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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI BIELLA
in sintesi
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«Il primo riferimento storico è un diploma di Ottone III, sovrano del Sacro Romano Impero, del 999; col quale il vescovo di Vercelli Leone riceveva il titolo di conte sui territori di Vercelli e Santhià, ivi compresi i borghi esistenti, fra cui Benna. Sono, quelli dell’XI secolo, gli anni in cui a Benna sorge (oltre alla parrocchiale dedicata a San Pietro Apostolo) una chiesa ed un priorato benedettino, dipendente direttamente da Cluny, intitolata a San Giovanni Evangelista. Contestualmente si sviluppa il castello. Il controllo di Benna, nel corso dei secoli passa a varie famiglie. Talvolta il feudo bennese è assegnato ad un solo titolare, talaltra la signoria assume le forme dell’infeudazione consortile, con più titolari di proprietà e diritti feudali. Nel 1155 Federico Barbarossa concede il luogo a Giovanni e Bonifacio di Biandrate. Nel XIII secolo su Benna si intrecciano attribuzioni di diritti assegnati ad uno dei rami della famiglia Avogadro ed ai marchesi di Cavaglià. La presenza degli Avogadro fa nascere un ramo di questa famiglia con il predicato “di Benna”, la cui prima attestazione risale al 1365. Le guerre fra i Savoia e i Visconti coinvolgono il Biellese, e Benna subisce gravi distruzioni e lutti nel corso di un’incursione dei mercenari guidati da Facino Cane, al soldo di Milano: è il 1402. Due anni dopo gli Avogadro di Benna, prima, e la comunità successivamente, faranno atto di sottomissione ai Savoia, fors’anche per ottenere maggiore protezione in caso di conflitto. L’entità delle perdite e dei danni subiti dal paese durante il sacco del 1402 è testimoniato ancora cinque anni più tardi, con provvedimenti di esonero dal pagamento della tassa di focatico. Nel 1479, Sebastiano, dell’importante famiglia dei Ferrero, riceve l’investitura feudale di Benna. Il legame fra Benna ed i Ferrero (in seguito Ferrero Fieschi, principi di Masserano), durerà sino all’estinzione del casato ... Sotto i Ferrero Fieschi Benna vide profonde trasformazioni ai principali complessi edificati. Venne ricostruita la chiesa parrocchiale romanica, che assunse fattezze rinascimentali; ed anche il castello venne trasformato, gradualmente, da baluardo militare in dimora signorile di campagna. Committenti di importanti monumenti nella città di Biella (chiesa e chiostro di San Sebastiano, ai piedi del Piazzo), i Ferrero coinvolsero anche il loro feudo nel programma edilizio, creando un comune denominatore artistico fra le memorie architettoniche di Benna e quelle della città. ... Il castello: secc. XI-XVII. Resti di murature romaniche con paramenti in ciottoli disposti a spina di pesce. Elegante porticato rinascimentale. Belle finestre incorniciate in cotto. Torre porta con feritoie strombate. All’interno della torre semicilindrica del lato Est soffitti a cassettoni e frisi dipinti della fine del ‘600. Parzialmente restaurato».
http://www.comune.benna.bi.it/on-line/Home/Canalitematici/Turismo.html
Biella (borgo medievale del Piazzo, castello del Vescovo)
«Piazzo è un quartiere storico della città di Biella, in Piemonte. Costituisce la parte medioevale della città; è posta su una altura (480 m s.l.m.) ad una quota più elevata rispetto alla parte più moderna detta Biella Piano. Posto su una collina a ovest rispetto al centro città - a cui è unita da una pittoresca funicolare aperta nel 1885 - il Piazzo è tuttora il cuore storico della città, con le sue antiche botteghe e i numerosi bar con dehors. È raggiungibile attraverso la strada che sale verso il rione del Vandorno ed è collegata al piano da strade (asfaltate o pedonali) dette coste. Fu sede abitativa del casato dei Ferrero della Marmora e del feudatario medioevale Sebastiano Ferrero che qui fece costruire l'alta torre ottagonale del Palazzo La Marmora che domina la città a ridosso del quartiere antico del Vernato e del complesso rinascimentale di San Sebastiano, oggi sede del Museo del Territorio Biellese. Il borgo un tempo era circondato da mura e chiuso da monumentali porte (quella tuttora meglio conservata è la Porta d'Andorno posta in direzione di Andorno Micca e della Valle Cervo) e collegato alla parte bassa della città da una serie di ripide viuzze chiamate coste, tuttora mantenute nello stato pressoché originale. Le principali erano: la costa del Vernato, la costa di Ghiara (oggi costa San Sebastiano), la costa delle Noci e la costa di Andorno (oggi costa del Piazzo).
La storia del Piazzo è antica ed articolata. Ha inizio nel XII secolo quando Uguccione, vescovo di Vercelli, la cui diocesi aveva Signoria sulla zona, concesse - il 12 aprile 1160 - tre importanti privilegi (amministrazione della giustizia, macellazione delle carni, la possibilità di tenere un mercato settimanale) a chiunque fosse stato disposto ad abitare sulla collina denominata Piazzo che sovrasta la città (nel linguaggio dell'epoca: de monte uno qui nominatur Plaç). Scopo di questa decisione - che aprì le porte alla nascita del Comune - era in realtà quello di creare per il vescovado un rifugio sicuro dalle lotte aperte fra i ghibellini vercellesi e i guelfi biellesi. Così nacque il borgo del Piazzo, tuttora caratterizzato dalla scenografica piazza Cisterna (con il relativo palazzo Cisterna e altri palazzi nobiliari), i portici con i capitelli di pietra e le decorazioni in cotto. Poco distante, all'inizio del corso del Piazzo, sono visibili quelle che nel Settecento erano le antiche prigioni cittadine, anticamente Casa Coda, recentemente restaurate ed adibite ad Ostello della Gioventù. In questo edificio ebbe i natali, nel 1614, lo storiografo Carlo Antonio Coda. Il castello del vescovo Uguccione andò distrutto durante la rivolta del 1377 capeggiata dal canonico Codecapra, una sommossa che portò Biella alla sudditanza di casa Savoia, con il conseguente passaggio di tutti i comuni biellesi sotto il dominio sabaudo».
http://it.wikipedia.org/wiki/Piazzo_%28Biella%29
Biella (palazzo dei Principi Dal Pozzo della Cisterna)
«Le origini del palazzo non sono documentate, ma diversi particolari fanno presumere una costruzione piuttosto antica. Nel XV secolo l'edificio era a tre piani sovrapposti e si affacciava sul vicolo con, al pian terreno, un portico del quale si vedono i cinque grandi archi in mattoni chiusi all'epoca dell'ampliamento rinascimentale. All'interno, sono pure conservate due colonnine in laterizio. Su questo lato del palazzo si distinguono finestre murate di cui restano frammenti della decorazione degli stipiti e della cornice inferiore. Alcune sono terrecotte che riprendono i motivi a foglie e ghiande dei tre fregi orizzontali che corrono tra i piani, altre semplici motivi creati dalla disposizione dei mattoni. La parte di fabbricato che attualmente si apre su piazza Cisterna, fu voluta dai fratelli Carlo Antonio, Fabrizio, Lodovico e Giacomo Dal Pozzo verso la fine del cinquecento, dopo che la piazzetta antistante era stata ingrandita grazie alla demolizione delle case che la occupavano. La facciata rinascimentale avrebbe così testimoniato la grandezza raggiunta da casa Dal Pozzo. Ai lati dell'androne affrescato si trovano due sale pure affrescate, in una delle quali le raffigurazioni sono visibili. Al primo piano sono il grande salone con camino monumentale risalente al XVII secolo e una saletta attigua, ambedue con soffitto ligneo a cassettoni al di sotto del quale scorre una fascia di affreschi rappresentanti soggetti mitologici nella sala più piccola, e episodi di storia romana, nel salone. Il cortile interno è porticato su due lati con archi sostenuti da colonne o semicolonne addossate a pilastri che sostengono capitelli, pure in pietra, dalle forme diverse. Nel corso dell'800 il palazzo mutò la propria destinazione d'uso; spogliato degli arredi a causa della condanna inflitta a Emanuele Dal Pozzo, compromesso nei moti carbonari del 1821, divenne sede degli opifici Boglietti. Acquisito dalla città, a fine secolo, fu adattato a caserma, poi a sede dell'Archivio notarile distrettuale e, infine, fu utilizzato, fino al 1998, dalla sezione di Archivio di Stato. Attualmente è stato acquistato dalla Regione Piemonte».
«Il lungo cantiere del palazzo, iniziato per volontà della famiglia Ferrero nel XIII secolo, termina nell’Ottocento. Il palazzo viene edificato nel borgo biellese del Piazzo, che occupa la parte alta della città. La facciata su corso del Piazzo è composta da cinque moduli alti non più di dieci metri che seguono snodandosi per settanta metri la curva del corso. Il modulo centrale è caratterizzato dalla presenza di un timpano e di un portale di ingresso. La simmetria esterna non rispecchia la struttura complessa dell’insieme architettonico, costituito da cinque cortili, realizzati in epoche diverse, dal giardino terrazzato che si apre sulla parte bassa della città e dalla torre dei Masserano. L´interno è composto da numerosi cortili e stanze, le cui decorazioni rappresentano la storia del Piazzo e quella dei Ferrero La Marmora. ...» - «Il Palazzo fu dimora, al quartiere antico del Piazzo, dei marchesi Ferrero della Marmora; è una residenza di notevole fascino dove sono sedimentate memorie di otto secoli di storia dal Rinascimento al Risorgimento. Di grandissimo impatto è la splendida Sala dei Castelli, decorata con affreschi del 1632 che raffigurano 32 castelli e località in prevalenza biellesi. La Sala rappresenta pertanto un punto di partenza ideale e imprescindibile per orientarsi meglio nella geografia e nelle vicende storiche del territorio circostante. Le lunette affrescate della Sala dei Castelli offrono uno straordinario quadro d’insieme delle località inserite nel circuito di “Andar per Borghi, Ricetti e Castelli” e ne costituiscono dunque una tappa fondamentale. Di notevole interesse sono poi i dipinti dedicati alla storia della famiglia La Marmora, molto significativo, in particolare, è il celebre quadro di Pietro Ayres che ritrae i quattro generali circondati dai loro quattordici fratelli. Importanti inoltre le testimonianze di epoca rinascimentale e legate ai casati fiorentini degli Alberti e dei Mori Ubaldini. Palazzo La Marmora è aperto alle visite guidate dal 1982 e ha promosso, negli ultimi 15 anni, numerose attività pubbliche di ampio respiro culturale e artistico. è sede della delegazione biellese dell’Associazione Dimore Storiche e dell’Osservatorio Beni Culturali e Ambientali del Biellese».
http://www.piemonteitalia.eu/gestoredati/dettaglio... - http://www.borghi.biella.com/s-itinerario-6.htm
Biella (porte Torrazza o d'Oropa, di Ghiara, di Andorno)
«Porta della Torrazza. Oltrepassando il viadotto, dal quale la splendida collocazione permette la vista, sulla destra, dei monti di Oropa e Graglia e della collina morenica della Serra e, sulla sinistra, della pianura biellese, si incontra per prima la Porta Della Torrazza detta anche Porta di Oropa. Costruita nel 1780, al posto di una porta medioevale, ha struttura ad arco realizzata con mattoni a vista. è molto abilmente inserita sull'unico ingresso in piano che porta all'abitato, con una caratteristica prettamente scenografica che la distingue dalle altre porte medioevali, sorte in corrispondenza della coste con potenti opere difensive e saracinesche scorrevoli. La preoccupazione soprattutto estetica è rivelata dalla pianta che, per rimanere simmetrica all'asse della strada in curva, assume forma trapezoidale. Questa porta non ha più funzione difensiva, ma aulica: sorse per ricordare la visita alla Città di Biella ed al Santuario d'Oropa, fatta nel 1780 dal re Vittorio Amedeo III e della regina Maria Antonia Ferdinanda di Spagna, sua consorte. Porta di Ghiara. La Porta di Ghiara venne costruita intorno al 1300 quando i vescovi, per sfuggire ai ghibellini dominanti a Vercelli, si rifugiarono a Biella, citta guelfa. Si noti sul fianco sinistro, in alto, sopra la fascia in cotto, un resto di merlatura. Saracinesche scorrevoli sostituivano il ponte levatoio assicurandone la chiusura. Porta di Andorno. Era posta sulla costa di Andorno, oggi detta costa del Piazzo. Come la precedente, fu eretta intorno al '300 e dotata di saracinesche scorrevoli. Anche questa porta č stata trasformata nella parte superiore in abitazione civile».
http://www.biellapiazzo.it/porte.htm
Biella (torre di palazzo Ferrero)
«Lo spazio situato a levante di Palazzo Ferrero è stato trasformato in giardino pubblico. Dal giardino si può notare latorre del XVI secolo detta "dei Masserano" di cui fu proprietà dei Lamarmora dopo l'acquisizione di Palazzo Ferrero. All'epoca la torre culminava in una aguzza cuspide a banderuola e, nella stampa del'600, figura a destra del cortile di Palazzo Ferrero, e a sinistra della chiesa del Santo Sudario e dello stesso Palazzo Lamarmora. Secondo gli storici i costruttori della torre sarebbero stati i Masserano antica famiglia originaria di Benna, e da non confondere con i principi di Masserano dai quali discendevano per agnazione. Alla guglia si è sostituito un tetto a spiovente. La costruzione risale al primo quarto del '500. Le otto finestre ad arco che si aprono intorno al belvedere sono esternamente decorate da un fregio a nastro molto simile a quello che decora esternamente la chiesa di S. Sebastiano».
http://www.biellapiazzo.it/case10.htm
«La località è attestata dal 1173 e il toponimo potrebbe derivare da un prediale e da un gentilizio latino (campus Brucianus o Bruttianus). Del castello è fatta menzione per la prima volta nel 1301, ma doveva probabilmente preesistere. Il luogo appartenne alla Chiesa di Vercelli e, dalla seconda metà del XII secolo, sembra ne fossero infeudati gli Avogadro di Mongrando, che ne ebbero giurisdizione sino all'estinzione del ramo. Nel 1416 anche Camburzano passò per dedizione, come le altre terre degli Avogadro, ai Savoia, che ne confermarono l'infeudazione alla famiglia. Dell'antico castello rimane in piedi la torre a pianta quadrata, costruita in mattoni e con basamento in pietra. L'ingresso era un tempo sopraelevato. Presso la torre sono i ruderi di una costruzione in pietra, che doveva far parte della fortificazione. All'intorno sono pure visibili resti del recinto. Si trattava evidentemente di una costruzione modesta, con torre e abitazione circondate da un muro e, forse, da un vallo. Nel XIX secolo il castello era di proprietà della famiglia Lampo, che lo diede ai Barnabiti affinché ne facessero una loro residenza estiva. Il sito, che ha subito varie manomissioni per la creazione di terrazzamenti agricoli, conserva ormai interesse prevalentemente archeologico».
http://www.archeovercelli.it/LUOGHI%20III.pdf
a c. di Glenda Bollone e Federica Sesia
«Il complesso castellano noto come "castello di Castellengo" sorge ai margini dell'altopiano baraggivo di Candelo arroccato su una piccola altura isolata coperta da una fitta vegetazione. Castellengo è oggi una frazione del Comune di Cossato ma fu fino al 1929 comune autonomo ed il suo territorio coincide ancora in gran parte con quello dell'antico feudo legato al castello, di cui si hanno notizie già a partire dal 1039. ... Il castello domina la sottostante pianura in cui scorre, a nordest, il tortuoso torrente Cervo e si presenta come un aggregato piuttosto compatto di fabbricati di diversa epoca e stile, allineati sulla direttrice principale NO-SE, coincidente con il crinale della collina. Isolato rispetto al piccolo abitato sottostante è raggiungibile attraverso due strade. La strada più antica, detta "la Solata" almeno a partire dagli ultimi anni del '500, raggiunge il castello da nord-est partendo alla sinistra dell'ex edificio comunale, al posto del quale esisteva, fino alla fine dell'800, l'oratorio di San Rocco ed attorno a cui si trovava un forno per il pane e l'osteria. Superata la prima porta del castello, detta "del Moro", si arriva nella "piazzetta della scuderia". Salendo ulteriormente si giunge ai piedi del castello dove si aprono due ingressi. Attraverso la porta detta "di Ferro", si entra nel "cortile inferiore" in cui si trova il pozzo di acqua viva, la Cappella barocca di San Giovanni (1727) ed il grande scalone di pietra (1780) che conduce al "cortile superiore"; attraverso l'androne di quella che veniva chiamata la "porta verde" si giunge invece nel più ampio cortile meridionale. La seconda strada è quella che oggi è ritenuta la strada di accesso principale al castello, benché la sua realizzazione risalga alla seconda metà dell'800. Attraverso tre tornanti raggiunge il castello da sud, regalando al visitatore la vista del corpo sud-orientale, con i giardini terrazzati, la torre angolare merlata (1420 circa) e la manica sud-occidentale con la sua facciata barocca (1759-1776).
è facile rendersi conto di come il castello di Castellengo sia il risultato di una serie di interventi di diversa entità e qualità che hanno via via cancellato o nascosto gli elementi maggiormente caratterizzanti dell'architettura militare medioevale. è impossibile parlare di un aspetto "originario" del castello dato che gli eventi architettonici si sono succeduti con ritmi e modalità diverse fin dai primi anni del medioevo, ovvero quando ancora la funzione militare era prioritaria. La cronologia di questi interventi non è ricostruibile se non a partire dai primi anni del '700, grazie alla presenza di numerosi disegni e documenti scritti, conservati nell'archivio della famiglia dei Conti Frichignono che possedette il feudo ed il castello di Castellengo dai primi anni del 400 fino alla seconda metà dell'800. L'aspetto attuale del castello è quello assunto nei secoli XVII e XVIII a seguito di una serie di interventi volti a trasformare il maniero in residenza signorile. Per i secoli anteriori ci si deve affidare ai pochi documenti scritti pervenutici, ed a caute considerazioni rilevabili dall'edificio. è bene sottolineare che le trasformazioni che il castello ha dovuto subire negli anni, se da un lato non ci consentono di apprezzare l'edificio nel suo "originario" aspetto connesso agli scopi di controllo militare per il quale era stato allestito, dall'altro sono la testimonianza del fatto che il sistema castello-feudo ha continuato a funzionare attraverso i secoli fornendo le risorse necessarie al suo mantenimento ed alle sue stesse trasformazioni, contrariamente a quanto accaduto a molti altri edifici fortificati della zona, di cui invece non resta più alcuna traccia. ...
Benché la tradizione attribuisca la fondazione del castello all'opera di Alberico di Monterone, nel X secolo, gli studi più recenti in materia di storia dell'architettura, ritengono più probabile che le sue origini siano successive a quelle di un preesistente insediamento rurale. Avalla questa ipotesi il fatto che nei documenti più antichi riguardanti Castellengo si può riscontrare con frequenza il toponimo "Monte Limone" (altre volte "Monte Livione", "Montis Thitioni" o "Montis Timoni"), associato al termine "villa". Richiamandosi agli studi condotti da Toubert in altri ambiti territoriali, potrebbero essere stati proprio gli abitanti della "villa di Monte Limone" ad organizzare la propria difesa in quello che probabilmente era, almeno in origine, un ricetto collettivo. Del resto il "castri Castellengij" è nominato per la prima volta solo nel documento di investitura del feudo del 26 ottobre 1392. Inutile, per l'osservatore moderno, cercare nell'attuale costruzione alcuna testimonianza di questa prima fase di insediamento, attuata probabilmente, come in molti altri casi, con tecniche e materiali poco adatti a resistere alle ingiurie del tempo. I documenti tacciono per tutta la durata del medioevo circa la reale consistenza del castello. è possibile avere una prima idea, seppur deduttiva, facendo riferimento all'unico evento bellico noto in cui fu coinvolto il castello di Castellengo. Tra il 1406 e il 1409 il capitano di ventura Bando di Firenze sottrae con la forza il castello ai De Bulgaro e nel tentativo di acquisirne il possesso il fortilizio viene messo sotto assedio da parte dei Savoia. Le condizioni del maniero dovevano essere sufficientemente buone per poter resistere tre mesi agli attacchi sferrati da 251 armigeri dalle "bastie" appositamente costruite nei dintorni e di cui resta ancora traccia nel toponimo di una vicina località (Bastia). I Savoia poterono acquisire il possesso del castello solo riscattandolo dallo stesso Bando. ...».
http://www.castellengo.it/Il%20Castello%20di%20Castellengo.htm (testo dell'architetto Claudio Ciccioni, da AA.VV., I Castelli del Biellese, a c. di L. Spina, Silvana Editoriale, Milano 2001).
Castelletto Cervo (castello del Guado)
«Un castellanus Castelleti è citato in una lettera del 1095-1096 circa inviata da Oberto conte del Canavese e castellano di Castelletto all’abate di Cluny, contenente lamentele circa la situazione creatasi nella cella monastica della Garella a causa della malvagità del priore. La presenza del castello è comunque chiaramente indicata nell’atto di investitura del 1141; nel consegnamento del 1260 sono citati degli spalti che probabilmente proteggevano il nucleo originario della costruzione, dominato da una torre. Questa è ricordata nel documento del 1446 che attesta la presenza di un pedaggio imposto dagli Alciati sul vino in transito al guado del Cervo: il ricavato serviva infatti alla manutenzione della fortificazione. Con il passare dei secoli la costruzione originaria, che nella attuale conformazione esterna può grosso modo risalire al XIV-XV secolo, viene ingrandita alquanto, senza però adeguarla idoneamente alle nuove esigenze strategiche, così che, di fatto, in XVII-XVIII vengono condotte ristrutturazioni finalizzate a trasformarla in una dignitosa dimora signorile di campagna».
http://www.comune.castellettocervo.bi.it/ComSchedaTem.asp?Id=1062
«Per la sua particolare collocazione geografica, al confine fra il territorio biellese, l’area morenica della Serra e la pianura vercellese, il comune è da sempre luogo di transito, ed è stato anche centro di diffusione della cristianità. Oltre alla presenza della pieve di San Pietro (XIII secolo), Cavaglià fu sede dei due priorati dei Santi Vincenzo e Anastasio, dipendente dall’Abbazia di Fruttuaria, e di Santa Maria del Brianco. Già nell’XI secolo era attestata l’esistenza della chiesa di Santa Maria di Babilone, pregevole edificio barocco costruito tra il 1620 e il 1680, la cui mole, su pianta ellittica, con l’ampia cupola, domina il cimitero che la circonda. Nella parte alta del paese sorge la settecentesca Parrocchiale di San Michele, progettata dall’architetto Filippo Castelli; la chiesa possiede un fonte battesimale realizzato su disegno di Alessandro Antonelli. All’ingresso del paese il Castello Rondolino, riplasmato nel tardo Ottocento in stile neomedievale, è un simbolo della prestigiosa storia del comune. ...».
http://www.piemonteitalia.eu/it/comuni/dettaglio/176/biella/cavaglia.html
Cavaglià (resti del castello dei Conti di Cavaglià)
a c. di Federica Sesia
Cerreto Castello (castello degli Avogadro)
«è un edificio di origine medievale del Biellese che dà il nome al comune nel quale si trova. Situato a quota 321 metri sull'ultima elevazione della dorsale collinare che separa il bacino del torrente Quargnasca da quello del Chiebbia, fu costruito con ciottoli di fiume sistemati a spina di pesce. La sua pianta è rettangolare e l'edificio era caratterizzato da tre torri delle quali ne rimane oggi solo una, cilindrica, che ne costituisce l'elemento più antico. Faceva parte del complesso sistema difensivo e di avvistamento sulla dorsale collinare del Cervo. Fu fatto erigere dagli Avogadro, nobile famiglia dai numerosi rami, di origine vercellese e di sicura fede guelfa, che entrò in possesso di Cerreto dal 1165. La Signoria degli Avogadro su Cerreto si protrasse sino alla soppressione della feudalità, ma dal secolo XVI anche altri esponenti di nobili famiglie biellesi furono investiti di alcuni punti di giurisdizione sul piccolo comune: Giacomo Gromo di Ternengo nel 1505; Francesco Dal Pozzo di Biella nel 1545; Ettore Bonifacio Frichignono di Castellengo nel 1504, e Giovambattista Fantoni di Biella nel 1673. Ciascuna delle famiglie compatrone trasmetteva i diritti acquisiti ai propri discendenti e godeva di alcuni privilegi nei confronti della Chiesa locale: il diritto di nominare il Parroco, di disporre del banco in Chiesa e di seppellire i propri morti nella stessa Parrocchiale, oltre che le precedenze durante le processioni. I compatroni vantavano la proprietà di parti del Castello, e di alcune cascine, coi relativi territori. Gravemente lesionato soprattutto dal lungo abbandono è stato recentemente recuperato con totale rifacimento di alcune parti. Notevolissimo, fino a qualche decennio fa, il cosiddetto "camerino dipinto" con affrescate scene di musicanti, da me e cavalieri in interessanti costumi rinascimentali. Purtroppo il recente recupero non è stato sufficientemente tempestivo per salvarlo. Attualmente il Castello è di proprietà della famiglia De Lachenal».
http://castelliere.blogspot.it/2011/07/il-castello-di-venerdi-1-luglio.html
Cerrione (ruderi del castello di Cerrione)
«Il castello è stato quasi interamente distrutto da un bombardamento il 10 ottobre 1944. L’impianto originario del complesso era di forma quadrangolare irregolare con 2 cortili interni, costituito da una doppia linea concentrica di caseforti, circondato da un recinto fortificato e da un fossato. Dal XV secolo perse il suo carattere di fortezza divenendo dimora di alcuni rami degli Avogadro di Cerrione che ne ricavarono abitazioni e depositi. Restano tracce di una costruzione con merli ghibellini, della cappella, dei sotterranei, di uno dei due pozzi. Unica intatta ma pericolante, è una torre poligonale coronata da merli ghibellini».
«...Unico reperto medioevale che attesta l'esistenza del paese attorno all'anno 1000 è la torre, posta sulla sommità del colle, che costituiva l'ingresso del castello. Presenta una pianta quadrata con cortina in conci di pietra e, secondo alcuni autori, sembra probabile che abbia svolto funzioni di vedetta. In ottimo stato di conservazione, oggi contiene le campane con cui si chiama a raccolta il paese nelle ricorrenze e quando muore qualcuno. È singolare il sistema di contrappesi, realizzato con pietre della Viona, dell'antico orologio. La sua dislocazione è infelice: oggi la torre si trova infatti in una proprietà privata, circondata da case moderne e orti».
http://castelliere.blogspot.it/2017/04/il-castello-di-giovedi-27-aprile.html
«All'interno dell'attuale paese è situato il ricetto, sulla sommità di una collina, vicinissimo alla chiesa parrocchiale. L'unico accesso possibile riconduce ad una costruzione che è stata completamente trasformata in abitazione. Una via anulare con nucleo interno edilizio e lotti esterni che oggi arrivano fino al muro di cinta, ancora in parte conservato, ci fanno riconoscere il vecchio impianto. L'edificio ad ovest della torre-porta era, per le sue enormi dimensioni e per i dettagli architettonici (esempio gli archi al pian terreno), verosimilmente la residenza del feudatario della fortificazione si sono ancora conservati: tratti del muro di cinta a tergo delle case (ad ovest quasi intatti), ruderi della torre rotonda all'angolo nord-ovest, tutti in ciottoli sistemati a spina di pesce; rovine della torre-porta in mattoni con passo carraio ed un passo pedonale».
http://cultura.biella.it/on-line/Welcomepage/CentroReteCulturaleBiellese/RicettidelBiellese.html
a c. di Federica Sesia
«La vecchia torre ubicata nella Piazza Astrua e adibita fino al 1867 a campanile della vicina Confraternita è tutto ciò che resta dell’antico castello di Graglia, distrutto intorno al 1527 dal Conte Filippo Tornielli di Briona. La struttura originale, realizzata in muratura di mattoni e pietre, poggia su grossi massi di fondazione e sono presenti pietre squadrate negli angoli. Non vi è alcuna traccia né di merli né di feritoie, in quanto fra il 1695 e il 1698, ne venne modificata la parte superiore per ospitarvi la cella campanaria».
http://www.me4you.it/comuni/vedischeda.asp?id=96028&quale=59
Lessona (castello, palazzo dei baroni Barozzi)
«Tra i tanti misteri che caratterizzano la storia del nostro singolare paese un posto preminente è occupato da quello del Castello. Dove si trovava, a chi apparteneva, quando fu distrutto? Alcuni documenti del 1700 testimoniano indubbiamente che esso si trovava in quel cantone che ancora oggi porta questo nome che invece, più comunemente e genericamente è esteso a tutta la frazione anticamente chiamata Torto. Il castello esisteva sicuramente già nel periodo medioevale come testimoniano alcuni documenti risalenti al 1300 in cui si legge di un “... castro Lexone” poi divenuto “receptus” nel quale: “... sia gli abitanti attuali (siamo nel 1400, n.d.a.) che i loro antenati erano soliti custodire i loro beni mobili in tempo di pace, e ripararvisi in tempo di guerra. Nei periodi di pace tenevano due uomini a guardia pagandoli 24 fiorini”. Il Duca di Savoia ne poteva liberamente disporre, come abbiamo già detto, e sicuramente vi abitarono i Bulgaro. Riguardo alla sua distruzione vi è chi sostiene che esso fu distrutto “... quando venero li Francesi et che la gittarono abasso la torre et il castello” facendo riferimento ad episodi di guerra del XVI secolo ma l’ipotesi più accreditata, che peraltro potrebbe anche concordare con quella sopra citata e quella che attribuisce la distruzione del castello alle truppe del Conte Filippo Tornielli di Briona. Accadde, probabilmente, che nel novembre 1526 il Conte, capitano imperiale, alla testa di un esercito di 3.000 soldati armati, fra l’altro, di quattro cannoni, varcò il Sesia ed entrò nel Biellese per vendicarsi di una spedizione militare franco biellese del settembre 1522 che aveva portato danni e distruzioni nei feudi del Conte Tornielli a Briona e Maggiora. Dal quartier generale, nel Castello di Buronzo, da dove il Conte minacciava di assediare e distruggere Biella, partirono alcune spedizioni militari una delle quali attaccò Lessona. I cannoni che già avevano spianato pietra su pietra il Castello di Greggio si accanirono sulle quattro torri e sui bastioni del nostro castello, condannandolo alla prima, almeno di quelle documentate, distruzione. Altre ne seguirono nei secoli, visto che documenti successivi al 1500 attestano di permessi concessi per la ricostruzione, ma di queste successive rovine al momento non vi sono notizie se non che nel 1600 il Castello era avviato già alla sua rovina definitiva e sulle sue fondamenta fu eretto il palazzo che doveva ospitare i Baroni Barozzi, signori di Lessona nel XVII e XVIII secolo».
http://www.comunelessona.it/distruzione_del_castello.html
«Il ricetto è sito sul crinale di una collina, circondato da pendii scoscesi. Dopo quello di Candelo, il ricetto di Magnano è, tra tutti i ricetti del Biellese, il migliore per quanto riguarda lo stato di conservazione e l'insieme dell'impianto è ancora ben riconoscibile. La parte occidentale è stata però, trasformata per uso abitazione. Tranne il tracciato stradale, niente della struttura medioevale è rimasto. Il ricetto è stato fondato nel 1204 dal comune di Vercelli per proteggere i confini verso il Canavese. In cambio di diversi privilegi gli abitanti del paese preesistente, sito vicino alla chiesa di S. Secondo, s’impegnarono a trasferirsi nel ricetto, dopo aver demolito le vecchie case. Sul luogo venne costruita una fornace a tre buche per cuocere i coppi di copertura, onde evitare tetti di paglia causa d’incendi. Questo ricetto era abitato permanentemente. Dall'asse viario, che dalla torre-porta sale in curva molto ripida, si dipartono tre vie secondarie parallele, a diversi livelli, permettendo così l'accesso da una parte degli isolati con due piani ad un lato al pianterreno ed all'altro lato al piano superiore. In questo caso, la porta al primo piano è sostituita da una finestra. Il muro di cinta era accessibile in ogni punto della via di lizza. La struttura delle case corrisponde a quella di Candelo, tranne nel fatto che furono adoperate pietre da spacco invece che ciottoli. Spicca l'accurata lavorazione delle facciate, compresi i cornicioni dentellati. Diverse intelaiature di porte e le pietre angolari della torre-porta constano di pietre naturali squadrate. Modifiche posteriori sono state effettuate in mattoni. Nel settore nord si trova la "Casa della Comunità" che reca tracce d’affreschi non più leggibili. Al nucleo chiuso si accede da un'apertura arcuata davanti alla quale vi è un portico coperto con struttura portante formata da tre grandi pilastri cilindrici in pietra. Il pietrone ottagonale antistante al fabbricato, serviva come base da torchio o maglio per ferrai. Dell'impianto sono ancora conservati: resti delle mura di cinta in ciottoli grandi; la torre-porta in pietra naturale squadrata, pietra da spacco e laterizi con accesso carraio. Sul territorio meridionale si trovano cellule vecchie, tanto in buono stato, quanto in rovina. L'aspetto medioevale compatto viene disturbato non solo dagli edifici nuovi ma ancor più da modifiche recentissime di modernizzazione di vecchie cellule edilizie».
http://cultura.biella.it/on-line/Welcomepage/CentroReteCulturaleBiellese/RicettidelBiellese.html
a c. di Glenda Bollone e Federica Sesia
Masserano (palazzo dei Principi, resti della rocca Lamarmora)
«Raggiungiamo il piazzale retrostante il Palazzo dei Principi, oggi sede del Municipio, e osserviamo la collina che fiancheggia il campo da tennis: i muri in chiara posizione circolare sono il segno dell'antico insediamento della Rocca. Questa fu poi sostituita dal Palazzo dei Principi la cui entrata è davanti a un bel viale alberato. ...» - «Il Palazzo dei Principi fu costruito per volere della Marchesa Claudia di Savoia e di suo figlio Francesco Filiberto nel 1597, ampliato dopo la rivolta del 1624 con la lunga galleria di stucco bianco che collega il corpo centrale alla Cappella: i lavori durarono dal 1632 al 1634 e compresero pure la costruzione degli appartamenti nuovi sede della Caserma dei Carabinieri dal 1817. Due rami principali formano una manica lunga 136 metri, convergono ad angolo acuto ad Ovest ed ad angolo ottuso ad Est e formano un corpo irregolare. Ad Ovest sorge la parte più antica, che conserva tracce delle linee originarie della costruzione nel prospetto volto all'antica Rocca e negli alti soffitti sopra le sale di rappresentanza. L'edificio dipinto di bianco ha pareti lisce interrotte solo dall'apertura delle finestre, dalle piccole porte e dal verde portone in stile Luigi XVI che conduce nei pressi della Torre al piano nobile. Sulla Torre come decorazione sono visibili ancora lo stemma di Francesco Ludovico Ferrero Fieschi e Cristina Simiana di Pianezza, una meridiana e lapidi in memoria dei defunti di tutte le guerre. Lo scalone a doppia rampe parte dall'antico deposito carrozze, reca sul muro di sinistra due lapidi marmoree ...».
http://www.masserano.com/turismo/itineraristorici/index.html - http://www.comune.masserano.bi.it...
MONGIVETTO (resti del castello)
«Il castello venne distrutto dai nazi-fascisti nella stessa notte del castello di Cerrione nel 1944. Per la sua posizione dominante la strada che dal basso Canavese porta al Biellese rivestiva grande importanza per l’esazione dei pedaggi e per controllare il traffico circostante. L’edificio era circondato da muri e fossi ed aveva appartamenti civili e rustici, corti, giardino e cappella. Restano attualmente resti di una torretta a pianta quadrata».
Mottalciata (castello-ricetto)
«Pochi fra i ricetti hanno avuto, come quello di Motta degli Alciati, una vita tanto travagliata e densa di avvenimenti. Da un documento del 1334, la cui copia è custodita nell'archivio parrocchiale di S. Vincenzo, riportato da Torrione, apprendiamo che esistevano in quella località due castelli: uno, quello di Monte Belluardo, nella parrocchia di S. Vincenzo appartenente alla casata dei Biandrate, l'altro a Motta degli Alciati ubicato nell'attuale posizione, di pertinenza dei signori di questo nome. In quello stesso anno, sobillate dai Biandrate, le loro genti assalirono un gruppo di armati mandati da Azzone Visconti signore di Milano ad occupare e demolire il castello di Zumaglia. In quell'occasione parecchi soldati vennero uccisi e le loro salmerie saccheggiate. Azzone informato dell'accaduto ordinò ai suoi armati di tornare indietro e di distruggere il castello di Monte Belluardo e di fare prigionieri i loro signori che vennero in seguito condannati a morte ed alla confisca dei loro averi. Le interferenze di parenti ed amici ma soprattutto il pagamento di 14.700 "grossorum bonae monetae" valse a far desistere Azzone dalle sue decisioni. La lezione non giovò ai Biandrate che continuarono con le loro prepotenze e coi saccheggi tanto che l'anno seguente furono costretti a rinunciare a tutti i loro diritti feudali, beni mobili ed immobili e privilegi. Una parte dei terreni loro infeudati passò agli Alciati. Non si sa se anche l'ingiunzione dell'anno precedente che "ipsum castrum aut locum sive receptum monti Brouardi" venisse distrutto abbia avuto seguito in quell'epoca. È facile perché di esso non si trovano più tracce. Con il volgere degli anni la proprietà di Motta degli Alciati, in seguito a morti, matrimoni, cessioni passò in diverse mani. Nel 1380 una parte venne acquistata dagli Avogadro di Collabiano. Poco più di due secoli dopo, nel 1587, forse per necessità o per altre cause, gli Alciati vendettero quanto ancora loro spettava ai Ferrero di Masserano. Subentrarono in seguito il Conte Arborio di Gattinara ed un altro ramo degli Avogadro. La sua storia nei decenni successivi non offre episodi di particolare interesse. Ricorderemo però che tra il 1406 ed il 1409 il ricetto ed il castello vennero saccheggiati e rovinati dalle soldataglie del soldato di ventura Bando di Firenze. La mappa di Viglino Davico è del 1700 e pone la fortificazione lontana dall'abitato. All'interno vi è un nucleo di costruzioni disposte a corona. L'area ha la forma esagonale e lati però non uguali. Non vi sono attualmente all'esterno tracce del vallo di cui si parla nella convenzione del 1335; evidentemente è stato colmato. È facile che esistessero anche delle fortificazioni esterne come possono far supporre resti di mura in direzione nord est e sud ovest a valle del ricetto.
Il Castello. Del castello si può constatare innanzitutto la posizione emergente. Alcuni tratti del recinto, forti muraglioni a corsi regolari di ciottoli, alternati in alcuni casi a corsi di mattoni, delimitano i contorni del rilievo. Il lato occidentale del recinto, conservato per una notevole altezza, coincide con uno dei lati di un grosso fabbricato rettangolare, forse un corpo di guardia, che dominava il complesso dall'alto. Abbiamo l'impressione che l'ingresso attuale non sia quello primitivo e che per comodità sia stato creato non molto tempo fa abbattendo la cortina e sostenendola con un arco di mattoni per facilitare l'ingresso dei carri dalla strada. L'ingresso in antico doveva trovarsi nell'angolo che il recinto forma lungo il lato meridionale; lì probabilmente vi era una torre, contigua all'edificio rettangolare. Della rocca rimangono, in condizione di conservazione sufficienti, i due fabbricati dell'angolo a mezzogiorno. Questi hanno subito entrambi successivi sostanziali rimaneggiamenti ma in entrambi è ben visibile alla base, sino all'altezza del primo piano, la muratura con ciottoli a spina di pesce intercalati in molti punti a corso di mattoni. ... Il Ricetto. I documenti parlano dell'esistenza di un ricetto. In particolare in quello del 21 gennaio 1335 viene detto come il signore di Mottalciata conceda agli uomini del paese due iugeri o modii di terreno oltre il fossato del castello ovvero palazzo di Motta degli Alciati, verso sera e sulla costa ivi esistente presso il castello, onde costruirvi un receptum sive fortalicium in cui ricoverare e conservare sé ed i propri beni in pace ed in guerra. Ogni uomo potrà fabbricare su una superficie non maggiore alle due tavole e le costruzioni sia degli uomini sia dei nobili non dovranno superare un'altezza di quindici piedi: l'altezza prevista, di poco inferiore ai m. 7,70, risulta già eccezionale per cellule di ricetto, normalmente più basse. ... Della struttura appena descritta rimane attualmente molto poco, parte di esso deve essere stato demolito per l'ampliamento della strada che costeggia il rilievo. Le case rimaste non sono abitate, si affacciano in un cortile interno ed erano sede di un'azienda agricola. L'edificio che dà sulla strada che porta al castello presenta ancora una serie di feritoie, formate da laterizio in un muro a spina di pesce».
http://www.comune.mottalciata.bi.it/ComSchedaTem.asp?Id=18897
«Di Netro si hanno scarse notizie. Probabilmente una fortificazione era antecedente al 1170, citata nel 1340, distrutta nel XIV secolo nel conflitto tra Vercelli ed Ivrea. Di questo castello rimane il basamento della torre campanaria dell‘oratorio dedicato a san Rocco, eretto dalla comunità tra il 1602 e il 1620 come voto per aver passato indenne l’epidemia di peste del 1599. La torre venne eretta nel 1688. ... I resti del castello sono alla base del campanile dell’oratorio di San Rocco» - «è comunque cosa certa che il capoluogo, adagiato lungo la dorsale che raccorda altopiano e montagna, si presenta come una roccaforte naturale per la sua posizione elevata e strategica. Del castello rimane solo una torre, utilizzata come campanile dell’Oratorio di San Rocco, edificato ai primi del 16000 come ex voto in occasione di un’epidemia di peste».
http://archeocarta.org/netro-bi-chiesa-di-s-maria-assunta-e-resti-del-castello - http://www.comune.netro.bi.it/on-line/Home/articolo32001149.html
«Fondazione: XIV sec. Il "receptum" è nettamente distinto dalla "villa", cade pertanto l'ipotesi di Carlo Nigra, secondo la quale quello di Ponderano era un borgo fortificato e non un ricetto. Localizzazione: l'impianto, situato su un leggero rialzo rispetto al borgo circostante, presenta una forma pressoché quadrata, con un ampio fossato perimetrale ancora oggi identificabile. Sull'assetto interno non si hanno informazioni sufficienti. Si accedeva al nucleo dalla torre-porta, posta sulla mezzeria del lato orientale, con passaggio carraio e pedonale, regolati rispettivamente dal ponte levatoio e dalla pedanca. Caratteri architettonici: la torre è a pianta rettangolare con doppio accesso, ben visibili i tagli dei bolzoni di manovra, gli elementi merlati nella parte terminale e la muratura in ciottoli posti con molta regolarità a spina di pesce. Stato attuale: del ricetto rimangono la torre porta, tracce di una torre quadrata di difesa in pietra naturale conglobata nell'attuale campanile della chiesa parrocchiale e tratti delle mura di cinta» - «è situato nella pianura. Nel centro dell'attuale borgo è ancora chiaramente identificabile la struttura di un vecchio ricetto, munito di fossato con acqua, mura e torre-porta. Del complesso si sono ancora conservati: il nucleo con avanzi di torre quadrata di difesa in pietra naturale, conglobata nell'attuale campanile della chiesa parrocchiale; tratti della mura di cinta a spina di pesce; torre-porta con duplice accesso, carraio e pedonale. L'interno è in ciottoli, l'esterno è in mattoni, con tracce di lapidi tombali, con piano superiore a sbalzo su mensole a triplice sagoma e con coronamenti merlati».
http://www.comune.candelo.bi.it... - http://cultura.biella.it/on-line...
Quaregna (ruderi del castello degli Avogadro)
«Le origini del palazzo non sono doczione di Archivio di Stato. Attualmente è stato acquistato dalla Regione Piemonte» - «Secondo la tradizione il primitivo incastellamento risalirebbe alla fine del XII secolo con l’avvento della signoria degli Avogadro. Un tempo il castello sorvegliava la strada, ormai non più utilizzata, verso la vallata di Bioglio ed i monti di Mosso. Un documento del 1462 dà una descrizione del complesso, un castello consortile, che era formato da una torre, sette caseforti residenze signorili, un torchio per vino, le prigioni, il tribunale e la cappella gentilizia. In posizione sottostante il complesso fortificato, nei pressi del torrente Quargnasca, vi era un mulino a tre ruote (due per cereali ed una per la canapa). Il castello e i suoi signori furono direttamente coinvolti nelle vicende di Fra Dolcino nei primi anni del 1300. Il possesso feudale di Quaregna restò all’omonimo ramo degli Avogadro sino al 1797. La distruzione del castello avvenne per opera delle truppe francesi del maresciallo Cossè de Brissac nel 1556. I ruderi sono imponenti e molto suggestivi: si entra attraverso un sottilissimo arco, ultimo residuo di una torre-porta posta sulla prima cerchia di mura. All’interno della seconda cerchia di mura sono visibili vari tratti di mura e intere facciate di case, il tutto coperto da vegetazione. Leggibile è una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana».
http://archeocarta.org/quaregna-bi-ruderi-del-castello/
«L’esistenza del paese di Roppolo nel sec. X è documentata da un diploma di Ottone I, datato da Pavia il 30 luglio 963, con il quale l’imperatore investe il conte Aymone di Cavaglià di diversi beni posti nel contado vercellese, fra cui Roppolo. La prima fortificazione costruita fu la torre, probabilmente base dell’attuale, intorno alla quale si sviluppò più tardi il castello (’200): era originariamente in legno, con le fondamenta in masselli di granito ancora visibili nelle cantine. Il Duecento segna la decadenza dei conti di Cavaglià , che vennero sopraffatti dai Bichieri di Vercelli, sotto i quali passarono tutte le terre di Roppolo che erano state cedute loro dal capitolo della chiesa di S. Andrea di Vercelli. Ancora oggi sulla parete duecentesca del maniero, nel cortile interno, domina lo stemma dei Bichieri: tre bicchieri riempiti a metà di vino sotto il cappello cardinalizio del cardinale Guala Bichieri , fondatore dell’Abbazia di S. Andrea a Vercelli (1219-1227). Il castello rimase per circa due secoli proprietà dei Bichieri sino al suo passaggio nelle mani di casa Savoia, avvenuto per la prima volta nel 1407. Dal 1441 le sorti del castello furono affidate ai potenti Valperga di Masino, che ne mantennero il possesso fino allo scoppio della Rivoluzione Francese. Nella terza stanza della torre, si aprì nel 1800 un muro parietale e in una profonda intercapedine si rinvenne una completa armatura con dentro i resti umani di un guerriero: erano quelli di Bernardo di Mazzè , murato vivo da Ludovico , signore di Roppolo. Il castello è stato ripetutamente rimaneggiato fino al secolo scorso e attualmente ospita l’Enoteca Regionale della Serra, unica nel nord del Piemonte, fondata nel 1981: le cantine in cui essa è ospitata sono del XVI secolo, con volte di mattoni a vista e muri di pietra; gli scaffali hanno la caratteristica struttura ad archetti degli antichi “infernotti”. Dal castello si può godere di un suggestivo panorama sul lago».
http://web.tiscali.it/jovishome/schedine/viverone.htm
Rosazza (castello ottocentesco)
«La costruzione del castello, per volere di Federico Rosazza Senatore del Regno, già membro della Giovane Italia mazziniana e Gran Maestro Venerabile della massoneria biellese, fu avviata nel 1883 con l’innalzamento della torre guelfa e della palazzina sottostante, poi ampliata in due successive fasi, ed ebbe termine nel 1899, anno della morte di Federico, con il completamento della grande galleria dove il nobile intendeva esporre i suoi dipinti. L’edificio fu progettato da Giuseppe Maffei sfruttando il tema dell’estetica della rovina: false muratura sbrecciate trattate con acido nitrico, finti colonnati ed architravi, allo scopo di richiamare gli antichi templi di Paestum e chiari riferimenti esoterici alla massoneria L’arco di accesso al castello riproduce quello della città di Volterra; qui campeggiano le teste di tre valligiane con una stella a cinque punte tra i capelli. Altre false rovine di Paestum ed uno dei due orsi scolpiti in pietra locale, collocati intorno al laghetto del giardino, furono portati via da un piena del torrente Pragnetta nel maggio 1916; i resti sono oggi conservati presso la fontana della Valligiana nel parco comunale».
http://prolocorosazza.it/turismo/monumenti/116-il-castello
Salussola (borgo fortificato, porta urbica)
«La Porta Urbica Inferiore si trova su Via Roma, a mezza collina della vecchia salita della Crosa, nel borgo storico di Salussola. Poiché la posizione su cui sorgeva l’agglomerato di Salussola era ritenuta, all’epoca, di rilevanza strategica in particolare delle fortificazioni di cui disponeva il castello, nel 1375 il Vescovo di Vercelli ordinò al tesoriere del Comune di Biella, certo Bartolomeo Scaglia, di elargire 540 fiorini d’oro, per l’impegno del Comune di Salussola nel fortificare le bastie del castello, per aver ricostruito le mura cadute in rovina, nonché per la costruzione di due porte, una verso nord-est e la seconda verso sud-est. Il borgo fu munito dal vescovo Giovanni Fieschi di un castello con tre torri, ora semidistrutto, e di una cinta muraria che circondava il borgo. Essa aveva due porte d'accesso, di cui è ancora in piedi solo quella di sud. La porta rimasta sorge sulla salita anticamente detta "Crosa"; è stata restaurata negli anni settanta, visto che il lato verso il paese era in parte crollato. L'esterno, verso la pianura ha, una zona inferiore di pietre squadrate e, più in su, di ciottoli a spina di pesce con due corsi orizzontali di mattoni; l'apertura principale, a sesto acuto, è sormontata da un'altra apertura quadrata. La zona superiore, di mattoni, ha una finestra a tutto sesto e sei beccatelli triplici in pietra sostenenti cinque caditoie. Come nota il Conti, queste caditoie hanno una caratteristica insolita: a partire da quella centrale, più larga, diventano più strette verso i lati.
Secondo l'autore - da cui abbiamo attinto gran parte delle notizie - i tre tipi di muratura che si vedono in questa porta segnano tre distinte fasi costruttive. Ancora più in su, una decorazione in mattoni (dentelli su mensole e dente di sega) è sormontata da tre merli guelfi. Nel Biellese la merlatura è quasi sempre ghibellina; questa è un'eccezione. La spiegazione va ricercata nell'elargizione in denaro che il Vescovo " Guelfo " di Vercelli Giovanni Fieschi fece al Comune di Salussola nel 1375 per l'edificazione delle fortificazioni. L'esterno verso monte presenta nella zona inferiore, in mattoni, l'arco leggermente acuto dell'apertura principale, e nella zona superiore un'ampia apertura. Una decorazione in mattoni simile a quella del lato verso valle orna il breve tratto di muro ai lati dell'apertura stessa. L'insieme non ha un aspetto solido, nonostante la trave orizzontale di rinforzo: non stupisce se da questa parte si sia verificato il crollo. Anche il vano interno è aperto verso l'alto. Per il Conti questa tipologia "a vela" non è primitiva, ma frutto di interventi posteriori. L'arco verso valle è sormontato da un altro arco, di rinforzo, poggiante su mensole di pietra; ha un profilo a tutto sesto alquanto irregolare. Le pareti laterali del vano interno hanno ognuna una finestra a pieno centro, molto in alto; quella verso valle è a doppia ghiera. Qui la muratura è di ciottoli a spina di pesce. La parete verso monte presenta, al di sopra dell'apertura principale, tre corsi orizzontali di mattoni».
http://www.salussola.net/salussola_-_la_porta_urbica.html (a c. di Claudio Circolari)
Salussola (ruderi del castello)
«Benché comunemente chiamato castello, quello di Salussola non è un vero e proprio castello come si potrebbe intendere oggi, ma una rocca fortificata, una forticazione militare. Quello che è chiamato castello, era la roccaforte di una guarnigione di soldati, con alloggi, e torri di avvistamento e difesa, a cui faceva da scudo la cortina della cinta muraria che racchiudeva il borgo, e le bastie sparse sul territorio e prevalentemente sui confini comunali. Il castello era la fortificazione a difesa del borgo e del territorio comunale di Salussola. La fortificazione sorge su un colle, dominante a sud-ovest il borgo di Salussola ... A giudicare dai ruderi sopravvissuti doveva trattarsi di un castello "recinto", con torre centrale staccata dalla cortina, di ragguardevoli dimensioni e potenza, e tre torri quadrate lungo la cortina. Il mastio centrale, con la sua posizione dominante e preminente, era il principale collegamento con le torri di avvistamento e di segnalazione posizionate lungo la cinta, sulle due porte urbiche, e con quelle sparse sul territorio comunale, dette bastìe; se ne contano oltre venti su alcune mappe. Nel 1891 il professore Gustavo Strafforello scriveva: "… sulla cresta delle colline che fiancheggiano a mezzodì il poggio del castello, vedonsi ruderi di torri innalzate per uso di vedetta e per fare segnali". Dall'interno del mastio, i gradini di una botola portavano a una stanza dove dipartivano due cunicoli sotterranei di non elevata altezza, che conducevano alle porte urbiche. Il castello e le mura furono più volte riedificate, prima con le rovine dell'avamposto del Mons Victimuli, poi con il Castrum Caesaerum, ma c'è molta incertezza e deficienza documentaria. Nel basso medio evo risultano presenti almeno due fortificazioni distinte, anche se con molta probabilità il castello era collegato alla cinta urbana. Il castello fu frequentemente coinvolto nelle gravi e lunghe guerre del XIV e XV secolo, ha subito in più riprese danni bellici notevoli, cui sono seguiti numerosi interventi di ricostruzione e di rifortificazione, il più radicale dei quali è stato probabilmente quello del 1375, voluto da Giovanni Fieschi, vescovo di Vercelli. ... Per definire: il castello di Salussola era una possente fortificazione militare a difesa del borgo e del territorio comunale, e a cui facevano capo le due porte urbiche, la cinta, una o più case matte, e le torri d'avvistamento e segnalazione che erano sparse per la maggior parte in vicinanza dei confini comunali, dette "bastie"».
http://www.salussola.net/salussola_-_il_castello_fortificato.html (a c. di Claudio Circolari)
«...il castello di Salussola era una possente fortificazione militare a difesa del borgo e del territorio comunale, e a cui facevano capo le due porte urbiche, la cinta, e le torri d'avvistamento e segnalazione che erano sparse per la maggior parte in vicinanza dei confini comunali dette bastìe. La torre che ora domina la collina di Salussola non è un restauro del mastio del castello, bensì una ricostruzione romantica, dato che di questo mastio - che già il Gabotto vide "mozzo e scoperto" restava poco più delle fondamenta. Ferdinando Gabotto a metà dl 1800, scriveva che i resti del castello ancora visibili erano costituiti "da un mozzicone di torre quadra, massiccia che era il rudere del mastio, e da larghe camere che si sprofondano nel suolo, elevatosi per i rottami. In mezzo una pietra chiude la discesa di un'ampia rotonda donde si diramano sotterranei fino alle porte del borgo". La torre fu fatta costruire dalla famiglia del geometra Antonio Bocca, cavaliere Mauriziano e commendatore della Corona d'Italia, su un progetto della fine degli anni del 1930 dell'architetto Carlo Nigra, già collaboratore nella costruzione del borgo medievale del Parco del Valentino a Torino e del castello nuovo di Rovasenda. Le opere murarie sono state eseguite dai Salussolesi Giovanni Maffeo ed Edoardo Mosca. Da notare la merlatura "ghibellina", mentre quello che rimane della torre della cortina è di fattura "guelfa", così come la merlatura della Porta Urbica Inferiore. L'inaugurazione dell'opera avvenne nel 1941 nel giorno della festa del Beato Pietro Levita, alla presenza del prevosto don Lino Loro e al suono della banda musicale di Trivero. Una lapide ne ricorda l'avvenimento».
http://www.salussolanet.it/2015/09/il-castello-di-salussola-era-una.html (a c. di Claudio Circolari)
San Secondo (torre di San Lorenzo o di Montalto)
«La torre di San Lorenzo si trova in cima ad una collina, all'interno di un bosco di castagni, in località Torre di Ca' Bianca, a nord-ovest dell'abitato della frazione San Secondo di Salussola. Il fondo è aperto ma è di proprietà privata. La torre di Montalto o di San Lorenzo è un rifacimento settecentesco, su resti di una torre medievale d'avvistamento, che ha origini ancora più lontane e riconducibili alle Chiuse Longobarde. Chiamata di San Lorenzo perché nelle immediate vicinanze sorgeva l'antico villaggio di San Lorenzo (oggi Comune di Roppolo), scomparso e abbandonato dai suoi abitanti nel XIV secolo. In età comunale era parte integrante, insieme alle altre torri sparse sul territorio, del sistema di avvistamento e difesa del castello fortificato del borgo di Salussola. Eretta agli estremi del territorio comunale di Salussola (mappale 36), è ubicata su un'altura boscosa della zona collinare di frazione San Secondo, al confine con il Comune di Roppolo, dal quale dista solo qualche metro. è di struttura quadrata e possente, è cieca e priva di finestre, con due feritoie sopra l'architrave della porta d'ingresso. La data 1776, scolpita sull'architrave della porta d'ingresso, potrebbe essere quella del suo rifacimento, mentre il catasto comunale del 1798, la colloca tra le proprietà degli Avogadro di Casanova proprietari della Ca' Bianca. Usata anche durante l'ultima guerra, è oggi un punto segnaletico sul territorio dell'Esercito Italiano».
http://www.salussola.net/salussola_-_la_torre_di_montalto_o_di_san_lorenzo.html (a c. di Claudio Circolari)
«Costruzione fortificata del XIV -XV, rimaneggiata e trasformata nel corso dei secoli. Ingloba resti dell'antico ricetto Medioevale. Dopo la ristrutturazione è stato convertito in appartamenti e casa vacanze. Il Castello della Rocchetta risale al XIV secolo ed è legato alla famiglia dei Sandigliano. Sebbene non più riconoscibile nei pressi del castello sorgeva un altro esempio di ricetto simile a quello del comune di Candelo. L'esistenza del suddetto ricetto è attestata nell'atto di dedizione, datato 1404, degli Avogadro ai Savoia. La fortificazione collettiva fu costruita su una motta artificiale che la pone su una posizione leggermente rialzata rispetto al terreno circostante. Un fossato separava la piazza dal rivellino, un secondo separava questo dalla torre-porta del ricetto la quale era munita di ponte levatoio e di pedanca. Entro il ricetto, le cellule sono addossate alla cinta muraria di pianta circolare, fatta eccezione di quelle situate in prossimità della torre-porta. La Rocca dei signori di Sandigliano, detta La Rocchetta, sita nell'angolo nord-est, ha un accesso indipendente dal ricetto. La torre della prigione al centro dell'impianto fortificato, è indizio di un'origine remota, probabilmente precedente allo stesso ricetto. La torre della prigione presenta alla base l'originaria tessitura lapidea in ciottoli con blocchi squadrati di spigolo».
http://fotobiellese.blogspot.it/2011_08_01_archive.html
Sandigliano (torrione dei Vialardi)
«...Il toponimo ha quindi all'origine un Sandila / Sandilo che si stabilì con le sue genti sul territorio, costruendo una prima forma difensiva sui confini degli insediamenti esistenti, che fu la ragione della citazione indiretta nel decreto imperiale d’Ottone III del 999 contro i seguaci d’Arduino, dove il paese compare attraverso Roderardo di Sandigliano. Il documento aveva come obbiettivo la confisca dei sistemi difensivi che appoggiavano il marchese d’Ivrea e la piccola difesa fu smantellata immediatamente poiché i decreti successivi non menzionano più il paese, a conferma della sua smilitarizzazione fino al 1147, quando nella sua parte più antica, la Villa, apparve la curte Vuidalardi, un recinto palificato con al centro una torre di legno giunta fino ai giorni nostri con il nome di castello del Torrione. Costruito per mantenere il controllo sull’imbocco della piana biellese dalla Serra, il Torrione rappresentava la punta avanzata di un ampio contesto difensivo famigliare che si snodava dall'Alto Biellese fino a Villanova di Casale, organizzato per la parte antica sui castelli di Quaregna, Masazza, Valdengo, Verrone, Occhieppo Inferiore, Ysengarda e Mosso. La torre di Widolardo aveva molti vantaggi: un pozzo indipendente, una vista che dominava la pianura fino alla Serra ed una guarnigione che era a meno di una giornata di marcia da Vercelli e dagli altri castelli Vialardi. Questa fortezza, oggi al centro della corte interna, ha imposto il nome all'intero complesso castellare. In spazio e superficie la torre è rimasta quella di Widolardo, a tre piani fuori terra con ponte levatoio ad un bolzone al primo, senza intorno ripari per uomini e cavalli. Cimato dopo la sconfitta del 1426 da parte delle truppe del duca di Savoia, il Torrione di Sandigliano oggi è concluso da una merlatura latina.
Come per quasi tutte le fortificazioni che vissero fin dall'inizio la funzione primaria della difesa, la costruzione si sviluppò secondo le necessità belliche del momento, senza una fase progettuale precisa. Il suo unico rilievo è in una tardiva carta topografica napoleonica del 12 brumaio anno XI, dove la costruzione è rappresentata con pianta a forma chiusa, leggermente trapezoidale e fossata su tre lati, il mastio integrato nella struttura muraria della cinta. La prima fase costruttiva ebbe una fine violenta, individuata dall’indagine archeologica del 1988 nei residui d’incendio degli inizi del 1200, distruzione che non toccò il torrione e la sala d’arme laterale. Attraverso uno spianamento artificiale, il livello costruttivo fu portato ad una quota più alta rispetto al piano di fondazione originario ed il nuovo sistema difensivo mantenne la particolarità dello schema normanno con il torrione appoggiato alle cortine. Gli anni delle lotte ghibelline e guelfe portarono anche a Sandigliano la scissione politica. Dai fautori di Biella fu fondato il recetto intorno alla Rocchetta, mentre la Villa si chiuse intorno al Torrione ghibellino, costruendo un secondo recetto. Il castello arretrò le difese sui fossati, assestandosi sui livelli del rilievo del 1802. Furono erette quattro torri quadrate agli angoli delle mura, il ponte levatoio si trasformò in una vera e propria porta alle cui spalle scendeva la saracinesca, il mastio fu rialzato con funzione di controllo della lizza ed a difesa dei camminamenti furono armate torricelle mobili. Tra il 1340 ed il 1350 Manfredo Vialardi, costruì una bertesca permanente con caditoie a triplice beccatello in pietra a protezione del portale armato, da cui si sviluppò il castello della Bertesca. ... Nel 1559 il Torrione iniziò il trapasso da castelloforte a palazzo patrizio, quando Manfredo Vialardi, Comes Sandilianj et Villanovæ, rialzò il castello di un piano rispetto a quello originale coincidente con la merlatura. Tra il 1608 ed il 1610 Agostino Vialardi iniziò una grandiosa ristrutturazione dell'intero complesso medioevale ed a lui si deve la sua attuale impostazione architettonica con il ciclo d'affreschi dei Fiamminghini ... ».
http://www.vialardi.org/VdSF/pdf/Castello_del_Torrione.pdf (testo di Tomaso Vialardi di Sandigliano)
«Il castello di Valdengo è un complesso di edifici di origine medievale del Biellese situato in comune di Valdengo. Oltre al castello vero e proprio sono presenti altre costruzioni che erano in passato difese da un'unica cinta muraria e che costituivano un ricetto. Il prefisso vald del toponimo è di origine germanica ed è probabilmente collegato al significato di foresta suggerendo che il paese, già presente in epoca romana, sia stato rifondato in seguito da popolazioni di ceppo tedesco. Il castello, la cui origine viene collocata tra l'XI e il XII secolo, a partire dal Quattrocento fu il centro della signoria di un potente ramo biellese della famiglia Avogadro. I successivi rifacimenti lo fecero passare da una funzione prevalentemente militare a quella di residenza consortile ad uso dei vari componenti della nobile famiglia. Gli Avogadro cedettero in seguito parti del complesso ad altre casate nobiliari della zona tra le quali i Ferrero-Fieschi e i Dal Pozzo. Nel 1792 Valdengo divenne una contea la cui potestà fu attribuita a Luigi Avogadro di Valdengo. Il castello si trova a quota 367 su una elevazione della dorsale collinare che separa il bacino del torrente Quargnasca da quello del Chiebbia. Della struttura originaria restano la torre di vedetta (bertesca), la porta di ingresso e una parte delle mura di cinta, per quanto oggi inglobate nelle costruzioni residenziali. La torre-porta dà accesso sia pedonale sia carraio all'antico ricetto, attraversato da una unica via. Costruita in mattoni essa era difesa da un ponte levatoio ed era caratterizzata da un piano a sbalzo dotato di caditoie e da un coronamento merlato. Il complesso comprende anche una cappella dedicata ai santi Eusebio, Antonio e Caterina. All'interno della chiesetta sono presenti affreschi dell'inizio del XIV secolo attribuibili al Maestro di Oropa e un altare cinquecentesco con una tavola di scuola vercellese».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Valdengo
«Il Castello di Verrone è di origine assai remota. Nelle immediate vicinanze si rinvennero lucerne e cinerari romani, il che fa pensare che questo sia sorto in prossimità o sul luogo di un abitato gallo romano. L'origine del Castello può dunque ritenersi più antica delle parti oggi restanti e databili intorno al XIV e XV secolo. L'impianto originario, ricollegabile ad un periodo anteriore al XIII secolo, era costituito probabilmente da una corte organizzata intorno ad uno spazio quasi quadrato, delimitata da una cerchia di mura alte circa 5 metri e rinforzata, nell'angolo a nord-ovest, da un bastione. A tale ipotetico disegno iniziale si sono stratificati nel tempo numerosi interventi, che hanno lasciato nel complesso attuale quella manifesta impronta di asimmetria che caratterizza l'architettura spontanea..L'accesso in origine era previsto nella zona ad est, ed è in seguito stato rimarcato da un portale ad arco, con funzione di chiusura ma soprattutto di segnale gerarchico specifico. Il massiccio torrione quadrato di ingresso - costruito a paramenti di mattoni con qualche corso binato di pietre a ceppi- costituisce la parte più vetusta superstite nell'impianto odierno, attorno al quale i Vialardi, signori di Verrone, dovettero a varie riprese sviluppare il Castello nel suo complesso. Tale torrione, di proprietà privata, attualmente è completamente ristrutturato. L'ipotesi che questo mastio sia più antico delle altri parti del fortilizio parrebbe confermata dalle evidenti tracce di sopraelevazione di un corpo di fabbrica preesistente. La sopraelevazione dovette probabilmente avvenire nel XV secolo, dal momento che il torrione pare munito superiormente di ampie caditoie tipicamente quattrocentesche. Tale intervento quasi certamente coincise con un ampio intervento di restauro ed ampliamento del castello d aperte dei signori del luogo, effettuato durante il periodo di stabilità politica che seguì la fine delle lunghe guerre tra Visconti e lega anti-viscontea.
Si può dunque far risalire a quel periodo anche la costruzione della rocchetta, ancora oggi visibile sul lato ovest del complesso, che dovette allora essere edificata sia per aggiornare militarmente il Castello, sia per provvedere ad una più degna e sicura dimora alla importante famiglia dei Vialardi, signori di Verrone. Essa è munita di un apparecchio a sporgere, organizzato su un triplice ordine di mensole in pietra e feritoie cannoniere inferiormente, ed è appoggiata su una torre a pianta circolare, realizzata in mattoni, sulla quale sono chiaramente leggibili tre fasi di intervento. La torre è infatti costituita da una parte certamente più antica che giunge fino all'altezza delle caditoie della rocchetta e termina con merli alla guelfa, i quali appaiono murati per effetto della successiva sopraelevazione della torre, fino all'altezza del tetto della rocchetta. Su questa seconda parte della torre fu aggiunto, in epoca relativamente tarda, un ulteriore coronamento a pianta ottagonale, con un'ampia apertura su ogni lato, ricoperta da un tetto. A differenza delle due precedenti, quest'ultima parte della torre è intonacata, e reca la data del 1698, che dovrebbe riferirsi, con ogni probabilità all'anno della sua costruzione. Secondo il Gabotto (Gabotto, Castelli biellesi), è probabile che esistessero anticamente altre tre torri collegate a questa situata all'angolo di sud-ovest "da un muro fiancheggiato esternamente da un secondo fossato". Mentre gli affacci esterni conservano una complessa ma marcata connotazione architettonica, gli affacci interni sulla corte hanno smarrito il loro significato originario, cedendo certamente sotto l'impatto dei numerosi e variegati interventi successivi. Il Castello, appartenente ora per più della metà al Comune di Verrone e per la restante parte a tre privati, è ora in fase di completa ristrutturazione e restauro».
Vigliano Biellese (castello di Montecavallo)
«Sulla collina di Montecavallo, che sovrasta Vigliano, esisteva, da tempi remoti, il baluardo degli Avogadro di Vercelli. Terminate le lotte medioevali, il possesso rimase abbandonato, e solo poche macerie ed una torre ricordavano l'esistenza del maniero dei tempi antichi. Fu il Conte Filiberto Avogadro che fece ricostruire il castello (1820 circa) restaurando i cadenti antichi ruderi, ancora rimasti in piedi. Singolare caratteristica di questo castello, è l'essere uno dei pochi esemplari di architettura neogotica esistenti in tutto il Biellese. La struttura compatta e le ampie arcate ad ogiva testimoniano appunto questo tipo di architettura, in netto contrasto con la filosofia umanistica, dilagante nell'epoca della ricostruzione. L'umanesimo poneva l'uomo come punto centrale dell'universo, e di conseguenza, l'architettura si basava sui canoni romani, in cui le proporzioni degli edifici si rifacevano alle proporzioni dell'essere umano. Il gotico, e di riflesso il neo gotico sono simboli di una filosofia religiosa, in cui l'essere umano era soltanto una minuscola particella dell'universo e nulla a confronto di Dio. Ecco perché le costruzioni di questi periodi sono altissime ed imponenti. Una delle parti artisticamente più importanti dell'edificio è la galleria che collega il corpo centrale con la dependance e la Cappella. Incorniciata da una serie di volte ogivali, riceve la luce da grandi portefinestre, che danno su un giardino tipicamente italiano. La piccola Cappella, nonostante le dimensioni, dà una sensazione di grandezza e di timore, come i canoni gotici richiedevano. Tutto intorno al Castello si erge un bosco che ricorda le epoche passate e separa l'attuale abitazione dal rumoroso traffico cittadino».
http://www.biellaclub.it/_cultura/storia/CastelloVigliano/Montecavallo.html
Villa (castello degli Avogadro)
«Eretto per difesa, il Castello di Ternengo sorge tuttavia in una posizione defilata e strategica e risulta non essere stato teatro d’eventi bellici. Costruito come rocchetta, fu utilizzato per lo più, secondo la definizione dei Conti, come “residenza castellata” ed é di una tipologia rara da trovare in questa zona. La scarsa documentazione disponibile parla di castello, ma non divulga notizie sulla fondazione. L’edificio fu nominato solamente nei documenti d’investitura che si susseguirono dalla fine del Quattrocento fino all’abolizione dei privilegi feudali. Nel documento datato 12 ottobre 1562, che conferma il diritto di primogenitura in favore dei primogeniti maschi di Casa Gromo, si dice, infatti, che Giorgio Gromo di Ternengo “spontaneamente e di sua certa scienza et animo deliberato per Vittorio, suo figliolo maschio primogenito legittimo e naturale, e successivamente altri primogeniti maschi discendenti, informa a pieno et certificato d’un elettione e continuatione di primogenitura del Castello, luogo et beni di Ternengo”. L’ipotesi dello storico Torrione che il castello avesse origini remote in quanto “sorto attorno ad una vetusta torre fatta erigere dai Signori del luogo, i Casalvolone, intorno al X secolo”, non ha finora trovato conferme nei documenti d’archivio. Sempre secondo Torrione, sarebbe da attribuire agli Avogadro, nel XIII secolo, la costruzione di una casaforte intorno alla torre e, successivamente, un castello munito di torri. Secondo Giuseppe Maffei, il maschio e la torre furono aggiunti nel 1400, alla parte orientale, molto più antica. Le prime notizie scritte sul castello si hanno a partire dal 1498. Il primo documento è un’investitura del duca di Savoia Filiberto II ai fratelli Bartolomeo, Bernardino e Giacomo, che ottennero di esercitare i loro diritti “super castro, loco, hominibus iurisdicionibus et finibus dicti loci Ternengi”. Da quest’anno in poi, in tutti gli atti pubblici e privati e fino all’abolizione dei privilegi feudali, i Signori del luogo saranno sempre ricordati come “Signori del Castello e del luogo di Ternengo”. D’altra parte, i caratteri architettonici e stilistici delle parti più antiche dell’attuale castello sono chiaramente quattrocenteschi e Torrione, in considerazione di ciò, sostiene che il castello pareva “atto più agli ozi villerecci che non alla vita militare” e che sia la rocchetta che la torre cilindrica erano più di vedetta che di difesa.
Nel XVIII secolo si deve a Pietro Gromo la trasformazione della costruzione dei moduli che vediamo ancora oggi nella casaforte. Dopo la restaurazione della monarchia Sabauda, il castello rimase ai Gromo per alcuni decenni, durante i quali, insieme alle terre, fu dato in affitto agli agricoltori del luogo fino al 1859, anno in cui fu venduto all’Ing. Carlo Moglia per la somma di 4.500 lire. L’utilizzo agricolo ne accentuò la decadenza poiché subì degli adattamenti che modificarono l’aspetto originario, ulteriormente alterato nei primi anni del Novecento. ...Una stampa pubblicata nel 1891 da Strafforello è particolarmente chiarificatrice per capire l’andamento dei lavori, in quanto raffigura un passaggio dal vecchio impianto all’attuale. Ripreso da Ovest, si vede il balcone nella torretta, ma è ancora presente la torre, erroneamente da molti considerata cilindrica. Si vede solo uno dei fabbricati bassi dopo la torre e presenta già alterazioni nelle aperture. è già scomparso il peristilio ricordato dal Maffei. è edificato su pianta quadrilatera irregolare con corpi disposti attorno ad un cortile. Sul lato della facciata posto a Sud-Est vi sono due torri, una a pianta quadrata e l’altra circolare. Gli altri tre lati sono occupati dalla massiccia costruzione della rocchetta. Le restanti parti fungono da collegamento tra le due torri e, fra queste, la rocchetta che, giunta pressoché inalterata fino ai giorni nostri, si eleva per quattro piani fuori terra ed è coronata da caditoie dal lungo beccatello. Alcune delle sue aperture sono monofore strombate; altre, molto più recenti, sono di forma rettangolare. La rocchetta è stata trasformata solo nel tetto che è stato lievemente ribassato, secondo il tipo dei “manoirs” francesi, vale a dire con il tetto molto ripido coperto di tegole squamate di colore ardesia che fa del castello l’unico esempio, nel Biellese, di questo tipo di costruzione. I corpi di collegamento tra le torri sono costruiti da tre piani fuori terra ed interrotti da aperture a monofora, bifora e rettangolari. Nella sommità corrono in aggetto una serie d’archetti in stile gotico, sormontati da merli guelfi. Il tessuto murario si presenta ad intonaco a finta pietra o liscio, mentre alcune parti presentano una muratura di mattoni a vista. Le due torri, oggi visibili, furono edificate durante alcuni discutibili restauri effettuati all’inizio del Novecento, quando fu abbattuta la più antica torre cilindrica. La torre quadrata ha quattro piani fuori terra sormontati da un’altana che ha, alla base, una decorazione d’archetti gotici in aggetto. Anche la torre cilindrica consta di quattro piani fuori terra, con aperture circolari nella cortina all’ultimo piano; sopra queste vi sono delle caditoie dal lungo beccatello che sostengono una struttura circolare che è il supporto dell’altana merlata con merli guelfi. ...
Nel 1980 il castello fu acquistato dall’architetto fiorentino Mauri primo ed unico tra tutti i proprietari, a redigere una serie di cartografie riguardanti piante, facciate, interni e planimetrie. In questo modo, il sig. Mauri appronta un progetto di “restauro conservativo”, vale a dire il risanamento dell’edificio, lasciando in vista la lettura dell’età del manufatto. Con tale progetto, la Sovrintendenza alle Belle Arti ha rilasciato all’attuale proprietario il “nulla osta perenne”. Tra le numerose opere di risanamento va citata la copertura del torrione, con laterizio a “scandola” (un genere di copertura che troviamo soltanto in Alta Savoia ed in Germania), riportandola a com’era originariamente. Sono stati risanati i merli e la scala della torre cilindrica che erano stati demoliti da un fulmine. Sul lato Ovest, durante le opere di restauro, è stata evidenziata l’antica apertura del ponte levatoio. Internamente sono stati ripresi tutti i preziosi affreschi con la tecnica dello “spolvero”: il disegno originale viene recuperato prima su un foglio di plastica e dopo su un foglio da lucido che viene bucherellato, applicato su soffitto e pareti e, tamponando con ossidi sui buchi, si lascia, sotto il foglio, la traccia del disegno che, in seguito, viene recuperato nella sua integrità. Sono stati, inoltre, ritrovati alcuni spezzoni di cassettoni di legno decorati risalenti al 1600. Al momento sono in progetto ulteriori lavori di ristrutturazione, tra i quali il recupero dei pozzi (uno all’interno e l’altro all’esterno), rimasti inutilizzati per moltissimo tempo. Ora è finalmente possibile ammirare il castello in tutta la sua grazia: al centro di un ampio parco verde circoscritto da un fitto bosco di castagni, adatto ad ospitare feste, matrimoni ed unico punto strategico, nel paese, per l’atterraggio dell’elisoccorso. ... Oggi il castello ha preso il nome del proprietario che ha saputo riportarlo agli antichi splendori, vale a dire “Castello Mauri”».
http://www.biellaclub.it/_cultura/libri/ternengo/libro-ternengo.pdf (a cura di Lorella Torelli)
«L'origine dell'aglomerato urbano affonda le sue radici nell'Alto Medioevo: si trattava di sedi contadine e pastorali di cui rimane vaga memoria storica e priva di elementi documentali. Le prime notizie relative alla storia del comune riguardano il castello che incombe sul centro abitato, i cui atti di infeudazione sussistono a partire dal 1431. Villa del Bosco comprende anche le due frazioni di Orbello e Ferracane. L'abitato sorge sulle ultime pendici del Biellese orientale, allineandosi sulla destra idrografica del torrente Rovasenda (chiamato anche Giara) lungo i bordi della strada provinciale che collega Crevacuore con la strada statale Biella-Laghi ed è dominato da un poggio su cui infatti sorge il castello. ... Il castello. Si ha notizia della sua esistenza a partire dal 1431 dagli atti di infeudazione (in cui è citato come "turrionem" ovvero casa-forte). Probabilmente venne edificato per controllare la valle del torrente Rovasenda. In una pianta, datata 6 giugno 1748 e firmata dall'ing. Bernardo Vittone vengono descritte le varie fasi della costruzione del castello: la parte più antica del secolo XV, le aggiunte eseguite dopo il 1638 da Giovanni Francesco Bronzo e che costituiscono la parte centrale dell'attuale fabbricato, ed infine il piccolo appartamento costruito nel periodo in cui fu eretta la pianta stessa. Il castello, che da allora ha subito alcune modifiche, è ora di proprietà privata».
http://www.comune.villadelbosco.bi.it/ComStoria.asp
Viverone (ricetto, ruderi del castello)
«I resti del ricetto si ergono su di un colle in frazione Bertignano e risalgono al primo decennio del XV secolo. Il ricetto è un nucleo urbanistico in perimetro fortificato ed è una costruzione tipicamente piemontese: nella regione se ne contano circa 200; era adibito a ricovero permanente dei prodotti agricoli ed a rifugio temporaneo dei contadini e del bestiame. L’interesse dei ricetti è dato dalla loro funzione nel territorio rurale e dall’impianto urbanistico assolutamente tipico. Con l’aiuto dei catasti è possibile ricostruire la posizione del ricetto di Viverone, del castello (ne esistono ancora probabili ruderi) e del centro abitato. Il ricetto di Viverone conserva tutt’oggi le caratteristiche essenziali: a sud un resto di cinta muraria imponente; a nord-est una torre quadrata d’angolo con merlatura, all’interno della quale ci sono varie postazioni di scolo con lunga feritoia verticale. Altre parti sono state trasformate in case di civile abitazione. Di notevole interesse un vasto locale che doveva essere un grande magazzino e serviva anche da luogo di riunione; delle vie ce n’è una che conserva integre le antiche caratteristiche: muri di pietra a vista, archivolti in grossi mattoni. L’insediamento difensivo fu elevato su di un rialzo artificiale, per renderlo più sicuro e difendibile; da esso è ben visibile il castello di Roppolo, con cui poteva comunicare con segnali ottici. All’interno del ricetto vi era ed è rimasto l’oratorio di S. Giovanni Battista , già esistente alla fine del 1200: infatti nel 1287 il prete Anselmo, rettore di S. Giovanni del castello di Viverone, era nominato parroco di S. Giuliano in Vercelli ; nel 1348 l’oratorio si trovava dipendente direttamente dalla chiesa vercellese; divenne poi proprietà dell’abbazia dei canonici lateranensi di S. Sebastiano di Biella. La sua presenza pone un importante problema: se precedentemente esistesse o no un castello, poi diroccato, sulle cui fondamenta o resti sia stato eretto il ricetto. Appoggiando la prima ipotesi, molto probabilmente l’oratorio era la cappella gentilizia dei signori di Viverone: è costituito da un solo locale con soffitto in legno, sulla facciata sono presenti due finestre ad arco ed in alto un rosone centrale; all’interno, la parete dietro l’altare è ornata da affreschi cinquecenteschi».
http://web.tiscali.it/jovishome/schedine/viverone.htm
«La prima citazione di Zumaglia è del 1150 con il nome di Gemalia. Nel 1243 la località è invece indicata con il nome di Zemalie, trasformato successivamente in Sumaija, e riguarda la decima dovuta alla chiesa di Santo Stefano di Biella; la consistenza della popolazione che risulta a quella data è molto esigua. Tra il X e l’XI secolo Zumaglia era compresa nelle donazioni imperiali a favore della chiesa di Vercelli. Il primo documento in cui viene citata riguarda la decima dovuta alla chiesa di Santo Stefano di Biella. Il 22 aprile 1243 la località fu venduta al comune di Vercelli. Resta documentata la presa di possesso “de loco Rochi et Zemalie”, ma si trattò di una breve parentesi, perché di lì a poco la signoria tornò di nuovo tra le mani del vescovo Martino Avogadro che, fuggito due anni dopo da Vercelli per la guerra civile tra guelfi e ghibellini, entrò in possesso di Zumaglia, di Ronco e di Andorno. Nel 1291 un grave fatto di sangue contrappose gli abitanti di Zumaglia e Ronco a quelli di Vigliano. Non si trattava probabilmente di una semplice faida di campanili, ma di un tentativo di destabilizzare gli equilibri politici a favore degli Avogadro. Alla morte del vescovo Uberto Avogadro di Valdengo (1328), fu nominato vescovo Lombardo della Torre, membro di una potente famiglia guelfa milanese. Un primo embrione del castello venne edificato in quel periodo. Alla morte del vescovo gli Avogadro di Valdengo espugnarono il castello di Zumaglia e misero in fuga il governatore del luogo (1343). Pochi anni dopo, nel 1348, iniziò l’episcopato di Giovanni Fieschi: la rocca di Zumaglia venne ulteriormente rafforzata e divenne, insieme a Masserano, uno dei cardini del sistema difensivo episcopale. Nel 1377, dopo la sommossa popolare di Biella contro il vescovo Fieschi, anche la rocca di Zumaglia venne occupata e consegnata al conte Amedeo VI di Savoia. Tra il 1383 e il 1434 l’incarico di castellano fu affidato prima a Besso Taglianti, poi a Giovanni de Arlie di Donnaz, quindi a Franceschino Gottofredo. Tuttavia i notevoli costi di conduzione del feudo non consentirono ai castellani di rientrare delle spese; nel 1416 la località venne declassata da dominio diretto in feudo e fu concessa ai creditori, gli eredi di Franceschino Gottofredo.
Nel 1528 le ristrettezze economiche del casato di Gottofredo portarono a varie cessioni di porzioni feudali a Filiberto Ferrero-Fieschi, nipote di Giovanni Fieschi; nel volgere di pochi anni l’intero feudo venne quindi nelle sue mani. Intorno alla metà degli anni Cinquanta del secolo, Filiberto Ferrero-Fieschi divenne famoso per le oscure manovre politiche e le nefandezze ai danni degli abitanti del luogo. Nel 1572 la proprietà di un terzo del feudo fu venduta alla famiglia Rebuffa per 400 scudi, mentre nel 1620 la restante parte venne infeudata alla famiglia d’Albier. In più riprese tra il 1672 e il 1736 il senatore Guglielmo Leone e poi il figlio Giuseppe Maria acquistarono tutto il feudo riuscendo a ottenere il titolo di conti. Nel 1757 il feudo e il titolo passarono a Francesco Felice Pillotti, al cui casato restarono fino all’abolizione dei privilegi feudali. Bric di Zumaglia (Castello). I primi dati certi sul Bric risalgono al 1291; si ipotizza però la presenza di un edificio ancora più antico, non documentata. La costruzione viene fatta risalire al 1329 circa ad opera del vescovo di Vercelli, Lombardo della Torre. Nel 1556 il castello venne bombardato e completamente distrutto dai francesi. L’edifico attuale, che sorge sui ruderi di quello antico, venne costruito nel 1937 dal conte Vittorio Buratti, ultimo proprietario del Bric, con fattezze medievali. Dal 1989 è di proprietà della Comunità Montana Bassa Valle Cervo e viene utilizzato per mostre e manifestazioni culturali».
http://prolocozumaglia.vilnet.it/argo/zumaglia-storia-25/news/zumaglia-storia-46 (a c. di Giulio Zanone)
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