come luogo di rappresentanza e di spettacoli, oltre che sede della Biblioteca comunale e Sala Consigliare. La imponente ed articolata struttura del castello conserva intatti anche il perimetro delle mura e la mole della torre interna, che da metà Ottocento, data del rinvenimento, è detta Torre della Fame. ...».
http://www.comune.casteldario.mn.it/com/site/index.asp?v=v_page_detail&itm_id=cnt_soc_par
«Le mura di Castel Goffredo erano il complesso di opere difensive che nel corso dei secoli furono erette per difendere la città da attacchi ostili. Si possono distinguere due cinte murarie edificate in epoche differenti. La prima cinta muraria di Castel Goffredo, dotata di fossato a difesa, si formò entro le rovine del castrum romano e fu eretta tra il 900 e il 1000. Al suo interno sorse il primo nucleo urbano e si chiamò Castellum vetus, ovvero “Castelvecchio", conservato quasi integro ai giorni nostri. Del luogo si parla in un documento del 12 giugno 1480 nel quale Ludovico Gonzaga, vescovo di Mantova e signore di Castel Goffredo, stipulò degli accordi con il comune sul possesso di alcune terre del luogo. Della prima fortificazione facevano parte anche: il castello medievale, ora scomparso; la Porta di Sopra, formata da una grossa torre rettangolare, divisa in tre piani, ora scomparsa; il Rivellino, addossato alla Porta di Sopra, ora scomparso; la Torre civica, alta 27 metri, che fungeva di porta d'accesso (chiamata porta castelli veteri) e chiudeva l'accesso a Castelvecchio; il Palazzo Gonzaga-Acerbi, residenza castellata, con fossato antistante di difesa; il Torrazzo medievale. Della prima cinta si conserva ancora un importante tratto corrispondente al lato nord del Palazzo Gonzaga-Acerbi. All'inizio del Quattrocento, sotto il marchesato di Alessandro Gonzaga, l'abitato costruito a ridosso di "Castelvecchio" fu circondato da un secondo ordine di mura e dal rivellino. Tutto attorno alle mura si estendeva un fossato originato dal corso dei torrenti Fuga e Tartarello, mentre una strada di circonvallazione percorreva tutto il perimetro. Nella città fortezza vi erano sette torrioni difensivi ad arco circolare ... e quattro porte di accesso: Porta Picaloca, a est, all'ingresso dell'attuale via Mantova; Porta di Sopra, a nord, all'ingresso dell'attuale via Manzoni, a ridosso della quale nel 1460 fu costruito a maggiore difesa il rivellino; Porta del Povino, a sud, all'ingresso dell'attuale via Botturi; Porta di Poncarale, a ovest, all'ingresso dell'attuale via Poncarali; Ludovico Gonzaga, vescovo di Mantova e signore di Castel Goffredo, nel 1480 affidò l'incarico di potenziare le mura difensive all'architetto militare Giovanni da Padova. Anche il marchese Aloisio Gonzaga (1540) provvide a rafforzare le porte di accesso alla città. Dopo il marchesato di Alfonso Gonzaga, che apportò solo piccoli miglioramenti alle fortezza, iniziò il decadimento delle mura difensive a causa dell'abbandono in cui furono lasciate dai duchi di Mantova e dalle guerre. Tra il 1757 e il 1771 iniziò il progressivo abbattimento delle opere di difesa, iniziando dal rivellino. Nel 1817 prese avvio la demolizione della seconda cinta muraria che progressivamente venne conclusa nel 1920. Di questa seconda cinta muraria si conserva ancora traccia del Torrione di Sant'Antonio sul quale, nel 1930, venne costruito un edificio adibito a colonia estiva elioterapica (Parco La Fontanella) e di un tratto di fossato che cingeva le mura a ovest del borgo; una costruzione di civile abitazione sorta sul Torrione dei Disciplini assieme a un tratto di fossato a sud-ovest del centro abitato. Delle porte che chiudevano la città rimane traccia in due pilastri in marmo della Porta Picaloca all'ingresso di via Mantova».
http://it.wikipedia.org/wiki/Mura_di_Castel_Goffredo
Castel Goffredo (palazzo Gonzaga-Acerbi, Torrazzo)
«Palazzo Gonzaga-Acerbi è uno storico palazzo del centro di Castel Goffredo, in provincia di Mantova ed occupa l'intero fronte settentrionale di Piazza Mazzini. È stato la residenza di tutti i signori che si sono succeduti a Castel Goffredo, iniziando dai Gonzaga di Mantova. L'originaria costruzione di residenza castellata, soggetta a varie aggiunte e modificazioni, è incastonata tra la torre civica a ovest e il Torrazzo ad est e risale al 1350 circa. Di proprietà del comune (domus comunis), che effettuò opere di ampliamento e riattamento. Era sede del vicario dei Gonzaga, che abitava nell'annesso Torrazzo, comunicante col palazzo. Una pergamena del 1480 parla del passaggio in proprietà al marchese Ludovico Gonzaga, che iniziò le opere di miglioramento dell'edificio. Nel 1511 divenne la residenza del marchese Aloisio Gonzaga, che ne fece una corte sfarzosa, ospitando personaggi illustri, tra cui il capitano imperiale Luigi Gonzaga "Rodomonte", il poeta Pietro Aretino nel 1536, dal 1538 al 1541 lo scrittore Matteo Bandello (che qui conobbe Lucrezia Gonzaga di Gazzuolo) con Cesare Fregoso, Costanza Rangoni e i loro figli, l'imperatore Carlo V (28 giugno 1543) e lo studioso di chiromanzia frate Patrizio Tricasso da Ceresara. Ad Aloisio si deve la formazione del giardino interno, ora ricco di alberi secolari. Il marchese fece dipingere la facciata con il fregio ad intreccio di amorini e la scritta: Fortitudo mea, Amor populi, Potentiorum reverentia, ora scomparse. Anche i tre figli di Aloisio videro la luce nel palazzo: Alfonso nel 1540, futuro marchese di Castel Goffredo; Ferrante nel 1544, futuro I marchese di Castiglione e Orazio nel 1545, futuro marchese di Solferino.
Importanti opere interne furono eseguite nel 1526 e nel 1598 da Alfonso
Gonzaga, che dotò il palazzo di finestre a vetri. ...
All'interno è presente una loggia retta da colonne in marmo dai
volti finemente affrescati a grottesca (scuola di Giulio Romano). Una
scalinata, dalla volta affrescata, conduce al piano nobile. Di
pertinenza del palazzo erano anche alcune case e la filanda (fatta
costruire da Giacomo Acerbi) con annesso filatoio, delimitate
dall'attuale vicolo Cannone. Del palazzo facevano parte anche le mura
dell'antica fortezza di Castel Goffredo, oggi ancora in parte
conservate e occupanti la parte nord. ... Situato nell'angolo
sud-occidentale del Palazzo Gonzaga-Acerbi, al quale appartiene e ne
segue la storia, nella centrale Piazza Mazzini, è una
costruzione medievale con coronamento a sbalzo sostenuto da mensoloni,
innalzato probabilmente nella seconda metà del XIV secolo a
scopo difensivo e ad uso abitazione del vicario rappresentante dei
Gonzaga di Mantova, al quale il Comune di Castel Goffredo doveva dare
alloggio e contribuire al salario. Il primo vicario ad occupare la
struttura fu Ambrogio de Ferrari nel 1379 cui seguirono altri tredici.
Al piano terreno dell'edificio era alloggiata la camera di tortura. Un
manoscritto anonimo del XVII secolo riporta che il Torrazzo (detto
anche Torricello) fu la sede del banco dei pegni degli ebrei, chiamati
nel 1588 da Mantova dal marchese Alfonso Gonzaga. Soggiornò nel
Torrazzo anche San Luigi Gonzaga. Nelle stanze del Torrazzo furono
tenute prigioniere Elena Aliprandi e la figlia Cinzia Gonzaga
allorché una sollevazione popolare della “Magnifica
Comunità” castellana portò alla morte del marito,
il marchese Rodolfo Gonzaga il 3 gennaio 1593. Fu rinnovato
esteriormente nel Settecento quando furono aperte le cinque finestre
prospicienti la piazza».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Gonzaga-Acerbi
-
http://it.wikipedia.org/wiki/Torrazzo_di_Castel_Goffredo
Castel Goffredo (palazzi Riva)
«Palazzo Riva (èl Palàs in dialetto locale) è uno storico palazzo di Castel Goffredo, in provincia di Mantova, ed è situato alla periferia sud della città. Attualmente in disuso. L'edificio faceva parte di un complesso di costruzioni che costituivano l'azienda agricola della nobile famiglia Riva di Castel Goffredo, proveniente a Castel Goffredo nel 1590. Palazzo Riva. Sorge sulla destra della villa e sulla riva del torrente Tartaro. È una costruzione in stile neogotico risalente al 1840. Intorno a quell'anno in alcuni locali del palazzo, Bartolomeo Riva (1804-1865) iniziò la coltura del baco da seta su scala industriale, sul modello francese della bigattaia di Camille Beauvais. Villa. Edificio a nord della corte in stile mantovano del settecento con due balconi coevi inseriti nella facciata. Era la residenza estiva della famiglia. All'interno sono presenti l'atrio di ingresso in stile impero con soffitto a mensole e dal soffitto affrescato. Due sale si aprono a destra e sinistra dell'atrio e quella di sinistra conserva pregevoli affreschi di carattere mitologico. Abitazione. A sinistra della villa sorge una costruzione risalente al XVII secolo che subì delle modifiche in stile neogotico. Porticato. In stile neogotico, sorge a ovest delle abitazioni e risale al periodo tra il 1855 e il 1864. Nei pressi di Palazzo Riva il 24 aprile 1945 venne colpito a morte dai tedeschi in ritirata il partigiano castellano Bruno Antonelli. Alla famiglia Riva apparteneva anche il palazzo sito in Piazza Mazzini, nel centro storico di Castel Goffredo» - «Edificato agli inizi nel Cinquecento e situato tra piazza Mazzini e via Roma, [il palazzo Riva urbano] era la residenza cittadina della nobile famiglia Riva. Composto da due edifici, si conservano ancora al piano terreno il portale in marmo, un loggiato con colonne in marmo e al primo piano un salone impreziosito da affreschi e stucchi. Qui nel maggio del 1848 venne accolto Vittorio Emanuele II, futuro re d’Italia, ospite di Bartolomeo Riva».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Riva_di_Castel_Goffredo - http://www.buonviaggioitalia.it/c12-citta-d-arte-e-cultura...
Castel Goffredo (torre civica, Castelvecchio)
«La struttura è situata in
Piazza Mazzini, nel centro storico cittadino, ovvero nella parte che
delimitava l'antica fortezza di "Castelvecchio" (castellum vetus).
Posta a fianco sinistro del Palazzo Gonzaga-Acerbi e del Palazzo della
Ragione, è testimone da secoli del centro politico della città ed è
popolarmente considerata il simbolo di Castel Goffredo. Appartenente alla
prima cinta muraria della città, chiudeva il borgo medievale di
"Castelvecchio" nella parte meridionale. La sua fondazione risale al XIII
secolo e dal 1438 vi è alloggiato l’orologio pubblico. Sull'arco passante
della torre è affisso lo stemma marmoreo con l'arma dei Gonzaga[6]e sui
fianchi sono collocate due epigrafi volute da Aloisio Gonzaga nella prima
metà del Cinquecento. Inizialmente coperta da tetto e alta circa 20 metri,
fu sottoposta a interventi di ampliamento che le permisero di raggiungere
gli attuali 27 metri di altezza. Era dotata di una scala esterna, sul fianco
est, che metteva il comunicazione la piazza con l'interno della torre. Nel
1492 fu rialzata con una nuova cella campanaria che ancor oggi ospita il
concerto di otto campane, alcune delle quali risalenti al Cinquecento, della
Chiesa Prepositurale di Sant'Erasmo. Nel 1925 fu rifatta la copertura e
realizzata la merlatura ghibellina. Per le sue caratteristiche tipicamente
medioevali la rendono inoltre uno dei monumenti principali della città,
tanto da essere ben visibile in avvicinamento a Castel Goffredo».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_civica_di_Castel_Goffredo
«All'inizio del Quattrocento, sotto il marchesato di Alessandro Gonzaga, il primo nucleo abitato costruito a ridosso di "Castelvecchio" fu circondato da un secondo ordine di mura. Tutto attorno alle mura si estendeva un fossato originato dal corso dei torrenti Fuga e Tartarello. Nella città fortezza vi erano sette torrioni difensivi ad arco circolare così chiamati: Torrione Cavallara, a nord-est; Torrione di San Giovanni, a est; Torrione di San Michele, a sud-est; Torrione Fontana del Moro, a sud; Torrione dei Disciplini (o di San Matteo), a sud-ovest; Torrione Poncarali, a ovest; Torrione di Sant'Antonio, a nord-ovest. Nel 1817 prese avvio la demolizione della seconda cinta muraria che progressivamente venne conclusa nel 1920. Ciò che rimane dell'antico Torrione di Sant'Antonio, lambito ancora dal torrente Fuga, è oggi rappresentato dal basamento sul quale insiste la costruzione circolare coperta con arcate (la rotonda) visibile e visitabile nel Parco La Fontanella. ... Ciò che rimane dell'antico Torrione dei Disciplini, lambito ancora dal torrente Fuga, è oggi rappresentato dal basamento sul quale insiste una costruzione di civile abitazione. È così chiamato per la sua vicinanza alla cinquecentesca Chiesa dei Disciplini. ... Il torrione [Poncarali] prese il nome dalla nobile famiglia bresciana dei Poncarale che, nel XIV e XV secolo, deteneva larghi possedimenti a Castel Goffredo ed essi diedero il nome ad uno dei cinque quartieri, borgo Poncarale, in cui era suddiviso il paese e ad una contrada, Contrada Poncarali».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torrione_di_Sant'Antonio_(Castel_Goffredo) - Torrione_dei_Disciplini - Torrione_Poncarali
Castelbelforte (tracce delle fortificazioni)
«Uscendo da porta San Giorgio, fatti pochi chilometri sulla provincia che taglia Ghisiolo, si entra in Castelbelforte. Fin verso il 1100 gli annali parlano di poche case sperdute, abitate da pescatori e da gente dedita alla pastorizia e al duro lavoro dei campi. Nel XII secolo esisteva già, uno e l'altro di là del torrente Essere che separa il paese, in due torrioni contesi in lunghe battaglie da veronesi e mantovani. Questi ultimi, avuta la meglio, nel XIV secolo edificarono un castello attorno al quale si sviluppò poi la solida geometria dell'abitato che fu chiamato CASTELBONAFISSO. Il paese seguì le vicende del ducato mantovano per diversi secoli servendo come posto avanzato di difesa contro gli Scaligeri. I torrioni furono fortificati e ampliati a gli abitanti ebbero anche dei privilegi per i lodevoli servizi prestati in pace e in guerra per concessione dei governi della signoria di Mantova e della Repubblica di Venezia, fino al 1406. Degno di nota un documento del 1520 nel quale si fa memoria di come gli abitanti del luogo chiedessero un intervento diretto da parte del marchese di Mantova al fine di far fronte ai dissesti causati dai frequenti saccheggi bellici; nella supplica si parla di incursioni colpevoli di avere ridotto in condizioni talmente misere la popolazione da non poter nemmeno più sopperire alle spese delle cariche locali. Intanto Castelbonafisso aveva cambiato nome assumendo quello di "DUE CASTELLI", nome con il quale (in dialetto "CASTEI") il paecastelbelforte medioevose è conosciuto ancor oggi non solo in tutto il mantovano ma anche in tutto il territorio veronese. ... Il paese di Castelbelforte prende il nome da due fortezze a forma di torre che si elevano nel suo territorio: una in fondo all'attuale vicolo torre, l'altra dietro la casa dei dipendenti comunali. Esse sono state distrutte nel secolo scorso. ... Quelli che avrebbero dovuto essere i monumenti più cari per i Castelbelfortesi non ci sono più. Il Castello gradatamente fu demolito per ricavare materiale edilizio e la Torre alta e massiccia fu abbattuta nel 1800 per scommessa, a colpi di cannone, da un presuntuoso signorotto del luogo. ...».
http://www.360-gradi.it/luoghi/informazioni-turistiche-citta-castelbelforte-0000003462.html
Castellaro Lagusello (castello)
«Segnato dal rapporto tra il laghetto e la bella cerchia muraria che racchiude il castello e il borgo, rappresenta un esempio assai raro di fortificazione, perfettamente sopravvissuta, di un piccolo abitato rurale, in un ambiente intatto e pregevole. Risale al XIII-XIV secolo, con pochi interventi successivi. Si entra a N sottopassando un'alta torre quadrata (questo motivo è tipicamente mantovano e si trasmette anche alle corti rurali) e, attraversato il borgo su cui domina la barocca parrocchiale di S. Nicola, si accede al sito del castello-villa Gonzaga-Tacoli, acquisito dai Gonzaga nel 1391 e sottoposto in seguito ad aggiunte e modifiche soprattutto ottocentesche, che non hanno tuttavia alterato l'armonia del complesso né cancellato le preesistenze».
http://www.touringclub.com/monumento/lombardia/mantova/castello-di-castellaro-lagusello.aspx
«La costruzione della torre civica di Castellucchio risale al 900. Alta circa 24 metri e con base quadrata (8 x 8 metri), riporta le classiche merlature e, subito sotto, la cella campanaria. Questa grande stanza ha su ogni lato una trifora che permette al suono delle campane di espandersi. Posta sul punto più alto del paese, piazza Arturo Pasotti, costituisce ancora oggi porta d’accesso al borgo Castello. Viene catalogata tra le costruzioni tipicamente difensive; la sua posizione permetteva infatti la protezione del territorio dalle incursioni dei Visconti di Milano e dai cremonesi. Castellucchio, in quei tempi, era una grossa corte e pertanto facilmente attaccabile per ruberie. Nel 1100 la torre pare fosse di proprietà della famiglia Canossa, che la fortificò con grosse mura, camminamenti e torri di guardia. è documentata la prima incursione subita ad opera di Feltrino Gonzaga (1359) venuto da Reggiolo con 300 cavalieri e 200 fanti per rubare nei possedimenti dei suoi parenti. Lodovico Gonzaga (1370-80) rafforzò le fortificazioni esistenti nel Mantovano e ne costruì di nuove per difendersi dagli assalti di Bernabò. Anche la torre di Castellucchio beneficiò dei lavori di miglioria. Successivamente assalti sono segnalati nel 1514-1516, in occasione della guerra tra francesi e veneti da una parte, spagnoli e austriaci dall’altra. Nel 1707, l’amministrazione austriaca prese possesso del ducato dei Gonzaga, esaminò lo stato di torri e castelli per una più funzionale organizzazione della strategia militare. La torre di Castellucchio vista la precaria staticità, venne elencata tra le fortezze da demolire. Si iniziò con l’abbattimento delle mura di cinta. Il materiale ricavato venne impiegato per consolidare e fortificare i castelli e le residenze dei nobili vicini.
L’ingegner Jacopo Martinelli
nel 1844, su incarico dell’amministrazione comunale, operò notevoli
interventi per rafforzarla e ne modificò anche l’aspetto. Il tetto venne
abbassato – in origine sormontava le merlature – e fu realizzata la cella
campanaria con relativa intelaiatura in ferro. Le campane del paese furono
fuse nel 1844 da Pietro Cavadini e figli e benedette dal vescovo. Il loro
peso varia dagli 800 ai 240 chilogrammi. Si chiamano San Giorgio la prima,
in onore del patrono del paese; San Vincenzo la seconda; Santa Maria la
terza (di proprietà del comune); San Francesco d’Assisi la quarta e San
Giovanni Battista la quinta. Il concerto di queste campane è sulla nota
fondamentale do maggiore. Nel 1978, venuta a mancare l’opera manuale del
campanaro fu installato un impianto elettrico. La ditta Melloncelli di
Sermide automatizzò il suono delle campane. L’orologio solare "meridiana" –
contrapposto a quello meccanico – reca la scritta latina: "dividit umbra
diem" (l’ombra divide il giorno). La lapide che si affaccia a piazza Pasotti
(molto malandata e solo nella parte finale decifrata) porta la scritta: "Nel
1844/ unendosi a questo municipio/ la fabbriceria parrocchiale/venne
ristrutturata/ed a miglio vita/ridotta". Nel 1987 l’amministrazione comunale
ha deciso importanti lavori di restauro conservativo della torre.
L’architetto Paolo Barsoni ha diretto i lavori di ristrutturazione tenendo
conto dell’idoneità d’uso (sede della biblioteca, sala mostre e museo) ma
conservando il più possibile l’identità storica. Sono state recuperate le
feritoie esistenti nei lati pieni,la scala in mattoni che da sulla strada,
la scala in legno alla "cappuccina" per i piani superiori, le travi portanti
dei solai».
http://www.comunecastellucchio.it/museodellearmi.asp
Castiglione delle Stiviere (Casino Pernestano)
«Nel lembo di territorio agricolo compreso tra la Provincia di Brescia, Castel Goffredo e Medole è possibile scorgere una costruzione ben diversa dalle altre corti rurali: un fortilizio contenente un alto ed elegante palazzo dalla forma simile ad un cubo. Dall’indagine storica si scopre che l’immobile è originariamente appartenuto al ramo della famiglia Gonzaga che dominava il principato autonomo di Castiglione delle Stiviere. Francesco Gonzaga (23 aprile 1577–23 ottobre 1616) diviene marchese succedendo al fratello Rodolfo morto assassinato. Egli aspira ad annettersi Castel Goffredo come erede dello zio Alfonso ed ha un forte rivale in Vincenzo duca di Mantova dal quale nel 1602, grazie all’intercessione imperiale, ottiene l’annessione di Medole al proprio marchesato. Francesco vive nell’orbita dell’Impero prima come ambasciatore di Rodolfo II in Fiandra e di papa Clemente VIII in Roma poi nel 1613 in qualità di commissario imperiale nella contesa tra il duca di Mantova e quello di Savoia. Nel 1609 ottiene il titolo di Principe. Intorno al 1610 il Principe commissiona una residenza di campagna per lo svago in battute di caccia, giochi e feste della moglie Bibiana di Pernstein. Il palazzo, circondato dal fossato e dalle mura dotate di quattro torri angolari, sorge al centro di un vasto cortile. Il catasto Teresiano (1777) rappresenta l’immobile nella sua conformazione originaria descrivendolo come Casino o casa e corte di villeggiatura di proprietà della Regia Ducal Camera di Mantova e quindi dell’Impero Asburgico. Nel catasto Lombardo-Veneto (1865) il palazzo, adibito a casa di villeggiatura da un privato proprietario, è indicato come Casino Pernestano. A sud del complesso edilizio si trova l’antico borgo, denominato Gosellina e poi Gozzolina, lambito dal fiume Marchionale».
http://web.tiscali.it/conchiglie.sabbia/c_pernestano.pdf (a c. di Valentino Ramazzotti)
Castiglione delle Stiviere (castello)
«Edificato ai tempi delle incursioni barbariche (sec. VII-IX) su un precedente "castrum" romano ... raggiunse il suo massimo splendore al tempo della Signoria della famiglia dei Gonzaga quando il duca Ferrante Gonzaga, padre di S. Luigi, ne fissò la dimora di famiglia facendolo divenire sede della sua corte. In questo periodo il Castello venne ampliato (venne aggiunto anche il palazzo della Zecca in quanto la città nel 1567 ottenne il privilegio di battere moneta) e venne abbellito, trasformando le grandi stanze del castello in eleganti appartamenti residenziali. In seguito alla guerra di successione spagnola, nel 1706 venne distrutto dai francesi in ritirata; i ruderi dello stesso, vennero successivamente reimpiegati nella costruzione del nuovo Duomo. Oltrepassata la torre d'ingresso, nella modesta corte, si può notare sul lato sinistro la piccola chiesa di San Sebastiano; essa, che rappresentò ai tempi della signoria la cappella di corte del Palazzo, venne eretta nel 1577 da Ferrante Gonzaga, come ringraziamento a san Sebastiano per lo scampato pericolo della peste dell'anno prima, che molte vittime procurò in Lombardia ma che invece aveva risparmiato la città di Castiglione».
http://www.castiglionedellestiviere.info/castello.htm
Castiglione Mantovano (castello)
«Il castello, con tutta probabilità, sorse su un antico “Castrum” .... Il castello sorge su un rilievo naturale (di circa 6-8 m sul piano di campagna), che è un elemento assai singolare in una zona dalla morfologia assolutamente pianeggiante; esso domina il territorio ove un tempo correva la linea di confine celtica della “Padana Gallica”, in una zona che allora come oggi, era di confine tra due regioni: la Lombardia e il Veneto. Esso doveva infatti servire sin dall’origine, come avamposto alle vie d’accesso a Mantova. Nel 1228, la borgata Castiglionese viveva in regime repubblicano; vogliosa di lavorare e produrre in pace, riedifica il castello distrutto in fasi successive dai Veronesi e ne ripristina la funzione difensiva contornandolo con fosse e barricate. Nel 1370, Ludovico Gonzaga, per difendersi dagli assalti di Bernabò Visconti, ne rinforzò le mura, scavò dei fossati e attrezzò il ponte levatoio di assiti e bolzoni. Successivamente, auspicando a tempi di pace, Ludovico II, nel 1468, sostituì il ponte levatoio con una costruzione più solida in muratura. Nel 1484, come già detto, le forze alleate di Ferrara, Calabria e Mantova si scontrano contro le forze venete (specie Venezia) capeggiate dal Sanseverino. In questo contesto, l’architetto Luca Fancelli (il principale costruttore della fabbrica di Sant’Andrea in Mantova), viene incaricato dai Gonzaga di attrezzare i fortilizi del confine veronese, tra cui quindi anche Castiglione Mantovano: costruisce merli e mantelletti, colma d’acqua i fossati e inonda artificialmente le zone circostanti il castello. Un intervento che si rese prezioso nel momento in cui i Castiglionesi, trovatisi coinvolti nella battaglia, poterono rifugiarsi nel castello, riuscendo a difendersi dagli attacchi esterni.
Verso la metà del ‘500, durante il ducato di Federico II, si sa che vengono svolti lavori di manutenzione ai ponti e alle fosse. Nel 1582, risulta che le torri si presentassero addirittura mozzate e richiedessero un urgente intervento di ricostruzione; i Castiglionesi chiederanno in questo periodo al Duca di Mantova l’esenzione al pagamento delle tasse, con l’intento di concentrare i loro mezzi nel riparare quanto danneggiato. Nonostante da questo momento in poi il castello funzionerà soltanto come punto di controllo e avvistamento verso il veronese, nel 1630 esso venne nuovamente danneggiato, quando Castiglione (come Mantova) fu abbandonata al saccheggio dei Lanzichenecchi. Fin dalla metà del ‘700 esso viene annoverato come un fortilizio decisamente “dirupato o in ruina”; nonostante il suo stato di degrado, nemmeno dopo il 1707 (inizio della dominazione austriaca) esso verrà abbattuto. Nel tempo, da costruzione militare il castello viene a trasformarsi in un organismo rurale assimilabile ad una corte, chiusa e di forma quadrata. Oggi, attraversando l’arco di ingresso a lato della torre d’entrata, si osserva una cortina continua di abitazioni sul lato sinistro e quello di fronte, oltre ad altre costruzioni rurali. La casa padronale di questo organismo, ora solo parzialmente sopravvissuta, si innestava molto probabilmente direttamente alla torre d’entrata, come dimostrerebbe la rappresentazione del castello che fa da sfondo alla pala posta dietro l’altar maggiore della chiesa parrocchiale (Arch. Parrocchiale, 1600)».
http://www.castiglionemantovano.it/Castiglione/Storia.html
«Cavriana, borgo fortificato in provincia di Mantova, sorge su una delle colline meridionali dell’anfiteatro morenico del Garda, luogo ideale per un insediamento umano grazie alla posizione dominante sul territorio circostante e di conseguenza. Già nel neolitico il sito e le sue adiacenze risultano ampiamente antropizzate; in epoche successive la zona fu abitata da popolazioni galliche e successivamente dai Romani come testimoniato dalla presenza nelle vicinanze della domus di San Cassiano. Dell’esistenza del borgo le prime testimonianze scritte risalgono agli inizi del X secolo, in particolare nel 905 d.C. Cavriana è citata nell’inventario dei beni del Monastero di S. Giulia di Brescia, successivamente il paese è citato nel 1045 d.C. in un diploma imperiale di Enrico II nel quale è confermato il possesso della Corte di Cavriana al Vescovo di Mantova. Dalla seconda metà dell’XI secolo compare sui documenti il toponimo Capriana, che rimarrà in uso fino agli inizi del XVIII secolo. All’XI secolo durante la dominazione dei Canossa, successiva a quella della Curia Mantovana e terminata nel 1115 d.C. con la morte della contessa Matilde, è attribuita la prima fase di fortificazione del borgo, quasi contemporaneamente o immediatamente posteriore è l’edificazione della Pieve dedicata alla Madonna Immacolata e dei due oratori, quello di San Sebastiano sorto esternamente a ridosso del lato meridionale della muratura della fortificazione e quello di San Biagio in Castello che risulta documentato già nel 1181 d.C. In epoca comunale Cavriana fu concessa dal Comune di Mantova alla famiglia Riva attribuendole funzioni difensive per contrastare la minaccia rappresentata dalla crescente potenza di Verona. La distruzione del castello avverrà intorno al 1270, durante il conflitto tra i Riva e i Bonacolsi che risultarono vincitori e assunsero il dominio sul paese fino a che non vennero a loro volta sconfitti e sterminati dai Gonzaga nella prima metà del XIV secolo.
Proprio all’epoca dei Gonzaga risale la seconda fase di fortificazione di
Cavriana, il borgo era infatti compreso nel sistema difensivo organizzato da
Mantova contro la pressante minaccia Viscontea, costituito da un sistema di
torri d’avvistamento poste in comunicazione tra loro che permetteva di far
giungere alla città in breve tempo messaggi di eventuali pericoli
incombenti. Pertanto fu costruito un alto giro di mura difensive attorno al
castello al cui interno si trovava il borgo e in posizione sopraelevata la
Rocca che dai documenti dell’epoca risultava dotata di quattro torri
angolari d’avvistamento. Da una di queste è stata ricavata dopo successive
ricostruzioni l’attuale torre campanaria, risalente al XVII sec., della
chiesa parrocchiale di Santa Maria Nova. Cavriana sarà teatro, per lungo
tempo, di numerosi scontri tra i Gonzaga e i Visconti. Nella seconda metà
del XV secolo fu affidato l’incarico all’architetto Giovanni Da Padova di
potenziare le strutture difensive, rinforzando le mura oltre che circondarle
con un sistema di fossati. Contemporaneamente, grazie al lavoro
dell’architetto Luca Fancelli, il palazzo viene arricchito ed ingentilito
con loggiati e decorazioni eleganti. Succede un periodo di splendore tanto
da far risultare agli inizi del XVII secolo il castello di Cavriana il più
importante dello Stato, questo felice momento è però destinato a durare
poco, infatti durante la prima metà dello stesso secolo il castello viene
preso d’assedio, occupato ed in parte demolito, il paese è colpito dalla
peste e la popolazione decimata. L’entità della gravità della situazione è
ben comprensibile se si considera che nel 1650 nel censimento delle
strutture difensive dei Gonzaga, il castello di Cavriana viene considerato
ormai caduto. La caduta dei Gonzaga avviene nel 1708, il territorio di
Cavriana viene annesso ai domini austriaci ma il castello ormai in rovina
viene escluso dai progetti di ricostruzione dei sistemi difensivi stabiliti
dopo il trattato di Utrecht del 1713. Al 1749 risale una parziale
ristrutturazione della loggia del castello ed al 1771 l’ordine, da parte del
governo austriaco, dell’abbattimento del della rocca in seguito ad un
fallito tentativo di vendita della stessa. Ad oggi si possono ancora vedere
in piedi alcuni tratti delle mura difensive del castello, una delle porte
d’accesso, i resti della Rocca ed una delle sue torri d’avvistamento
ricostruita nel corso del XVII secolo ed adibita alla funzione di torre
campanaria».
http://www.universitaeuropeadiroma.it/index.php?option=com_content&view=article&id=713&Itemid=111
«Il Castello di Ceresara è un'antica roccaforte risalente al XIII secolo situata nel centro storico del paese, che conserva inalterata la Torre Civica, nell'attuale Piazza Castello. Il maniero originario fu abbattuto ai tempi in cui apparteneva alla famiglia dei Bonacolsi (precisamente nel 1274 da Pinamonte), signori di Mantova fino al 1328, anno in cui furono cacciati da Luigi Gonzaga. Il castello fu probabilmente ricostruito agli inizi del Quattrocento da una nobile famiglia insediatasi nel luogo, i Ceresara, discendenti da un Lanfranco, calato dalla Germania nel XII secolo. A pianta quadrangolare, come attesta una mappa del 1629, con cinta muraria e fossato, il castello era munito della torre d'ingresso sopravvissuta fino ai nostri giorni. La torre, dotata di ponte levatoio con due entrate - pusterla e carraia con arco a sesto acuto - in origine era scudata, cioè aperta sul lato interno del castello e culminava con la merlatura. In epoca successiva ha subito un innalzamento ed è stata provvista di copertura. Forse vi era anche un canale a potenziamento del sistema difensivo. All'interno delle mura dovevano sorgere: la torre maggiore, il complesso castellano rapportabile alle odierne ragioni Atti, Froldi, Zoetti, Affini, Pancera. A nord un edificio al posto dell'attuale Municipio e, più in là, il nucleo urbano della "Parma vecchia" (area dell'Istituto Bettini-Morandi), a ovest la chiesa della Trinità e a nord-ovest casa Previdi. Uno scorcio del "castrum" medioevale compare in un affresco situato vicino al voltone della torre campanaria. I Gonzaga, nel XV secolo, elevarono l'importanza del borgo a difesa delle loro terre di confine e fecero abitare il castello da un loro vicario. Un importante membro della dinastia passò parte della sua vita nel maniero e vi morì a 27 anni: Gianlucido Gonzaga, figlio quartogenito di Gianfrancesco Gonzaga, primo marchese di Mantova. L'edificio fu anche abitato dal poeta e letterato Ascanio de’ Mori da Ceno che, dal 1578 al 1582, era al servizio di Guglielmo Gonzaga nel borgo. La torre ha subito un importante restauro conservativo nel 1981. Proprio nei giorni scorsi [maggio 2013] è stato approvato dalla Giunta comunale di Ceresara un progetto che prevede lavori di ristrutturazione e restauro della torre civica».
http://castelliere.blogspot.it/2013/05/il-castello-di-martedi-21-maggio.html
Cerlongo (castello dell'Incoronata o villa Magnaguti)
«Complesso architettonico dal
gradevole affetto scenografico. La denominazione è recente ma la sua storia
parte da lontano e se pur certo più frutto di deduzioni che documenti legati
alle vicissitudini cerlonghine. Probabilmente nel sito esisteva già
un edificio nel XV sec., ma un documento certo si rintraccia nel Catasto
Teresiano del 1776 del Comune e dei suoi colonnelli (frazioni), dove a
livello cartografico si può vedere una contrada ben delineata e simile
all’attuale con le ripartitore dei comparti, corti, coltivi e destinazioni
d’uso perfettamente coincidenti. Nel mappale 1913 si riparte la proprietà di
Scaratti Vincenzo e Filippo di casa e corte in parte di villeggiatura e in
parte casa e corte appunto ad uso masserizio. Seguendo le notizie storiche
intorno al succedersi dei proprietari su può tratte qualche informazione
anche e proprio in funzione della lettura dello stato e delle trasformazioni
apportate nel tempo allo stabile. Negli inventari parrocchiali si parla
della costituzione e benedizione dell’oratorio pubblico, edificato
attiguamente nel luglio 1838 dalla nobile famiglia Cocastelli, dedicato alla
presentazione al Tempio di Maria. Un documento dell’archivio parrocchiale
cita il nome dei proprietari del palazzo nel 1858: la corte Cocastelli
include i numeri civici dal 295 al 306, il numero 302 indica il Palazzo
patronale di villeggiatura abitato dal conte Reginfrido Cocastelli e
famiglia, vi risiedono pure il cuoco, il cameriere, il carrozziere, la
guardarobiera, la donzella e la balia. Il numero 305 è abitato dal curato
don Biagio Ribolla e gli altri dal contadino. Il conte divenne deputato dal
regno Lombardo – Veneto e nel marzo 1860 sindaco del Comune di Goito nel
Regno d’Italia. Il passaggio di proprietà ai nobili conti Magnaguti non è
documentato ma dovrebbe risalire agli ultimi decenni dell’800 probabilmente
per matrimonio con una figlia del conte Cocastelli. A tal proposito sul
pavimento a mosaico è posto l’emblema araldico della famiglia Magnaguti: una
cicogna tenente nel becco un serpentello verde. Nel 1866 Vittorio Emanuele
Secondo soggiornò nel palazzo cosi come testimonia una lapide interna. A
metà del 1950 circa il complesso fu deceduto alle Suore dell’Incoronata per
poi essere recentemente acquistato dal Comune di Goito.
Descrizione. L’impianto più antico del complesso sembra essere riconducibile
a metodologie costruttive locali, ma già in uso nel periodo
pre-rinascimentale. L’edificio a sviluppo gran parte orizzontale si erge di
poco rispetto ai corpi di fabbrica che lo serrano ai lati. Strutturato su
due piani sovrapposti, uno di servizio basso, uno rialzato nobile, di
rappresentanza. È caratterizzato da segnatura in elevazione del corpo
centrale con timpanatura nella facciata interna, e con tre bastioni e fronte
merlato di tipo guelfo sulla strada. Gli elementi architettonici presenti
potrebbero ricondurre a canoni stilistici seicenteschi ma alcuni elementi la
rendono probabilmente un’opera tardo settecentesca o ottocentesca. L’innesto
dei bastioni, uno maschio centrale e due laterali, potrebbero risalire alla
seconda metà dell’800, forse già dai Conti Magnaguti sull’onda del fiorire
dello stile neogotico in sintonia con la coincidente edificazione della
chiesa parrocchiale di Sermide (1869/1874), da dove la nobile famiglia
proveniva e manteneva poteri, possedimenti e nobile dimora. Nel portalino
sono presenti elementi architettonici originali recuperati dai Cocastelli
dalla chiesa demolita di S. Domenico a Mantova».
Cesole (villa Bianchi oggi Negri)
«Documentata già nel 1538 come la corte di Cesole, nel 1575 è proprietà di Ferdinando Gonzaga, signore di Guastalla, che nel 1594 la cede a Ercole Gonzaga. Passata al duca Vincenzo signore di Mantova, costui la cedette a Gerolamo Bianchi, i cui discendenti (marchesi) la vendettero a loro volta ai fratelli Fano, che ristrutturarono il palazzo padronale in forme neoclassiche. La splendida villa, connotata all'interno dall'ampio androne a cassettoni (Salone centrale) che l'attraversa, presenta tra l'altro la sala denominata del Fornaretto con le decorazioni grottesche attribuite appunto al pittore detto il Fornaretto Mantovano. Oggetto di recenti restauri, è parte di un complesso abitativo che comprende magazzini, scuderie, chiesa padronale ed un ampio parco secolare con giardino all'italiana, caratterizzato al centro da un'emblematica costruzione a torre (Colombaia), affrescata nella sua parte inferiore. Oggi è essenzialmente utilizzata come "Location per Matrimoni».
https://it.wikipedia.org/wiki/Marcaria#Architetture_civili
«Il Torrazzo Gonzaghesco, simbolo della storia locale, misura 28 m. di altezza, mentre la base ne misura 10x13. è il segno dell'assoluto dominio dei Gonzaga su Commessaggio e la lapide originale recita: VESPASIANUS D. / G. DUX SABLONETAE / I CONSPICUAM / HANC TURRIM / FLUMINI IMPOSUIT / ET INTERRUPTM / ITER PONTE STRAVIT / ANNO A. NAT. DOMINI / MDLXXXIII. L'ingresso era collocato sul lato sinistro e solo nel '700 il Torrazzo fu unito al caseggiato. La base è costituita da uno zoccolo inclinato a scarpa, sormontato da un bordo tondeggiante. Esternamente, nell'estrema parte superiore, è decorato da merli biforcuti a linee ricurve. Nel sottotetto, per tutto il perimetro della torre, si trovano 48 aperture a tana di lupo. All'interno tre sale a volta sono sovrapposte e messe in comunicazione da una preziosa scala a chiocciola di ben 123 gradini monolitici in marmo bianco, i cui perni incastrati formano la colonna portante di 21 m. con 6 giri completi. Il tutto è inserito in un cilindro di 3,5 m. di diametro. In comunicazione con le sale, intercalate coi 2 ammezzati comunicanti direttamente con la scala, ci sono 3 stanzette. Il primo ammezzato, fino agli anni '50/60, venne utilizzato come prigione dai Carabinieri. La seconda sala grande presenta una volta a crociera ribassata e ospita un bel camino marmoreo. Nella stanzetta annessa troviamo lunette e unghie di volta, ma i sondaggi non hanno rivelato la presenza di affreschi. Il Torrazzo fu utilizzato come torre daziaria, come alloggio al comandante del corpo di guardia ed ai suoi soldati; non è escluso che lo stesso Duca ne abbia fatto uso.
Il secondo ammezzato della torre ospita un modellino del ponte vespasianeo e i gonfaloni delle vie (a Commessaggio si è tenuto il palio delle contrade dall'88 al '99). All'ultimo piano del Torrazzo ci sono i coppi originari accatastati ed è possibile dominare con lo sguardo il paesaggio circostante e, magari, immaginare lo stesso gesto compiuto da Vespasiano, dal suo vicario, dai soldati del corpo di guardia. Infatti nella seconda metà del Cinquecento e nella prima metà del Seicento i signori di queste terre si tuffarono in un'avventura ambiziosa, di forte segno egemonico e culturale, una sorta di frenesia progettuale e costruttiva che ebbe come obiettivo il dare veste e dignità estetica a un dominio che voleva essere di tipo signorile, ma che in realtà aveva caratteristiche neofeudali. Apice ineguagliato fu Vespasiano che, esperto nell'arte di fortificare per le esperienze accumulate al servizio dell'Impero e soprattutto in Spagna, volle munire di fortificazioni i feudi da poco acquisiti, organizzarli in uno stato e costruirne una degna capitale, Sabbioneta. Gli interventi da lui voluti e realizzati a Commessaggio furono motivati da considerazioni economiche e militari oltre che di decoro urbano».
«La Torre Civica del Palazzo Municipale conserva una delle più antiche campane della zona (1583), fatta fondere da Vespasiano Gonzaga e probabilmente in origine collocata sul Torrazzo».
«Una delle più antiche testimonianze architettoniche goitesi è la Torre civica, che si affaccia su Piazza Gramsci all’angolo tra Via XXVI Aprile e Via Maggio 1915. è tozza, a base quadrata, con l’altezza di m. 22,40 ed i lati di m.8,00 ciascuno; è stata realizzata in muratura di mattoni pieni, di spessore decrescente verso l’alto ed è composta di quattro piani, tutti accessibili e collegati da una scala in acciaio e lamiera “stirata”. I primi tre hanno impalcatura in legno, mentre il quarto appoggia su una volta in muratura a crociera; le quote dei vari livelli sono m. +5.15, +10.07, +13.02, +17.97 riferite al marciapiede. Nel restauro effettuato negli anni 1980-82 sono state scrostate le mura interne, abbattuti e rifatti i vecchi solai in legno, compresa la scala, perché ammalorati, e sono stati posati i pavimenti in cotto sui nuovi impalcati. Recentemente nel 1990 è stata rifatta la copertura della Torre con riutilizzo dei coppi integri, sostituzione delle parti di assito e dei travetti ammalorati, infine sono stati sostituiti i vecchi portali con altri nuovi in legno. Anticamente sul lato esterno era posizionata una meridiana, sostituita successivamente da un orologio a doppio quadrante; è dotato di due campane che ancora scandiscono le ore. L’origine della Torre risale al periodo della storia più antica di Goito, al periodo alto medioevale, di cui ne sono testimonianza le tracce romaniche riscontrabili nella parte più bassa; pur essendo vicinissima alle antiche mura di cinta, ora scomparse, che racchiudevano tutto il “borgo”, essa era originariamente un corpo architettonico a sé stante, una testimonianza della vita politica e civile del nostro travagliato Medioevo. Un documento del 863 d.C. accenna alla Torre di Goito, crollata prima del 1200; i Bonacolsi la riedificarono con mattoni, utilizzandola come carcere, corpo do guardia e per segnalazioni. Nel 1464 fu istallato il “segnaore” pubblico, artefice dello strumento fu Bartolomeo Manfredi. La parte bassa della torre possiede, infatti, una tessitura di mattoni diversa da quella dell’ultimo piano, ed il penultimo termina con una volta a crociera in muratura, tipica dell’architettura romanica. La presenza sui lati esterni dei gocciolatoi, in corrispondenza dell’ultimo piano, starebbe a provare che la Torre terminava a terrazza. Caratterizzano l’ultimo piano le bifore sui quattro lati, a sostegno di archi a tutto sesto, e le colonne in stile dorico, sostenenti gli archi; esse sono una visibile testimonianza dell’innalzamento della torre effettuato nel Quattrocento (intorno al 1460), quando il marchese Ludovico II Gonzaga fece eseguire importanti interventi architettonici ed idraulici a Goito (Castello, Torre, scavo del Naviglio). Probabilmente nel secolo successivo la Torre venne dotata di due campane, denominate “Francesca” e “Guglielmo”, in onore dell’allora duca Guglielmo Gonzaga».
http://www.sordello.it/storia-di-goito/edifici-storici-e-monumenti/la-torre-civica
«Indicazioni viabilistiche. Si percorre la S.P. 236 fino a Goito.La villa è proprio sul ponte della Gloria. Descrizione. Si estende su una superficie di quasi 30000 m quadrati. La villa si suddivide in tre parti principali. la parte principale risale al XV secolo, ma successivamente è stata più volte rimaneggiata perdendo così le sue caratteristiche originali. Esistono anche elementi neogotici, come reminiscenze fancelliane, il tutto mescolato a elementi scenografici. La parete frontale presenta un graffito con una scena di caccia. Ampie finestre ad arco tondo, fumaioli in cotto e sasso, poggioli, pozzo con stemmi araldici, e una fontana ora non più presente. Il salone delle feste è uno degli ambienti più ricchi, con il suo camino in marmo con lo stemma araldico dei Perdomini. La sala dedicata a Mantova con la pianta affrescata e gli stemmi delle principali casate è un'altra sala interessante. All'interno della villa erano presenti affreschi giulieschi coperti all'arrivo dei Cappuccini, a cui la villa viene donata da Isabella d'Este,e cacciati da Napoleone nel XVIII secolo circa, che la trasforma in ospedale di guerra. Dopo Napoleone rimane senza padrone fino al 1828, quando viene comprata da Giovanni Fumagalli, che le da il nome di Giraffa ( forse in onore della tradizione dei Gonzaga di riempire i propri parchi con ogni genere di animali). Verso metà 800 è usata come locanda e una parte come scuola dal comune di Goito. Negli anni 20 diventa punto di incontro per gli artisti. Elementi del complesso: tre corpi di fabbrica e due fabbricati annessi La tenuta si presentava con: villa, chiesa, sacrestia, appartamento ospiti, armeria, dependance e stalla. Cronologia. 1400 poi passa ai Cappuccini, cacciati da Napoleone nel 1700. Dopo Napoleone rimane senza padrone fino al 1828, quando viene comprata da Giovanni Fumagalli, che le da il nome di Giraffa ( forse in onore della tradizione dei Gonzaga di riempire i propri parchi con ogni genere di animali). Verso metà 800 è usata come locanda e una parte come scuola dal comune di Goito. Negli anni 20 diventa punto di incontro per gli artisti. Nel 1935 passa ai Pontoglio di Salò. Dal 1940 è della famiglia Perdomini. Materiale e tecniche di costruzione: diversi. Ambito culturale. I troppi rimaneggiamenti rendono difficile la sua identificazione».
http://www.comune.casteldario.mn.it/com/site/index.asp?v=v_page_detail&itm_id=cnt_soc_par
«Villa Moschini (o Villa Parco Moschini) è una storica villa di Goito, in provincia di Mantova, situata nelle immediate vicinanze del centro della città. È stata una delle numerose residenze di campagna appartenute ai Gonzaga di Mantova. La prima costruzione, con vasto parco, venne edificata nel 1460 per volere del marchese di Mantova Ludovico III Gonzaga su disegno dell'ingegnere Giovanni da Padova. Venne successivamente ampliata ed abbellita dai suoi successori, Francesco II Gonzaga, che la utilizzò come residenza di caccia e soprattutto Guglielmo Gonzaga. Nella realizzazione della villa furono utilizzati i migliori architetti (Luca Fancelli, Antonio Maria Viani) e pittori di corte Gonzaga (Teodoro Ghisi, Ippolito Andreasi). Il disastroso terremoto del 6 luglio 1693 provocò il crollo del tetto e danneggiò alcune stanze e le sorti della villa furono segnate dal declino dei Gonzaga (1708). Nel 1735 le truppe di occupazione del Regno di Sardegna devastarono e spogliarono l'edificio che crollò dopo poco tempo. A fine XVIII secolo la villa venne riedificata in stile neoclassico dagli architetti mantovani Giuseppe Crevola e Giambattista Marconi, con il contributo di Leopoldo Pollack per la realizzazione del parco. Fu di proprietà dei conti D'Arco e Cocastelli e a fine Ottocento la villa passò di proprietà della famiglia Moschini».
https://it.wikipedia.org/wiki/Villa_Moschini
«Il castello di Gonzaga era una fortificazione di origine medievale situata a Gonzaga, in provincia di Mantova. La torre civica è quanto rimane dell'antico maniero. Venne edificato nel XIII secolo dai conti Casalodi per proteggere la popolazione dalle scorrerie degli Ungari e passò quindi ai Gonzaga che lo dotarono di sette torri e di contrafforti. La struttura venne col tempo smantellata ed utilizzata per la costruzione delle chiese di Polesine, Bondeno e di alcune case coloniche. Durante la dominazione austriaca le due torri rimaste vennero adibite a carceri. Sulla torre, al di sotto dell'orologio, campeggia lo stemma della famiglia Gonzaga del 1608, utilizzato dal duca Vincenzo I Gonzaga».
https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Gonzaga
«Sul confine del Comune, vicino alla Conca del Bertazzolo, si staglia il profilo della Torre Galliano con l’annessa casa merlata. La torre, che sorge su un antico feudo appartenente alla Contessa Matilde di Canossa, faceva parte di una fortezza, costruita dall’architetto Galliano nella metà dell’XI sec. La sua posizione strategica permetteva di controllare una vasta parte di terre, l’intenso commercio fluviale sul Mincio e la difesa della città. Successivamente il castello, entrato in possesso del monastero di S. Benedetto, cadde in rovina; nel 1718 avvenne la definitiva distruzione e dell’antica costruzione rimane solo una torre e la casa merlata ancor oggi visibili».
http://www.prolocodironcoferraro.it/governolo_30.html
MANTOVA (castello di San Giorgio)
«Costruito a partire dal 1395 e concluso nel 1406 su committenza di Francesco I Gonzaga e su progetto di Bartolino da Novara, è un edificio a pianta quadrata costituito da quattro torri angolari e cinto da un fossato con tre porte e relativi ponti levatoi, volto a difesa della città. L'architetto Luca Fancelli, nel 1459 su indicazione del marchese Ludovico III Gonzaga, che liberò ambienti di Corte Vecchia per il Concilio indetto da Pio II, ristrutturò il castello che perse definitivamente la sua primitiva funzione militare e difensiva. Nel 1810 fu rinchiuso nelle prigioni del maniero il patriota tirolese Andreas Hofer prima di essere giustiziato. A partire dal 1815 con l'occupazione austriaca della città, il castello divenne il carcere di massima sicurezza in cui vennero richiusi gli oppositori. Dal 1852 nel castello vennero rinchiusi alcuni patrioti legati ai Martiri di Belfiore.
La Camera Picta (Camera degli
Sposi), meravigliosa stanza del piano nobile del torrione nord est del
Castello di San Giorgio, è opera di Andrea Mantegna. Il Mantegna l'ha
realizzata nell'arco di nove anni, dal 1465 (data incisa sulla parete) al
1475 (data incisa sulla lapide celebrativa all'ingresso della sala), e
riadatta lo spazio angusto della stanza cubica con volte su lunette in un
susseguirsi di realtà e finzione conferendo all'ambiente un'atmosfera en
plein air (dando quindi un'idea di trovarsi in un finto loggiato). Lo spazio
di ogni parete della camera è stato diviso dall'artista in tre aperture che
trasmettono allo spettatore, attraverso ampi archi, paesaggi bucolici e
tende mosse dal vento una forte antitesi con il ridotto ambiente
architettonico. Gli affreschi sono stati realizzati sia a secco (parete
nord; questa tecnica permette una cura minuziosa dei particolari) sia a
fresco(parete sud; l'affresco obbliga il pittore ad optare per un gusto più
sintetico). Due sono le scene dipinte raffiguranti componenti della famiglia
Gonzaga, la "Scena dell'Incontro" e la "Scena della Corte". Con esse
Mantegna rende omaggio ai mecenati che tante committenze gli hanno
procurato. Nella stanza, non si può stare più di 5-10 minuti perché (usando
la tecnica della pittura a secco) l'umidità e l'aria espirata, rischiano di
staccare gli affreschi dai muri. ...».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Ducale_%28Mantova%29#Castello_di_San_Giorgio
Mantova (Palazzo della Ragione, torre dell'Orologio)
«Il Palazzo della Ragione fu
edificato quand'era podestà Guido da Correggio (1242), in epoca comunale,
con funzioni pubbliche e allo scopo di consentire le assemblee e le adunanze
cittadine. Al piano terreno il palazzo ospitava, come ora, numerose
botteghe, mentre nell'ampio salone al piano superiore, si amministrava la
giustizia. Sulle pareti di questo ambiente sono visibili i resti di
affreschi medievali della fine del XII e del XIII secolo recentemente
restaurati. A questo salone si accede tramite una ripida scala posta sotto
la Torre dell'Orologio innalzata nel Quattrocento, epoca alla quale
risalgono anche i portici che si affacciano su Piazza Erbe. Il Palazzo è ora
adibito a sede espositiva ospitando mostre d'arte organizzate dal Comune di
Mantova».
http://it.wikipedia.org/wiki/Mantova#Palazzo_della_Ragione
«Il Palazzo Ducale è stata la residenza principale dei Gonzaga, signori, marchesi ed infine duchi della città di Mantova. Assunse la denominazione di Palazzo Reale durante la dominazione austriaca a partire dall'epoca di Maria Teresa d'Austria regnante. Ambienti distinti e separati tra loro furono costruiti in epoche diverse a partire dal XIII secolo, inizialmente per opera della famiglia Bonacolsi successivamente su impulso dei Gonzaga. Fu il duca Guglielmo ad incaricare il prefetto delle Fabbriche Giovan Battista Bertani perché collegasse i vari edifici in forma organica così da creare, a partire dal 1556, un unico grandioso complesso monumentale e architettonico, uno dei più vasti d'Europa (34.000 m² circa), che si estendeva tra la riva del lago Inferiore e Piazza Sordello, l'antica Piazza di San Pietro. Morto Bertani nel 1576, l'opera fu proseguita da Bernardino Facciotto che completò l'integrazione di giardini, piazze, loggiati, gallerie, esedre e cortili, fissando definitivamente l'aspetto della residenza ducale. L'interno del palazzo è quasi spoglio perché una volta impoveritisi, i Gonzaga dovettero vendere opere d'arte (soprattutto a Carlo I d'Inghilterra) e arredi, parte dei quali furono successivamente sottratti da Napoleone.
Il palazzo del Capitano che si
affaccia su piazza Sordello, è l'edificio più antico del palazzo Ducale
voluto da Guido Bonacolsi sul finire del Duecento. Inizialmente costruito su
due piani e separato dalla Magna Domus da un vicolo, nei primi anni del 1300
fu rialzato di un piano ed unito alla stessa Magna Domus dalla monumentale
facciata con portico, sostanzialmente rimasta tale fino ad oggi. Il secondo
piano aggiunto è costituito da un unico enorme salone (m 67x15) detto
Dell'Armeria, appellato anche come Salone della Dieta, in quanto ospitò la
Dieta di Mantova del 1459. Tale insigne ambiente è ora abbandonato e
bisognoso di restauro. La Magna Domus e il palazzo del Capitano
costituiranno il nucleo originario che dette forma alla Corte Vecchia. A
metà del XIV secolo in alcune delle sale, Pisanello mise mano a un maestoso
ciclo di affreschi di soggetto cavalleresco arturiano, avente per soggetto
la battaglia di Louverzep, che aveva lo scopo di glorificare il casato del
committente Gianfrancesco Gonzaga, non casualmente lui stesso raffigurato
nel dipinto. Si deve al sovrintendente Giovanni Paccagnini la clamorosa
scoperta e il conseguente restauro della grande opera del Pisanello,
avvenuti nel corso degli anni ‘60-‘70. Le sale del Pisanello accolgono
frammenti degli affreschi e le relative sinopie preparatorie.
Corte Vecchia riacquistò un suo nuovo prestigio quando nel 1519 Isabella
d'Este lasciò la dimora nel Castello e si trasferì al piano terreno di
questo antico settore della reggia gonzaghesca, nell'appartamento detto
vedovile. L'appartamento di Isabella era costituito da due ali ora divise
dall'ingresso al Cortile d'Onore. Nell'ala della Grotta, più privata, con la
principessa si trasferirono gli arredi lignei e le collezioni d'arte dei due
celebri studioli, la grotta e lo studiolo. Quest'ultimo conteneva dipinti,
conservati al Museo del Louvre, provenienti dallo Studiolo di Castello
commissionati tra il 1496 e il 1506 al Mantegna (Parnaso e Trionfo della
Virtù), a Lorenzo Costa il Vecchio (Isabella d'Este nel regno di Armonia e
Regno di Como) e al Perugino (Lotta tra Amore e Castità) ai quali si
aggiunsero opere del Correggio (Allegoria del vizio e Allegoria della
virtù). Altro celebre ambiente di questa ala è la "Camera Granda" o
"Scalcheria" affrescata nel 1522 dal mantovano Lorenzo Leonbruno.
L'appartamento comprendeva altre sale nell'ala detta di "Santa Croce" dal
nome di una antica chiesa di epoca matildica sui resti della quale furono
ricavati ambienti di rappresentanza come la Sala delle Imprese Isabelliane,
la Sala Imperiale o Sala del Camino, la Sala delle Calendule, la Sala delle
Targhe e la Sala delle Imprese. ...».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Ducale_%28Mantova%29
Mantova (porta Pradella o Belfiore o dell'Acquadrucio)
«Porta Pradella (conosciuta anche come Porta Belfiore) era una delle porte della città di Mantova. La denominazione di Porta Pradella è attestata a partire dagli inizi del XVI secolo: anticamente la porta era infatti conosciuta col nome di Porta dell'Acquadrucio, fatta costruire in età comunale nel 1242 in seguito dell'ampliamento della città e della riorganizzazione delle linee difensive poste al di là della nuova urbanizzazione. L'antica porta è inoltre indicata fra le porte registrate nell'affresco della Masseria (XV secolo), presente in piazza Broletto. La porta sorgeva al termine dell'allora Borgo San Giovanni, successivamente chiamato Borgo del Leon Vermiglio (l'attuale corso Vittorio Emanuele), sviluppatosi al di fuori della Porta delle Quattro Porte. La Porta dell'Acquadrucio dava sbocco alle strade che portavano al Cremonese: sorgeva sull'antica Fossa Magistrale, protetta a sud-est dal Bastione d'Ognissanti. Venuta meno la sua importanza difensiva, cadde progressivamente in rovina: i suoi resti - come si evince dalla minuziosa distinzione delle varie sezioni della porta, operata dal Cherubini nei suoi disegni - sarebbero in seguito stati incorporati nella successiva Porta Pradella, realizzata dagli Austriaci verso la metà dell'Ottocento. Più volte nel corso della prima metà dell'Ottocento il Comune di Mantova insieme al Genio Militare avevano espresso la volontà di fortificare Porta Pradella (1800, 1832, 1838). Finalmente il 13 maggio 1846 venne presentato alla Commissione d'Ornato e alle autorità militari il progetto definitivo - su disegno del bresciano Giovanni Cherubini - per la costruzione di Porta Pradella. Una volta approvato, si provvedette, verso la fine del 1847, alla messa all'asta dei lavori, conclusi nel maggio del 1850. La nuova porta si presentava in forme neoclassiche, con un avancorpo caratterizzato da quattro semicolonne doriche, coronate da trabeazione e sovrastate da un attico che mascherava il retrostante tetto del fabbricato. La muratura del fabbricato presentava parti a bugnato alternate a parti invece lisce. I prospetti laterali si presentavano in muratura priva di decorazioni, mentre i locali interni erano intonacati. Il fornice centrale conduceva ad un ponte, inizialmente levatoio. La porta, perso nuovamente il proprio ruolo difensivo con l'annessione di Mantova al Regno d'Italia, risultò ben presto inutile alla città e ben presto fioccarono le proposte di demolizione. Questa tuttavia sopravvisse fino alla fine degli anni trenta: una delibera del 20 novembre 1939 firmata dal podestà della città ne autorizzava quindi la demolizione, sostenendo lo scarsissimo valore storico e artistico del manufatto e l'inutilità dello stesso anche dal punto di vista prospettico, a chiusura di corso Vittorio Emanuele, rispetto al quale risultava abbastanza decentrata. ...».
http://it.wikipedia.org/wiki/Porta_Pradella
«...uno splendido parallelepipedo di mattoni, che si staglia nell’odierna Via Tazzoli, una torre che apparteneva, tra la metà del Quattrocento e la metà del Cinquecento, alla potente famiglia degli Zuccaro, da cui ereditò il nome, poi corrotto dialettalmente in sücar, quindi Tur dal Sücar. E il toponimo, al di là dei pochi documenti rimasti ad attestare il passaggio terreno di tale famiglia, può essere letto come la prova più certa della loro esistenza e di una fama legata a un monumento davvero sbalorditivo per la bellezza strutturale: una perfetta ed imponente costruzione che ha sfidato il tempo e le trasformazioni del volto di pietra della città. Tutti noi – nella nostra Mantova – abbiamo avuto modo di ammirare la torre ed anche, in un certo senso, di amarla, tanto che esiste persino una popolarissima canzone dialettale che ne fa una sorta di Torre di Pisa mantovana. Anche gli storici la ricordano sotto l’appellativo popolare di Tur dal Sücar. Ma esaminiamo ora alcuni dati tecnici. La Torre è alta, partendo dal piano stradale fino alla linea di gronda m 42,30, altri saggi e analisi hanno evidenziato, tramite uno scavo realizzato accanto alla torre, forme e dimensioni delle fondazioni che giungono ad una quota di 3 metri. Lo spessore dei muri varia da 1,15 m alla base fino a m 0,96 alla sommità. Federico Amadei, storico mantovano del Settecento, racconta di come la torre sia stata mozzata alla sommità da un fulmine che la colpì nel 1540, distruggendo i quattro finestroni che le davano coronamento e luce. Nel 1553 la torre fu in parte riparata. Ma l’attuale copertura risale al restauro del 1717. Come in tutte le torri difensive, inserite in una più ampia struttura palaziale, l’ingresso originario era a quota elevata rispetto al piano stradale. Nel 1717 venne aperta la porta che offre l’accesso, tutt’ora esistente, sul piano dell’odierna via Tazzoli. Da allora, senza voler essere critici, nessun altro intervento di rilievo si è succeduto. La torre, che appartenne anticamente alla famiglia dei Da Ripalta, passò a Pinamonte Bonacolsi, da questo al suo nipote Rainaldo e nel 1314 al di lui cugino Filippino detto Ravazolo. Ai Bonacolsi, si sa, subentrarono i Gonzaga. ... La memoria della famiglia degli Zuccaro o per meglio dire del Da Palazzo-Zuccaro, una antica famiglia appartenente alla nobiltà mantovana, si è consolidata grazie al possesso della torre in argomento tra la fine del Quattrocento e la metà Cinquecento. Anzi agli inizi del Cinquecento si rammenta una casa del pane, una "domus furni", confinante appunto con la casa con torre degli Zuccaro. Fu poi il mercante Giulio Ceruto, nel 1553, a subentrare agli eredi di quel Giovanni Antonio di ser Bello da Palazzo, vissuto nel secondo Quattrocento e detto Zucharo, uomo tanto caro ai Gonzaga da meritarsi un appellativo perfetto per sé e per la memoria futura della torre. Come attestano le carte d’archivio, nel 1590 la torre rientrò tra le proprietà dei Gonzaga. Ma già allora, per tutti, la torre era diventata la Tur dal Sücar. Come vedete la realtà spesso trasmette più fantasia di quanto noi piccoli uomini riusciamo a immaginare. E, a proposito di immaginazione, c’è chi immagina che il pittore Domenico Fetti, chiamato a Mantova dal duca Ferdinando Gonzaga, abbia addirittura adoperato la torre come atelier».
http://gianruggeromanzoni.wordpress.com/2010/07/12/mantovauna-storia-infinitala-torre-degli-zuccaro/
«La torre, alta 37 metri, sorge in via Ardigò. Da documentazione dell'epoca era già esistente nel 1200, derivando il nome dalla famiglia che la possedeva. Da questi ceduta alla famiglia Ripalta e poi ai da Oculo, nel 1289 divenne proprietà dei Gonzaga, non ancora sovrani di Mantova. Divenne dimora saltuaria di Aloisio Gonzaga, signore di Castel Goffredo. Successivamente fu accorpata al collegio e al convento dei gesuiti e dal 1883 è parte del complesso dell'Archivio di Stato di Mantova. Negli ultimi tempi è stato lanciato il progetto di trasformare la torre in una terrazza panoramica che consenta la visione a 360 gradi del centro storico di Mantova».
http://www.voltamantovana.net/MANTOVA%20STORIA.htm
Struttura danneggiata dal sisma del maggio 2012.
«Una delle curiosità medievali che ancora rimangono a Mantova è la vecchia torre detta della Gabbia. L’edificio sorge in centro città ed è una costruzione solidissima del secolo XIII, che sembra facesse parte della prima sede dell'antico comune mantovano. L'altezza di questa torre è di circa sessanta metri. A cinquantacinque metri dal suolo si trova la gabbia, formata da grossissime sbarre di ferro, ove la tradizione popolare vuole si lasciassero morire i rei di alto tradimento, o d'altri delitti straordinari. La gabbia, visto l'uso a cui era destinata, è piuttosto ristretta e scomoda: misura due metri di lunghezza, un metro di larghezza ed un metro e pochi centimetri di altezza. Il disgraziato condannato alla gabbia poteva quindi stare solo seduto o supino. La leggenda popolare vuole che Filippino Gonzaga (il quale non figura neppure nella linea diretta dei signori di Mantova) nel 1341 facesse morire in quella gabbia Gilberto e Lodovico Fogliani, padre e figlio, rei di aver cospirato contro i Gonzaga. Ma non vi sono documenti che provino questo fatto. Di contro, negli archivi mantovani i documenti che comprovano l'uso della gabbia, appartengono al 1500, e si riferiscono ad un certo frate domenicano, che accusato di sacrilegio (per aver celebrato la messa senza esserne autorizzato e senza saper leggere), di ferimento, assassinio e stupro, ricercato dalla giustizia, fu trovato in una casa di donne di malaffare. L’uso della gabbia si conservò a lungo, come è dimostrato dai documenti, lettere e rapporti che il capitano fiscale trasmetteva ai Gonzaga. Le persone pietose potevano portare cibo o ristoro ai condannati lassù rinchiusi, onde prolungassero la loro misera esistenza: ma la scala della torre era così malagevole e pericolosa, che ben pochi si avventuravano a salirvi».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/mantova/torre-della-gabbia
«Il nostro piccolo viaggio tra i luoghi più magici della città più bella del mondo ci conduce sulla Torre di S. Alò in piazza Arche. Lo sapete bene tutti, la “sky line” di Mantova osservata da lontano appare, dapprima, come una macchia nebulosa, poi ...una, due, quattro, otto, molte torri rosseggiano e fanno a gara per sfiorare il cielo. Tra queste, una delle prime e delle più discrete torri che appaiono a chi accede alla città attraverso l’odierna piazza Arche è la “Torre di S. Alò”: non altissima, un po’ tozza, non ambisce certo alle vertigini delle vicine torri dei Gambulini o degli Zuccaro. Essa infatti, nonostante sia parte di grande interesse del volto di pietra della città, non appartiene alla tipologia delle torri del Dugento ma rimanda alla realtà urbana a cavaliere tra Trecento e Quattrocento, quando, con la dinastia dei Gonzaga, la città acquisiva una adeguata identità signorile. ... La torre faceva parte del nuovo sistema difensivo che aveva il suo perno nel Castello di San Giorgio, un sistema messo a punto da Bartolino da Novara ed era proprio attraverso i camminamenti realizzati lungo le mura di fortificazione che si accedeva - con ogni probabilità - direttamente alla torre, la cui gronda del tetto (l’altezza è di m 20,50) coincide con il limite superiore dei merli di coronamento. All'interno la Torre detta anche torre Nuova è divisa in sei piani, a partire da una quota di m 1,20 rispetto al piano stradale; i solai in legno hanno subito, nel tempo, modifiche anche di quota, come si deduce dalle tracce di alloggiamento di travature e di dormienti abbandonati nella muratura. Dietro la torre si può osservare il lungo fabbricato cinquecentesco della scuderia grande di Corte, oggi occupato dal Museo dei Vigili del Fuoco. Per chi arriva fino in cima, poi, non c’è solo il premio di godere da un invidiabile punto di vista il panorama di Mantova ma anche quello di inquadrare con inedita precisione la sottostante Piazza Arche. La piazza corrisponde all'angolo sud-est della piccola città altomedievale, il cui limite di mezzogiorno era il «fossato dei buoi» che scorreva lungo la linea dell'odierna via dell’Accademia. La Torre Nuova realizzava qui un accesso cui faceva da pendant – sicuramente - un altro e opposto torrione. Porta e torre erano, dunque, elementi della antica cerchia murata cingente l’antica città. ...».
http://www.radiobase.eu/mnch/site/index.asp?v=v_news_detail&itm_id=20100326_092822_5942_115
Marcaria (castello non più esistente)
«Il castello di Marcaria era una fortificazione militare situata sul guado del fiume Oglio a Marcaria, in provincia di Mantova. Edificato per la prima volta nell'alto medioevo con materiali deperibili come la terra e il legno, fu posseduto dai marchesi Obertenghi e poi dai conti Ugoni-Longhi. Il castello fu modificato con l'erezione di muraglie e torri dai Gonzaga, signori di Mantova, nel XV secolo. La roccaforte fu demolita nel XVIII secolo, e di essa non rimane oggi più nulla. Se ne conserva però una riproduzione nello stemma del comune di Marcaria. Diffusi nel paesaggio della pianura padana nel medioevo, ma spesso anche ben oltre il XIV secolo, i castelli in terra e legno si caratterizzavano per la compresenza di tre opere difensive: fossato, terrapieno e palizzata. Fondamentale era lo scavo del fossato, che, con il suo perimetro chiuso, delimitava l'area stessa del castello e una volta allagato costituiva un ostacolo notevole all'assalto dell'insediamento; con la terra di risulta dello scavo, accumulata e opportunamente battuta e compattata, si formava il terrapieno, indicato con i sinonimi di terraglio – terralium – o aggere – agger -, che recintava come una muraglia l'intero perimetro, eccettuato il varco in corrispondenza della porta, dove un ponte mobile consentiva di oltrepassare il fossato; sopra il terrapieno si infiggeva infine una palizzata rinforzata da assi detta “palancato” o un solido steccato, che serviva da parapetto per i difensori del sito, i quali si avvantaggiavano quindi del riparo e del dislivello altimetrico. L'apparato fortificatorio di questi castelli era sovente completato, come riferiscono i documenti dei secoli X-XII, da altri manufatti in legno rappresentati da una o più torri di vedetta, variamente denominate “battifredi, butefredi, belfredi” e da postazioni coperte, simili a torrette sporgenti dalla sommità del fortilizio, dette “bertesche”. Attestato già a partire dall'XI secolo come posseduto dai marchesi Obertenghi, dai conti Ugoni-Longhi e dal monastero di S. Maria di Castione de' Marchesi, nel parmigiano, il castello di Marcaria divenne un importante presidio militare nel corso del Duecento, durante la lotta tra la seconda lega lombarda e l'imperatore Federico II di Svevia. ...».
https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Marcaria
MaRIANA MANTOVANA (resti del castello)
«La prima citazione di Mariana Mantovana si ha nell'anno 1111, quando il conte Alberto di Mariana Mantovana fu testimone dell'investitura dell'abate Pietro del Monastero della Gironda. Per alcuni secoli le vicende del Borgo seguirono quelle di Brescia al cui territorio il contado apparteneva e della cui diocesi faceva parte la parrocchia. Dopo la scomparsa dei conti di Mariana Mantovana il comune di Brescia concesse Mariana Mantovana in feudo alla famiglia Sali di Brescia, la quale conservò il feudo sino all'inizio del 1400 quando una parte venne concessa a Carlo, conte di Prato dichiarato poi decaduto per aver parteggiato per Mantova nel corso di una delle tante guerre che investirono questa zona di confine tra i due stati. Non ci sono notizie certe di Mariana Mantovana per un lungo periodo, ma probabilmente le sue vicende furono strettamente legate a quelle di Brescia, contesa a lungo tra i Visconti di Milano e la Repubblica di Venezia. Nel 1427 Asola, il principale centro del territorio, passò sotto il dominio di Mantova, ma un'insurrezione popolare cacciò le milizie gonzaghesche e la comunità decise di darsi spontaneamente alla Repubblica veneta. I tentativi di Venezia di assoggettare anche i borghi limitrofi portarono a una lunga controversia con Mantova per la delimitazione dei confini. Dopo una serie di conflitti le parti affidarono il compito di arbitro a Francesco Sforza, che divise il territorio marianese in due settori: la Rocca di Mariana Mantovana, con parte della contrada, restò con i Gonzaga, il resto andò alla Repubblica di San Marco. è da allora che si aggiunse a Mariana l'aggettivo Mantovana, per distinguerla dalla porzione presa dai veneziani.
Essa divenne dunque terra di confine tra due Stati che, tranne in momenti particolari, conservarono buone relazioni e quindi non c'era bisogno di apparati difensivi rilevanti. Non per questo la rocca venne trascurata. Era un recinto di potenti mura, circondato da un ampio fossato, con un'alta torre di avvistamento di pianta quadrata coronata da tre merli per lato. A lato della torre si trovavano l'ingresso carraio con ponte levatoio e il passaggio pedonale; a destra dell'ingresso, sotto l'arco, una lapide in marmo con leone rampante e le scritte MCCCCLXVI e IACOBUS. D. E. FRAHONO ricorda un capitano del castello che smessa l'armatura si stabilì nel paese. La data del 1466 può essere collegata a Ludovico, secondo Marchese (1444-1478) che si avvalse dell'abilità di Giovanni da Padova per dotare la rocca di Mariana Mantovana di un sistema difensivo idoneo anche a sopportare i tiri delle bombarde. La zona di muratura non interessata dalla torre era coronata da merli ghibellini, alcuni dotati di feritoie verticali mentre nella torre all'altezza dei merli suddetti, verso sinistra, si apre una feritoia orizzontale. All'interno della rocca vi erano poche abitazioni, probabilmente la residenza del comandante della guarnigione ed i locali per ospitare soldati, cavalli e forse il deposito delle derrate. La popolazione abitava all'esterno e veniva ospitata all'interno della rocca solo in caso di pericolo. Notizie sulle strutture difensive di Mariana Mantovana appaiono anche nelle lettere inviate al marchese da Giorgione di Guastalla, altro architetto militare al servizio dei Gonzaga, in cui si parla dei lavori iniziati per rafforzare la rocca che risultava dotata di rivellino, pilastri e sostegni. Attualmente della fortificazione si conservano solo la grande torre (che successivamente venne dotata di orologio) e l'ingresso con il relativo tratto di mura».
http://castelliere.blogspot.com/2011/11/il-castello-di-martedi-1-novembre.html
Marmirolo (palazzina gonzaghesca di Bosco della Fontana)
«La piccola palazzina di caccia, eretta alla fine del ‘500 per volontà del duca Vincenzo I, si deve al progetto dei prefetti delle fabbriche ducali Giuseppe Dattari e Antonio Maria Viani e unisce nel suo profilo architettonico motivi tipici delle dimore gonzaghesche e richiami giulieschi e bavaresi. Conserva al suo interno e sotto il portico una ricca decorazione a finte architetture e motivi naturalistici, ispirata all'ambiente naturale che la circonda. La villa venne realizzata all'interno del Bosco Fontana, di proprietà dei signori di Mantova dal XII secolo e così chiamato per l'esistenza di una fonte d'acqua; il bosco, arricchito dai Gonzaga da animali selvatici e bestie esotiche, divenne in età moderna parco adibito alle cacce del principe. A difesa dagli animali feroci presenti nel parco erano stati eretti, contestualmente alla palazzina, una muraglia e quattro piccoli corpi angolari che esaltavano, insieme con le torrette cilindriche, l'aspetto castellano della struttura. Oggi Bosco Fontana è Riserva Naturale Orientata Biogenetica di proprietà del Corpo Forestale dello Stato; la Palazzina, dopo il lungo decadimento, è stata sottoposta alla fine del secolo scorso a sistematici interventi di restauro che hanno permesso il consolidamento di strutture e stucchi e hanno riportato a splendore le decorazioni dei portici e delle sale interne. Il Bosco della Fontana, pur tra traversie e vicissitudini, è ancora sostanzialmente inalterato e nel suo insieme mantiene l'assetto che aveva nel momento in cui il duca Vincenzo lo scelse per il suo nuovo palazzo. ... La Palazzina è da anni oggetto di una costante attività di restauro e valorizzazione che ha visto il Ministero impegnato, attraverso la Soprintendenza di Brescia, territorialmente competente, in una serie di iniziative in collaborazione con il Ministero dell'Agricoltura. I lavori di manutenzione e consolidamento sono stati innanzitutto indirizzati ad arrestare i fenomeni di degrado delle strutture, a cominciare dalle coperture, proseguendo poi al ripristino degli ambienti e allo scoprimento dei cicli di decorazioni interne. Nella prima metà degli anni '20 del Novecento si mette mano ai primi lavori di recupero e valorizzazione della palazzina su progetto e sotto la direzione dall'ispettore capo della forestale cav. Borghetti. Il computo metrico e stima delle opere, redatta nel 1923, elenca interventi di "intonacatura rustica alla base esterna del fabbricato", "riparazioni saltuarie al muro esterno mediante rinzaffo alle scrostature, otturazione di buchi, accomodi al cornicione". Ancora al Borghetti sono attribuibili lavori di revisione delle aperture esterne dei prospetti, alterate per esigenze funzionali nel tempo, con ripristino di alcune finestre già trasformate in porte e riapertura di altre tamponate, secondo il presumibile disegno originario, come mostrano planimetrie dell'epoca di recente riscoperte presso l'archivio della Soprintendenza di Brescia. ...».
http://www.architettonicibrescia.beniculturali.it/Page/t01/view_html?idp=252
«La torre civica, residuo del castello, si affaccia sulla piazza dove sorge il comune. La pianta della torre è quadrata, intonacata e dipinta con un motivo che ricorda i mattoni; in alcuni punti l'intonaco manca. Alla sommità di ogni lato è posta una bifora, sulla quale campeggiano sei merli ghibellini. La torre è posta leggermente prima della porta di ingresso, quasi a creare una protezione per essa. Il castello doveva avere forma irregolare e non possedere torri. La porta archiacuta in fianco alla torre civica sembra essere stata l'ingresso del pre-esistente castello. Già nel 1372 se ne ha notizia, ed era situata sul muro di cinta. Era dotata di un orologio già dalla metà del XV secolo. Sorge sull'originale crollata nel XVIII secolo ( ristrutturata nel 1872 e nel 1995). Nel 1775 la cella campanaria viene coperta e vengono aperte le bifore».
«La torre Gonzaghesca, testimonianza della presenza dell'antico castello, fonda le sue origini attorno all'anno Mille, com’è confermato da documenti che ne trattano il passaggio di proprietà al Conte Bonifacio di Verona nell'anno 1020. Il castello probabilmente nasce probabilmente attorno all’anno 1000 per difendere il paese dalle invasioni che flagellavano l’Italia settentrionale. Tra i possessorio conosciuti del castello si susseguono Ezzelino da Romano, i Visconti, gli Scaligeri, nuovamente i Visconti, forse Venezia e in fine i visconti con Caterina vedova di Gian Maria Galeazzo che lo cede ai Gonzaga nel 1404. La signoria mantovana provvede ad adeguare le fortificazioni portando la struttura ad avere una certa rilevanza, tale da poter ospitare l'imperatore Carlo V nel 1543, per la stipula degli accordi matrimoniali tra il Duca di Mantova Francesco III e Caterina d' Austria. L'assetto edilizio si presenta con un recinto murario poggiato su un dosso e difeso da almeno due torri, una di forma circolare ancora parzialmente visibile nel giardino retrostante il tetro comunale, e l’altra quella di accesso al castello composta per buona parte da soli tre setti murari, successivamente dotata di un elegante avancorpo settecentesco. Il castello, che in planimetria ha una forma a quarto di cerchio, affaccia il suo accesso a nord verso il centro abitato, ed era fino ai primi anni del ‘900 circondato da un fossato. Percorrendo i limiti del Castrum, nella posizione ove era l'antica chiesa dei Santi Fedele e Giusto e l’antico teatro gonzaghesco vi è oggi il teatro comunale (sono visibili qui solo la base delle mura di cinta che costituiscono ancora oggi il terrapieno ove poggiano tali edifici, a sinistra dell’ingresso vi è un fabbricato detto quartiere, al quale muro esterno è affissa una lapide che ricorda uno dei governatori del paese, il conte Evangelista Melone a Medole nel 1534 . All’interno della cinta persistono le tracce di due piccoli isolati medioevali a lotto gotico composti da piccole abitazioni originariamente occupate da mercanti e botteghe artigiane. Nello spazio antistante la torre si gode della vista di un elegante palazzotto, dai motivi fancelliani, probabile testimonianza dell'antico palazzo del Principe, anch’esso affacciato sull’antistante piazza Vecchia».
http://medoledavedere.jimdo.com/arte-e-cultura/il-castello-la-torre-civica/
«Una vecchia via feudale conduce al castello, scuro e severo, posto su un colle. Con la sua chiesa entro le mura, doveva offrire rifugio alla popolazione minacciata probabilmente dagli Ungari nel secolo X. Questi castelli non erano dimore dei signori del luogo, ma quasi sicuramente servivano come alloggiamento alle guarnigioni di vigilanza, come luogo di rifugio d'emergenza per la gente del borgo che lì si barricava portando con sé anche il bestiame e le scorte. Oltre alla chiesa c'era il pozzo che assicurava il rifornimento idrico. La costruzione potrebbe anche risalire al tempo e alla volontà di Matilde di Canossa. Passò ai Veronesi in seguito alla sconfitta dei Mantovani a Ponte Molino nel 1191. La pianta, di poligono irregolare, segue l'andamento del poggio e presenta quattro torri e due masti, l'uno a sud e l'altro a est, mentre la cortina è interrotta nella strozzatura rivolta al borgo dall'ingresso, costituito dalla porta carraia e da una pusterla con bolzoni per sollevare il ponte levatoio ora scomparso. Alla fine del 1300 risalgono il ponte e la passerella levatoia con chiusura ad antoni e saracinesca. La costruzione ricorda uno scudo con la facciata rivolta verso il paese. Si impone la torre civica con l'orologio a nord-est e una torre di guardia a sud. L'insieme ricorda un'autentica fortezza. Attorno alle mura poderose correva il camminamento su delle lastre di pietra, usate poi per rivestire il basamento della facciata del S. Michele; sotto la merlatura sono restati i buchi dove erano infisse le mensole che sostenevano i camminamenti di ronda. La muratura presenta ciottoli di pietra misti a rottami, ogni tanto intercalati da mattoni. I merli che hanno subito le ingiurie del tempo sono guelfi e portano alternate le feritoie. All'interno del castello recentemente sono stati trovati resti di una necropoli, con alcune tombe e una fossa comune, probabilmente del IX-X secolo».
http://www.turismo.mantova.it/index.php/risorse/scheda/id/1015
Motteggiana (corte Ghirardina)
«Sulla strada per Motteggiana, è uno tra i più significativi esempi di architettura del primo Rinascimento mantovano, attribuita a Luca Fancelli. Identificata con la gonzaghesca corte di Saviola che si riteneva perduta, è originale sintesi di palazzo-corte-villa-castello, di cui riprende ecletticamente tipi e stilemi quali la chiusura volumetrica e la merlatura castellana, il sistema planimetrico a 'corte', il segno del palazzo nelle decorazioni scultoree e pittoriche, la distinzione gerarchica tra dimora centrale e accessori tipica della villa di eco toscana, veronese e lombarda: l'unitarietà dell'insieme fa del complesso il capostipite della dimora rurale mantovana».
http://www.touringclub.com/monumento/lombardia/mantova/corte-ghirardina.aspx
«Venne edificato intorno al 1151 per volere del marchese Ermanno di Verona, ma che fu da sempre osteggiato sia dai veronesi che dai mantovani. Venne parzialmente distrutto e ricostruito nel 1300 da Alberto della Scala a pianta quadrata e dotato di quattro torri angolari. Dopo gli Scaligeri e i Visconti, nel 1400 passò in possesso ai Gonzaga, che lo tennero per trecento anni. Nel 1630 la struttura venne attaccata dalla furia dei lanzichenecchi e nel 1718 e 1729 venne quasi totalmente distrutto. Ciò che rimane del castello sono tre torri e il basamento di una torre appartenuta alla rocca lungo l'argine del fiume».
«...Ciò che rimane ora sono tre torri, qualche brandello di cinta muraria, e un basamento di torre appartenuta alla Rocca lungo l'argine del fiume. Oltre il fossato al di là della duplice cortina muraria si notano quattro torri, tre delle quali ancora presenti. Quest'ultime sono partendo da sinistra: la torre campanaria, la torre dell'orologio e la torre delle carceri. Sullo sfondo, sempre collegata alla cerchia difensiva, è possibile osservare la Rocca con le sue torri, tra le quali un alto mastio del quale rimane tuttora il basamento. Nell'interno del Castello addossata alla torre campanaria vi è la Chiesa di S. Maria in Castello. In alto sono riportati alcuni stemmi, a partire da sinistra: l'insegna degli Scaligeri, due stemmi di Ostiglia e sulla destra lo stemma dei Gonzaga. Ciò che rimane ora del Castello di Ostiglia: sulla sinistra la torre detta "delle carceri". Centralmente a ponte di Via Martiri dell'Indipendenza la torre "dell'orologio". Sulla destra la torre "campanaria" situata sull'abside della Chiesa di S. Maria in Castello. La strada che si nota sulla destra è Via Vettori. è questa la torre detta "dell'orologio", ottenuta accostando due elementi di diversa epoca storica. Anteriormente si nota una torre meno elevata e più larga sulla quale veniva sollevato il ponte levatoio. Sul retro è visibile un'altra torre più antica fornita, un tempo, di un ampio portale sostenuto da cardini ancora oggi visibili. Originariamente era una torre semiaperta. Questa presenta un orologio risalente al 1489. Nel 1863, la campana maggiore proveniente da S. Maria in Castello venne sistemata sulla torre per battere le ore. Sono attraversate entrambe da Via Martiri dell'Indipendenza. La torre venne rialzata per far posto ad un ampio serbatoio di acqua potabile ed i merli che si notano non sono quindi originali. Successivamente nel dopoguerra è ritornata all'aspetto che presentava nei primi anni del '900. Attualmente è rimasto ben poco della Rocca, ovvero il basamento del mastio. In particolare quando le acque del fiume sono molto basse altre rovine e frammenti delle mura abbattute si notano a poca distanza dalla riva».
https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Ostiglia - http://digilander.libero.it/ostiglia/castello.html
«La Torre di Piubega è un edificio storico di Piubega, in provincia di Mantova. Alla fine del XII secolo Piubega, circondata da mura e fossato di difesa, possedeva uno dei più importanti castelli del mantovano con torre di ingresso. Intorno al 1400 il castello fu acquisito da Carlo Albertini da Prato, consigliere alla corte di Gianfrancesco Gonzaga. Fu da questo incarcerato per aver tramato contro di lui e, nella prima metà del XV secolo, il marchese provvide a confiscare l'edificio e a rinforzare la struttura di confine. Agli inizi del Settecento gli austriaci provvidero ad abbattere la struttura e a conservare la torre».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Piubega
Poggio Rusco (palazzo Gonzaga)
Struttura danneggiata dal sisma del maggio 2012.
«Palazzo Municipale, già Palazzo Gonzaga (Piazza I Maggio, 5). Costruito intorno alla metà del ‘400 su disegno di Luca Fancelli, appartenne alla linea dei Nobili Gonzaga come “Corte piccola del Poggio” fino a metà dell‘800, quando divenne proprietà del senatore Tullo Massarani, che nel 1904 lo vendette al Comune di Poggio Rusco. L’anno successivo vi furono trasferiti gli uffici comunali. La merlatura, sparita dopo il 1945 sotto un antiestetico strato di calce, è riapparsa in seguito al restauro-pulitura della facciata eseguito a cura dell’arch. Spelta alla fine degli anni ’80. La costruzione ha subito qualche trasformazione interna, ma nel complesso ha mantenuto la struttura originaria: la sala d’ingresso, la sala consiliare con resti di affreschi restaurati, lo scalone d'accesso al piano superiore, parzialmente affrescato, con pregevole soffitto a cassettoni. Alla Corte si accedeva attraverso un voltone sormontato da un frontone triangolare sorretto da due lesene chiuso da un cancello in ferro, abbattuto dopo il 1945. Il palazzo era delimitato ad est da una torre simile alla attuale Torre Falconiera».
Poggio Rusco (torre Falconiera o Colombara)
Struttura danneggiata dal sisma del maggio 2012.
«Simile a tante altre sparse nella Pianura Padana, si presume fungesse da posto di avvistamento o da rifugio in situazioni di pericolo. Non è riscontrata la data di costruzione anche se è presumibile che risalga al'600. La torre, simbolo del paese che appare anche nello stemma del comune, faceva parte della "Corte Grande" del Poggio. Restaurata alcuni anni fa, consta di tre spaziosi vani disposti su tre piani. A seguito delle forti scosse di terremoto di maggio 2012, la torre ha subito gravi danni strutturali pur non registrando crolli significativi. nei mesi successivi si è provveduto alla messa in sicurezza della torre consistente in una gabbia di cavi di acciaio a sostegno dell'intera struttura in attesa di disponibilità economiche che permettano il nuovo restauro e la conseguente agibilità».
http://it.wikipedia.org/wiki/Poggio_Rusco#Torre_Falconiera_o_Colombara
Pomponesco (resti del castello)
«La prima, splendida, impressione che Pomponesco fornisce al visitatore è costituita dalla piazza, nel cui fondo, all’inizio del secolo XIX, si trovava ancora il Castello e il Palazzo del principe di Pomponesco e sul cui culmine si affaccia il Po. ... Di particolare interesse la vicenda del Castello di Pomponesco. Nel 1555, alla morte di Carlo Il Gonzaga che reggeva Bozzolo, S. Martino e Marcaria, Pomponesco è assegnata al suo ultimogenito Giulio Cesare, ben deciso ad avere una sua corte che uguagliasse quella dei fratelli e dei cugini. Il progetto per la creazione della nuova corte coinvolge l'intero paese che viene riordinato secondo un ben preciso piano urbanistico: si costruisce così il castello a pianta esagonale .... La prima, splendida, impressione che Pomponesco fornisce al visitatore è costituita dalla piazza, nel cui fondo, all’inizio del secolo XIX, si trovava ancora il Castello e il Palazzo del principe di Pomponesco e sul cui culmine si affaccia il Po. Secondo una tradizione storiografica oggi ampiamente superata, Giulio Cesare Gonzaga avrebbe fatto realizzare il progetto urbanistico di Pomponesco a Giovan Battista Bertani: il più conosciuto architetto del Cinquecento a Mantova dopo il sommo Giulio Romano. Questa ipotesi non è in realtà suffragata da alcuna fonte, basti pensare che il Bertani muore nel 1576, mentre Giulio Cesare si trasferisce a Pomponesco nel 1579. Allo stato attuale delle conoscenze storiografiche risulta sconosciuto il nome dell’architetto come delle maestranze che hanno realizzato il progetto. Il piano era a reticolato con l’ordinamento romano del “Cardo Maximus” (vale a dire da nord a sud) per gli edifici gonzagheschi e le piazze, mentre le vie e le case degli abitanti erano orientate sul “Decomanus Maximus” (vale a dire da est a ovest).
In base alla nuova planimetria molte case erano state abbattute tra le continue proteste della popolazione, che si era rivolta al Duca di Mantova Vincenzo I con una famosa lettera del 16 ottobre 1584, oggi conservata presso l’Archivio Gonzaga. I fabbricati consistevano in un quadrato di terreno di circa 16.000 metri quadrati, di cui oggi non si vedono che i resti fatiscenti di due scuderie, circondato da ogni lato da un fossato con l’ingresso a ponte levatoio di fronte alla attuale piazza ed era munito di quattro torrioni agli angoli, all’interno vi era la residenza privata del Principe. Il palazzo principesco era a pianta esagonale con sei torrioni, al cui interno si trovavano scale, loggiati e porticati di particolare pregio e ricchezza. mentre una porta a nord dava accesso ad un vasto giardino circondato da un alto muro. Vi erano anche abitazioni per cortigiani, alloggi per i soldati e per la servitù, scuderie, un teatro, una chiesa col titolo di S. Andrea e, dal 1583, una zecca dove furono coniate monete oggi assai rare. Dal castello, fulcro di tutto il progetto, si dipartivano, in perfetta simmetria ed organizzati su strade parallele sovrastate da torrioni difensivi alle loro estremità, i vari quartieri. Il più importante era, ovviamente, quello posto in direzione del fiume con il porto fluviale e le isole, disposto intorno all’asse costituito dalle due piazze. La prima piazza, più vasta e completamente vuota, è circondata sui due lati maggiori da edifici porticati con archi a tutto sesto; mentre la seconda piazza (o piazzetta) sostanzia la sua prospettiva in direzione del fiume. Era dal fiume e dai suoi argini “argine maestro” e “argine particolare” che si entrava nel paese ai tempi del progetto urbano di Giulio Cesare Gonzaga; il rapporto con il fiume era allora diretto, immediato; il Po rappresentava l’unica via di comunicazione con l’esterno, sia per le merci che per le persone».
http://www.ilgrandefiume.com/pomponesco/eam.htm
«Le notizie storiche relative al Castello di Ponti sul Mincio, ricavabili unicamente da studi di carattere generale, in mancanza di indagini monografiche e di ricerche d'archivio, sono poco certe. La sua costruzione viene fatta risalire ad un periodo che va dal XII al XIV secolo e che, molto probabilmente, coincide con il XIII secolo, e viene attribuita alla iniziativa degli Scaligeri, che, in questa zona, unitamente con i Castelli di Monzambano, Valeggio, Nogarole, Peschiera, Sirmione e altri ancora, costituirono il proprio sistema sud-occidentale, a confine con i territori viscontei e gonzagheschi. L'impianto del castello corrisponde in modo elementare al tipo del castello scaligero ossia al tipo del castello-recinto, che si conforma alle condizioni naturali del sito, in cui sorge. La forma generale è infatti quella di un semplice recinto murario intervallato da torri che si adattano alla sommità di un piccolo colle ed alle sue curve di livello, assumendone la forma planimetrica "a fuso". La cinta muraria è in ciottoli di fiume, con merli a capanna, oggi in gran parte crollati, e con camminamenti di sponda sporgenti su mensole di mattoni, anch'esse in gran parte crollate. Lungo la cinta muraria in posizioni tra loro quasi equidistanti si collocano le torri di difesa. Una torre scudata occupa la punta nord e due torri a "C" aperte verso l'interno si trovano sui lati, in posizione mediana e simmetrica; mentre a sud del castello, simmetricamente rispetto all'asse longitudinale si trovano due torri chiuse a pianta quadrata, una più piccola oggi adibita a torre dell'orologio, ed una più alta, il mastio, posta accanto all'antica porta di ingresso dal borgo. Tale porta è custodita da un rivellino a camera che un ponte levatoio collegava un tempo con la strada sopraelevata proveniente dal borgo; strada che oggi risulta invasa dalla vegetazione ed inglobata nel giardino della canonica».
http://www.comune.pontisulmincio.mn.it/?IDMenu=11&idMenuAPP=10
«Il Castello, per certi aspetti
simile a quello di San Giorgio a Mantova, testimonia l’importanza
dell’influenza medioevale. Risale, infatti a tale periodo ed è l’edificio a
scopo difensivo più antico rimasto a Redondesco. Il Castello, o quanto di
esso rimane, è costituito da una cortina, in parte merlata, anche se i
merli, ghibellini, sono interamente rifatti. La torre d’ingresso è alta,
sovralzata mediante una cella campanaria munita di due aperture arcuate su
ogni lato. Ma già prima di tale sopralzo la torre possedeva una cella
superiore, pure dotata di due finestre arcuate per lato, eccetto quello
frontale oggi occupato dal quadrante dell’orologio. Malgrado le varie
riprese, questa poté essere l’originaria torre d’ingresso al borgo, tardo
medievale; davanti ne venne eretta un’altra, più larga e più bassa. Tale
avantorre è a sua volta doppiamente forata a destra da una porta arcuata già
dotata di ponte levatoio (restano le sedi dei bolzoni), a sinistra da una
pusterula (oggi murata), anch’essa già dotata di passerella levatoia.
Rimangono la torre principale (affrescata interamente nel ‘300) e quattro
torrioni. Oggi è di proprietà comunale. Il castello fu residenza dei conti
di Redondesco e dopo la loro cacciata divenne sede del pretorio e residenza
dei giudici municipali. Ebbe un ruolo molto importante anche durante il
dominio dei Gonzaga: essendo posto in posizione strategica, era infatti
determinante per controllare o fermare movimenti militari sulla Postumia».
http://www.comunediredondesco.it/cultura.html
«Il Palazzo Ducale Gonzaghesco, di proprietà del Comune di Revere, è posizionato sullo sfondo di un ampio prato dove è ubicata la torre all’interno del perimetro storico del Comune di cui oggi è la sede. Il Palazzo Ducale è sede di: Uffici municipali, Museo del Po, Fontinalia Museum, Sale espositive "L. Gonzaga" adibite a mostre di carattere nazionale ed internazionali, Pro Loco. Il Palazzo Ducale Gonzaghesco trae origine da una fortificazione iniziata nel 1125 dai modenesi, fu poi conquistata dai mantovani che la terminarono dotandola di sette torri e la chiamarono Castello di Revere dal nome dell’isola. Dopo alterne vicende, ed in particolare dopo il nuovo straripamento dei fiumi ed in particolar modo del Po nel 1131, fu causa dell’allagamento di tutta la provincia e dell’isola di Revere e quindi della stessa fortezza. Così nel 1332 mons. Bonfatti fece cessione del Palazzo a Luigi Gonzaga. Dal 1444 al 1478 fu edificato il Palazzo Ducale, voluto da Ludovico II, sulla base delle sette torri che formavano il sistema difensivo dell’isola di Revere. Ancor oggi di fronte al castello c’è una torre superstite che è collegata ad esso mediante un passaggio sotterraneo che la univa alla chiesa ormai distrutta di Santa Mostiola. L’edificio era in un ottima posizione strategica come avamposto di difesa sul Po di fronte al territorio nemico. Aveva inoltre un carattere residenziale: vi si riscuoteva il dazio delle merci in transito sul Po ed era inoltre il centro di una corte rurale dei Gonzaga, i quali controllavano le più importanti fonti di reddito del ducato. Negli ultimi anni altri avvenimenti hanno riguardato il palazzo ducale. Esso, come tutti gli altri possedimenti Gonzagheschi del Mantovano, passò all’imperatore Carlo VI. Valorizzato e restaurato dagli austriaci, l’edificio, insieme con la torre, subì in seguito l’assedio e la conquista da parte delle truppe napoleoniche che posero l’antico palazzo sotto l’amministrazione francese fino al 1814. Dal Congresso di Vienna in poi l’edificio restò agli austriaci ed è grazie alla loro organizzazione amministrativa che a partire da quegli anni tracce della storia dell’edificio sono rimaste presso l’archivio comunale di Revere.
Il Palazzo Ducale è la prima opera compiuta nel territorio mantovano da un importante artista: Fancelli. Il Palazzo doveva avere presumibilmente pianta chiusa con cortile interno nel disegno originario. Più avanti su questi esempi inizierà un processo che porterà Giulio Romano alle prime realizzazioni di ville nel territorio mantovano. Il castello diviene palazzotto fortificato con una funzione che è ancora politico militare. Fancelli esegue un intervento di smilitarizzazione del castello, il portale che ricorda da vicino esempi toscani e le finestre di cui è ricca la facciata principale sono larghe, alte e spaziose, non certo buchi o feritoie difensive. Per volere di Ludovico nel 1458 fu modificato il portale; Fancelli, pur attenendosi ai desideri del committente, mantenne la proposizione di un modello prettamente fiorentino. è sicuramente del Fancelli il disegno delle lesene scanalate con i capitelli corinzi che reggono l’architrave sul quale poggia il timpano. Come nel camino di mano Fancelliana, anche sul portale è inciso il motto “amomos” ed è inoltre presente l’impresa del cane accucciato, motivo dipinto anche su un merlo della soffitta. Il timpano del portale presenta cornici grecizzanti. All’interno, al piano nobile, si parla di intervento mantegnesco: durante recenti ricerche sono affiorati sotto gli intonaci interessanti disegni, eseguiti a pennello, che lasciano pensare a studi per realizzare il “Ciclo Omerico”. Un carattere estremamente originale è dato al palazzo dagli alti camini di sapor veneto, di base ottagonale. Per quanto riguarda l’interno, a causa dei continui rimaneggiamenti non conosciamo la disposizione degli ambienti. Il cortile interno invece è molto importante, i capitelli e le colonne messe in opera nel 1458 sono su disegno del Fancelli e risentono di influssi tardogotici. Il portale di destra ornato da una trabeazione con una ghirlanda di frutti è più tardo, di influenza mantegnesca.
Il portale d’entrata è in marmo bianco e rosa come le colonne che hanno base e capitello bianchi e fusto rosa. Su ogni colonna è presente lo stemma quattrocentesco corredato dalle aquile dei Gonzaga. Nelle due arcate laterali le colonne sono in fila semplice collegata tra loro da volta a botte. Ai quattro lati del cortile si trovano pozzi dei quali attualmente resta solo uno vero al centro del cortile di fattura tardogotica. Un elemento caratteristico del palazzo è l’uso del marmo accostato al mattone, ed anche il portale che tra le ville mantovane del Fancelli è l’unico costruito in materiale lapideo. Oggi il Palazzo Ducale Gonzaghesco di Revere presenta un impianto costituito da un volume a “C” che racchiude un cortile interno, porticato al piano terra in cui è stato ravvisato l’influsso del Brunelleschi. La merlatura di coronamento sembra sia stata tamponata quando il palazzo venne ricoperto con copertura a padiglione, come si vede negli affreschi con motivi araldici presenti nel sottotetto in corrispondenza proprio della merlatura in oggetto la cui fascia sottostante venne tinteggiata con i colori della famiglia Gonzaga. Delle decorazioni esterne si conservano pochissime tracce di parti di facciata delle torri nei lati interni del sottotetto, mentre riguardo alle decorazioni interne si desume la presenza di elementi pittorici a tempera in una sala del piano terra e in una sala del secondo piano».
http://www.comunerevere.it/index.php?option=com_content&task=view&id=186&Itemid=47
«L’antica torre di Revere è la
testimonianza architettonica di un complesso fortificato che si relaziona al
sistema di torri, castelli e corti del territorio della bassa padana. Essa
appartiene ad un antico sistema fortificato, oggi distrutto, che risale al
XII sec. e che vede la fortificazione come struttura di controllo difensivo,
economico ed amministrativo del territorio. La corte e i castelli erano
infatti predisposti alla lavorazione dei prodotti e alla riscossione di dazi
e pedaggi, come probabilmente in questo caso, essendo Revere un paese
situato sulla riva di un importante fiume in cui il commercio poteva
espandersi in misura notevole. La costruzione del 1125 si collocava nella
tipologia medioevale del castello recinto, costituito probabilmente da sette
torri e da un tracciato di semplici mura visibili in altri esempi nel
territorio mantovano e di epoca pregonzaghesca. Nel 1449-50 Ludovico II di
Gonzaga commissiona all’arch. Luca Fancelli i lavori di ristrutturazione del
castello, che viene trasformato in villa di residenza del signore e i lavori
di costruzione di un nuovo sistema fortificato, come ci appare da una mappa
del 1704, è caratterizzato da un tracciato poligonale con tanaglie, bastioni e
circondato da fossati. All’interno di queste fortificazioni c’era l’intero
borgo edificato e sono chiaramente leggibili le porte ubicate sulle strade
principali. Revere rientra in quel programma espansionistico attuato dai
Gonzaga sul territorio mantovano e diventa nella seconda metà del
Quattrocento uno dei principali poli a sud del Po ed è probabile che le mura
medioevali del castello fossero fatiscenti e di perimetro esiguo inadeguate
a proteggere un centro in continua espansione; cosi il castello viene
ristrutturato e trasformato in villa e perde così la sua antica funzione
difensiva, restando come unica testimonianza la torre mastio adiacente al
palazzo. La torre è costruita interamente in laterizio su possente base
quadrata piena caratterizzata dal camminamento di ronda sostenuto da
strutture aggettanti a mensola verso l’esterno; possiede tutti e quattro i
lati merlati ed è fornita di piccole aperture a feritoia su tutto il
perimetro. Ha subito nel corso dei secoli diversi restauri, tra cui quello
del 1755, durante il regno di Maria Teresa d’Austria; tutti i restauri sono
stati di tipo conservativo tranne l’elevazione della torre campanaria, unico
intervento cinquecentesco che ha modificato non solo la destinazione d’uso
della torre ma anche il suo profilo architettonico esterno. L’attuale torre
campanaria della fortezza del 1125 serviva per dominare la navigazione sul
Po, essa è merlata alla guelfa, sopra vi è eretta la cella campanaria. Per
salire alla torre campanaria vi sono 108 gradini e fino al 1974 le campane
erano suonate a corde e le allegrezze con una tastiera a piano. Nel 1975 si
ruppero e vennero di nuovo istallate e dalla cittadinanza fu raccolta la
somma necessaria per istallarvi un congegno elettronico che sostituisce
corde e campanari. Le suonate che si ripetono ancora oggi sono state create
da Archimede Piccaia. La torre campanaria fu adibita a prigioni prima
dell’Austria poi della Francia e dopo il 1866 anche dell’Italia. A lato
della torre fu eretta, nel 1775, una casa per il custode, che fu demolita
nel 1926. Ai piedi della torre si trovano due lapidi con due iscrizioni una
sul lato nord e una sul lato est. Nel 1824 fu riconosciuto in catasto la
proprietà della torre al Comune di Revere».
http://www.comunerevere.it/index.php?option=com_content&task=view&id=186&Itemid=47
Rivalta sul Mincio (castello non più esistente)
«Rivalta sul Mincio è il centro abitato più grande del Comune di Rodigo. Dal punto di vista urbanistico esso si è sviluppato molto negli ultimi decenni, ed in particolare dopo che, negli anni ’70, è stata costruita una circonvallazione del paese. A parte il centro storico, a ridosso della chiesa e del fiume Mincio, Rivalta è per lo più formata da costruzioni recenti in forma di villette, bifamiliari e case a schiera; l’aspetto è gradevole ed ordinato. La chiesa, settecentesca, dedicata ai Santi Donato e Vigilio, sorge dove un tempo Matilde di Canossa aveva eretto un castello che, con quello di Volta Mantovana, costituiva la difesa di Mantova verso nord. Del castello non rimane traccia, essendo stato distrutto dai mantovani dopo la morte di Matilde; se ne intuisce però l’antica ubicazione perché rimangono tracce del fossato che lo circondava. Rivalta non ha quindi vestigia importanti, né ville o palazzi di particolare pregio: da questo punto di vista la costruzione più interessante è Corte Arrivabene, residenza dei conti omonimi, una tipica casa padronale del ‘700 immersa in un ampio giardino».
http://www.comune.rodigo.mn.it/index.php?option=com_content&view=article&id=14&Itemid=132
Rivarolo Mantovano (centro storico, fortificazioni)
«La storia di Rivarolo è improntata sulla presenza della dominazione Gonzaghesca sul territorio, di cui resta ancora traccia nell'antica cinta muraria. ... Ai primi del 1400 i Rivarolesi si sottomettono spontaneamente ai Gonzaga di Mantova. Inizia il trasferimento della popolazione dall'antico insediamento verso la zona dove esisteva un oratorio sul quale fu poi costruita la Chiesa parrocchiale. Il borgo tende ad ingrandirsi. Proprio allora il suo sviluppo è radicalmente determinato dalla figura del principe Vespasiano Gonzaga. Egli faceva parte di un ramo cadetto della famiglia e risiedeva nel borgo fortificato di Sabbioneta, da lui stesso ideato quale realizzazione del modello di città ideale descritto nei trattati rinascimentali. Vespasiano ottenne il potere su Rivarolo dal padre Luigi Gonzaga. Sia Rivarolo che Sabbioneta facevano parte di un sistema di piccoli Principati affidati ai rami cadetti e facenti capi al potere politico di Mantova. Rivarolo restò tuttavia secondario rispetto a Sabbioneta, tanto che Vespasiano non esitò ad abbatterne il castello per costruire le mura della sua città ideale. Solo più tardi, pentito per aver impoverito il paese, si impegnò a ricostruirlo. La nuova distribuzione urbanistica, con vie diritte che si intersecano ortogonalmente dando origine alla piazza (sulla quale si attestano edifici signorili), fu con molta probabilità disegnata dal principe stesso. Alla morte di Vespasiano, Rivarolo passa a Scipione Gonzaga. Quest'ultimo migliora la struttura urbanistica del paese completando l'opera di Vespasiano. Le mura e le porte merlate sono rinforzate e sono creati spaziosi vicoli. In paese sono aperte Porta dell'Ospedale (Porta Mantova) e Porta della Piazza (Porta Parma). Dopo essere stato territorio di dominio Francese e Austriaco nel '700, nel 1868, con la costituzione del Regno d'Italia e la distribuzione provinciale, Rivarolo e la sua frazione Cividale passano definitivamente in Provincia di Mantova. La distribuzione urbanistica del paese è stata notevolmente influenzata dal riordino voluto da Vespasiano Gonzaga.
La caratteristica più importante del tessuto urbano del centro storico di Rivarolo Mantovano è senza dubbio l'impianto ortogonale dei suoi tracciati stradali, i conseguenti isolati che si vengono a formare e la cinta muraria perimetrale che racchiude l'intero abitato in una forma rettangolare. Ad una rigorosa impostazione unitaria del tessuto urbano corrisponde un'edilizia sostanzialmente compatta lungo tutti i fronti stradali, in cui è particolarmente raro trovare delle emergenze che si distinguono in modo particolare, ad eccezione della piazza principale su cui prospettano gli edifici più importanti, dal Palazzo del Podestà (ora sede comunale) al palazzo dei conti Penci, a tutti i fabbricati prospicienti la grande piazza, posti lungo i due lati più lunghi, che, oltre ad essere architettonicamente significativi, sono tutti caratterizzati da un ampio porticato, dove trovano posto le principali attività commerciali. Al suo interno il paese è diviso in borghi, ognuno dei quali porta un nome antico e significativo dei monumenti che vi sono collocati. Nel Borgo Vecchio troviamo la Chiesa dell'Annunciata, costruita nel 1416 sopra un antico oratorio e ristrutturata nel 1807. La Piazza è completamente circondata da portici di varie epoche. Nel lato Est si trovano i portici più antichi e la Sinagoga, rimasta integra nella struttura muraria. A Nord della Piazza vi è la Torre dell'Orologio con il Palazzo Comunale eretto nel 1400. Il lato Sud della piazza è chiuso dall'imponente Palazzo dei Conti Penci di Gori, costruito nel 1522, ma non terminato; caratteristico è il sottostante porticato in cotto. Nel Borgo di S. Rocco esisteva il convento di S. Chiara con la Chiesa di S. Rocco, attualmente non ben identificabili perché in gran parte demoliti nel 1777. Il Borgo si apriva a Ovest con porta Cremona edificata nel 1787. Borgo Nuovo è la zona del Paese che sbocca nella Porta di Tornata, uscita chiusa nel 1847 per aprirne un'altra accanto alla Chiesa di S. Bartolomeo: Porta Brescia. In questo borgo, che è la parte di paese edificata più di recente, esistono alcune costruzioni pregevoli, oltre alla sopraccitata Chiesa di S. Bartolomeo, costruita nel 1684. Il quarto borgo del paese è Borgo Fontana. Le tre porte di accesso al paese ancora esistenti sono sovrastate da due torrioni merlati».
«L'origine di Rodigo si situa nel secolo XI, tra il 1050 e il 1100. ... Nel paese di Rodigo si trovano diversi palazzi e ville di un certo pregio. La maggior parte di esse risale al secolo scorso o all’inizio del ‘900; la più antica, Villa Balestra, è datata fra fine Cinquecento e primo Seicento. La torre dell’orologio, di epoca sicuramente precedente, è tutto quel che resta di un castello che ne possedeva quattro, ai quattro angoli delle mura di cinta. Del ‘700 è la bella chiesa di S. Maria delle Rose. La palazzina centrale dell’Istituto Geriatrico Intercomunale è del secolo scorso, così come l’edificio municipale; sono del primo Novecento le eleganti scuole elementari e altre prestigiose ville. Sparse su tutto il territorio sorgono Ville e Corti agricole di notevoli dimensioni. Di alcune corti si ha testimonianza già nel tardo Medioevo, ma è probabile che siano ancora più antiche: corte Samafeia, corte Retenago, corte Fornace, corte Camerlenga, corte Sette Frati. Il territorio comunale di Rodigo costituiva, quasi sicuramente, un antico avamposto romano sulla via Postumia, da cui è sfiorato. L'intero territorio divenne dominio dei Gonzaga nel 1432 e dal 1479 fu elevato al rango di Contea indipendente dal Marchesato di Mantova. Nel 1630 Rodigo venne assalito dai Lanzichenecchi che, colpirono pesantemente l'abitato, distruggendo anche il castello. Nel 1708, come conseguenza della caduta del duca Ferdinando Gonzaga, il comune entrò a far parte dell'impero austriaco. ...».
http://www.comune.rodigo.mn.it/index.php?option=com_content&view=article&id=12&Itemid=129
«Intorno alla cinta muraria un tempo s'innalzava lo spalto, un argine in terra con angolo saliente verso la città, a protezione di bastioni e cortine. Il fossato è un profondo scasso posto alla base dell'incamiciatura di mattoni. Un tempo l'acqua poteva giungere dalla scarpa fino ai piedi degli spalti esterni, grazie ad un sistema idraulico di chiuse. I terreni circostanti le fortificazioni sono denominati "Tagliata" perché anticamente per ragioni difensive dovevano essere liberi da alberi e da edifici. I sei bastioni di forma pentagonale hanno i fianchi rettilinei e le spalle poligonali; solo il bastione San Niccolò presenta uno dei fianchi ad "orecchione" cioè sporgente ed arrotondato. Quattro delle cortine sono rettilinee; quella compresa tra i bastioni San Francesco e San Niccolò è composta da due segmenti con vertice ad "orecchione". Nei punti d'innesto dei bastioni con le cortine sorgevano le piazzole, spiazzi del terrapieno sui quali un tempo erano posti i pezzi d'artiglieria. Il muretto di rialto è innalzato al livello di banchina solo in corrispondenza ai vertici dei bastioni e oggi impedisce il franamento del terrapieno nonché sorreggere i sei grandi stemmi marmorei. Purtroppo quando dopo il XVII secolo la cinta muraria di Sabbioneta perse la sua funzione difensiva, le mura vennero percepite dai suoi abitanti come una cava di materiale fittile per cui furono quasi del tutto smantellati i parapetti, mentre, tagliati i pioppi piantumati sui terrapieni interni, essi furono adibiti ad orti e vigne. Di fronte alle porte maestre anticamente erano presenti due rivellini (o mezzelune) opere addizionali staccate, di forma triangolare, costituite da due fianchi rettilinei del tutto simili ai bastioni. ... Le fortificazioni furono realizzate in tre fasi successive: la prima compresa tra il 1556 ed il 1567, la seconda coincidente col biennio 1578-79 e la terza conclusa tra il 1589 ed il 1591. Il progetto, considerato opera di Vespasiano Gonzaga, fu realizzato con la consulenza di abili ingegneri ed esperti architetti militari quali il novarese Girolamo Cattaneo e il piacentino Bernardino Panizzari detto il Caramosino. I lavori di edificazione furono diretti da Giovan Pietro Bottaccio tra il 1558 e il 1584 e da Bassano Tussardi tra il 1584 ed il 1600. La cinta muraria ha forma di esagono irregolare con sei bastioni a cuneo innestati agli angoli (San Niccolò, Santa Maria, San Francesco, Sant'Elmo, San Giorgio e San Giovanni) e due porte maestre per l'accesso (Porta Vittoria e Porta Imperiale), tra loro opposte. La Porta Imperiale, edificata nel 1579 ed intitolata all'imperatore Rodolfo II d'Asburgo, è inserita nella cortina delimitata dai bastioni Sant'Elmo e San Giorgio. Essa è caratterizzata da una facciata composta da bugne lisce in marmo bianco e dal grande timpano neoclassico, che sostituisce l'originale loggia, del tutto simile a quella di Porta Vittoria.
Il baluardo San Francesco costituisce l'elemento più articolato dell'intera cinta muraria. Si tratta del bastione edificato tra il 1589 e il 1591, nell'ultima fase di costruzione delle mura, a sostituzione di un baluardo in terra dalle dimensioni più modeste. Esso si trova immediatamente alle spalle dell'insieme di palazzi del duca, a protezione dell'area privata a lui riservata. Copre infatti il Casino, la villa del riposo col giardino all'italiana. Notevole era la sua funzione strategica poiché a ridosso del suo terrapieno sorgeva lo "Stallone", il complesso delle scuderie ducali in cui erano allevati cavalli di razza che costituivano la cavalleria del duca. In caso di assedio, un'uscita di soccorso a lato delle piazzole detta "Porta segreta di Santa Margherita" nella spalla est del baluardo, permetteva una sortita di fanti armati, coperti dal tiro dell'artiglieria pesante. L'attuale Via Giulia Gonzaga, la strada comunale asfaltata bordata da una doppia fila di pioppi cipressini, venne realizzata negli anni Venti del Novecento quando la cinta fu brecciata in due punti opposti al fine di permettere lo sviluppo urbano della città. Tale crescita è avvenuta, soprattutto tra gli anni Cinquanta e Settanta. Un tempo una breve cortina univa il bastione San Francesco al torrione sinistro della Rocca chiudendo la piazza alle spalle a protezione dei palazzi privati del duca. Dalla campagna verso la città oltre alla cortina di mattoni ed al terrapieno che le era addossato, si incontrava l'Armeria. Questo edificio, demolito nel 1793, era unito agli appartamenti ducali del castello per mezzo di un breve passetto ed era collegato agli ambienti della villa con giardino da un corridoio posto su archi, detto "Corridor Piccolo", tutt'oggi esistente e chiamato erroneamente Armeria. La Rocca fu demolita durante il governo austriaco negli ultimi anni del Settecento (1796). Poiché due torrioni e la cortina tra essi compresa facevano parte della cinta muraria, essi non furono atterrati e rimangono oggi a ricordo della mole del castello. Nella cortina posta tra i baluardi Santa Maria e San Nicolò si innesta la Porta Vittoria, uno dei due antichi accessi alla città, costruita nel 1567. Col suo paramento il cotto incorniciato da liste di marmo bianco la sobria eleganza della porta non interrompe l'andamento continuo della cortina. Il baluardo San Giorgio è munito, come gli altri cinque, di uno stemma marmoreo posto sul muretto angolare di contenimento del terrapieno. Nella sua spalla sinistra è presente un'uscita di soccorso chiamata "Porta segreta di Santa Caterina". A sinistra è visibile un piccolo edificio risalente a primi del Novecento, recentemente ristrutturato e trasformato in tavola calda, si tratta della vecchia stazione del tram»».
http://www.comune.sabbioneta.mn.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=17368&idCat=18243&ID=18302 - ...18303
«Il Palazzo Ducale o Palazzo Grande, edificato nel 1559, fu il primo importante edificio ad essere costruito nella nuova città di Vespasiano Gonzaga. Fu la residenza del duca, nonché la sede dell’attività politica ed amministrativa. Il palazzo si affaccia su piazza Ducale su cui prospettano anche la chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta ed il Palazzo della Ragione, luogo in cui si riunivano i due consigli della Comunità. Sul lato meridionale si apre un lungo porticato con pilasti ed archi rivestiti di bugne di marmo bianco. I lavori di decorazione furono condotti in due fasi: dal 1559 al 1568, anno della partenza di Vespasiano Gonzaga per la Spagna, e dopo il 1578 in seguito al ritorno del duca dalla corte del re cattolico Filippo II. Suddiviso in due piani il palazzo presenta nella facciata un porticato con cinque aperture arcuate interamente bugnato e rialzato rispetto al piano stradale. Si accede all’ingresso principale per mezzo di un’alta gradinata in marmo bianco. Sulla cornice marcapiano, leggermente aggettante, poggiano cinque finestre profilate in marmo e sormontate da timpani triangolari e curvilinei alternati. Sulle architravi è incisa l’iscrizione ducale: “VESP. D. G. DVX SABLON. I” (Vespasiano per grazia di Dio primo duca di Sabbioneta). Sopra le finestre sporgono delle mensole su cui un tempo erano posti altrettanti busti antichi in marmo con ritratti di imperatori romani. L’edificio è infine sovrastato da un’altana finestrata. Nell’intonaco tra le finestre si scorgono tuttora le tracce del dipinto realizzato nel 1584 dai pittori Bernardino Campi e Michelangelo Aliprandi. Dopo il 1578 il palazzo viene dotato di nuove sale dagli elaborati soffitti lignei, di un loggiato interno, di un cortile d’onore e di una torretta, coprendo una vasta superficie fino ad occupare un’intera insula urbana. Entrando dal portale principale si accede al vasto androne e di qui in un ampio salone caratterizzato da due grandi pilastri centrali. In questo ambiente sino al 1970 si apriva l’accesso dell’imponente scalone monumentale di forma elicoidale che permetteva di salire al piano nobile. Smontato in occasione del restauro del palazzo condotto tra il 1968 e il 1971 sotto la direzione della Soprintendenza di Verona, esso non è più ritornato nella sua sede d’origine. Verso destra una porta introduce in alcuni ambienti col soffitto decorato da maestranze locali soprintese dal pittore cremonese Bernardino Campi. Il più importante di questi locali è la Sala di Diana ed Endimione; la quale reca al centro della volta a padiglione un dipinto a secco raffigurante Diana ed Endiminione, tradizionalmente riferito a Bernardino Campi e purtroppo molto deteriorato; il resto della decorazione a grottesche si deve al grottescante e stuccatore mantovano Giovan Francesco Bicesi detto Fornarino, uno specialista di questo genere. Attraverso questa sala si raggiungono due ambienti chiamati tradizionalmente “sale d’Oro” per via di soffitti lignei dorati. ...».
http://www.comune.sabbioneta.mn.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=17368&idCat=18243&ID=18300
«Eretto nel 1584 come luogo di delizie del Principe, ha un semplice esterno abbellito da un ricco cornicione di legno. All’interno si susseguono diverse sale e salette dove Vespasiano Gonzaga, amante della storia romana, aveva cercato di ricreare, in questa sua dimora, l’atmosfera dell’antica Roma commissionando una serie di affreschi che riproducessero le vedute di Roma come il Circo Massimo, il Circo Flaminio… Non cerca maestranze famose, ed affida i lavori ad artisti locali che operano a Sabbioneta; commissiona decorazioni di terzo stile pompeiano che rappresentano scene mitologiche ricavate dalle narrazioni contenute nelle “Metamorfosi di Ovidio”. La sala più rappresentativa del palazzo è quella dove si tenevano le danze; il ballo in uso a quei tempi era la pavona: una specie di girotondo, intervallato da inchini, alternati, tra dame e cavalieri; nel cinquecento non esistono ancora danze movimentate perciò non sono necessari grandi spazi e grandi volumi, quindi, anche il salone delle feste non richiede una eccessiva ampiezza ma è reso più luminoso con la presenza di specchi probabilmente inseriti nei lacunari del soffitto. I dipinti richiamano la tematica delle feste e dei paesaggi bucolici: la caccia al cinghiale, la passeggiata agreste, il parco. Le grandi porte-finestre si aprivano su un parco dove erano allestiti banchetti galleggianti: non c’è più nulla dell’antico giardino dove il banchetto galleggiante, alla maniera del Canopo di Villa Adriana a Tivoli, era allestito in maniera che vassoi fluttuanti sull’acqua contenessero cibi appetitosi e prelibati che i commensali potevano gustare prelevandoli direttamente dalle leggerissime onde formate da una serie di giochi d’acqua, come accadeva nell’atmosfera offerta dall’Imperatore Adriano a Tivoli. Purtroppo le esercitazioni militari dei soldati di Napoleone Bonaparte hanno causato l’interramento e la quasi totale distruzione di quei giochi d’acqua ed oggi resta soltanto una scaletta e la denominazione del palazzo giardino a ricordare una bellezza che ormai appartiene alla storia».
http://www.correrenelverde.it/cultura/sabbioneta/sabbioneta.htm (a cura di Diana Onni)
Sabbioneta (porta Imperiale, porta Vittoria)
«La Porta Imperiale fu edificata nel 1579, al termine della seconda fase dei lavori di costruzione della cinta muraria, e fu dedicata all' Imperatore Rodolfo II d'Asburgo, come recita l' epigrafe posta sopra l'ingresso principale. La facciata è completamente rivestita di bugne di marmo bianco e nella parte inferiore è interrotta da tre aperture arcuate a tutto tondo. Sopra l'arco centrale, nella cui chiave di volta è inserito un grottesco mascherone che ricorda invenzioni giuliesche, si legge un 'epigrafe che recita: "Vespasiano, per grazia di Dio, duca di Sabbioneta, fece costruire questa porta fregiata del nome imperiale, nell'anno della salvezza 1579". Al di sopra è collocato, in un'elegante cornice sansovino, lo stemma ducale privo del collare del Toson d'Oro, che Vespasiano ottenne solo nel 1585. L'antica loggia superiore, del tutto simile a quella di porta Vittoria, fu sostituita nella prima metà dell'Ottocento con l'attuale timpano cuspidato, forse su progetto di Carlo Visioli. Come Porta Vittoria anch'essa è a pianta quadrangolare ... Porta Vittoria, una delle due porte d'ingresso alla città, è rivolta verso Milano, un tempo sede del governatorato spagnolo. Fu costruita nel 1562, durante la prima fase di edificazione delle mura. Il suo aspetto è sobrio ed imponente. La facciata è divisa in due parti da una sottile cornice marcapiano: nella zona inferiore si trovano quattro lesene a bugnato rustico, che inquadrano tre aperture arcuate, in quella superiore vi è un loggiato su cui poggia la copertura lignea. Sopra l'ingresso principale sono collocati lo stemma quadripartito, con le armi Gonzaga-Colonna, e un 'epigrafe con l'iscrizione in capitali latine: "VESPASIANUS SABLON. MARCH.ET.CONDITOR PORTAM HANC.BENEAUGURATUS VICTORIAM DIXIT" ("Vespasiano Gonzaga, marchese e fondatore di Sabbioneta, dedicò questa porta alla Vittoria per buon auspicio"). Nel Cinquecento la porta permetteva l'accesso alla città attraverso due ponti levatoi, uno carrabile corrispondente alla posterla destra, la cui presenza è oggi indicata dalle strette feritoie che la sovrastano. Nel 1585 il falegname Nascinbene Borzana costruì il nuovo ponte con relativo battiponte in legno, vale a dire più campate di ponte fisso innalzate di fronte alla porta, verso cui venivano calati i due ponti levatoi. Il contrasto tra il marmo bianco ed il rosso mattone del paramento murario rimanda alle costruzioni venete».
http://www.turismo.mantova.it/index.php/risorse/scheda/id/2503 - ...risorse/scheda/id/2499
a cura di Stefano Favero
San Martino Gusnago (corte San Lazzaro)
«La Corte San Lazzaro è una storica corte lombarda rinascimentale di San Martino Gusnago, frazione di Ceresara, in provincia di Mantova, situata alla periferia sud provenendo da Piubega. Edificata nella prima metà del XVI secolo si presenta come residenza agricola fortificata, protetta sul fianco sinistro da fossato di difesa. Il portale principale è stato realizzato in bugnato, tipico dell'architetto Giulio Romano. Apparteneva ad Aloisio Gonzaga, marchese di Castel Goffredo e capostipite dei “Gonzaga di Castel Goffredo”, che la abbellì con affreschi. Alla morte di Aloisio la proprietà passò in eredità al terzogenito Orazio, marchese di Solferino».
http://newikis.com/it/Corte_San_Lazzaro.html
San Martino Gusnago (palazzo Secco-Pastore)
«Tipologicamente definito come residenza cautelata, il palazzo attribuito a Luca Fancelli sorge su un'area dove preesistevano edifici di età romana e longobarda; fu fatto costruire nella seconda metà del Quattrocento dal nobile Francesco Secco, condottiero e ministro alla corte di Mantova. Confiscato dal marchese Francesco Gonzaga nel 1491, attraverso successivi passaggi di proprietà, alla fine del Cinquecento pervenne agli Orsini di Bracciano, baroni romani, che lo tennero per oltre cento anni. Nel 1709 avendo l'imperatore d'Austria eretto S. Martino Gusnago a Feudo imperiale, il palazzo divenne la sede del feudatario, il conte Carlo Antonio Giannini. Nel 1789 fu acquistato da Francesco Alceo Pastore. Il figlio di quest'ultimo, Giuseppe Ignazio, nella prima metà del secolo scorso, aggiunse due lunghi corpi di fabbrica al nucleo originario».
http://www.comune.ceresara.mn.it/luoghi-artistici-e-storici/67-palazzo-secco-pastore
San Martino Gusnago (torre di Corte Nuova)
«La Torre di Corte Nuova è un edificio storico di San Martino Gusnago, frazione di Ceresara, in provincia di Mantova. Fu edificata da Ferrante Gonzaga, I marchese di Castiglione, nel 1576, come riportato dalla lapide marmorea all'ingresso della costruzione ed eretta a difesa della vasta proprietà terriera, Corte Nuova appunto, circondata da fossato. Alla morte del padre Ferrante la corte passò in proprietà a San Luigi Gonzaga che la cedette al collegio dei Gesuiti di Castiglione delle Stiviere nel 1608».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Corte_Nuova
Struttura danneggiata dal sisma del maggio 2012.
«La Torre gonzaghesca che possiamo ammirare nel cuore di Sermide è l'unica rimasta della cittadella costruita dal Comune di Mantova verso il Mille e fortificata da Ludovico Gonzaga dopo il 1370. è un solido torrione merlato, pesantemente rimaneggiato negli anni '30, che si presenta fregiato di un elegante stemma dei Gonzaga in terracotta restaurato di recente. Mettendo a confronto le fotografie di prima e dopo i lavori di restauro degli anni '30 si rivelano subito gli interventi vistosi: chiusura di feritoie e finestrelle, scomparsa di antiche inferiate e di un orologio murale, aggiunta del grande stemma dei Gonzaga tra le incassature delle travi dell'antico ponte levatoio, sistematica sostituzione di mattoni, farinosi di salnitro e di vecchiaia. Le finestre, di dimensioni ridotte come si conviene a un torrione, continuano a sovrapporsi appaiate fino ai grandi finestroni terminali: due a nord e tre sugli altri lati. Grazie a questi interventi, preceduti nei secoli dall'aggiunta di speroni di consolidamento (rispettivamente nel 1781 e nel 1932-3). è scomparso quel velo rossiccio di mattoni sfarinati che sottolineava la vetusta nobiltà del fortilizio gonzaghesco. All'interno dell' androne passante sono state collocate lapidi ai caduti di tutte le guerre e stemmi di alcune famiglie nobili del territorio mantovano: Castellani, Magnaguti, Bardini, Gonzaga, Gioppi, Bonacolsi. ... Non esistono elementi per confermare l'esistenza delle otto torri che coronavano il forte e bel castello di Sermide. I documenti e l'iconografia a nostra disposizione ci consentono al massimo di confermare l'esistenza di cinque».
Solferino (castello di Orazio Gonzaga)
«Il castello di Solferino si trova nella parte alta del paese, ai piedi della Rocca, e con essa costituisce oggi il nucleo più antico del borgo. La costruzione del castello si fa risalire al tempo di Orazio Gonzaga, il quale, tra il 1570 e il 1585, fece edificare la sua dimora/castello su quello che già doveva essere un complesso di opere difensive di origine medioevale comprendente la Rocca, posta in cima alla collina, e alcuni edifici che insieme costituivano il “castrum Solferini”. Il progetto di Orazio Gonzaga comportò l’abbattimento di tutti gli edifici esistenti ai piedi della Rocca, lo spianamento della sommità della collina e l’ampliamento della superficie utilizzabile tramite la costruzione di una muraglia a sostegno di un terrapieno. Il castello, a pianta rettangolare, risultava chiuso su tutti e quattro i lati. Su quello nord occidentale, dove era situato un ponte levatoio, in origine unico ingresso, sorgevano il posto di guardia, i locali per i soldati, la cancelleria e la loggia. Il tutto fortificato da un fossato e una muraglia esterna. Il lato sud- orientale, che dava verso la Rocca, era occupato da stalle, cantine e dalla torre di guardia. Dopo il 1859, su questo lato venne ricavata una seconda apertura. Il lato lungo di nord-est, che era stato lasciato quasi completamente libero per permettere la visuale dell’ampio panorama, era occupato solo da cantine, portici e una bassa muraglia. Il lato sud-ovest invece era occupato per la prima metà circa dalla residenza signorile e il resto da abitazioni di privati, una parte delle quali cedute dagli stessi ad Orazio Gonzaga. Questo lato, maggiormente esposto a pericoli, era stato fortificato da una cortina merlata. Del castello cinquecentesco, probabilmente progettato da Pompeo Pedemonte, sono sopravvissuti al tempo e soprattutto alle due battaglie del 1796 (battaglia di Castiglione) e del 1859 (battaglia di Solferino e San Martino) soltanto la Chiesa di San Nicola, che ha subito diversi rifacimenti nei secoli, e la Torre di Guardia, posta all’angolo destro del fronte meridionale. La torre, che termina con una cupola, è considerata la minore e la sola sopravvissuta di un probabile complesso di quattro torri, poste a sicurezza dell’intera costruzione. La torre, dotata di orologio, doveva servire con ogni probabilità anche da campanile alla vicina chiesa di San Nicola. Era posta a controllo della via e del borgo sottostante. Elementi del complesso: Mura perimetrali, Chiesa di San Nicola, Torre di Guardia Gonzaghesca, Rocca».
http://www.reggedeigonzaga.it/catalogo/it/sirbec/nome=castello_di_solferino%7Cid=2%7Ctipo=MSCH_ARCH
«La Rocca di Solferino è una torre quadrata in muratura di epoca medioevale, probabilmente risalente al 1022, che si trova sulla collina più alta dell’Anfiteatro Morenico del Garda. Fu definita “La Spia d’Italia” da Napoleone I Bonaparte dopo la battaglia di Castiglione del 1796, proprio per la sua posizione strategica. La torre, alta 23 metri, si erge infatti su un’altura di 205 metri, dominando così la vista di tutto il borgo e della pianura circostante, fino alle rive meridionali del Lago di Garda e in giornate molto serene anche fino alle Prealpi e alle prime montagne degli Appennini. La torre faceva parte di un complesso medioevale di opere difensive costituito, oltre che dalla Rocca, anche da alcuni edifici sottostanti e una cinta muraria. Di medioevale restano ormai solo le mura perimetrali della Rocca. L’interno, un tempo diviso in piani, ha subito vari rifacimenti. Il primo restauro di cui si ha conoscenza è quello avvenuto ad opera di Cristierno Gonzaga, fratello di San Luigi Gonzaga, nel 1611 che riferisce anche la data 1022 come anno di costruzione della torre. L’ultimo risale al 2011, ad opera della Società Solferino e San Martino, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. La rampa lignea interna, che segue il perimetro della rocca, risale al restauro avvenuto nel 1870. Il piano terra custodisce alcuni oggetti legati alla battaglia del 24 giugno 1859, trovati sul campo o donati successivamente alla Società Solferino e San Martino, e una bacheca centrale con disegni riferiti al periodo rinascimentale di Solferino, quando il paese era sede di zecca e batteva moneta. Lungo il percorso di risalita della rampa sono state collocate delle riproduzioni di dipinti famosi oltre che armi, divise, buffetterie storiche, stampe d'epoca e documenti relativi alla storia della Rocca. Nel restauro del 1870 fu realizzata anche la famosa “Sala dei Sovrani”, chiamata così per la presenza di due grandi dipinti raffiguranti Vittorio Emanuele II e Napoleone III, vincitori della Seconda guerra d’Indipendenza. In cima la terrazza panoramica da cui si domina il paesaggio sottostante. Condizione giuridica: proprietà privata».
Struttura danneggiata dal sisma del maggio 2012.
«La torre civica di Suzzara, unico elemento rimasto dell’antico castello, fu eretta a partire dal 1372 all’esterno della cinta muraria medievale, a fianco alla porta d’ingresso, sotto il potere di Lodovico I Gonzaga. Inizialmente alta 25 metri e quindi portata agli attuali 32 metri nei primi decenni del ‘400, è il monumento principale della città. Dopo i lavori di restauro eseguiti pochi anni fa, è ora [febbraio 2011] possibile salire fino alla sommità, da cui si ha uno splendido panorama sulla città e sulla campagna circostante».
Viadana (Palazzo della Ragione)
«Municipio, ex Palazzo della Ragione, Piazza Matteotti. Il Palazzo della Ragione fu edificato nel 1507 ed è ora la sede del Municipio. Ha belle linee classiche e un ampio porticato. La facciata sulla piazza è caratterizzata da un balcone di rappresentanza. La piazza sulla quale prospetta si chiamava anticamente piazza Maggiore, ridenominata poi piazza Vittorio Emanuele II nel 1889, fino all'attuale intitolazione a Matteotti. E' compresa fra le piazze Gramsci e Manzoni alle quali è direttamente collegata».
https://it.wikivoyage.org/wiki/Viadana
Villastrada (castello contemporaneo)
«è stato costruito nei primi anni del '900 (probabilmente tra il 1905-1910) dalla famiglia Chiericati che all'epoca era una delle famiglie più ricche del paese e che, proprio per la voglia di distinguersi dalla gente meno abbiente, volle edificare questa abitazione in stile liberty per poi trasformarla poco dopo in un finto castello aggiungendo i merli e la torre. Negli stessi anni e nella via vicina vennero edificate altre cinque case nello stesso stile liberty e il bellissimo teatro Sociale, recentemente ristrutturato e riportato agli "antichi" splendori. In seguito, pare per le ingenti spese sostenute per le modifiche dell'edificio, i vecchi proprietari dovettero o venderlo o lasciarlo in qualche modo (su questo passaggio nessuna delle persone interpellate ha saputo fornire notizie reali ma solo supposizioni) dopo di che vi abitò la famiglia Saccani e, a seguito della morte dei vecchi genitori, il figlio si trasferì nella campagna di Villastrada per coltivare la terra ed allevare i bovini. Da quel momento il "finto" castello rimase disabitato per molto tempo (si dice all'incirca dalla fine del '66-'67 fino a circa il 2000) quando una delle figlie si sposò e lo ristrutturò internamente e vi andò ad abitare con il marito e le figlie dove vivono tuttora. Gli eredi della famiglia Chiericati oggi vivono a Porto Mantovano, non sono più i proprietari e nessuno in paese li conosce. ...».
http://castelliere.blogspot.it/2014/02/il-castello-di-martedi-25-febbraio.html
Villimpenta (castello scaligero)
«Opera indiscussa degli Scaligeri nel mantovano, la pianta è costituita da un pentagono irregolare dal quale si conservano due torri poligonali ed una massiccia torre d'angolo alta 25 metri che ne caratterizza l'imponenza e la solidità. Era munito di una torre ad ogni angolo più una lungo i lati maggiori, per un totale dunque di sei. Tutte erano quadrilatere, anche se con angoli non esattamente retti, soltanto quella a sud-ovest può dirsi pentagonale. Il mastio, posto all'angolo nord-ovest, è alto circa 42 metri ed è coronato da merli e piombatoie a costituire la parte più possente e solida del castello, ha base quadrata di 9 metri con spessore di 2,30 della muratura. Originariamente era circondato su tutti i lati dal fiume Tione sulla linea del quale si installarono, intorno all'anno 1000, in epoca anteriore alla costruzione della fortezza, i monaci dell'abbazia benedettina di San Zeno di Verona».
http://www.comune.villimpenta.mn.it/oldsite/castello2.html
«Una corte a Villimpenta è documentata fin dal 1528, ma è nel 1587 che essa diviene di proprietà dei Gonzaga. Tale corte è entrata nella storiografia artistica come opera di Giulio Romano. Il piano nobile, elevato su un basamento con una scalinata a tre rampe, è governato da due assi di simmetria. La fascia centrale è occupata da un salone a doppia altezza, prolungato da una coppia di logge biabsidate. Nelle facciate di Villa Zani appaiono molti elementi in genere associati allo stile di Giulio Romano: il rivestimento di opera rustica, l'ordine dorico e l'attico che sovrasta l'ingresso sono, infatti, reminescenze di palazzo Te di Mantova».
http://www.comune.villimpenta.mn.it/oldsite/VillaZani.html
Volta Mantovana (Palazzo Gonzaga)
«Il palazzo venne fatto edificare dai marchesi di Mantova Ludovico Gonzaga e Barbara di Brandeburgo come villa di campagna, verso la metà del 1400: vi lavorarono come capomastri un certo "mastro Juliano" e un "mastro Giovanni" che innalzarono la nuova costruzione sfruttando precedenti abitazioni nonché una torre e un tratto delle mura di cinta. Passato in proprietà a Rodolfo Gonzaga e poi ai suoi figli Aluigi e Gianfrancesco, fu da questi donato il 28-2-1515 a Ludovico Guerrieri. Ristrutturato e ampliato, rimase proprietà della nobile famiglia dei Guerrieri fino alla metà del 1800, quando venne ceduto ad Achille Gonzaga di Vescovato: passa a Carlo Cavriani nel 1929 e viene acquistato, a metà degli anni '80, dal Comune di Volta che ne fa la sede municipale. Il palazzo ha una facciata asimmetrica con portale in pietra e due file di finestre: sui tetti si innalzano tre comignoli dalla struttura veramente originale. All'interno vi sono alcuni soffitti lignei di pregevole fattura, con decorazioni cinquecentesche; affreschi sono conservati al piano terreno ma soprattutto nelle sale del primo piano. Di particolare interesse sono gli affreschi posti sulla volta dell'abside dell'antico Oratorio dedicato alla Madonna, poi trasformato agli inizi del 1900: un'opera di indiscusso valore. Suggestivo è il giardino della villa, costruito a partire dal 1500 sulle fosse del centro fortificato e abbellito nei secoli successivi dalla famiglia Guerrieri. Nel piazzale antistante vi sono le antiche scuderie del palazzo, dove attualmente vengono allestite mostre di vari artisti e sono organizzate manifestazioni culturali».
http://www.comune.volta.mn.it/index.php/Turismo-e-cultura/Monumenti/Palazzo-Gonzaga.html
Volta Mantovana (resti del castello)
«I resti del castello fondato
nel X secolo – tra cui una torretta, tratti di cinta muraria e un ingresso
fortificato – costituiscono il fulcro dell’abitato antico di Volta
Mantovana. Nel corso del XV secolo, Ludovico Gonzaga fece erigere
all’interno delle mura un palazzo di campagna che, tutt’ora recintato dai
bastioni, è stato adibito a sede municipale. All’inizio del secolo
successivo la residenza dei Gonzaga fu ceduta a Ludovico Guerrieri, il
vicario che amministrava il territorio di Volta Mantovana per conto della
dinastia mantovana; i discendenti del vicario restarono proprietari del
palazzo per oltre tre secoli e, in questo lunghissimo arco di tempo,
alterarono a più riprese l’originario assetto dell’edificio. Il favoloso
parco, modello esemplare di giardino all’italiana, fu elaborato a partire
dal XVI secolo, attraverso la scenografica sistemazione “a terrazze” del
fossato che in origine circondava il castello; sul piazzale antistante si
affacciano invece le antiche scuderie. Poco distante si erge la Parrocchiale
di Santa Maria Maddalena, costruita nel XVIII secolo sui resti della pieve
medievale e terminata solo nel 1960 con il completamento della facciata; al
suo interno un altare di marmo intarsiato, di gusto settecentesco, si
accompagna a pregevoli pitture e affreschi quattro e cinquecenteschi; in una
delle cappelle laterali si venera inoltre il corpo della Beata Paola
Montaldi, pia donna nativa del luogo, vissuta nel XV secolo».
http://www.incamminoperfrancesco.it/site/index.php?q=it/content/da-vedere-tra-cavriana-e-rivalta-sul-mincio
©2012 ss.