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LUCERA, CASTELLI SVEVO E ANGIOINO
a cura di Luigi Bressan; testo di approfondimento di Stefania Mola
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I ruderi del palatium federiciano visti dall'interno del castello.
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In
una Memoria di fine Seicento,
l’erudito canonico lucerino Carlo Corrado descrive il palatium
di Federico
II come «una forte Rocca, che era una ritirata del Castello
[cinta angioina] circondata entro la piazza d’un alto fossato, fatta in
forma quadra con un gran voltone per ogni quadro, da collocarsi 500 cavalli, o
poco meno, con sito da conservarvi le vettovaglie e le soldatesche insieme,
sotto lo stesso voltone. Sopra questo voltone si gira una loggia ben larga,
con suoi parapetti, al di fuori e con quattro torri minori per la guardia e
per le sentinelle, che vi stavano di presidio, ed in mezzo a questi voltoni si
erge un gran Torrione quadrato, intorno al quale stavano tre stanze ben grandi
per facciata, ed una per ogni angolo, che facevano un numero di 32 stanze
regali, senza le altre comodità che vi erano e sotto e sopra questi due
appartamenti ai quali si saliva per una scala a lumaca da salirvi un Huomo
solo, che dava l’ingresso dal fondo, a fianco del quartiere della
cavalleria, che fino ad oggi dimostra l’antica magnificenza … Hoggi di
questa Rocca sta in piede solamente il voltone quadrangolare della cavalleria
sopra la quale si camina pure all’intorno per le logge narrate e tutta la
muraglia ancora alta più di 80 palmi, intorno al quale giravano le stanze di
quei due appartamenti regali, dei quali si è già parlato di sopra…».
La
fondazione del palatium di Federico a Lucera è collocabile intorno al 1233. Oltre
al riutilizzo di resti murari più antichi, l’intervento svevo comportò anche
un’imponente operazione di distruzione e depauperamento delle sopravvivenze
materiali della Luceria romana. Negli
ultimi decenni del secolo XV, il vescovo lucerino Pietro Ranzano, decantando la
magnificenza del palazzo federiciano, notava che buona parte di esso era stata
costruita ex ruinarum priscae Lucerie
saxis e, dopo quattro secoli, il D’Amelj, tra i suoi ruderi svettanti,
riusciva a scorgere ancora delle iscrizioni latine «incastonate nelle fabbriche
delle stanze Regie».
Si
trattava di un edificio a quattro ali su tre livelli, in forma di torre, posto
sul basamento troncopiramidale che ancor oggi si conserva tra le mura della
cinta angioina; all’interno, si articolava intorno ad un cortile quadrato che
all’altezza del secondo piano si trasformava in ottagono, anticipando in
qualche misura soluzioni che sarebbero state poi adottate a Castel
del Monte. Nel cortile sono ancora localizzabili resti di
pavimentazione in cotto, un pozzo, condotti per il deflusso delle acque e, nella
parte mediana, una depressione circolare che, in origine, accoglieva la vasca.
Dunque,
all’apparenza una torre abitabile, un mastio simile a quello siciliano di
Adrano, in realtà un palazzo-torre, sapiente fusione tra torre normanna e
palazzo aperto islamico, a metà strada tra esigenze di fortificazione e difesa
e necessità di rappresentanza e comfort residenziale, tanto alto da sovrastare
alla città di Lucera e dominare i confini di un esteso territorio. Quanto agli
interni, Jamsilla racconta che nel palazzo vi erano le stanze dell’imperatore,
di re Corrado, del marchese Oddo e di Giovanni Moro, nelle quali era custodita
una gran quantità d’oro e d’argento, vesti, pietre preziose ed armi.
Eretto
su un basamento quadrato a scarpata, il palazzo non aveva veri e propri accessi:
l’ingresso era possibile grazie a strutture mobili e provvisorie, da ritirare
in caso di pericolo; lo spazio interno era molto articolato, e comprendeva tanto
i vani destinati agli alloggi imperiali e del seguito, quanto le camerate per la
guarnigione allestite nei sotterranei. Tuttavia, in tempi recenti, alcuni
studiosi ipotizzano che all’edificio federiciano siano da attribuire solo i
ruderi ricadenti all’interno del “recinto” basamentale ritenendo quest’ultimo
una sovrastruttura eretta da Carlo I d’Angiò per adeguare il palatium
a castrum, ovvero a sede di presidio
militare permanente.
Oggi
le sue rovine (lo zoccolo perimetrale con parte delle pareti a scarpa, e il
basamento del nucleo centrale) non sono sufficienti a restituire l’immagine
dell’edificio originario, che, oltre alla descrizione del Corrado, fu ben
documentata dai disegni eseguiti nel 1778 dal pittore francese Jean-Louis
Desprez poco prima della sua distruzione, e da una tavola ottocentesca «degli
archi e colonnati che esistevano nelle stanze del Palazzo Regio» pubblicata dal
già citato Giambattista D’Amelj nella seconda metà dell’Ottocento.
I documenti del Desprez e del D’Amelj consentono di confermare la
presenza di ornamentazioni preziose, e di ricercate soluzioni decorative
abbinate ai portali, alle finestre, agli oculi e alle losanghe che alleggerivano
su tutti i livelli la massa muraria esterna ed interna.
Pare
inoltre che Federico, tra il 1240 e il 1242, avesse fatto trasferire a Lucera
una serie di statue antiche per adornare il suo palazzo, a conferma di una
tendenza e di un amore per l’antichità manifestatisi
con maggior forza in Castel del Monte e nel castello di Siracusa: i documenti
raccontano di un numero imprecisato di ymagines
lapideas, provenienti da paesi d’oltremare, e di due statue di bronzo
ritrovate nella chiesa di S. Maria di Grottaferrata.
Con
la monarchia angioina, l’edificio federiciano assunse la nuova destinazione
d’uso, diventando castrum
(fortilizio, castello) più che palatium.
Negli intenti di Carlo I d’Angiò, l’edificio ereditato dallo Svevo doveva
fungere, innanzitutto, da fattore deterrente contro ogni eventuale proposito di
rivolta saracena. All’interno della realizzazione della nuova fortezza che il
primo Angioino aveva in animo di erigere, esso doveva costituire il posto di
guardia per la vigilanza del cantiere; infine, una volta completata la predetta
opera, doveva svolgere il compito di ultimo ridotto del sistema difensivo.
Il documento che più d’ogni altro sostiene l’ipotesi che il palatium abbia subito radicali opere di trasformazione è datato 16 aprile 1274: Carlo I esprime agli expensores operis Lucerie la ferma volontà di non far iniziare, sino al suo arrivo, le archerias in muro macziae palatii: una scelta progettuale delicata ed importante, tanto da richiedere la diretta partecipazione, sul posto, del sovrano. Il termine archeria è vago; può definire la nicchia di tiro o, più genericamente, una struttura arcuata o voltata. In entrambi i casi, le archerias in muro maczie palatii sono gli unici elementi certi che, ancora oggi, possiamo osservare nella struttura a scarpa che caratterizza il complesso quadrangolare che si eleva a nord-est della fortezza angioina. E sono anche il motivo che fa avanzare l’ipotesi che la struttura tronco-piramidale, addossata al palatium federiciano, sia un’aggiunta angioina.
©2002 Stefania Mola (il testo è stato pubblicato nel sito Stupor mundi)