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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI POTENZA
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
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Abriola (resti del castello feudale, centro storico)
«Anche se le notizie riguardanti il Medioevo sono scarse, sembra che la città fu fortificata dai Saraceni arrivati dalla vicina Campania nell'IX secolo e successivamente amministrata dal saraceno Bomar. Fu poi ceduta ai Longobardi nel 907 divenendo signoria assegnata al longobardo Sirifo. Gli Svevi, succedutisi ai Normanni alla fine del XII secolo, trasformarono ed ampliarono il Castello così come fecero gli Angioini nel secolo successivo. Durante l'impero degli Angiò venne infeudata a varie e nobili famiglie potenti in tutto il sud Italia. Fu feudo di Caimano di Capaccio e della famiglia Filangieri nel Medioevo e nel XVI secolo, in epoca di dominazione spagnola, venne infeudata ai principi di Orange, quindi ai di Sangro, ai Caracciolo ed ai Federici, che ressero il potere fino alla fine della feudalità, sancita da una legge di Giuseppe Bonaparte salito al trono di Napoli nel 1806. Nel 1809 venne assalita e parzialmente incendiata da una banda di briganti comandata da Rocco Buonomo. Venne assaltato anche il castello e furono scacciati i Federici. Nel Risorgimento il borgo aderì agli ideali repubblicani divenendo sede di una rivendita carbonara. Abriola svela immediatamente al visitatore le sue origine arabe attraverso la geometria delle strade del centro storico. Resti di mura medievali sono ancora visibili così come quelli del Castello medievale, rappresentati da portale rinascimentale e da una torre quadrangolare. Il borgo è dominato dalla Chiesa Madre che conserva un bel portale con fregi in pietra ed al suo interno affreschi ed una statua lignea policroma della Madonna con Bambino».
http://www.initalytoday.com/it/basilicata/abriola/index.htm
Acerenza (resti del castello e della torre longobarda)
«Ex Castello. È il secondo polo architettonico della cittadina che risulta un complesso imponente con il vero e proprio fabbricato del castello e le numerose pertinenze. È ubicato tra Largo Gianturco, via Giacinto Albini, via Vittorio Emanuele e Largo Gala. Gli attuali palazzo del Vescovado e Palazzo Vosa, del XVIII secolo, potrebbero essere parte dell'impianto anteriore al dominio Longobardo che comprende anche, dalla parte dell'ex Seminario, la cappella di San Vincenzo. La parte che rimane del Castello, sottoposta a lavori di consolidamento e di ristrutturazione, sarà adibita a Museo Diocesano di Arte». «Torre Longobarda. I resti delle antiche mura e la Torre Longobarda manifestano l'antica storia dell'intera città».
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it - http://www.hobosapiens.org
Acquafredda (torre dei Crivi, torre di Acquafredda)
«La Torre dei Crivi è una delle antiche torri costiere del Regno di Napoli, si trova nel territorio del comune di Maratea, in provincia di Potenza. La torre si trova su uno sperone roccioso nei pressi della frazione Acquafredda. La sua costruzione fu ordinata nel 1566. La torre ha una struttura simile alla Torre Caina. La pianta è quadrata, con base troncopiramidale piena. Ogni architrave presenta tre caditoie in controscarpa, eccetto quella esposta al lato nord che ne conta quattro. La volta della torre, oggi quasi completamente conservata, è in pietra e a botte, e presenta un muretto di protezione sul tetto. ... La Torre di Acquafredda è una delle antiche torri costiere del Regno di Napoli, si trova nel territorio del comune di Maratea, in provincia di Potenza. La sua costruzione fu ordinata nel 1566 e completata nel 1595. La torre oggi è solo un rudere. La pianta era quadrata, con base troncopiramidale piena. Ogni architrave presentavano tre o forse quattro caditoie in controscarpa. La volta della torre, oggi completamente distrutta, era probabilmente a botte».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_dei_Crivi - http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Acquafredda
Agromonte (resti del castello)
«Qui era ubicata la medioevale Acermontis, della quale sono ancora visibili i ruderi che permettono di individuare una chiesa, un fortilizio e le probabili mura. Le testimonianze più antiche di Agromonte risalgono al 9 giugno 1152. In un breve pontificato di papa Eugenio II che enuncia i casali e le parrocchie comprese nella giurisdizione ecclesiastica del vescovo di Rapolla. «Era un centro abitato, con castello sito a sud-est dell’odierna frazione di Filiano, denominata Scalera, […] al tempo dei romani era un importante nodo stradale, dove la via Erculeia si incrociava con la strada che, partendo da Venosa, congiungeva l’Appia Antica con la Via Popilia, a Marcelliana nel Cilento, dopo aver attraversato la Valle di Vitalba e l’Appennino Lucano nei pressi del Monte S. Croce. Sotto il governo di Carlo I d’Angiò, nel 1267-68, Agromonte prese parte alla rivolta Ghibellina, il suo castello e il suo abitato furono molto danneggiati….» Nel XIII sec. contava più fuochi di Avigliano. Nel 1330, rimase ad Agromonte solo una piccola domus e poche decine di abitanti, che in quell'anno l'abbandonarono definitivamente le loro umili dimore, sparse intorno alla chiesa non più parrocchiale, grazie ai privilegi ed esenzioni concesse da Giovanni d'Angiò, per ripopolare Atella. Ricorda G. Fortunato in Il Castello di Lagopesole nel 1902: “sorge Agromonte sul dosso di un promontorio che scende al ponte Cerasale presso la confluenza con il Torrente Sterpito … Il suo nome è sempre vivo tra gli abitanti della Valle: vivo come i suoi pochi ruderi fra le annose querce del bosco, al di sopra della galleria omonima del tratto di strada ferrata dalla stazione di Forenza a quella di Lagopesole: in alto la bicocca, al basso la chiesetta, e questa dall'abside ancora visibile, ancora cinta di sepoltura”. G. Fortunato sosteneva che questo castrum era in comunicazione con il vicino castello di Lagopesole attraverso un condotto sotterraneo, ipotesi mai verificate nella realtà. Al fascino di questa memoria antica si associa un contesto naturalistico unico, dove a una situazione geologica articolata si affianca un ottimo sodalizio floro-faunistico. Quei ruderi sono ancora oggi visitabili, sul clinale che sovrasta la fontana di Sparciaboschi lungo la rotabile che da Scalera porta a Dragonetti».
Albano di Lucania (palazzo Ducale)
«Il paese ha avuto origine grazie ai Longobardi che nel IX sec. costruirono la loro roccaforte per difendersi dagli attacchi dei Saraceni di Bonar che si erano stanziati nel territorio di Abriola e Pietrapertosa. Albano fece parte della Contea di Tricarico nel periodo normanno-svevo e nel 1268, durante la rivolta ghibellina, si schierò contro gli Angioini. Nel XIV sec. il feudo appartenne a Giovanni Pipino e successivamente fu assegnato dal re Ladislao alla regina Margherita, per poi passare ai De Ruggiero, che con il titolo di Duca, lo tennero fino al 2 agosto 1806, anno dell'abolizione del feudalesimo. Albano fu residenza del Duca, come testimonia la presenza del palazzo ducale situato nelle vicinanze della chiesa madre».
http://www.avmstudio.it/lucusnet/allbanodilucania/56-storiaalbanodilucania.html
«Allo sguardo del visitatore, Anzi si impone con tutta la sua ciclopica mole di roccia nuda. Un nido coeso di case, qualcuna annerita dal tempo, addossate fra loro quasi a sorreggersi reciprocamente in uno snodo di vie tutte in forte pendenza, sul crinale di roccia che fa da sfondo, base e cornice al paesaggio. Osservando dalla sommità del paese i pendii punteggiati di sporgenza si ha l'impressione di annotare fantastici campi di battaglia sui quali dei titani furibondi abbiano combattuto scegliendosi enormi macigni. Sulla sommità del paese troneggiano i resti di un castello, simbolo e testimonianza di una Anzi, che in tempi andati deve aver vissuto momenti di splendore, come ricorda Francesco Rossi storico del luogo, in una sua monografia del 1877. ... Ma la cittadella di Anca, si trova per la prima volta menzionata da Tito Livio in un passo delle sue Istorie, ove è detto che fu espugnata da Fabio Massimo al tempo della II guerra Punica. Questo, infatti, fa ritenere che tale roccaforte sorgesse nella medesima giacitura dell'attuale Anzi. Dalla caduta dell'impero romano Anzi conosce un periodo di grave crisi. I Goti la fortificano nel 408 e nel 585 i Longobardi la occuparono. I Normanni ne fanno un centro importante e anche Federico II pone il Castello al centro di attenzioni particolari. Nella guerra tra Carlo d'Angiò e Corradino di Svevia, Anzi abbraccia le ragioni di quest'ultimo che viene sconfitto. In epoca Normanna, divenne feudo dei Loffredo, mutando poi spesso signoria. Il conte d'Andria vi stabilì la sua dimora asserragliandosi in un ben munito fortilizio, che non resistette però, nel 1133, al impeto incontenibile della conquista del re Ruggiero, capitolando poi una seconda volta nel 1191 quando aprì le porte all'imperatore Enrico VI. Nel 1269 il tenimento di Anzi venne donato a Pietro de Ugot da Carlo I d' Angiò e successivamente ne ebbero l'investitura i Guevara, finché nel 1568 l'intero paese e contrade passarono in possesso dei marchesi Carafa di Belevedere. Soppressa la feudaliatà il 20 gennaio 1810, per ordine della Commissione feudale, Anzi ebbe il territorio scorporato in varie proprietà. I Carafa allora, rimasero Marchesi di Anzi solo nominalmente».
http://www.basilicata.cc/lucania/anzi/index0.htm
Arioso (resti del palazzo Marsico)
«La contrada dell’Arioso è un piccolo borgo agricolo di circa un centinaio di abitanti per la maggior parte dediti alla pastorizia e all’agricoltura che dista 21 km dal centro di Potenza ed è situato a 980 m. s.l.m. in posizione di cerniera fra le zone turistiche della “Sellata”, della “Maddalena” e di ‘Pierfaone’. Il complesso si trova in posizione dominante rispetto all’edilizia minore del borgo agricolo. A pochi metri dall’edificio una fonte d’acqua silvestre citata dall’abate Faggella nelle sue memorie. Tra la fine del decimo secolo e l’inizio dell’undicesimo l’edificio risulta abitato e nell’età sveva subisce numerosi saccheggi e distruzioni “Palazzo” da parte di una congregazione di frati trinitari provenienti da Venosa e la costruzione della piccola chiesa adiacente all’edificio. In età borbonica il “Palazzo” torna ad assolvere la funzione per la quale era stato progettato; con la cacciata dei frati da parte di un barone lombardo insediatosi nel “Castrum Gloriosum” (altro edificio fortificato situato sulle pendici scoscese di una collina a circa un chilometro a valle del Palazzo, oggi ridotto a pochi ruderi), esso torna ad essere palazzo baronale. Da ricordare nella prima metà dell’Ottocento una lite fra i proprietari dell’edificio ed i baroni di Satriano che causò la parziale distruzione della parte sud del Palazzo. Da allora l’edificio conosce una serie di interventi e di ulteriori espansioni: fino al 1910 circa. Nel primo Novecento le parti sud ed est dell’edificio vengono adibiti all’alloggio della servitù, a piano terra parte a stalle e parte trasformate in carcere. Dopo la seconda guerra mondiale, con l’intervento della diocesi di Acerenza, al borgo agricolo viene assegnato un parroco che consente di riaprire al culto la chiesa. Dopo il sisma del 1980 il fabbricato viene completamente abbandonato. Il complesso è articolato in tre piani a valle (prospetto sud) e due a monte prospetto principale, molte parti dei solai lignei sono crollati. Al primo piano sono visibili le celle dei frati, collegate al cortile e al grande refettorio. La chiesa annessa al complesso conserva un affresco della “Vergine Ascendente” di Giacomo da Senise. Di particolare interesse architettonico è la scala interna che collega i vari piani, caratterizzata da una struttura a rampe poggianti su archi a tutto sesto. Tutti i balconi esterni sono caratterizzati da soglie in pietra lavorata, la loggia principale conserva quattro elementi in ferro battuto finemente lavorati. Gli interni del piano terra, meglio conservati hanno la struttura caratterizzata da volte a botte e alcuni da volte a crociera. Il complesso è in gravi condizioni statiche e se ne auspica un recupero strutturale che scongiuri la perdita di una importante testimonianza storica ed architettonica».
http://sit.parcoappenninolucano.it/?page_id=2081
ArIOSO (ruderi del Castrum Gloriosum o Castelglorioso)
«Da "Castrum gloriosum" deriva il toponimo "Arioso" con cui è oggi nota la località posta ai piedi della Sellata e che all'epoca dei Romani era lungo la via di comunicazione fra Potentia e Grumentum» - «Il Passo della Sellata: è una strada panoramica dalla quale si può ammirare tutta la cresta del M. Pierfaone, facilmente identificabile per la presenza di due grandi antenne. A valle della strada è ancora evidente il tracciato della ferrovia a scartamento ridotto che collegava Potenza a Laurenzana valicando il passo della Sellata, mentre nella vallata sottostante si scorge la frazione di Arioso e la vicina collinetta dove sorgeva il casale medioevale di Castel Glorioso del quale rimangono oggi solo pochi ruderi; nella parte bassa della vallata attraversata dal tratto iniziale del fiume Basento, si stende il lago del Pantano. Dopo circa 6 km percorsi allo scoperto lungo il fianco della montagna, improvvisamente si entra in un fitto bosco di faggio con esemplari altissimi che formano una vera e propria galleria di verde e dopo un centinaio di metri, si raggiunge il passo della Sellata. Questo passo a 1255 metri di quota costituisce il crocevia dell'itinerario dipartendosi da questo punto quattro diverse strade, tutte molto belle da percorrere, che raggiungono Pignola, Abriola, la frazione diArioso e di campi da sci di Pierfaone».
http://www.panoramio.com/photo/11603971 - http://www.lucaniamontana.it/PAGINE/4%5E%20Guida%20Trekking...
Armento (palazzo Terenzio, fortificazioni)
«...della stessa era Romana non mancano in Armento testimonianze come gli avanzi dell'abitazione di Terenzio Lucano: quel Terenzio che liberò lo schiavo africano (Cartaginese) pure di nome Terenzio (195-159 a.C.) Divenuto poi grande poeta comico latino sulla scia di Plauto (254-184 a.C.) suo immediato illustre predecessore. Reduce dalle guerre Cartaginesi e nominato senatore Romano Terenzio Lucano venne a risiedere al Casale, centro di Armento antico dove appunto sono gli avanzi del suo palazzo e la strada a lui intestata tuttora esistente. Il castello di Armento, da vari diplomi Castrum Armenti, figura eretto già nell'era precristiana [?], posto sotto la protezione di una ninfa, come lo dimostra la paurosa balza orientale che lo fortifica, detta ancora oggi la balza della Ninfa. Che Armento fosse forte e guerriera lo dimostrano i suoi tre castelli ed armi e corazze rinvenute nel suo territorio, nonché la denominazione di varie contrade riferita a fatti eroici: Serra di San Luca, dove si concluse vittoriosamente la battaglia contro i saraceni. Pian di Campo, pian di Guanto, Parabello (Parabellum) che accennano a sfide e combattimenti. Dei vichi antichi esistono ancora: la Via Principale che mena al castello, ossia alla Chiesa (che il Conte Tuscano, figlio di Rabdi, signore di Tursi, Petra e Armento, volle ricavare da un'ala dello stesso castello».
http://www.vacanzeinbasilicata.it/Basilicata/Potenza/Comuni/Armento/Armento-La-Storia.asp
Atella (porta e arco di san Michele)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Secondo la versione ufficiale, Atella ebbe origine tra il 1320 ed il 1330, a seguito di una riorganizzazione economico-sociale voluta dagli angioini. Giovanni d'Angiò, figlio di re Carlo II, nonché conte di Gravina e signore di San Fele, Vitalba ed Armaterra, promise l’esenzione dalle imposte per 10 anni a coloro che si sarebbero trasferiti nella città che stava sorgendo per suo volere. Questa proposta si rivelò vantaggiosa per tutti quei cittadini che erano stati impoveriti dalle continue guerre e oppressi dai pesanti tributi dei feudatari del Vulture e dintorni. Fu così che Atella venne popolata da gente proveniente perlopiù dalle zone di Rionero, Monticchio, Lagopesole, Agromonte, Balvano, Caldane, Sant'Andrea ed altri luoghi della zona. Sotto il governo angioino, Atella divenne un centro economico e militare molto importante, tanto da essere, a quel tempo, una delle città più ricche della Basilicata e, proprio per il suo crescente sviluppo, subì un notevole incremento demografico. La città venne dotata di mura e di un castello, il suo accesso era assicurato da due porte di cui al giorno oggi è rimasta solamente una, quella di San Michele».
http://www.comune.atella.pz.it/index.php?option=com_content&view=article&id=9&Itemid=126
Atella (torre castellare angioina)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La Torre Angioina è l'unico elemento rimanente del castello costruito dagli angioini, distrutto dal terremoto del 1694. Il castello, che era formato da quattro torri laterali di guardia e circondato da un profondo fossato, fu oggetto di due lunghi e sanguinosi assedi, avvenuti nel 1361 e del 1496».
http://www.comune.atella.pz.it/index.php?option=com_content&view=article&id=10&Itemid=127
«L’Arco della Piazza, così denominato perché si affaccia sulla piazza E. Gianturco, è un’antichissima porta urbana, delimitante - come si legge nell’epigrafe posta nel 1844 al disopra dell’archivolto - sin dal IX secolo il primo nucleo abitato di Avigliano. È costituito da un arco a tutto tondo lavorato a doppia scanalatura, impostato su piedritti con la medesima lavorazione, poggianti su semplici basi. Stilisticamente il manufatto è riconducibile a modelli di ispirazione classica, o comunque tardo-rinascimentale posti in opera quando la funzione di porta urbana era ormai decaduta».
http://www.prolocoavigliano.it/avigliano/palazzi.html
Avigliano (palazzo Corbo di Basso)
«Edificata nel XVI secolo, fu dimora della famiglia Corbo, giunta ad Avigliano da Sulmona, dal 1315, fu sottoposta a numerosi lavori di ristrutturazione e ampliamento, fino a quella visibile nel 1871 dove si contavano 63 vani. Al suo interno vennero ospitati Giovanni Gussone e Michele Tenore. Nel XX secolo venne inizialmente abbandonato ma poi con l'intento di trasformarlo in sede di alloggi popolari venne ristrutturato. Della casa si racconta nel 1859: «Nella casa tipo castello della ricca famiglia Corbo dominava un lusso un po' fuori moda che si era però adeguato al clima rigido e ai rari rapporti. Una buona biblioteca sembrava essere diligentemente utilizzata (Karl Wilhelm Schnars)».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Corbo_di_Basso
Avigliano (palazzo Doria Pamphili e altri palazzi gentilizi)
«A partire dal XVII secolo, nel tessuto sociale aviglianese comincia ad assumere una posizione rilevante il ceto della ricca borghesia agraria che aveva partecipato attivamente alla colonizzazione del feudo di Lagopesole. Queste famiglie emergenti, costruiscono nei punti più importanti della città le loro dimore “palazziate”. Nella piazza Gianturco si distingue il Palazzo Sarnelli (poi Corbo di Sopra) dalla lunga facciata barocca, e l’ottocentesco Palazzo Labella. La quinta della piazza è sovrastata da altri due palazzi, costruiti rispettivamente dai principi Doria (XVII sec.) e dai Palomba. A quest’ultimo era annesso un giardino pensile (oggi Largo Belvedere). Poco distante dalla piazza sorge il Palazzo Gagliardi, con doppio cortile, giardino pensile ed elegante facciata settecentesca. Nella parte bassa della città sorsero il Palazzo Masi ed il Palazzo Salinas, edificato nel ‘600 dalla ricca famiglia proveniente da Caggiano». «Il Palazzo Doria Pamphili è uno dei palazzi monumentali di Avigliano. Edificato nel XVII secolo grazie alla famiglia genovese Doria Pamphili, duchi di Avigliano. Inizialmente fu abitazione e soprattutto un magazzino dove veniva conservato il grano che la popolazione versava al feudatario. Danneggiato dal terremoto del 1732 venne poi ristrutturato due anni dopo nel 1734. Il comune lo acquistò nel 1911 adibendolo inizialmente a pretura e dopo averlo reso carcere divenne casa di riposo per anziani. La facciata principale del palazzo è quella originale».
http://www.prolocoavigliano.it/avigliano/palazzi.html
«Ultima testimonianza della fortificazione che racchiudeva il primo nucleo abitato, di questa torre del XIV secolo rimane solo la base, mentre della muraglia, demolita agli inizi del Novecento, non resta traccia».
http://italian.wiki-site.com:82/a/v/i/Avigliano.html?#Torre_di_Taccone
Balvano (ruderi del castello normanno o dei conti Girasole)
«Il castello sorge sullo sperone di una roccia che emerge di circa 20 m a NE e di altri 60 m a SO rispetto al suolo circostante. La geomorfologia, la posizione dominante, la rada vegetazione, identificano due componenti essenziali del sito, quella relativa alla natura impervia dei luoghi, e l'altra connessa agli interventi dell'uomo, leggibile nel rapporto tra l'edificio che si staglia imponente a guardia della gola di Romagnano, ed il paese che, concentrato in gran parte sotto la rupe, occupa il falsopiano circostante. Il nucleo originario, costruito in epoca normanna (X secolo) non è più ormai identificabile per i successivi ampliamenti (il primo dei quali nel 1278) e per i moti tellurici. Sono visibili gli accenni di due torri-vedetta originarie del primitivo impianto, il quale dovette essere comunque molto ristretto rispetto all'edizione integra che dell'intera fabbrica ci è pervenuta dal 1806. La presenza delle due torri, a quote diverse, si rivelano rispettivamente nella parte alta, laddove la muratura che contiene il portale d'ingresso appare ripresa sul contorno con sfalsamento di piano; e, nella parte bassa, nel raddoppio di muratura laterale all'androne di accesso e nel basamento scarpato. Originariamente il castello era racchiuso da una cinta muraria con una torre cilindrica all'angolo SO e si componeva di due corpi distinti, di cui uno a quota più bassa dove si apriva il portone di ingresso. Da qui partiva un lungo androne che si immetteva su una rampa gradonata, la quale si collegava con il secondo corpo: l'edificio vero e proprio. Ingenti sono stati i danni causati dal sisma del 1980. Il corpo di fabbrica basso, caratterizzato da muratura in pietrame, orizzontamenti a volta e coperture a tetto, ha subito crolli nel prospetto, nelle volte e parzialmente nel tetto; l'edificio più alto, pure con mura in pietra con orizzontamenti piani di legno e coperture a tetto, ha subito notevoli danni, con crolli parziali nel prospetto, totali per gli orizzontamenti e la copertura, e quasi per intero per gli altri prospetti. Ha ceduto pure la rampa gradonata con l'annesso viadotto archivoltato, ed infine la torre cilindrica a SO della cinta muraria».
http://www.comune.balvano.pz.it/ReadContents.do?id_root=18&command=1
Baragiano (resti del castello, borgo)
«Un documento del 1124 indica che Baragiano apparteneva a Landolfo, principe longobardo. Nel Catalogo dei Baroni (1150-1168) è feudo di Riccardo di S. Sofia. Fu successivamente possesso dei De Sangro, degli Alagno, dei De Frisco, dei Caracciolo, dei Rendone, dei Caracciolo di Avellino, degli Arcella Caracciolo ed infine dei Caracciolo di Torella fino all’abolizione della feudalità. I baragianesi diedero prova di spirito di iniziativa e di attaccamento alla libertà nel 1799, battendosi per la repubblica partenopea e nel 1860 prendendo parte attiva alla spedizione di Garibaldi. Nel 1861 il paese fu occupato dai briganti, comandati dal picernese Saverio Cerbasi, detto Spavento, che diffusero panico tra la gente fino all’arrivo della truppe regolari. In questi secoli di storia baragianese, contrassegnata dalla miseria e dalla fame, la religione ha rappresentato l’unico barlume di speranza per la gente del posto che prima di recarsi in campagna era solita assistere ad una cerimonia religiosa. Attraversando il centro storico sono visibili una serie di portali di case gentilizie in pietra e di pregevole fattura. Da notare il Palazzo Iura e il Palazzo Venetucci. Nella parte alta dell'abitato, poco distante dalla chiesa madre, è ciò che rimane dell’antico Castello, oggi adibito a civili abitazioni. Di recente sono state individuate agli spigoli e nelle solide mura, delle grosse pietre di arenaria compatta del luogo, contrassegnate da lettere greche, deducendo che per la costruzione del castello furono usate le pietre della cinta muraria del VI-V secolo a.C.».
http://www.old.consiglio.basilicata.it/conoscerebasilicata/cultura/percorsi/pdf_comuni/baragiano.pdf
Barile (borgo, palazzo Caracciolo della Torella)
«Barile è ubicato su un costone del Monte Vulture, maestoso vulcano, spentosi in tempi preistorici. Le sue origini sono abbastanza antiche. Fu ritenuta una colonia greca per il ritrovamento, nel suo territorio, di molte monete consolari e medaglie risalenti al tempo di Roma repubblicana. Tuttavia è certo che fu fondata da una colonia di albanesi provenienti da Scutari e da Croia nel 1464, come attesta una parte dell’abitato, scavata nel tufo, detta ancora oggi degli “Scuteriani”. Nel 1534 Carlo V vi fece inviare un’altra colonia di Corone, imbarcata su 200 navi mercantili. Un altro gruppo di profughi di Marina arrivò nel 1647 che popolò ulteriormente l’abitato. Ancora oggi permangono il tipo etnico e il dialetto albanese con speciali manifestazioni tradizionali. Delle feste caratteristiche sono notevoli quella detta “Vlame” (abbreviazione della frase albanese “sì vla ham” cioè "come fratelli mangiamo" e quella della Madonna di Costantinopoli (santuario a qualche chilometro dal paese). Detta chiesa, posta sulla S.S. 93 è costruzione del XV secolo e conserva nel suo interno una contemporanea tavoletta bizantina, con la Madonna di Costantinopoli. Del periodo feudale resta il palazzo baronale dei Torella, modificato e restaurato dopo il terremoto del 23 novembre 1980. A Barile è rimasto in uso il rito religioso greco-albanese fino al 1627 quando il vescovo di Melfi ne impose la soppressione e l’uso di quello latino. ... Di grande richiamo la Processione dei Misteri del “Venerdì Santo”, che si rinnova ormai da quasi 300 anni e che vede la partecipazione di un centinaio di personaggi». Qui Pier Paolo Pasolini girò alcune scene del film Il Vangelo secondo Matteo (1964).
http://www.basilicata.cc/lucania/barile/index.htm
Bella (resti del castello aragonese)
«Bella è un piccolo comune che ha origine nel periodo medioevale. Si sviluppa nel periodo normanno-svevo ed è caratterizzato da una fase di crescita fino al Rinascimento. Segue, nel XVII sec., un periodo di povertà dovuto alle carestie e ai disastri causati dal terremoto. Il secolo successivo è caratterizzato da una fase di ripresa. Nel 1800 la storia è arricchita dalle vicende dei briganti. Tra le memorie artistiche ed architettoniche del paese, figura il castello aragonese risalente all'anno 1000, ma completato nel 1567. Dopo varie modifiche e opere di restauro, della struttura originale rimangono oggi solo il portale e due delle quattro torri».
http://www.vacanzeinbasilicata.it/Basilicata/Potenza/Comuni/Bella/
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Sorge su un colle scosceso e difficilmente raggiungibile. Nel medioevo si presentava protetto, secondo il metodo delle fortificazioni longobarde, con le case addossate le une alle altre, che costituivano una valida difesa da eventuali attacchi nemici. Potremmo definire il castello come una corona posta sul borgo medievale di Brienza. Una corona preziosa, perché, secondo la leggenda, custodisce il tesoro di donna Bianca, castellana conturbante e vittima dei pirati saraceni. Un'altra antica tradizione attribuisce al castello 365 stanze, una per ogni giorno dell'anno. La storia di questa fortificazione corre parallela a quella della Basilicata medievale: le origini longobarde, la conquista normanna, il passaggio a Federico II e poi agli Angioini, del cui controllo rimane traccia nel mastio cilindrico, che emerge dalla massiccia mole, e nella semitorre circolare, situata al centro della cinta muraria per interrompere l’uniformità della cortina e assicurare una più efficace difesa. I Caracciolo la acquistarono nel XV secolo e più di altri si prodigarono per la crescita del loro feudo. A loro si devono i successivi ampliamenti e la singolare forma, quasi triangolare, su tre piani. L’ultimo vero feudatario fu, nel 1700, Litterio Caracciolo che si adoperò molto per il paese: arricchì il castello di numerose opere d’arte, e rifondò, nel 1788, il “Monte del S.S. Rosario di Brienza”, istituzione benefica che aveva lo scopo di assistere i poveri del luogo, cui forniva medicamenti gratuiti, assicurando quattro maritaggi all’anno. Istituì altresì la Scuola Normale per l’insegnamento ai bambini di ogni ceto sociale. I Caracciolo, con alterne vicende, rimasero proprietari dei feudo e del castello fino al 1857, anno in cui l'ultima esponente della famiglia, Maria Giulia, lo lasciò in eredità al nipote Luigi Barracco. Iniziò da questo momento la lenta decadenza del maniero; infatti, alla morte del Barracco, il feudo passò a vari feudatari e amministratori che smantellarono progressivamente il castello e lo lasciarono in completo abbandono. L'ultimo proprietario, il De Luca, lo donò, infine, a Francesco Mastroberti, il quale cominciò a vendere quanto di vendibile rimaneva nell'antica costruzione per mantenere i suoi 18 figli in un paese che non aveva ormai più niente altro da offrire. Il maniero, che all'inizio dei 1900 era stato dichiarato di interesse storico, subì, in seguito al terremoto del 1980, il crollo della parete est e della parete sud. A seguito di lavori di restauro, sono stati portate alla luce e recuperate le originarie pavimentazioni di numerosi ambienti e ritrovate varie statue, in pietra dura locale. Durante l'estate, il borgo antico e il Castello sono lo scenario e i soggetti principali di numerose manifestazioni e rievocazioni, tra le più importanti della regione, che continuano ad attrarre migliaia di visitatori».
http://castelliere.blogspot.it/2011/02/il-castello-di-mercoledi-9-febbraio.html
Brindisi DI Montagna (castello di Pietra Morella)
«Fuori dell’abitato di Brindisi di Montagna esisteva un villaggio con masseria fortificata dal nome di Pietra Morella. Qui esisteva già un cenobio “basiliano”, ma nel XVI sec. pervenne ai Padri Certosini di Padula ai quali fu donato dal Principe Nicola S. Severino. Nacque la grancia di S. Demetrio, eretta per designazione del rettore Gerardo Church, detto Dionisio Canonico Potentino. La Grancia fu dedicata a S. Demetrio da Irene Scanderbergh, figlia dell’eroe albanese e moglie del S. Severino. Nel 1700 i Certosini estesero i possedimenti su tutto il feudo ampliando l’antico fabbricato sede del cenobio costruendovi abitazioni, mulini e ovili. Il monumento è riconoscibile da una torre di avvistamento con merlatura che sormonta un edificio il cui ingresso è costituito da un grande portale in pietra. La struttura sembra essere databile alla metà o fine del XVI secolo. Sul lato opposto vi è un altro ingresso che conduceva ad una cappella dove agli inizi di questo secolo si trovava un altare barocco ed una statua di S. Lorenzo. La costruzione ricalca i dettami di S. Bruno, fondatore dell’Ordine monastico certosino, finalizzato al ritiro e alla contemplazione».
http://www.old.consiglio.basilicata.it/conoscerebasilicata/cultura/percorsi/castelli/brindisi_pietramorella.htm (a cura di P. Rescio)
Brindisi DI Montagna (ruderi del castello longobardo)
«Del castello di Brindisi di Montagna sono ancora oggi visibili, seguendo il corso del fiume Basento, all’altezza di Serra del Ponte e a sud di Monte Romito (946 m.), i monumentali ruderi, ultimi resti di un’antica opera fortificata medievale, divenuta prima residenza e poi dimora stagionale di alcune famiglie importanti della nobiltà meridionale. Il castello, fondato su due gobbe rocciose, con i suoi 877 metri sul livello del mare si staglia su di un paesaggio ricco e vario che va dai toni aspri del blocco roccioso arenario, che cade a strapiombo sul lato occidentale della rocca, a quelli più dolci della trancia certosina di San Demetrio, a nord del sito fortificato. Alla rocca si accede attraverso varie strade. La più importante di queste parte dal belvedere, all’estremità meridionale del sottostante abitato, nei pressi della chiesa di San Vincenzo, e si inerpica tra spuntoni rocciosi che solo a tratti lasciano intravedere le muraglie del castello. Dopo una salita ripida e una doppia curva, propizia per eventuali imboscate dei difensori del castrum contro il nemico in assalto, si offrono allo sguardo alti totem murari che evocano un passato antico e sofferto. II complesso difensivo è costituito da tre elementi principali. II primo, centrale, sorge a mezzacosta lungo il dorso roccioso della collina, con differenti livelli a monte e a valle. II secondo, all’estremità settentrionale, è dato da una torretta, che sorta come punto di avvistamento, venne poi trasformata dagli Antinori in una cappella dedicata a San Michele. L’ultimo elemento si allunga sulla sommità della seconda gobba, a sud del corpo centrale, e presenta poche ma significative tracce murarie incastonate, ancora una volta, tra elementi rocciosi. La presenza di feritoie e la sua posizione sovrastante l’incrocio tra i due tratturi di accesso alla rocca fanno pensare ad una originaria funzione difensiva.
La prima notizia documentata sul castello risale al 1240. Dagli Statuta Officiorum emanati da Federico II sappiamo che il castrum Brundusii de Montana rientrava in quell’elenco di 29 castelli demaniali e domus imperialibus solaciis deputate, facenti parte del Giustizierato della Basilicata, e alla cui manutenzione dovevano provvedere, in maniera sistematica, gli abitanti delle università vicine. Il Castello faceva parte di una fitta rete di vedette e di presidi che costituivano il sistema di difesa e di controllo del territorio del Regno delle Due Sicilie che l’imperatore svevo, in parte, aveva ereditato dagli antenati Altavilla. La struttura fortificata si trovava in una posizione dominante l’alta valle del Basento. Nel medioevo il fiume, in mancanza di strade, rappresentava una delle principali vie di comunicazione. Attraverso tratturi che lo costeggiavano o mediante la navigazione, che era possibile soprattutto verso la sua foce, il Basento collegava vaste aree interne della Basilicata alla costa ionica, lungo la quale si snodava una catena di castelli che sorgevano lungo gli itinerari che le truppe militari, di scorta agli ufficiali imperiali o allo stesso imperatore svevo, percorrevano nei frequenti spostamenti tra la Capitanata e la Sicilia. Il castello di Brindisi non ha l’impianto planimetrico né i caratteri formali e tanto meno le tecniche costruttive di un tipico castello federiciano, sia perché ha subito varie trasformazioni a partire dall’epoca angioina e sia perché esisteva prima degli Svevi. Il castello conserva però, ancora molti elementi e caratteri tipici di strutture fortificate normanne. Innanzitutto l’ubicazione periferica della rocca rispetto all’abitato che è una costante di molti centri normanni dell’Italia meridionale, sia quelli importanti come Messina, Catania, Palermo, Melfi, Aversa, sia altri meno noti, nelle immediate vicinanze di Brindisi, come Calvello e Anzi. ...».
http://potenzaedintorni.wordpress.com/2013/01/07/il-castello-di-brindisi-di-montagna
redazionale
Campomaggiore (resti del Casino della Contessa)
«A circa 3 Km dal paese di Campomaggiore Vecchio, si incontra il Casino della Contessa residenza estiva della famiglia Cutinella Rendina. Edificata a cavallo dei secoli XVIII e XVX la costruzione è una compatta villa di campagna, strutturalmente nitida e sobria della sua essenzialità di forme e linee, che comprende anche la fortificazione sul lato posteriore opposto al fronte, ed espresso da un imponente torre ellittica centrale con ampio finestrone a tutto sesto, su alti piedi dritti. Interessante il prospetto principale, scandito a piano terra da un avancorpo con nove fornici archivoltati a tutto sesto, di cui i tre centrali sono definiti da un ulteriore oggetto che, si replica al piano superiore distinto da una serie di nove finestroni in stile neoclassico con frontoni tagliati».
http://www.comune.campomaggiore.pz.it/index.php?btitle=CE&ceid=41&func=display&module=ContentExpress
Campomaggiore (resti del palazzo baronale Cutinelli-Rendina)
«Il palazzo baronale detto di Rendina, è composto da un grande fabbricato con apertura centrale e da una corte retrostante sicuramente seriore. Di esso è visibile soprattutto il versante nord che si affaccia sulla 'Piazza Rendina', dato che probabilmente si trova sulla spianata del paese e quindi meno soggetto ai movimentifranosi. Resta comunque leggibile l'intero impianto quadrilatero terminante con appendici di rinforzo a scarpa anch'esse quadrate. Il lato principale affacciatesi sulla Piazza dei Voti e verso la Chiesa Madre, misura 24,60 metri senza appendici, con esse invece circa 39,45 metri, mentre il lato settendrionale misura complessivamente 36,20 metri. L'ingresso principale, un tempo intatto ed oggi spoglio dei conci dell'archivolto e dei piedritti, doveva possedere una luce di circa 3,70 metri ed immetteva attraverso un breve corridoio, di 5,40 x 5,80 metri, in un giradino interno sotto il quale furono scavati in trincea, nella viva roccia, due cunicoli grosso modo larghi 2 e profondi circa 4 metri, voltati a botte, con probabili funzioni di raccolta di acqua piovana servita da tubazioni ubicate presso le nicchie ricavate ai quattro angoli del giardino».
http://www.comune.campomaggiore.pz.it/index.php?btitle=CE&ceid=41&func=display&module=ContentExpress
«Uno degli emblemi di
Cancellara è il castello, che domina sul paese. Esso, pur degradato per
l’incuria umana, ha conservato una certa integrità tanto da prestarsi come
testimonianza della storia della Basilicata. Purtroppo in attesa degli
urgenti lavori di ristrutturazione deve affrontare anche il problema della
proprietà. Il castello fu costruito dalla famiglia Acquaviva d’Aragona
intorno al 1300 e fece da residenza feudale agli Acquaviva, ai Carafa, ai
Caracciolo, ai Pappacoda. L’articolazione planimetrica è varia e complessa,
ma unica e suggestiva. Le cortine murarie hanno elementi artistici
significativi come portali bugnati, decorazioni, fregi, cornicioni in pietra
lavorata, ma come detto a causa di una mancata custodia e dei danni relativi
al sisma del 23-11-1980 e dell’avvento dell’uomo, che sfrutta i locali a
pianoterra come stalle, il castello perde molto della sua bellezza. Le
intenzioni rivalutative del castello prevedono l’inserimento di funzioni
collettive in modo da farne punto d’aggregazione riqualificando il tessuto
urbano circostante. Il castello si erge sulla sommità della collina che
ospita il borgo antico. Per chi giunge a Cancellara da Potenza, la mole del
costrutto appare nella sua imponenza e appare evidente la costruzione
adibita alla difesa. è
formato da un insieme di corpi di fabbrica a 3 livelli che racchiudono un
cortile interno quadrangolare. Il capo esposto a Sud si affaccia su uno
strapiombo di 40m. Sul lato Est si erge un torrione quadrangolare avanzato
rispetto all’edificio. Di fianco alla torre c’è l’ingresso principale
preceduto da una lunga gradinata e da un piccolo cortile racchiuso da muri
di cinta a sacco. Le parti più antiche sono caratterizzate da una muratura
di pietrame con una forma molto irregolare che denota una scarsa
lavorazione. Le murature più recenti sono invece più squadrate e raffinate.
Le finestre a Sud sono disposte su 3 file allineate verticalmente con
scansione regolare; mentre quelle a Nord appaiono disposte in maniera più
caotica. Elementi non attinenti col resto sono una finestra trilobata sulla
cappella e il vano del balcone della torre quadrangolare.
Il portale ha l’archivolto e i piedritti rivestiti da bugnato, decorato
forse in stile barocco, invece risultano più lineari le bugne del portale di
accesso al cortile esterno. Per quanto riguarda il primo livello
(seminterrato) è costituito da vani. Il primo è collegato con il cortile
esterno tramite un portale decorato e munito di volte a crociera ed è
denominato antiportone. Il vano successivo presenta un soffitto costituito
da travi di legno. Inoltre troviamo altri due luoghi con volte a unghia. Un
sinuoso e scomodo passaggio scavato nel muro funge da accesso ai due
ambienti della cappella: entrambi con volte a crociera e a botte. Tutto il
primo livello serviva come deposito di fieno, mansione che ancora oggi
assolve. Il cortile interno è di forma trapezoidale e presenta un piano di
calpestio inclinato e per accedervi bisogna superare una gradinata. Sul
cortile interno si apre un vano che dà accesso ad un altro ambiente
sotterraneo che è caratterizzato da grossi archi inseriti nella muratura del
lato Nord e un bassorilievo raffigurante uno stemma sorretto da due figure
nude e tozze. Da questo cortile si accede al secondo cortile. L’ala
meridionale è costituita da sette vani quadrangolari esposti a Sud. Fra
questi, due presentano volte ad unghia con tracce di affreschi. Da un altro
vano si accede al terrazzino dove troviamo tramezzi costituiti da mattoni
forati che non permettono la lettura immediata degli spazi originali. La
parte occidentale del secondo livello è costituita da due grandi vani con
solai in ferro. I restanti vani sono distribuiti in modo caotico. Infine
abbiamo il terzo livello ormai privo di tutti i vani dell’ala occidentale,
demoliti in seguito al sisma del 1980. Da notare la presenza di una scala a
pioli che permette il raggiungimento del sottotetto della torre. Il
frazionamento proprietario del castello ha fatto si che l’intero assetto
venisse modificato facendo assumere al castello l’aspetto di un condominio.
Le ultime ristrutturazioni del palazzo sono state eseguite dopo i terremoti
del 1930 e del 1980, ed hanno comportato anche la demolizione di alcuni
ambienti».
http://www.altobradano.it/cancellara_castello.htm
Castelgrande (resti del castello)
«Castelgrande sorge alle pendici meridionali del "Toppo di Castelgrande". Il territorio confina con quello di Pescopagano. Le sue origini risalgono al periodo gotico in cui il paese appare con nome di “Castrum Grandinis”. Il centro storico si sviluppò, come quello di tutti i comuni della Comunità Montana Marmo-Platano, nella tipica forma di agglomerato fortificato durante il primo medioevo, quando la popolazione abbandonò i casali sparsi nel territorio, diventati troppo insicuri a causa dei frequenti attacchi nemici. Del castello costruito in epoca longobarda [secondo altri studiosi, angioina], oggi rimangono solo resti di due torri a pianta quadrata. Nel periodo normanno-svevo fu dominio dei conti di Balvano. Successivamente fu assegnato ai Sanseverino da Carlo I d'Angiò. Seguirono i Durazzo, Giovanni Pipino, Carlo Ruffo di Montalto e Giorgio d’Alemagna, un nobile di origine tedesca che probabilmente ottenne il feudo per meriti militari. Alla fine del '400 passò ai Carafa di Stigliano col titolo di ducato. Gli ultimi signori furono i d’Anna di Laviano. Negli anni '60, indagini lungo il pendio del monte hanno portato a conoscenza dell'andamento dell'antica cinta di fortificazione che in parte conserva l'altezza l'originaria. A Castelgrande ha sede l'Osservatorio Astronomico dotato di un telescopio che attualmente è il più grande in Europa».
http://www.fabrizioricciarelli.com/cmplatano.it/comuni.asp?c=castelgrande
Castelluccio Superiore (resti del castello)
«Castelluccio Superiore è un paese di origine medioevale di epoca precedente a Castelluccio Inferiore. Avendo un'origine antichissima è stato difficile per gli storici rilevare se questo paese nacque sull'Antica Tebe Lucana o fu costruito da un certo Lucio Capitano lucano a cui fu dedicato il fatidico Castel di Lucio che darebbe nome al paese. In quest'epoca si creò un borgo ai piedi dell'eminente roccia con le prime contrade (Santa Lucia, Sant'Anna e Rizzano) i cui abitanti facevano capo alle famiglie feudatarie e abitatrici del Castello, posto a propugnacolo per la difesa delle incursioni straniere. Il Castello aveva due porte di accesso, per una delle quali si ricorda ancora la denominazione di Porta Castello. È noto che entrambi i comuni (Castelluccio Superiore e Inferiore) per tutto il secolo XVI erano uniti sotto un'unica amministrazione e un'identica direzione spirituale, ma ciò creava non pochi problemi. Il Giustiniani scrive: "Finalmente debbo avvisare, che nel territorio di questa terra si sono ritrovati molti idoletti, vasi, e di antichissima struttura, medaglie, sepolcri e specialmente nel luogo dove si dice la Croce, in Pietrasasso, e Fornace, segni tutti di esservi stata nell'antichità qualche popolazione distinta, e forse quella appunto di Tebe Lucana". Ma non si può accertare se la Tebe Lucana abbia dato origine a Castelluccio. L'insediamento e l'architettura del centro hanno caratteristiche medioevali, esso fu feudo dei Sanseverino, dei Palmieri, dei Cicinelli e dei Pescara».
Castelmezzano (rovine del castello normanno, palazzi gentilizi)
«Castelmezzano è un comune in provincia di Potenza, tra i tesori più belli della Basilicata. ... La struttura urbana di Castelmezzano è tipicamente medievale, un agglomerato concentrico di case con tetti a lastre di pietra arenaria incastrate in una conca rocciosa. Passeggiare per il centro storico è particolarmente suggestivo per la presenza delle costruzioni inserite nella nuda roccia, per le numerose scale ripide che si aprono tra i vicoli e che invitano a salire alle vette sovrastanti e godere dei meravigliosi panorami delle Dolomiti Lucane. Proprio questo rapporto equilibrato del centro abitato con le componenti naturali, rispettando il paesaggio circostante, ha permesso a Castelmezzano di essere definita città-natura ed inserita nel club de I borghi più belli d’Italia. Cuore della vita cittadina è piazza Caizzo al cui centro si erge la chiesa madre di Santa Maria dell’Olmo con la sua maestosa facciata in stile romanico, rivestita con pietra locale a faccia vista e scandita da quattro colonne ed un architrave decorato da fiori, leoni e aquile a due teste. ... Percorrendo la strada principale del paese, partendo dal palazzo del Municipio, si raggiungono i ruderi del castello, di probabile epoca normanna anche se le notizie sulle origini sono poche ed incerte, oggi sono ancora visibili una parte del muro di cinta, resti di mura rialzati sulla roccia, una cisterna per la raccolta delle acque meteoritiche, e la lunga e ripida scalinata scavata nella roccia che porta ad un probabile posto di vedetta, da dove era possibile sorvegliare la sottostante vallata del fiume Basento. Non meno notabili sono i palazzi di questo piccolo centro. A cominciare dal Palazzo Ducale appartenuto ai De Lerma, ultimi signori di Castelmezzano, che si trova nelle vicinanze del castello dove aveva dimora la guarnigione del duca. Il palazzo, databile al XVIII secolo, presenta sulla facciata principale un maestoso portale con grosse bugne sovrastato da un grande loggiato. Palazzo Coiro, situato alle spalle della chiesa madre e costruito nel XIX secolo, presenta vari balconi sorretti da mensole e ringhiere in ferro battuto di pregevole fattura, la facciata che si apre sulla strada principale presenta un bel portale in pietra locale».
http://www.volodellangelo.com/ita/web/item.asp?nav=6
CASTROCUCCO (palazzo baronale Labanchi)
«Si trova in località Secca di Castrocucco. Fu costruito nel XVI secolo, e, nel 1860, ospitò per una notte Giuseppe Garibaldi, di passaggio durante la spedizione dei Mille. L'edificio si distingue per la presenza di due massicce torri circolari, che rendono l'aspetto di una fortificazione. Il palazzo è sotto la tutela del Ministro dei Beni Culturali dal 1979».
http://it.wikipedia.org/wiki/Maratea#Palazzi
Castrocucco (ruderi del castello)
redazionale
«La Torre Caina è una delle antiche torri costiere del Regno di Napoli, si trova sulla punta omonima nel territorio del comune di Maratea, in provincia di Potenza, nei pressi della frazione Marina. La sua costruzione fu ordinata nel 1566, e portata a termine pochi anni dopo. La pianta è quadrata, con base troncopiramidale piena. Ogni architrave presenta tre caditoie in controscarpa. La volta della torre, oggi quasi completamente crollata, era a botte. La muratura ha uno spessore di oltre 2 m, costituita da pietre non squadrate».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Caina
CERSOSIMO (borgo, palazzo Valicenti)
«Patrimonio architettonico (religioso, civile e rurale) e artistico. Resti della cinta muraria del sec. IV a.C. o Resti del monastero basiliano di Kyr-Zosimi (sec. XI) in prossimità dell'ingresso del vecchio paese. Muratura in pietre di diverse dimensioni disposte orizzontalmente e legate con malta e calce. Chiesa parrocchiale. Resti della Chiesa di S. Maria di Costantinopoli. Palazzo Valicenti del secolo XVII (via Roma). Portali scolpiti in pietra nei palazzi signorili (sec. XVIII-XIX) opera degli scalpellini locali.Il primo agglomerato sorse sul monte Castello, nel IV secolo prima di Cristo per opera di popolazioni lucane provenienti dall'Appennino centrale appartenenti ai gruppi di lingua osca; e fu dotata di un sistema fortificato. Probabilmente fu in contatto con le colonie greche o addirittura fu abitata dai greci - come dimostrerebbe l'impianto difensivo, nel processo di ellenizzazione del territorio. Nel III secolo a.C. ci fu un progressivo abbandono a causa della comparsa di Roma in Magna Grecia e della sua rapida affermazione militare e politica. Nel Medioevo fu ricostruita, più a valle, come casale agricolo ... Nell'XI secolo, sotto i Normanni, appartenne ai Benedettini di Cava e, successivamente, a varie famiglie di feudatari, tra le quali i Sanseverino e i Pignatelli. Nel Cinquecento l'abitato fu rifondato, assumendo l'attuale impianto urbano, e fu soggetto allo "Stato di Noia" (odierna Noepoli), che aveva avviato la colonizzazione agricola del territorio del fiume Sarmento. Tra il Seicento e l'Ottocento fu abbellita con palazzi e con pregevoli opere in pietra degli artigiani locali» - «Il nucleo originario del paese, composto da abitazioni molto semplici e di piccole dimensioni realizzate con materiali poveri, risale alla seconda metà del XVI secolo quando fu feudo dei Pignatelli. Per le vie della città s’incontrano interessanti fontanine in ghisa, realizzate negli anni Venti e testimonianze storiche del periodo fascista, caratteristici portali ad arco in pietra locale molto resistente ed alcune porte di legno, finemente scolpite con figure fantastiche. Le moderne abitazioni sono disposte a schiera secondo un allineamento da Nord a Sud con strade parallele ed ampie. ... Palazzo Valicenti. Del XVII secolo, il più antico dei palazzi nobiliari del paese. Esso è dotato di un portale in pietra scolpita, di un cancello in ferro battuto e di splendide inferriate in ferro e ghisa, testimonianza dello splendore dell’artigianato locale in quel periodo».
http://www.metropolis.it/comuni/storia.asp?LUNG=3000&pag=1&ID=76027 - http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/potenza/cersosimo...
Cersuta (torre Apprezzami l'Asino o Torre Melesino o dell'Armo)
«Cersuta è una frazione del Comune di Maratea e si trova a circa 6 km dal centro storico di Maratea. è costituita da un gruppo di case sul mare, il suo paesaggio è caratterizzato dalla presenza predominante del massiccio del monte Cerreta (alto 1077 metri), imponente rilievo che abbraccia l’intero abitato e che affonda direttamente nel mare, creando una costa abbastanza alta, interrotta solo da alcune piccole spiagge. Le spiagge di Cersuta sono sostanzialmente tre: Rena d’a Carrubba, una piccola lingua di spiaggia situata a nord dell’abitato di Cersuta, raggiungibile solo dal mare. Nei suoi pressi si trova una bellissima grotta, chiamata con lo stesso nome della spiaggetta, ricca di conche. Renicedda, altra piccola spiaggia chiamata anche spiaggia di Capo la Nave o cala d’i Africi, si trova sotto l’abitato di Cersuta. Rena d’u Nastru, una spiaggia ampia, caratterizzata da una sabbia molto scura, che si trova sotto la Torre Apprezzami l’Asino. Leggenda vuole che la frazione deve il suo nome alla grande quantità di querce (Cerse) presenti nei pressi dell’abitato. Pare che sia nata con lo stanziamento di alcuni pastori calabresi che nel XVII secolo vi costruirono anche una chiesa. Nel 1930 fu collegata con le altre frazioni di Maratea grazie alla Strada Statale 18, attuale strada Costiera. A Cersuta si può visitare la Chiesa della Madonna Addolorata e la Torre Apprezzami l’Asino (anche detta Melesino), una delle antiche torri costiere del Regno di Napoli. Costruita nel 1566, è stata recentemente restaurata come monumento. La torre risulta essere costituita da due corpi, diversi per forma ed epoca. Il più antico, quello interno è di forma circolare, il secondo è quello esterno, che racchiude il primo, ed è di forma troncopiramidale. La Torre deve il suo nome a una curiosa storiella: la torre si trova sopra quella che era l’unica e strettissima strada che conduceva da Sapri a Maratea, e quando due asini (con i rispettivi padroni) si incrociavano non c’era spazio materiale per far passare entrambi. Non restava altro che apprezzare quale animale avesse minor valore e, per fare strada libera, farlo precipitare in mare. Cersuta è collegata dalla SS 18 a nord con Acquafredda ed a sud con Fiumicello. Questa strada Costiera rappresenta l'unica strada per arrivare a Cersuta».
http://www.vacanzeamaratea.it/cersuta.htm
Chiaromonte (palazzo di Giura, torre cilindrica)
«A pochi metri dal Seminario è situato il Palazzo di Giura, nobile famiglia chiaromontese, la cui storia si intreccia con quella del paese. Fa bello spicco la Torre circolare, con le sue merlature, le sue finestre bifore e la lapide in marmo che ricorda Giovanni Di Giura, illustre patriota che nel 1799 piantò nella piazza del paese l’albero della libertà e per questo fu rinchiuso all’interno della torre. La Torre, ricostruita su un’altra antica torre medievale della cinta muraria esterna, racchiude al suo interno l’importante biblioteca dei Baroni di Giura, con numerosi testi cinesi, molti dei quali sono stati tradotti in italiano dal Ten. Col. Medico Dr. B.ne Ludovico di Giura e altri che sono stati scritti direttamente in cinese e mancese dallo stesso Dr. Di Giura, fondatore di ospedali in Cina e medico personale dell’imperatrice Tze-Hsi e dell’imperatore Pu Yi agli inizi del secolo scorso. Nello stesso prospetto, oltre la Torre, è inserito uno splendido portale in pietra, finemente lavorato, abbellito da volute, da un volto e dallo stemma con il motto di famiglia (modus ed ordo). Dal Palazzo di Giura, si diparte in direzione nord, la cinta muraria, che comprende torri quadrate e rotonde (in tutto nove), molte delle quali visibili dal bellissimo giardino del Palazzo. ... Ritornando, sullo stesso percorso, attraversando Piazza Mercato, si può salire fino sulla sommità del paese (monte Catarozzolo) costeggiando l’antica cinta muraria. Sulla strada che porta in cima è possibile scorgere una torre rotonda medievale, dalla quale si diparte un muro, in direzione sud, munito di torri rotonde e quadrate, che si ricongiunge alla citata Torre di Giura».
Chiaromonte (torri della Spiga, resti del castello o palazzo Sanseverino)
«Il nome Chiaromonte deriva da Clarus Mons. L’abitato sorgendo in cima a una collina, dominava tutto il territorio circostante. Chiaromonte già nel VII sec. a. C. fu una cittadina fortificata, la roccaforte principale fu distrutta tra il 73 e il 71 a. C. dal console Crasso. Alcuni resti di fortificazioni sono ancora presenti oggi sul territorio. Il paese, nel periodo medioevale, fu conquistato prima dai Longobardi poi dai Bizantini, in seguito fu distrutto da un terremoto e fu poi ricostruito dai Normanni. Fu il feudo della famiglia Chiaromonte, da cui prende il nome, e poi dei principi Sanseverino-Bisignano. Il centro storico del paese conserva le sembianze medioevali, vi sono ancora oggi tracce delle tre cinte murarie che circondavano l’abitato, quelle visibili risalgono al XIII sec. Il Portello, la porta più antica , da cui ha preso il nome il rione che oggi sorge lì, indica la cinta muraria più esterna, posta sotto la chiesa madre. Il castello di Chiaromonte era un antico castello baronale con torri e merlature, nel XVI sec. venne ampliato e abbellito dalla famiglia dei Sanseverino, una casata del Regno di Napoli che aveva numerosi feudi in Italia Meridionale. Fino a pochi anni fa una parte del castello è stata utilizzata per crearci un orfanotrofio. Oggi al posto del castello sorge il Palazzo di Giura costruito intorno al 1700. Un altro resto del passato sono le Torri della Spiga, che facevano parte delle antiche mura che circondavano l’antico abitato. Le Torri, una a pianta cilindrica, l’altra a pianta rettangolare, dominano il paese, ad esse vi si accede attraverso percorsi interni o esterni al paese. La collina del Castello, nel corso degli anni, è stata scavata interamente per crearci le grotte per conservare il vino».
http://www.basilicatawiki.it/index.php?title=Castello_di_Chiaromonte_e_alla_Torre_della_Spiga
Corleto Perticara (resti del castello)
«Le origini di Corleto Perticara sono databili al XII secolo, quando il sito sorge attorno al vecchio castello feudale. La storia di questo paese è segnata da un succedersi di conquiste e colonizzazioni, con l’assoggettazione di popoli e signori: dai Normanni agli Svevi, dagli Angioini agli Aragonesi. Nel Cinquecento, sotto l’imperatore Carlo V, il feudo di Corleto Perticara passa ai De Castella e nel Seicento diventa marchesato di Casa Costanzo, per poi passare ai Riario. Seguirà il dominio borbonico, periodo in cui Corleto Perticara assume una posizione dominante nell’insurrezione lucana affermandosi come centro liberale. Percorrendo le strade del borgo sono ben nitidi i giorni del Risorgimento, dal momento che ci si ritrova in Via del Comitato, Via 16 agosto, Via Camillo Boldoni – che rammenta il colonnello cavouriano – e poi il sopportico della Bandiera, quindi Via Giacinto Albini, Largo Senise, Corso Pietro Lacava, per ricordare invece i patrioti protagonisti dell’insurrezione lucana antiborbonica. Dopo il 1860, è il brigantaggio postunitario ad attraversare Corleto Perticara. Il patrimonio culturale. A Corleto Perticara si possono apprezzare diversi e interessanti siti ed edifici che ne raccontano la storia e la gloria. Dell’antico castello feudale, attorno al quale è sorto il primo nucleo abitativo, restano solo poche arcate e oggi sui suoi ruderi è stato costruito il moderno Palazzo degli Uffici, in cui ha sede il Municipio. Proprio davanti alla struttura si apre Piazza Plebiscito, denominata “il fosso”, dal momento che in passato era il fossato che circondava il castello normanno. Nel complesso del castello è stato allestito inoltre il Museo comunale “Michele Lacava”, nel quale è conservato l’omonimo “Fondo” composto dai libri dei fratelli Lacava, in particolare Pietro, il quale è stato più volte ministro. Passeggiando ci si ritroverà di fronte anche l’antico Palazzo Lacava. ...».
http://www.basilicataturistica.it/territori/corleto-perticara/?lang=it
Le foto degli amici di Castelli medievali
«In pieno centro abitato sorge il castello che è come l'acropoli di Episcopia. è un vasto fabbricato variamente articolato, la cui originaria costruzione si potrebbe far risalire all'epoca longobarda. Utilizzato fin dall'origine come fortezza, fu successivamente adattato alle esigenze dei vari dominatori, che nei secoli successivi si sono susseguiti (saraceni, bizantini, normanni, svevi, angioini), i quali hanno ampliato, modificato e riutilizzato le precedenti strutture. Tali rifacimenti sono leggibili tuttora sulle facciate esistenti, dove sono facilmente individuabili varie stratificazioni murarie ed interventi intesi a modificare l'uso degli ambienti. Ha due torri contrapposte e differenti per tipologia, epoca ed utilizzo ed era munito di un ponte levatoio ed opere esteriori che ne rendevano difficile l'accesso. Offre una bella prospettiva e domina non solo il paese, ma tutta la valle sottostante, poiché è impiantato sopra un alto sperone roccioso, e costituisce, con questo, una forte ed unitaria emergenza territoriale. Intorno al 1090 la fortezza, sotto il regno normanno, fu trasformata in castello, ma durante i primi anni di questa dominazione (XI secolo), più che un maniero vero e proprio, dov'è trattarsi di una residenza fortificata da un recinto murario, entro il quale, probabilmente, vennero alloggiate le camerate della milizia, le scuderie, i depositi delle derrate e tutti i servizi più necessari. Ai tempi di Federico II, fra gli interventi di modifica apportati alla struttura sono da annoverare il riutilizzo di una torre e la ricostruzione dell'altra. La torre cilindrica, infatti, probabilmente preesistente anche alla dominazione normanna, ha subito varie trasformazioni. L'altezza originaria era notevolmente più bassa, come si evince dall'ordine di finestre, ora murate, che dovevano essere poste nella parte terminale della stessa e dalla brusca variazione dello spessore murario a quell'altezza. Le modifiche successive, non ultime quelle apportate dagli Angioini che la caratterizzano con elementi tipici dell'epoca, hanno trasformato la struttura ed il rapporto con gli altri ambienti originari.
La torre quadrangolare, costruita nel punto più elevato dello sperone roccioso e probabilmente sul basamento di una fortificazione preesistente, al lato sud (verso il borgo S. Croce), ha caratteristiche dell'epoca normanno-sveva. Anche questa ha subito trasformazioni e, previo abbattimento di un lato, è stata inglobata nella più ampia struttura del castello, probabilmente nel XVI secolo. Sono ancora visibili su di esse, le diverse stratificazioni murarie ed i molteplici interventi di trasformazioni ed adattamenti alle diverse epoche storiche. All'ingresso, sito alla base del camminamento costituito da un'ampia gradinata retta da una struttura ad arcate, sul grande portale, in alto, sono visibili degli affreschi raffiguranti uno stemma, composto da un guerriero ed un rettile, non precisamente identificabile. In cima alla gradinata del camminamento, ai lati del grande portone si distinguono i supporti del ponte levatoio e nello spazio, una volta occupato probabilmente da una sala del castello, si può ancora ammirare la cisterna. Sempre alla base del camminamento che porta al ponte levatoio, forse una volta inserita nelle mura, è ubicata una grande costruzione adibita a stalla, nella quale sono ancora visibili le poste per gli animali, e nello slargo attiguo, sicuramente fino al 1912, c'era una chiesa dedicata a S. Anna, forse luogo di culto dei signori, che vi si recavano per "veder la messa". Tutto il castello si presenta in discreto stato di conservazione, anche perché è stato sempre abitato, prima dai feudatari e poi, dopo l'eversione, da don Egidio De Salvo e dagli attuali proprietari. Un discorso a parte merita la torre che, semi diroccata in seguito ad un crollo avvenuto intorno al 1954, necessita di urgente restauro, se si vuole evitare che un ulteriore crollo ne cancelli l'esistenza».
http://www.sibasilicata.com/scheda_itinerario.php?id_prodotto_itinerario=139&
FIUMICELLO-SANTAVENERE (torre Santavenere o Imperatrice o Capitana)
«Solenne, con le sue linee austere, proiettata sui mitici flutti di Palinuro, a guardia di un passato che si confonde tra la leggenda e la storia, si erge la torre Santavenere. La vetustà delle sue mura, impregnate di salsedine, immerse tra il vere il profumo di balsamiche pinete ispirano memorie e leggende di tempi lontani. Tale costruzione fu una delle 379 torri fatte costruire dagli Spagnoli in tutto il regno di Napoli, a guardia di un territorio le cui coste erano infestate dal mare da bande piratesche, specialmente turche che, guidate da Adriadeno Barbarossa, razziavano e distruggevano paesi facendone schiavi gli abitanti. In conseguenza di tali continue incursioni, nel 1532 Don Pietro di Toledo emana un’ordinanza per la Costruzione ininterrotta, in tutto il regno, di torri costiere a scopo di difesa. Sarà il suo successore, Don Parafran de Ribera, duca d’Alcalà, a sviluppare, coordinare e rendere esecutivo tale progetto dando nel 1563 ordini e indicazioni per la costruzione delle stesse. Tali costruzioni, accolte prima con riluttanza dalle varie università, su cui grava parte della spesa per la loro realizzazione, sono poi dalle stesse sollecitate, come accade per l’università di Maratea che nel 1580 ricorre al viceré per la mancata costruzione di una torre, già ordinata dal governatore, conte di Briatico nel luogo detto di Acquafredda, presso la grotta della Scala, approdo e dimora di pirati. La torre Santavenere è una delle sei fatte costruire dagli Spagnoli a guardia della costa di Maratea. Il Pacichelli nella descrizione delle torri di Maratea così si esprime "Sei torri custodirono la sua riviera, l’ultima delle quali verso settentrione, divide il suo da quel di Sapri. Nel più nobile del mare, giudicasi la migliore del regno, quella gran torre, che viene detta Imperatrice, con più cannoni e il regale artigliere". Da sempre, dunque, la torre Santavenere, detta l’Imperatrice, è stata considerata, fino a qualche decennio fa, tra le più belle e meglio conservate tra quelle edificate nel regno di Napoli. La stessa struttura architettonica ne fa intuire la diversità della funzione difensiva. Tutte le torri costruite nella università di Maratea, risultano omogenee nella struttura: si tratta sempre della classica formula a tre caditoìe per lato (Crivi, Acquafredda, Apprezzarni l’asino, Caino) a cinque caditoie su tre lati (Filocaio) a caditoie multiple e monocaditoie (Santavenere). La complessità della struttura, quindi, e della mole, fa pensare che la torre Santavenere fosse una vera e propria torre di difesa, ben armata e protetta, oltre che da, mura robuste, superiori ai due metri di spessore, anche da un certo numero di soldati, al contrario delle altre torri, così dette guardiole poste sulla sommità delle colline e di impervi dirupi che hanno la funzione di mettere in comunicazione le torri marine o cavallare (munite di cavalieri a cavallo) con i paesi e le borgate dell’interno. Le torri marine, infatti, completano l’articolato sistema difensivo, e hanno la funzione di avvistamento e di mettere in stato di allarme le torri di difesa. La torre Santavenere, posta su un largo promontorio che si protende nel mare, con spiazzo alto di notevole ampiezza, in zona molto verde, piantumata ad alta fusto è raggiungibile facilmente dall’abitato di Fiumicello, ed è protetta da vincolo paesistico...».
http://www.calderano.it/Testi/Sergio/07.htm
Forenza (borgo, resti delle mura)
«Il paese ha ereditato il nome dell'antica Forentum romana, ma non il sito. La cittadina, che durante la dominazione longobarda fece parte del Gastaldato di Acerenza, è stata feudo, sotto la dominazione Normanna, tra le tante altre, della famiglia dei “Pagani”; mentre gli Angioini la affidarono ai Caracciolo e successivamente gli Asburgo la concedettero alla famiglia Doria, che ha governato lo Stato di Melfi sino alla caduta della feudalità. L'insediamento urbano appartiene al tipo a fuso di acropoli, arroccato su un pianoro alla sommità dell'altura, simile ad altri centri urbani della valle. I primi documenti attestanti un insediamento risalgono all’anno Mille. Allora, come per tanti altri centri lucani, la morfologia urbana era dominata dal confronto dialettico fra il Castello, qui collocato al centro del pianoro (l'attuale P.zza Regina Margherita), e l'emergenza religiosa della Chiesa di Santa Maria dei Longobardi, attuale edificio dell'Asilo Infantile in via Santa Maria. Nei secoli il Castello ha subito profonde trasformazioni perdendo gran parte del suo effetto di massa dominatrice, fino alla sua scomparsa; oggi il paesaggio urbano è dominato dalla Chiesa di San Nicola e Maria SS. di più tarda datazione. Forenza si presenta come una successione di aree edificate che riflettono le diverse epoche di costruzione, alle quali corrispondono diverse strutture morfologiche che si dispongono con andamento anulare intorno al pianoro. La città antica si può dividere in tre parti: il pianoro, corrispondente longitudinalmente all'attuale via San Nicola, con la superficie sommitale che delimita il primo insediamento, risalente al periodo alto-medievale; la prima parte della costa del colle sottostante il pianoro, sul versante ovest-sud-est, su cui si distende la città medievale delimitata dalle mura; la mezzacosta, con gli insediamenti sei-settecenteschi, fuori le mura. La trama urbana si compone di strade e rampe irregolari ed anguste, spazi a scala ridotta, che producono episodi spaziali molto frazionati. In queste testimonianze risiede il carattere di fondo della città di origine medievale, dove si possono cogliere gli elementi legati alla cultura materiale contadina, che elabora soluzioni costruttive e formali rispondenti ad un modello di esistenza semplice e immediata. Esperienza affascinate è perdersi nei vicoli che all'improvviso diventano chiusi e che altrettanto inaspettatamente si aprono sul territorio circostante. Diversi sono i resti di quelle che una volta erano le mura angioine del XIII secolo. Le torri, parti sostanziali delle mura, e i terrazzamenti si possono ancora oggi ammirare inglobate negli edifici di Salita Calvario, via dell'Arco, vico Tre Santi, via Tre Santi, Corso Umberto I».
http://www.comune.forenza.pz.it/Storia.php
Genzano di Lucania (palazzo marchesale De Marinis)
«Il Palazzo Marchesale De Marinis è di origine Angioina, risalente al XV sec. (ex castello), divenuto poi residenza estiva dei De Marinis. Fu colpito duramente dal terremoto del 25 gennaio 1813 e fu così trasformato in un palazzo a tre piani destinato a sede municipale. Ha subito gravi danni anche con il terremoto del 23 novembre 1980 ed è stato restaurato e consolidato tra il 1987 e il 1990. è caratterizzato da un portale d'ingresso in pietra ed un grosso orologio con campana, sistemata sul tetto».
http://www.avmstudio.it/lucusnet/basilicata/provincia-di-potenza/405-genzano-di-lucania.html
Genzano di Lucania (porta di Mezzogiorno)
«La porta di Mezzogiorno è situata nelle immediate vicinanze della chiesa di Sant'Antonio da Padova, ai piedi del Palazzo Marchesale De Marinis. La sua costruzione risale al XVII sec. ed era l'antica porta di accesso al centro storico. è stata ristrutturata nel 2001».
http://www.avmstudio.it/lucusnet/basilicata/provincia-di-potenza/405-genzano-di-lucania.html
Genzano di Lucania (resti del castello di Monteserico)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il castello di Monteserico di Genzano di Lucania non ha un'origine certa, anche se non vi mancano accreditati richiami storici. Giustino Fortunato lo fa risalire all'epoca federiciana, il Giannone lo ritenne normanno e fa risalire la sua edificazione tra il VI e il VII secolo. Sembra comunque certo che venne trasformato in fortezza ai tempi di Ottone II, verso il 980. Verso la fine del XIII secolo il castello apparteneva ad Aquilina Sancia; nel 1348 a Francesco del Balzo. Quando nei primi decenni del XV sec. scomparve la borgata di Monteserico, il castello continuò tuttavia ad essere abitato. Si racconta che nel 1897 il popolo di Genzano, in seguito ad un sogno fatto da un vecchio asceta, si riversò in massa al castello dove si mise a scavare sul fianco settentrionale in cerca della Madonna sognata dal vecchio. Altre notizie certe riguardano il soggiorno dell'attrice Lidia Borelli all'indomani della prima guerra mondiale. Il castello, molto sobrio nella sua struttura architettonica, sorge a 557 metri sul livello del mare, sulla sommità del monte che dà il nome alla contrada. La configurazione plano-volumetrica del castello viene definita a pyramidenturm. Si tratta di un volume a forma pseudo tronco-piramidale, circondato da fossato. Altri esempi di castelli simili si trovano a Lucera, a Tertiveri e a Fiorentino in Capitanata e in Molise a Termoli. Amato di Montecassino riporta l'esistenza di Monteserico nella cronaca delle vicende belliche del 1041 tra i Normanni e i Bizantini. "Et après ce, egli scrive, li Normant o victoire reternerent à Monte Serico, dont avoient mis li paveillon. Mès, por ce que lo chastel etoit garni de granz fossez et de autre forteresce, estoit deffendu par gent qui estoient dedens". Ed ancora negli Annales Barenses, ripreso sempre in Amato di Montecassino, viene scritto che "Graecorum exercitus descenderunt ex Monte Piloso et Normanni ex castello Siricolo" con una battaglia finale combattuta "inter duos montes", probabilmente tra Monte Piloso e Monte Serico. Si ha notizia certa anche di altro evento bellico combattuto dalle parti di Monteserico nel 929 tra i longobardi al comando di Guaimaro II di Salerno e Landolfo I di Benevento e le truppe bizantine alla guida dello stratega Anastasio. Il luogo preciso di questo scontro secondo alcuni viene individuato ai piedi a nord-est della collina del castello, secondo altri in una gola presso il Basentello, tra Acerenza e Venosa. Comunque sia il castello si ergeva in un territorio di grande importanza strategica essendo prossimo ai confini longobardo-bizantini e, quindi, fu naturalmente protagonista delle vicende belliche che caratterizzarono i due popoli per la conquista del territorio. Conquista che né gli uni né gli altri riuscirono mai ad ottenere».
http://www.lucaniaonline.it/monteserico.htm
Grumento (ruderi del castello di Saponara, cinta muraria)
«Saponaria appartenne agli Altavilla, (famiglia normanna d’origine francese) i quali fecero costruire il castello con la cinta muraria. Guglielmo, della contea di Montescaglioso, documentato nel 1097, ne fu il primo feudatario. Il feudo fu poi possesso degli Svevi, degli Angioni e dei Sanseverino, i quali nel XII secolo si stabilirono nel castello che ampliarono nel corso dei secoli XV e XVI. Nel febbraio del 1799 anche a Saponaria fu piantato l’albero della libertà in Piazza Sedile, l’attuale Piazza Caputi. Notevoli furono i danni provocati dai terremoti del 1807 e del 1857, per cui l’abitato venne quasi completamente distrutto: crollarono case, palazzi, torri, chiese e campanili, compreso il castello dei Sanseverino che fu per metà abbattuto. Nel 1860 il castello fu acquistato dalla famiglia Giliberti, ormai estinta quella dei Sanseverino di Saponara. Rimangono imponenti ruderi del ricco e importante edificio. La scuderia, cui si accedeva da un ampio spiazzo, chiamato Steccato (oggi Largo Umberto I) si trova in una situazione di degrado, ma conserva ancora in 36 nicchie dipinti di angeli e putti reggistemmi del XVIII secolo. All’interno della cinta muraria, ai piedi della chiesa ed intorno al castello, si estese il primo nucleo urbano, disposto su livelli diversi, con passaggi stradali coperti. ... Dal castello si diramava la cinta muraria del XI-XII secolo con sette porte. La porta di San Francesco è l’unica ancora integra perché ricostruita nel 1725. Viene chiamata la Porta Falla (la porta che fallì) perché di qui passarono le truppe del re di Napoli Ladislao Durazzo d’Angiò che espugnarono Saponara».
http://www.old.consiglio.basilicata.it/conoscerebasilicata/cultura/percorsi/pdf_comuni/grumento.pdf
GUARDIA Perticara (borgo medievale)
«Guardia Perticara risale al periodo medievale,è situato su una collina di 700 s.l.m e si sviluppa intorno al 'Castello' ... Vi sono due porte, e una permetteva l'acceso al castello tramite ponte levatoio; è disposta a sud-est dei rilievi appenninici che caratterizzano la parte centrale della Basilicata, i monti della Maddalena, del Volturino e di Viggiano. Guardia è situata in un territorio di speroni collinari venati da numerosi corsi d'acqua. Le origini del paese sono appartenenti alle popolazioni enotrie, infatti nel vicino sito archeologico sono state ritrovate circa 600 tombe risalenti al VII-V sec. a.C. Il paese ha conservato intatto l'aspetto del borgo medioevale con le case in pietra a faccia vista, i vicoli stretti, le scale che si inerpicano fin su al castello e da cui si domina l'intera valle del Sauro. Lungo l'antica via dei Carbonari (oggi Armando Diaz) e le altre strade del centro, affacciano le case ed i palazzi storici di Guardia, ricchi di particolari architettonici e decorativi di rilievo e le volte in mattoncini rossi» - «La conformazione urbanistica del capoluogo attiene a tre fasi di fondazione. Un primo insediamento fortificato si stabilì in forma concentrica sulla collina del Castello attorno al X-XI secolo; ad esso fece seguito una fase di espansione, di epoca normanna e sveva (XI-XIII secolo), con la formazione del nucleo di oggi disposto accanto alla chiesa madre e lungo la parte esterna dei bastioni di occidente. L’ultima fase, fra il XVII e il XIX secolo, interessò il dorso dello sprone collinare con una disposizione lineare di palazzine di nobile aspetto (attuale via Garibaldi), oltre alla formazione del rione Casale sulla pendice sud-occidentale del colle. Sulla via Garibaldi, la rettilinea via d’accesso al centro storico, s’impostano le case del borgo “fuori le mure”, ovvero “a Nunzita”. Si tratta, in alcuni casi, di nobili palazzi che si distinguono dall’edilizia comune per particolari decorativi come mensole scolpite, mascheroni, portali. Il disegno allungato del borgo ha un rigonfiamento all’altezza di piazza Vittorio Veneto dove campeggia il monumento ai Caduti. Il castello e le case più antiche si radunano attorno la colle che fronteggia la piazza. Una porta spalanca il cammino nella storia di un paese antico. La via dei Carbonari, s’insinua tra le facciate di basse case in pietra, manda a destra e a sinistra vicoli e scalette che, sul fondo, si aprono a terrazzo sui calanchi e sul bianco greto della vallata. L’itinerario porta infine in piazza Europa, lo slargo “nobile” del borgo con la chiesa, la fontana e il palazzotto padronale. Si notino i filaretti di coppi sul sottogronda delle case: le cosiddette “romanelle”. Per l’atmosfera la piazza fu scelta da Francesco Rosi per diverse riprese del film “Cristo si è fermato a Eboli”».
http://www.piccolagrandeitalia.it/notizie/borgo-medievale-guardia-perticara - http://www.prolocoruvo.net/2013/10/30/guardia-perticara-pz
Lagonegro (ruderi del castello feudale)
«Del castello di Lagonegro oggi non rimane [quasi] alcuna traccia. Dovette essere costruito dai Normanni, su una rupe denominata Castello, di forma quasi circolare, e quindi facente parte di un nucleo abitato più antico, che poi venne abbandonato durante il popolamento del nuovo borgo. Sui margini di questa rupe, infatti, furono costruite nel medioevo delle grosse mura di cinta, nel cui circuito vi erano altre torri semicircolari di cui due sono tuttora in piedi, mentre l'altra è completamente distrutta. Il castello sorgeva sulla vetta della rupe, ma dopo che nel 1552 i Lagonegresi pagarono con un riscatto la loro libertà, furono essi stessi a disperdere le tracce materiali del feroce dominio feudale e ad evitare che un nuovo barone si insediasse nella fortezza. I cittadini pensarono di abbattere fin dalle fondamenta il superbo e temuto palazzo del Barone, e non fu mai permesso a nessuno di fabbricare su quel suolo. L’area del palazzo rimase nei secoli come piazzetta pubblica e luogo di riunione e di passeggio, finché nel 1858 fu adattata a necropoli ed i sotterranei del palazzo furono utilizzati come sepoltura ed ossario comune».
a cura di Vito Bianchi
Le foto degli amici di Castelli medievali
«...Nella toponomastica laurenzanese si rinvengono toponimi longobardi e toponimi bizantini. Per decenni lo spartiacque Camastra-Sauro è stato il confine di presenze contrapposte: nel tardo antico e nell'alto medioevo da una parte i longobardi del Latiniano o di Sighinolfi e dall'altra i bizantini o i saraceni di Taranto che innalzano, nel'840 d.C., un presidio fortificato in Castelbellotto; nel Catalogo Baronum del 1154, in cui non è annotato il feudo di Castro Bellocto, risulta che il feudo di Laurentianum, tenuto da Guillelmus filius de Matteus de Tito, appartiene al Comitatus Gravinae, mentre il feudo di Cornitum, tenuto da Robertus Corniti, appartiene al Comitatus de Monte Piloso. ... Il territorio, antropizzato da molto prima, è collegato a Venusia da infrastrutture viarie chiaramente individuabili a partire dal II sec. d.C.: - un itinerario antico romano, il ramo Potentia-Anxiam-Grumentum della via Herculia da Nerulum a Venusia, interessava questo territorio secondo il percorso S. Donato-Ponte Camastra-Belvedere-Tempa Malomo-Val d'Agri; - un itinerario alto-medievale, coevo all'insediamento del sito urbano, lambiva l'abitato sotto il Castello e sotto il Trono: proveniente da Castelbellotto (toponimo di origine araba) e per il Cugno di San Silvestro raggiungeva la valle del Sauro...».
http://www.basilicata.cc/chiese/testo.php?id=5&com=Laurenzana&est=laurenzana.php
Laurenzana (castello di Laurenzana)
«Domina il paese da un'altura, sfruttando alle sue spalle un lato naturalmente e praticamente inaccessibile. Il complesso architettonico, successivo alla nascita del centro urbano, risale ai secoli XII e XIII. Nei secoli successivi sono stati effettuati molti interventi, anche radicali. La concezione difensivistica dell'epoca viene qui interpretata e tradotta alla lettera: controllo visivo inappuntabile delle vie d'accesso per un tempestivo avvistamento del pericolo, costituito soprattutto dalle bande piratesche; massimo sfruttamento degli sbarramenti naturali; presenza di torri circolari nella cinta muraria a protezione ordinaria del nucleo abitato. All'interno della cinta muraria erano presenti altre forme di difesa, che rendevano la roccaforte praticamente inespugnabile. Fu centro fortificato sotto i Normanni (1150), che probabilmente costruirono la fortezza su un precedente castello longobardo o eremo di monaci basiliani. Il primo feudatario di Laurenzana fu Guglielmo, figlio di Matteo da Tito. Nella prima metà del XIII secolo, con l’avvento svevo, il castello venne menzionato in un catalogus come struttura fortificata con funzioni prevalentemente militari. La fine del regno svevo coincise con il dominio degli Angioini, i quali apportarono profonde ristrutturazioni all’interno del castello. Dal 1442 il feudo di Laurenzana passò nelle mani degli Aragonesi. Nel 1454 iniziano ad avvicendarsi sul territorio laurenzanese famiglie baronali ed i primi che ottennero il privilegium su di esso furono gli Orsini con Maria Donata. Agli Orsini si legò la famiglia Del Balzo e nel 1483 divenne signore di Laurenzana Raimondo Orsini Del Balzo. Questi iniziò il rifacimento del castello trasformandolo da rocca in palazzo baronale. La parentesi degli Orsini Del Balzo a Laurenzana si chiuse con lo stesso Raimondo. La nuova famiglia che si insediò fu quella dei conti Poderico nelle persone di Paolo e Antonio che governarono dal 1496 al 1550; seguirono le famiglie dei Loffredo, dei conti Filangieri e dei De Ruggiero. Nel 1606 il feudo passò ai Gaetani D’Aragona. In questo periodo il castello subì ulteriori trasformazioni: vennero meno le ragioni difensive, si iniziò la costruzione intorno allo spazio centrale della rupe, la cisterna nel cortile venne coperta da un pozzo in pietra con una base e due colonne che sorreggevano l’architrave decorato con figure zoomorfe, oggi , purtroppo, non più visibili. Nel ‘700 avvenne l’ultima profonda ristrutturazione che lo portò ad assumere quelle forme visibili fino a qualche decennio fa. Gli ultimi feudatari dopo i Gaetani D’Aragona furono i duchi Quarti di Belgioioso che hanno abitato nel vecchio maniero fino ai primi decenni del novecento. Attualmente, sebbene in degrado, questo monumento mantiene intatti la sua maestosità e il suo fascino antico».
http://castelliere.blogspot.it/2011/01/il-castello-di-domenica-23-gennaio.html
Lauria (resti del castello Ruggiero)
«Quando si arriva a Lauria c'è un'immagine forte che colpisce immediatamente la rocca, dove hanno sede il Castello di Ruggiero e il Santuario della Madonna dell'Armo. è questo il più antico luogo abitato di Lauria ove sorgeva (nell'XI sec.) una laura basiliana da cui si è sviluppato il nucleo originario della città: i quartieri Cafaro e Ravita. Il Castello deve la sua fama al suo feudatario più noto, Ruggiero di Lauria, ammiraglio che militò sotto le fila dei re Pietro III ed Alfonso, definito da Roman Montaner nella sua cronica: "... il più invincibile tra gli uomini del suo secolo". Egli sconfisse più volte la flotta angioina e, nella celebre battaglia del Golfo di Napoli del 1284, riuscì persino a catturare il principi ereditario Carlo II d'Angiò. Ruggiero fu l'anma dei Vespri Siciliani, e possiamo, certamente, affermare che fu, in parte, l'uomo che determinò il destino dell'Italia Meridionale favorendo l'avvento degli Spagnoli. Per quel che riguarda più da vicino il Castello, date le poche strutture superstiti, non è facile ipotizzare la sua forma originaria. Il tipo di murazione non farebbe risalire il complesso anteriormente al Basso Medio Evo: la tipologia, infatti, non sembrerebbe rientrare in uno schema normanno. L'edificio ha una pianta ottagonale, la murazione è di tipo tradizionale, in pietra locale, un piano è completamente interrato, mentre un piano superiore è intuibile da fiori di trabeazione del solaio e da tracce di una rampa di scale. L'unico accesso era del lato orientale ed, ancora, è visibile l'entrata fondata su roccia viva. Il Castello di Lauria, sede di feudo normanno prima e di baronica già dalla fine del 1100, si distingueva per importanza e per ricchezza; in un documento del 1297, che descrive i possedimenti dei baroni di Lauria, è scritto: "Tra i ventiquattro castelli del feudo, quello di Lauria era il più cospicuo". La posizione dominante, a guardia della valle e del paese sottostante ne ha fatto, per secoli, una rocca assolutamente imprendibile. Purtroppo, nel 1806 durante la discesa delle truppe napoleoniche, in Italia, il generale francese Massena lo cannoneggiò, demolendolo in parte, allo scopo di frenare il tentativo dei laurioti di impedire l'avanzata dei francesi».
http://www.basilicata.cc/lucania/lauria
«Il Castello di Lavello, viene costruito in epoca Normanna dal signore Arnolino, feudatario di Guglielmo Braccio di Ferro. Secondo alcune fonti però, l’edificazione del castello risalirebbe invece al Conte normanno Umfredo. Il castello subisce vari saccheggi, prima nell'agosto del 1268, poi nel 1298. I danni sono innumerevoli e di entità grave. Il complesso presenta una pianta quadrata. All’inizio, la fortezza si presenta con due ingressi, di cui uno murato. L’altro, invece, quello orientato più a ovest, consente l'ingresso nel cortile centrale. Al centro del cortile si distingue un monumentale pozzo in pietra dura con relativo abbeveratoio, ornato dallo stemma gentilizio dei Del Tufo, feudatari di Lavello per tutto il corso del XVI secolo. Nel cortile si ammirano elementi tipici dell'architettura meridionale, riconoscibili nella loggetta ad archi ribassati separati da un pilastrino a pianta ottagonale, che si rifà al cortile del palazzo napoletano di Antonello Petrucci. Il castello consta di due gallerie sotterranee: una conduce fuori dell'abitato, pare potesse servire a mettere in salvo gli abitanti del castello in caso di pericolo; l'altra è collegata a una chiesa, questa sembra servire come passaggio alle giovani spose su cui il signore esercita il diritto della prima notte. Una particolare curiosità di questo maniero è una stanza senza porta e con una piccola finestra, di cui ancor oggi, non si è a conoscenza della sua destinazione d’uso. Nel tempo, sono stati effettuati numerosi interventi di ristrutturazione sul castello. Vanno ricordati, in particolare, quelli quattrocenteschi dei Del Balzo-Orsini, e poi quelli di Federico II. L’edificio poi subisce un ulteriore modificazione: nel 1600, la ricostruzione. Oggi, oltre al municipio, il castello ospita un piccolo museo, in cui si possono ammirare vasi di epoca greca».
http://www.basilicatawiki.it/index.php?title=Lavello
Maratea (mura, porte del castello)
«Il Castello è il nome con cui i marateoti indicano colloquialmente la città vecchia di Maratea, sita sui costoni rocciosi della cima del monte san Biagio. Questo antico centro, oggi disabitato e in gran parte ridotto in stato di rudere, nacque probabilmente in età alto-medioevale, sebbene sul sito non manchino tracce archeologiche di un insediamento di età romana. A differenza di altri luoghi lucani con lo stesso appellativo, il soprannome Castello non si deve alla presenza di una fortezza o di un vero e proprio maniero sul sito, ma al fatto che la cittadina fosse posta in cima a una rupe inespugnabile e protetta da mura di cinta, bastioni e torri, che la difesero dagli attacchi subiti del 1440 e del 1495, ma che furono distrutti dopo la resistenza del 1806. ... Le abitazioni dell'antica Maratea presentavano caratteristiche di «miniaturizzazione», completamente sconosciute nel resto del territorio: ogni vano era circa 1/4 più piccolo del normale, per economizzare lo spazio e ridurre al minimo la dispersione del calore, garantito da un forno per la panificazione di cui disponevano tutte le case. In ogni dimora trovava posto anche una cisterna per l'acqua, in quanto sulla cima del monte non vi sono sorgenti. Non mancavano comunque palazzi e residenze più grandi, riservate alle famiglie più agiate, e su tutte spicca Palazzo Ventapane, grandioso edificio di cui si scorge ancora la loggia esagonale. La viabilità all'interno era costituita da stradine, vicoli, angiporti e scalinate, e solo due porte permettevano l'accesso alla cittadina fortificata: Porta Santa Maria, posta alle mura meridionali, e Porta dei Carpini, posta su quelle settentrionali. Le difficili condizioni abitative del sito, esposto alle intemperie e alla caduta di fulmini, unite al pendolarismo dei contadini che coltivavano le terre della valle sottostante, furono i presupposti per la nascita della nuova Maratea. Divenute queste città di pari dignità chiamate a governare congiuntamente il territorio nel XVI secolo, la cittadina, chiamata Maratea superiore nei documenti giuridici e sulle mappe, perse rapidamente peso politico in favore della consorella, ma si mantenne sempre cuore religioso della comunità, in quanto custode delle reliquie di San Biagio di Sebaste, patrono di Maratea. Dopo essere stata teatro della resistenza contro i soldati napoleonici, venuti a conquistare il Regno di Napoli, ed essere quindi stata mutilata delle sue fortificazioni artificiali, il processo di spopolamento accrebbe, e già nel 1808 la sua municipalità fu soppressa, e la cittadina incorporata completamente a quella dell'altra Maratea con il nome popolare di Castello».
http://it.wikipedia.org/wiki/Maratea#Mura.2C_torri_e_porte_del_Castello
Vedi: Acquafredda (torre dei Crivi, torre di Acquafredda) - Castrocucco (torre Caina) - Cersuta (torre Apprezzami l'Asino o Torre Melesino o dell'Armo) - Fiumicello-Santavenere (torre Santavenere o Imperatrice o Capitana) - Porto (torre di Filocaio o del Porto)
Marsico nuovo (masseria fortificata "Castello")
«Masseria Maglione: è di proprietà della famiglia Maglione e, vista la sua fortificazione, è detta "il Castello"; attualmente è adibita a luogo di ristoro». [Si trova in località Occhio].
http://www.avmstudio.it/lucusnet/marsiconuovo.html
Marsico nuovo (palazzi gentilizi)
«Il Palazzo Pignatelli: è un enorme e vistoso palazzo fatto edificare nel XVI sec. dalla famiglia napoletana Pignatelli, che governò il paese fino alle leggi napoleoniche. L'ingresso è a volte, su cui vi è un affresco che raffigura lo stemma dei principi (un'arma d'oro con tre pignatte nere nel labello pendente rosso) e immette in un atrio centrale con pozzo datato 1572 e ciù fa supporre che la costruzione ha avuto inizio nel XVI sec. In tale atrio, si può ammirare un cippo funerario di età romana del I o II sec. d.C., rinvenuto in località San Giovanni, con incisa una scritta in latino che tradotta significa: "Al coniuge Mecio Vitali dolcissimo e incomparabile benefattore col quale visse venticinque anni, sette mesi e quindici giorni. La moglie felicissima dedicò". Attualmente il Palazzo è sede della biblioteca e degli uffici comunali. Il Palazzo Manzoni: è un complesso che ingloba gran parte della struttura di un ex Convento dedicato a San Tommaso fondato da Guglielmo III Guarna nel XII sec.. Nel XIII sec. fu trasformato da Ruggero Sanseverino in monastero di monache benedettine. ... Marsiconuovo annovera molti palazzi di notevole importanza storica e tra questi meritano di essere menzionati: Palazzo Barrese-Boccia, sulla cui facciata è murata una lapide datata 1175 che ricorda la ricostruzione del paese dopo il terremoto del 1154, è affiancato da una torre medievale; Palazzo Montesano, Palazzo Ventre-Ragone, Palazzo De Rossi, con portale risalente al 1844 e con annessa la cappella gentilizia; Palazzo Cicchetti con un maestoso portale e la cappella di famiglia; Palazzo Blasi e Palazzo Navarra-Viggiani, entrambi del XIX sec. Quest'ultimo ha un pregevole portale e il cortile».
http://www.avmstudio.it/lucusnet/marsiconuovo.html
«Il castello di Marsicovetere si trova nella parte più alta del paese. Questa meravigliosa fortezza, edificata in età medievale, impreziosisce il paese lucano fino all'epoca moderna. A partire da questo periodo, infatti, in data ignota, il castello viene abbattuto, e viene così costruito un mulino a vento. Oggi di tutto ciò rimangono soltanto pochi resti. Visibili sono parte delle mura, la torre del castello, e le due porte d'accesso principali. Una di queste due porte è percorsa da via Castello, su cui vi sono tre portali in pietra, rispettivamente del 1731, del 1806 e del 1811. Il castello è, oggi, di proprietà privata; di fatto appartiene alla famiglia Mazza».
http://www.basilicatawiki.it/index.php?title=Immagine:Castello_Marsicovetere.jpg
a cura di Vito Bianchi
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Cinta Muraria. Il centro storico di Melfi è interamente circondato da mura turrite costruite per lo più dai Normanni che si estendono per oltre quattro chilometri. Il circuito segue l'orlo del pianoro su cui fu costruita la città, cinto da ogni parte da scoscendimenti, a tratti da veri e propri precipizi. L'opera costituisce un raro esempio di fortificazione nel sud Italia. Le fasi costruttive della cinta muraria appartengono al periodo bizantino, normanno, svevo e aragonese. Gli ultimi ad apportare modifiche strutturali furono Niccolò Acciaiuoli nel Trecento e Giovanni Caracciolo nel Quattrocento, a cui risale la sistemazione attuale, per difendere la città dalle artiglierie nemiche. Assedi e terremoti hanno reso necessari continui restauri e il sisma del 1930 ne ha seriamente compromesso la struttura. Porta Venosina. È una delle sei porte cittadine ubicate nella cinta muraria, sebbene tre di queste (Porta del Bagno, Porta SS. Maria e Porta Sant'Antolino), a causa di terremoti e saccheggi, non esistano più. Risalente all'epoca sveva, è l'unica ancora in buono stato e fu realizzata sull'antico tracciato verso Venosa e la via Appia. Alla destra dell'ingresso è osservabile lo stemma di Melfi e, a sinistra, quello dei Caracciolo che restaurarono le mura sul finire del quattrocento. Federico II vi fece apporre una lapide che decantava la gloria e la grandezza della città,[6] sostituita più tardi da Giovanni Caracciolo con quella ancor oggi visibile, anche se illeggibile. L'arco ogivale è di origine sveva, mentre la torre cilindrica fu aggiunta nel Quattrocento da Caracciolo. Porta Troiana. Fu costruita nel XV secolo, per volere del principe Troiano Caracciolo, figlio di Giovanni e da cui essa prese il nome. Di questa opera sono rimasti solamente alcuni ruderi. Porta Calcinaia. Era la porta più vicina al castello. Conduceva dalla zona artigianale, dove si produceva calce e argilla (da cui il nome), al centro storico e all'attuale Via Normanni, che tuttora porta al Castello. Anche di questo varco resta solo qualche testimonianza».
http://it.wikipedia.org/wiki/Melfi#Cinta_Muraria
«Con ogni probabilità, il primo nucleo del Castello fu istituito, in posizione dominante e su uno sperone di roccia, in epoca normanna, quale sede del più vasto feudo di Missanello, Gallicchio e Castiglione, dotato di cortile, scuderie, alloggi, la corte, la torre e un bastione di avvistamento. Con l’avvento della potente dinastia dei conti Sanseverino, il maniero fu ampliato e rinforzato intorno al 1150 nella previsione di poter respingere gli attacchi nemici provenienti anche da terra. Una prima sommaria citazione del Castello è riportata dal geografo arabo Edrisi, che svolse una accurata indagine dei luoghi su mandato di re Ruggero. Nicola Alanelli fa invece risalire al 1167 la prima notizia storica del castello, inserita nel Catalogo dei Baroni. Durante il periodo feudale il castello di Missanello divenne la dimora temporanea dei principali baroni dell’epoca: Alessandro intorno al 1083; Guglielmo; Ruggiero (1238); Lamberto (1308); il consigliere di Carlo II e Procuratore della Gran Corte Angelo; Bertoldo (1326); Giacomo (1397). Nel 1622 il marchese Giovanni Giacomo Coppola trasferì a titolo gratuito una sezione del castello ai religiosi dell’Ordine dei Minori Osservanti Francescani per l’apertura di un convento, riservando per sé e la sua famiglia un’ala. Per la nuova destinazione d’uso il castello fu ampliato con sopraelevazioni e ristrutturato con un investimento di circa 400 ducati, con approvazione dell’Università di Missanello. A partire dal 1623 i dodici frati Minori che abitavano nel castello affrontarono due gravi epidemie di peste che decimarono la popolazione nel 1630 e quella più devastante del 1656, accogliendo e curando gli ammalati, i poveri e i più bisognosi. I frati abitarono nel castello fino al 1866 quando per gli effetti delle leggi furono soppressi e trasferiti allo Stato i conventi e i monasteri di pertinenza religiosa. Il castello fu poi venduto ad Antonio Laviani, dal quale lo acquistò nel 1907 l’arciprete don Filippo Bernardi».
http://www.oltrefreepress.com/2013/11/29/il-castello-di-missanello/
«Il castello sorge su uno sperone roccioso a 880 m. sul livello del mare. La costruzione del castello, secondo lo storiografo Giacomo Racioppi, è avvenuta nel XII sec., al contrario delle affermazioni della maggior parte degli studiosi, che la ritengono avvenuta tra l’VIII e il IX sec., in epoca longobarda. Prova di quest'ultima tesi è la torre longobarda, primo nucleo del castello. Successivamente i Normanni, la cui presenza è testimoniata dalla torre quadrata, costruirono il resto del castello, edificandolo intorno alla torre longobarda. In seguito, ogni signore, dall'epoca dei normanni fino a noi, ha aggiunto qualcosa e certo ora il castello conserva ben poco o nulla dell'antica costruzione. La massa dell’edificio, come appare oggi, è una costruzione seicentesca, ma molte modifiche le sono state apportate attorno al '700 e forse anche nei primi dell'800. Si arriva al castello salendo per via Francesco Lovito e vi si entra attraversando un portone ad arco romano, orientato verso sud. L'ampio cortile, che troviamo appena varcato l'ingresso, è circondato da un muro di cinta, che si prolunga per tutto il lato di mezzogiorno, fino ad una torre quadrata ad est, ed una torre bassa e rotonda ad ovest, riunendosi alla facciata con una serie di archi, che formano un loggiato cinquecentesco. Dalla torre longobarda, che si unisce alla facciata, partendo dalla torre bassa e rotonda, si aprono due ingressi: il primo immette nel secondo cortile e il secondo nelle stalle, nelle quali sono, ancora, visibili le nicchie delle mangiatoie. La torre longobarda è alta 25 metri, ha un diametro di 8 metri ed è sormontata da merli guelfi quadri, andati per lo più distrutti. Internamente, è costituita da tre piani, ognuno dei quali, è formato da una sola stanza ricevente luce da una sola finestra. La stanza del pianterreno era adibita a carcere, mentre alle altre stanze, si accedeva mediante una scala a chiocciola. Il secondo cortile, più piccolo del primo, mostra uno spettacolo di profonda desolazione: vi sono dappertutto rovine ed è quasi impossibile ricostruire la disposizione delle stanze. Oltre alle stanze del principe e dei suoi ospiti, alle stalle, alle cucine, alle carceri, ai locali adibiti a magazzini per le merci, alla cappella privata, il castello possedeva, anche, una cisterna per la raccolta dell'acqua piovana. L'ultimo proprietario del Castello fu Domenico Cassini, che l'acquistò nel 1827. Questi rimise il Castello in ottime condizioni di abitabilità, tanto da trasformarlo in collegio nel 1892 con la direzione del prof. Antonio Frabasile. Il collegio fu frequentato da molti studenti moliternesi e da alcuni allievi provenienti da Potenza. Le lotte intestine e le beghe paesane, causarono nel 1894, la fine di questa istituzione e il sopra citato Domenico Cassini distrusse vandalicamente il Castello vendendone persino gli infissi. Esso fu poi venduto ai Padula e da questi ultimi fu ceduto ai Comune di Moliterno per la cifra simbolica di lire mille. è stato, in seguito, dichiarato "monumento d'interesse nazionale" e sono stati eseguiti dei parziali lavori di restauro esterno alla fine degli anni 70. Attualmente è in fase di progettazione una ulteriore fase di restauro».
http://www.comune.moliterno.pz.it/la-storia.html
Monticchio Sgarroni (ruderi del castello, torre dell'abbazia di S. Ippolito)
«Abbazia di Sant'Ippolito. Situata tra i due laghi, la struttura è datata tra il XI ed il XII secolo, ad opera dei basiliani. Con l'arrivo dei normanni, i basiliani abbandonarono il Vulture e al loro posto arrivarono i benedettini. Questi trasformarono l’antico monastero basiliano di Sant’Ippolito in un’altra badia benedettina. La struttura, costituita da un'unica navata, subì anche alcune modifiche costruttive in stile svevo, soprattutto per quanto riguarda la cosiddetta torre "campanaria". Il terremoto del 1456 distrusse gran parte dell'Abbazia e i religiosi che vi dimorarono furono costretti ad abbandonarla. Oggi di quello che era un tempo l'Abbazia sono solamente osservabili alcuni pilastri e le absidi. Il castello. Come per l'Abbazia di Sant'Ippolito, anche del castello sono rimaste alcune tracce, anche a causa dei numerosi terremoti che tormentarono il Vulture, tra cui quello del 5 dicembre 1456. Situato nella località di San Vito, presso Monticchio Sgarroni, su una collina a più di settecento metri, si ritiene che la sua edificazione risalga prima dell'arrivo dei normanni nel Vulture, a dimostrazione che si tratti di uno dei castelli più antichi della zona, di fatto gli scavi, non ancora portati a completamento, hanno evidenziato tre diverse fasi di costruzione del castello, databili dal I al XIV secolo. Giustino Fortunato sostenne che nel 957 la struttura fu data in donazione da Tandolfo, principe di Conza, ai benedettini della Badia di Monticchio. In epoca medievale, fu sempre oggetto di conquista di vari feudatari della zona. Nel 1072, Abelardo, figlio primogenito del conte normanno Umfredo d'Altavilla, dopo aver battuto presso Troia le bande facenti capo a Roberto il Guiscardo, si spinse fin sull'Ofanto per occupare il Castello di Monticchio, nonché tutto il Vulture e la valle di Vitalba nei pressi dell'odierna Atella. Successivamente Roberto il Guiscardo riconquistò il Castello. Sopra la struttura muraria è presente un arco acuto ghierato, risalente al XII secolo successivamente restaurato durante l'epoca angioina».
http://it.wikipedia.org/wiki/Monticchio_%28Rionero_in_Vulture%29#Il_castello
Muro Lucano (castello angioino)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«In questo Castello si consumò, nel 1382, l'omicidio di Giovanna I di Napoli per ordine di Carlo di Durazzo. All'inizio del seicento il Castello comprendeva la vecchia torre a quell'epoca usata come carcere, edifici adibiti a cucine, abitazioni per gli armigeri usate talvolta per ospitare manifestazioni teatrali ("il teatro"), magazzini, un pozzo, ed un locale detto appartamento della Regina (dove verosimilmente fu rinchiusa Giovanna I di Napoli, oggi in gran parte distrutto). Più in basso, sempre seguendo il crinale della collina, l'antico Castello si continuava con una nuova ala fatta costruire con tutta probabilità dagli Orsini adibita a residenza degli Orsini stessi, il cosiddetto appartamento del Principe. Questa nuova ala si concludeva con una seconda Torre (costruita verosimilmente in epoca Angioina). Lo spazio compreso tra le due Torri era occupato da un alto muro con al centro il ponte levatoio. Il terribile terremoto del 1694impose nuovi lavori quali l'abbattimento del ponte levatoio stesso e la sopraelevazione dell'appartamento del Principe. Nel 1830 il Signore che l'acquistò (Francesco Lordi) edificò un nuovo voluminoso corpo di fabbrica che oggi costituisce la parte anteriore del Castello. Questo novello corpo di fabbrica, anonimo nelle sue forme ed avulso architettonicamente dall'antico Castello, si caratterizza per l'attuale portone di ingresso, l'ampia scalinata di accesso ed un vasto locale, sottoposto rispetto all'ingresso e adibito a ricovero per i cavalli, conosciuto come Cavallerizza. Il Castello, estendendosi lungo le linee della collina, presenta due cortili scoperti: il più basso dà accesso al vecchio appartamento del Principe con un portone settecentesco portante lo stemma degli Orsini, mentre il più alto e superiore dà accesso alla parte più antica del Castello. Di rilievo è la presenza del "Giardinetto", un giardino pensile su pietra viva posto alla estremità sinistra (per chi entra) dell'appartamento del Principe. Detto giardino, collegato all'appartamento stesso da uno stretto portone, mena, attraverso un tortuoso e caratteristico corridoio aperto, alla piazza della antica Cattedrale. Dal Giardinetto si gode una splendida vista del Paese e della vallata».
http://grottoleph.blogspot.it/p/castelli-della-basilicata.html
Noepoli (resti del castello feudale)
«Il centro si forma nel XII sec. Con il nome di Noia, denominazione che rimarrà fino al XIX secolo. Fu feudo normanno, fece parte della contea di Chiaromonte e successivamente feudo dei Sanseverino, principi di Bisignano, che eressero il castello e le opere fortificate. Città regia, nel XV secolo, fu venduta al regio fisico, nel 1543, alla famiglia Pignatelli. Tornò libero Comune con le leggi napoleoniche del 1806. Noepoli (m 676; ab. 1.351): l'antico centro enotrio-lucano, fu poi sede di un monastero bizantino; in età feudale appartenne ai Sanseverino e ai Pignatelli d'Aragona. L'area del centro attualmente ha restituito testimonianze risalenti ad un periodo compreso tra l'età del Ferro e quella bizantina. Nel territorio, presso il torrente Rubbio, sono ancora visibili i ruderi del monastero di S. Maria della Saectara, sorto presumibilmente tra il X e l'XI secolo, sede dei profughi albanesi provenienti dalla città di Korone. Da visitare la Chiesa Parrocchiale (sec. XVI): con affreschi e rilievi marmorei; un fonte battesimale di pietra del sec. XV e un Crocifisso ligneo del '400. All'ingresso del paese sono visibili i resti della fortificazione, databili al XIV-XV secolo, e una torre del castello feudale. Da recenti scavi, sono emersi numerosi reperti che evidenziano i resti di un abitato risalente al VII sec. a.C. è il paese più antico della Val Sarmento; formatosi sotto i Longobardi, Bizantini e Normanni. L'abitato è adagiato su un'altura dalla Val Sarmento e il sito urbano si sviluppa in due unità distinte: nella parte alta trova collocazione il nucleo del castello feudale del XV secolo, mentre ai piedi vi è il borgo chiamato "casale"».
Oppido Lucano (resti del castello normanno)
«Il castello ricorda l’origine storica del paese. Probabilmente il castello di Oppido Lucano è stato costruito tra il 1047 e il 1051, durante le lotte tra il conte di Acerenza Riccardo Quarel, figlio di Asclittino e Dragone, uno dei figli di Tancredi d’Altavilla. Infatti nei primi trent’anni dell’XI secolo il castello era l’abitazione di Drachus e Maria, i genitori del proselito Giovanni Obadiah. Francesco Giannone, nelle Memorie storiche ricorda così il castello: “era di forma irregolare a causa della accidentalità del suolo su cui venne edificato, in guisa da raffigurare la sua pianta quasi un trapezio, sul cui lato oblungo sorgeva il grandioso prospetto esterno, fronteggiato in origine da ben quattro torri merlate, due cioè angolari quadrate e due mediane rotonde poste a guardia della grande porta d’ingresso”. Una torre rotonda, che doveva far parte del corpo centrale, rimanda alla torre del corpo centrale del castello di Venosa del 1470. Lo studioso Vinaccia così lo descrive nel 1728: “due torri di guardia per difendere la porta con ponte levatoio. Entrando per la detta porta si trova un cortiletto coverto a travi di cinque valere con pavimento di pietre forti; a sinistra di lei si entra nella stalla coverta a travi di nove valere con doppia travatura; sonovi le mangiatoie da una sol parte e sonovi due finestre una alla facciata esteriore, ed altra verso il cortile”. Nel 1925 la torre fu distrutta per fare posto alla piazza (il Paschiere). Sulla parte del cordolo a semicerchio era appoggiata una lastra con lo stemma degli Orsini che subentrarono agli inizi del Cinquecento alla famiglia Zurlo. Da chi sia stato costruito il castello non risulta, ma dall’area dei suoi ruderi si intuisce la grandezza di questa costruzione. Infatti, nel Medioevo godette la fama di Castro fortissimo o magnum Castrum. La costruzione del castello di Oppido era destinata ad attirare i coltivatori della terra e nello stesso tempo proteggere il fiume Bradano a destra e a sinistra per evitare l’avanzare soprattutto dei Saraceni, abili nel risalire i fiumi e attaccare le popolazioni locali».
http://comune.oppidolucano.net/main/il-territorio/il-castello-e-palazzi-storici.html
Palazzo San Gervasio (castello)
a cura di Vito Bianchi
PARASACCO (masseria fortificata)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«...La frazione di Parasacco dista 13,55 chilometri dal medesimo comune di Melfi cui essa appartiene situata a 167 metri s.l.m. a poca distanza dalle frazioni di San Nicola di Melfi e Leonessa. Elemento dominante della frazione di Parasacco è la sua Masseria fortificata (detta appunto di Parasacco). La Masseria Parasacco, a poca distanza dal fiume Ofanto e da un "tratturello" antico che va verso il Tavoliere di Foggia, èÈ sorta tra il XV ed il XVI secolo come "posta di pecore" della transumanza. L'edificio principale ottocentesco ha la forma di una "masseria fortificata". Nelle vicinanze si notano due monumentali pozzi ed una chiesa rurale. Nel XIX e XX secolo è stata di proprietà degli Aquilecchia di Melfi, oggi gran parte è di proprietà della famiglia Murano di Melfi. ... Tipologia edilizia: edificio irregolare sia in pianta che in elevazione nel fronte principale e nei lati secondari; presenta un'imponente struttura abitativa, una serie di annessi, un pozzo ed una chiesetta. È provvisto di un imponente apparato difensivo (quattro torri angolari con feritoie) realizzato in un periodo successivo a quello di primo impianto. I collegamenti verticali tra i piani si sviluppano in esterno con scalinate su archi ottenuti dall'assemblaggio di blocchi tufacei. Struttura: muratura portante disomogenea costituita da blocchi squadrati in tufo, pietrame e mattoni in laterizio assemblati con giunti di malta; gli orizzontamenti sono voltati; presenta dei contrafforti sulle mura perimetrali difensive; la copertura è in coppi mentre le murature, originariamente intonacate, attualmente risultano, a seguito del dilavamento, parzialmente a vista».
https://it.wikipedia.org/wiki/Parasacco_(Melfi)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il nome del paese deriva da "Castrum Petrae Paganae" che significa "villaggio sulla rocca fortificata". Il centro ha origini molto antiche e fu per molto tempo teatro delle guerre sannitiche e delle spedizioni di Pirro. I Goti nel 555 occuparono il territorio e successivamente fu la volta dei Longobardi e tra il IX e il X sec. fu attaccato ripetutamente dai Saraceni. A causa di quest'ultimi, gli abitanti di Conza e dei casali vicini si rifugiarono sulla rocca più alta e quindi strategicamente più sicura. Carlo I d'Angiò nel 1278, concesse il feudo a Raynaldo de Panzellis Gallico che nel 1331 passò a Filippo Stendardo. Il feudo fu donato poi alla regina Sancia di Maiorca (da parte di Roberto d'Angiò), che a sua volta lo donò a Mattia Gesualdo. Nel 1697 passò ai d'Andrea con il titolo di marchesato, fino alla fine del feudalesimo. ... Il Castello è accessibile a piedi passando sotto la Torre dell'Orologio a poca distanza da essa. La data della sua costruzione, 533 d.C., si è potuta solo dedurre dai pochi ruderi delle mura esterne, che danno comunque l'idea dell'imponenza della costruzione».
http://www.avmstudio.it/lucusnet/pescopagano.html
«Picerno domina il suo territorio adagiata sul crinale di un colle, a 700 metri di altezza, e conta circa 6.000 abitanti. L’abitato è caratterizzato dalle due emergenze principali che ne delineano il profilo all’orizzonte, il massiccio torrione cilindrico e il campanile della Chiesa madre (o Parrocchiale) e da un nucleo settecentesco di case e palazzi nobiliari. Strada principale del paese è Corso Vittorio Emanuele che collega piazza Plebiscito con piazza Statuto. ... Poco distante dalla Chiesa della S.S. Annunziata è il Palazzo dei Baroni Carelli, amministratori dei feudatari di Picerno, i Principi Pignatatelli. Risalente al XVIII secolo, mostra un bel portale ornato di pietre lavorate ed uno stemma in pietra. Oggi in stato di abbandono, fu abitazione sontuosa e frequentata. Nelle sue stanze abitabili, più di venti, la gran parte ricoperte con pavimenti di argilla, fu ospitata una ricca biblioteca, fornita di opere preziose come l’Enciclopedia di Diderot e D’Alambert, i Saggi politici di Mario Pagano, opere minori di Ludovico Antonio Muratori e una Bibbia commentata da illustri letterati. Molti di questi volumi si trovano ora presso la Diocesi di Potenza. Giunti in Piazza Statuto, si prosegue per Via Torre, che prende il nome dalla mastodontica Torre, situata nel primo vicolo a sinistra di detta via. Imponente, con i suoi 42 metri di circonferenza e i 12 di diametro, di forma cilindrica con basamento troncoconico, il torrione mostra, all’interno, una struttura attestante l’esistenza di una scala in muratura che, attorcigliandosi a spirale fino alla cima, rasenta la parete coperta di feritoie e colombaie. è ciò che rimane di un impianto normanno-svevo, successivamente rimaneggiato sotto gli angioini e gli aragonesi. Su via Torre si affaccia un ampio giardino, parte del Palazzo Capece, anch’esso risalente al 1700».
http://www.basilicata.cc/chiese/picerno/Tscritto/picerno.htm (da Le Valli del Melandro, 1998)
Pietragalla (palazzo ducale degli Acquaviva)
«Sulle origini del Palazzo Ducale, è importante non trascurare l'influenza monastica che caratterizza l'Italia Meridionale dal VII all'VIII secolo segnando con le loro architetture il territorio lucano. Su una pietra scolpita che si trova all'interno della chiesa madre risalente al 1659 si fa riferimento alla comunità di San Basilio. Quindi è possibile ipotizzare che all'origine il complesso monumentale sia stato sede di una comunita' monastica, anche se risulta difficile stabilire quale sia stato il nucleo originario e gli ampliamenti successivi. L'impianto si divide in due parti:la prima che conserva presumibilmente i caratteri dell'antico castello costruito intorno al 1100, l'altra invece costituisce l'ampliamento a Sud-Ovest attuato durante la seconda metà del '400 da architetti napoletani e che dimostra una diversa impronta nella distribuzione e nei caratteri. Il Palazzo si arricchisce cosi di ampie loggiate. Il Palazzo è imponente per le sue dimensioni e la sua complessità architettonica. All'inizio del complesso si trovano i resti di una chiesa ad unica navata coperta con capriate lignee dove internamente sono ancora evidenti i resti di un altare. Prospiciente la chiesa troviamo un cortile con al centro una botola di una cisterna, sul lato sinistro una torre o un campanile più alta della misura attuale. Lungo la facciata principale spicca un ampio portico sopra il quale vi è una loggetta che si estende per quasi tutta la facciata dell'edificio, sorretta per il resto da sporgenze che aumentano il volume del palazzo e sono munite di ampi portali, visibilmente restaurate altre loggette isolate di notevole pregio contribuiscono a rendere armonioso il Palazzo. Da notare dei caratteristici portali bugnati di pregevole fattura. Un suggestivo portale di ingresso dell'ala Est del Palazzo (foto sinistra) mette in comunicazione l'esterno con il borgo antico. Nella facciata posteriore e adiacente al nucleo storico da evidenziare la presenza di alcune finestre che richiamano presumibilmente lo stile di quelle del Palazzo Ducale di Venezia. ...».
http://www.altobradano.it/palazzopietragalla.htm
Pietrapertosa (resti del castello)
«Le più antiche attestazioni relative alla presenza di strutture fortificate a Pietrapertosa risalgono agli inizi del primo decennio del secolo XI e provengono da un documento con il quale nel 1001 o 1002 il protospatario Gregorio Tarchaneiotes, Catapano d’Italia, ridetermina i confini tra Acerenza e Tricarico dopo aver scacciato da Pietrapertosa un gruppo di armati formato da Saraceni e Cristiani convertiti all’Islam e capeggiati da Loukas, probabilmente un greco-bizantino, divenuto musulmano insediatisi nel paese qualche anno prima. La fortificazione evidenzia, finora, strutture databili tra i secoli XII-XIII ed il XVIII. Il suffeudo di Pietrapertosa, e quindi anche il castello, è attestato nel Catalogus Baronum (seconda metà del sec. XII), negli ordini della Curia angioina dell’anno 1278, relativi alla manutenzione dei castelli demaniali. Intorno alla stessa data si ha notizia dell’assegnazione del feudo e quindi del castello a Guglielmo de Tournespée, personaggio che ha seguito Carlo d’Angiò nella conquista del Regno di Napoli. In epoche più recenti il feudo e il Castello sono stati posseduti da alcune importanti famiglie del Regno quali i Carafa, gli Aprano, i Suardo, gli Jubero ed infine i Sifola. Nel tempo la struttura si è evoluta dalla condizione di fortilizio verso quella di residenza baronale. Il progressivo abbandono dell’edificio nel secolo XIX sono la causa di crolli ed anche di parziali demolizioni effettuate nel primo dopoguerra.
Gli scavi archeologici hanno permesso di individuare tre diverse fasi di ampliamento del castello, in direzione del portale di accesso, testimoniate dalla presenza dei resti di altrettante facciate. Nel momento di massima espansione la parte dell’ingresso era costituito da ben tre piani conclusi da un sistema di caditoie utilizzate per la difesa dell’ingresso. Alcuni edifici erano addossati alla roccia nella quale erano anche stati scavati alcuni ambienti. Su alcune pareti rocciose si leggono ancora le tracce dei tetti a falda degli edifici crollati. Alla cinta muraria verso il paese erano addossati alcuni edifici costituiti da un seminterrato e da un piano fuori terra, successivamente crollati. A valle della cinta muraria, un grande terrazzo nel quale sono da completare gli scavi archeologici, costituiva uno spazio a servizio del castello ma con funzioni ancora non indagate e un probabile secondo accesso verso il paese. In questa zona del castello è presente una necropoli altomedievale, formata da sepolture ad arcosolio con le nicchie e lo spazio di deposizione scavati direttamente nella roccia di alcune guglie di arenaria, anticamente raggiungibili con scale rimuovibili. Un’altra guglia, invece, ospita un punto d’avvistamento isolato dalla cinta fortificata e scavato nella roccia. Infine una gradinata,ancora esistente, direttamente scavata nella roccia, conduceva sulla sommità del picco roccioso sul quale sorge il castello, che permetteva il controllo “ a vista “ di un ampio territorio. Nel castello sono presenti due cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Nella più profonda si erano conservati, sepolti nella melma, i resti di un tronetto medievale in legno. In adiacenza del portale d’ingresso è venuta alla luce la gradinata originaria di ingresso al piazzale superiore ed una serie di murature addossate l’una all’altra, che testimoniano tre fasi di ampliamento della cinta muraria. Alla fase medievale del castello appartengono un vano semirupestre, utilizzato a servizio della guarigione, un grande vano ipogeo suddiviso in due ambienti da un arco in pietra, in buona parte conservato sul posto e un piccolo ambiente scavato nella roccia che documenta la presenza di un stallaggio per animali. La cinta fortificata conserva testimonianze di tecnica costruttiva medievale caratterizzata dall’uso di “diatoni“ in legno ovvero piccole travi lignee infisse trasversalmente nelle mura secondo una precisa maglia geometrica, per migliorare l’efficienza delle murature. Il castello oggi è fruibile grazie a un intervento di restauro che ha riportato alla luce le testimonianze medievali ancora presenti, accessibili con strutture moderne che denunciano l’inserimento del nuovo nell’antico, sono rimuovibili e proteggono dai danni provocati dal passaggio dei visitatori, le parti del castello scavate in una roccia che risulta particolarmente friabile».
http://www.comune.pietrapertosa.pz.it/detail.jsp?otype=1011&id=100057
PORTO (torre di Filocaio o del Porto)
«La torre di Filocaio situata nei pressi della frazione Porto a Maratea, anticamente, era parte integrante del sistema difensivo costiero del Regno di Napoli. Edificata tra il 1566 il 1568 circa, la struttura ha la pianta quadrata, con base tronco piramidale dove un tempo era collocata una cisterna. Ogni architrave è caratterizzato da cinque caditoie, ad eccezione di quella orientale che ne è priva. Da ammirare la volta a padiglione ed il terrazzo ospitato sul tetto».
http://www.byitaly.org/it/Basilicata/Potenza/Maratea/Torre_di_Filocaio
Potenza (cinta muraria, Due Torri)
«Potenza fu probabilmente fortificata nell’ XI sec. durante il dominio longobardo. La cinta muraria in gran parte non è più visibile, ma le abitazioni, costruite successivamente a ridosso delle mura, percorrono e circondano il centro storico della città. Nel 1268 Potenza fu rasa al suolo da Carlo d’Angiò e le mura furono abbattute. Dopo il terremoto del 1273, che portò nuovamente distruzione e morte, Potenza venne nuovamente riedificata sulle sue stesse rovine. Dovrebbe risalire a questi anni, dunque, la ricostruzione delle mura, delle porte di accesso e lo sviluppo nel loro perimetro dell’abitato medievale; la città assunse così una disposizione urbanistica caratterizzata da vicoli chiusi e senza sbocco verso l’esterno - le Quintane - che avrebbero fatto guadagnare a Potenza il nome di “città murata”. Sappiamo che nel XV sec. il conte de Guevara elargì ingenti somme di denaro per la ricostruzione delle mura, nonostante la città fosse tutta fortificata. Non è da escludere che il conte volesse adeguare la difesa della città alle nuove tecniche militari delle armi da fuoco. Nel XVI secolo a ridosso della cinta muraria vi era una miriade di fazzoletti di terra, vigne e, in misura minore, orti: “fuori Santa Lucia, a lo Mancoso, a l’Ancilla Vecchia, a San rocco, al Francioso, al Cocuzzo e a Verderuolo”. Ma le guerre, e soprattutto i terremoti che si sono susseguiti fanno si che le due torri difensive ancora oggi visibili, che si innalzano nelle mura, siano tra i pochi resti, della cinta muraria, esistenti».
http://www.comune.potenza.it/index.php/antichita (a cura di Annamaria Scalise)
«L'edificio risale al XVII secolo. Le pareti esterne mostrano pochissime aperture, per cui il Palazzo sembra chiuso intorno al piccolo cortile come un fortino. Il prospetto è sottolineato da un cornicione su mensole in pietra sagomata; un grande portale in pietra con conci lavorati a bugna liscia e a doppia bugna alternati completa il prospetto principale con il balcone posto sopra il portale. Le rimanenti aperture sono semplici finestre con mostre in pietra e piccole aperture ovali. Al piano terra vi sono due portali minori che davano accesso ai locali di servizio del Palazzo. Il cortiletto ha tre finestre con balcone e conserva ancora il pavimento lastricato, oltre a tre anelli metallici infissi nelle pareti, cui un tempo si legavano le cavalcature. Uno di questi anelli è infisso a sua volta in un pregevole mascherone in pietra. Ai lati dei balconcini nel cortile sono ben visibili quattro feritoie archibugiere, di circa trenta centimetri di altezza, che testimoniano l'antico utilizzo a fortino del Palazzo. L'ingresso è coperto da una volta policentrica; vi si aprono due porte ad archivolto, che conducono al primo piano. Al “piano nobile” si accede attraverso un portale lapideo che conduce ad una serie di stanze articolate attorno ad un salone centrale. Attualmente il palazzo ospita uffici e studi professionali».
http://www.basilicata.cc/chiese/potenza/Tscritto/palazzi.htm
«Il Palazzo de Bonis è situato a Potenza, nei pressi della porta di San Giovanni e l'adiacente torre di avvistamento. Il primo piano dell'edificio era situato lì dove si trovavano le mura di cinta a difesa della città. L'origine dell'edificio è da far risalire a una data antecedente al 1150, anno in cui la struttura venne adibita ad ospedale. Il palazzo ospitò quindi il primo ospedale della città potentina. Il palazzo venne ampliato con l'edificazione del suo secondo piano durante la dominazione francese in Italia. Dal 1700 in poi il palazzo fu di proprietà della nobile famiglia de Bonis, che dà l'attuale nome all'edificio. Nel 1930 grazie all'avvocato Gaetano de Bonis il palazzo, mediante la dichiarazione della sovrintendenza regia, si fregiò del titolo di "monumento storico". In quest'anno venne edificato anche il terzo piano dell'edificio. Durante il terremoto del 1980 il palazzo storico subì dei pesantissimi danni che gli costarono numerosi restauri attuati anche dalla soprintendenza alle belle arti. Attualmente il palazzo è abitato dai discendenti della famiglia de Bonis e altri residenti. La struttura presenta tre piani edificati in epoche diverse e un piano sotterraneo. In quest'ultimo si trova un pozzo di acqua sorgiva. Internamente si trovano delle scritte latine risalenti all'epoca in cui la struttura era adibita a funzione ospedaliera. Di quest'epoca si possono notare la sala mortuaria e la sala operatoria».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_de_Bonis
Potenza (palazzo Loffredo o Comitale)
«Detto anche Palazzo Comitale, l’imponente Palazzo Loffredo chiude due lati di Piazza Duomo, in pieno centro storico. L’edificio è una delle migliori testimonianze dell’edilizia nobiliare potentina del Seicento. Secondo alcune fonti, fu costruito verso il 1610 da Carlo Loffredo, Conte di Potenza, su un’area ove preesisteva un convento dei Celestini, ed ha subito nel tempo varie alterazioni e manomissioni. Dopo l’estinzione dei Loffredo, avvenuta nel 1801, il Palazzo ha avuto varie destinazioni: in particolare, fu sede del Real Collegio, poi diventato Real Liceo. Nel Novecento ha ospitato il Conservatorio di musica “Gesualdo da Venosa”, il Convitto Nazionale “Salvatore Rosa” e l’Istituto Tecnico Commerciale “Leonardo da Vinci”. Attualmente, il Palazzo ospita il Museo Archeologico Nazionale della Basilicata dedicato a Dinu Adamesteanu, e svolge un ruolo essenziale nell'ambito del turismo locale. Il prospetto principale, sulla piazza Liceo, presenta un portale ad archivolto, con decorazioni di stile catalano-durazzesco. All'interno si nota un secondo portale architravato, con modanature semplici. La configurazione del fabbricato è caratterizzato da finestre con soglie su mensole scolpite. L'impianto unitario presenta una buona distribuzione dei locali su una corte interna, mentre il collegamento verticale è assicurato da uno scalone in pietra che si sviluppa nell'ala destra».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/potenza/palazzo-loffredo/
«L’origine dell’edificio si può far risalire al XVI sec., ed era adibito a cavallerizza dei conti de Guevara di Potenza; nel 1604 passò ai conti Loffredo, che successivamente lo vendettero agli Addone e poi alla famiglia Ciccotti. Verso la fine del 1800, per vincoli di parentela, il palazzo fu ereditato dai Pignatari. Attualmente si conserva soltanto l’antico portale che affaccia sull’omonimo largo».
http://www.sibasilicata.com/scheda_itinerario.php?id_prodotto_itinerario=191&
«Porta San Giovanni. Fu
edificata in età normanna (XI-XII secolo). La Porta di San Giovanni deve il
suo nome all’ospedale gestito dai Fatebenefratelli di San Giovanni di Dio
(dal XIII al XVI secolo). L’antica porta presenta un arco a tutto sesto
attraversato da una rampa a gradoni. La porta, originariamente affiancata da
due torri di avvistamento, è stata ricostruita a causa dei gravi danni
riportati a seguito del terremoto del 23 novembre del 1980 ed è oggi
inglobata in costruzioni moderne.
Porta San Gerardo. La Porta di San Gerardo è stata costruita in età
normanna (XI-XII secolo) lungo il tratto settentrionale delle mura; prende
il nome dal duomo omonimo situato nei pressi. La porta si apre tra il
Palazzo del Vescovado e il Palazzo Scafarelli, e costituiva l’accesso
diretto all’interno delle mura ai possedimenti della curia vescovile. Il
passaggio è caratterizzato da una volta a botte a sesto ribassato e
sormontato da una piccola finestra, forse ultimo residuo di un antico posto
di guardia, mentre all’esterno si evidenzia una struttura a blocchi del
contrafforte.
Porta San Luca. La porta prende il nome dal convento delle
chiariste di San Luca. Ai lati dell’arco a tutto sesto sono visibili i conci
di pietra calcarea a cui erano fissati i cardini che consentivano l’apertura
della porta.I l monastero di San Luca era, come l’antecedente dedicato a San
Lazzaro, di origine femminile e di regola benedettina. L’esiguità delle
fonti sul monastero di San Lazzaro deriva dalla sua repentina e cruenta
scomparsa intorno alla metà del ‘400, in seguito all’epidemia di peste che
dilagò in molte regioni meridionali. Il monastero, successivamente, fu
probabilmente aggregato a quello di San Luca con tutti i suoi beni. Edificio
più volte ampliato, restaurato e rimaneggiato nei secoli; oltre al convento
ed alla chiesa, comprendeva nella parte bassa a sud del fabbricato, un
giardino con un muro di cinta che si dilungava fino all’attuale via
Garibaldi. Il monastero fu soppresso con il decreto del 17 febbraio 1861,
col quale si sopprimevano nelle Provincie napoletane e siciliane gli ordini
monastici di ambo i sessi. Attualmente è sede del Comando Provinciale dei
Carabinieri. Intorno al 1925 l’antico monastero fu abbellito dalla
costruzione di portici. La caserma dei carabinieri fu inizialmente dedicata
a Mario Pagano e successivamente al tenente dei carabinieri il potentino
Orazio Petruccelli, morto a Cefalonia nel 1943.
Porta Amendola. Il toponimo deriva dal nome della "porta" sul
lato meridionale dell'abitato, dove, secondo la tradizione popolare, fioriva
l'albero del mandorlo. Le prime notizie rinvenute su questo sito risalgono
al XVI secolo: Riviello definisce il luogo fuori della porta, ossia la
scarpata incisa di calanchi, versante luridissimo e scosceso. Si tratta, in
effetti, di una "porta" che non aveva alcuna importanza per la strategia di
difesa della città, per l'accesso pedonale e per i traffici veicolari. La
porta era adiacente alla torretta, che il popolo chiamava la "torre dalle
uova d'oro", abbattuta da circa 50 anni. Nel 1830 il confratello Gerardo
Genovese la"cede" alla Confraternita del Monte di Morti. Nel 1862 si decide
di risanare il luogo con l'abbattimento di alcune casupole e dei ruderi
antichi, per iniziare la costruzione della scalinata di collegamento tra via
del Popolo e via Meridionale, denominata dapprima Scala del Popolo e poi
Gradinata Vittorio Emanuele II. Nel 1864 il Consiglio Comunale approva una
delibera con la quale si affida la redazione del progetto per realizzare il
collegamento tra via del Popolo e via Pretoria mediante "un accesso
provvisorio nel punto di Portamendola".
Portasalza. Il toponimo deriva dall'antico nome del casale,
costruito a margine dell'abitato e da questo separato dal fossato e
dall'omonima porta che fino alla sua demolizione ha significato l'unico
ingresso carrabile controllato alla città. La forma architettonica
dell'ingresso non è documentata neppure dalla descrizione dell'entrata in
città di don Alfonso de Guevara nel 1578 che il cancelliere dell'Università
annota nel Verbale, conservato nel Registro relativo al triennio 1578-1580.
Il ponte levatoio ed il fossato costituivano l'unica struttura di accesso.
Sull'importanza della porta e sull'esatta ubicazione della stessa non vi
sono incertezze dopo la lettura della "relazione Marchi", che porta alla
compilazione della "prima" toponomastica ufficiale di Potenza: " Nel 1816
venne abbattuta. In questo modo il borgo o rione di Portasalza, sorto al di
fuori della porta, venne aggregato alla Città. La detta porta cittadina era
situata all'inizio di via Pretoria nell'attuale crocevia costituito dalle
due vie laterali presso cui finisce la salita di Portasalza". All'inizio del
secolo scorso il complesso edilizio nel quale è inserita la "porta" mostra i
segni di una avanzata vetustà, per cui diventa necessario l'adozione del
provvedimento di demolizione del 18.8.1818: "dopo aver rilevato che le 5
casette che sostengono Portasalza hanno le soffitte e i muri cadenti e in
special modo la casetta di detto Pomponio nonchè la stessa Portasalza devono
essere demolite per evitare il pericolo. Viene deciso di abbattere con
urgenza tali immobili e quindi ricostruirli. L'esistenza del casale,
ipotizzata per la Potentia romana, è accertata in pieno medioevo: la
presenza della cappella di San Giacomo è documentata sin dal 1206, anteriore
a quella di Santa Lucia; questa, pur rappresentando una datazione certa, non
può essere considerato il limite temporale più antico per datare
l'insediamento antropico del sito.
Porta Trinità. Non più esistente. Porta Trinità, detta anche
Tassiello fu una porta di minore importanza rispetto alle altre e per quanto
si sa, non ebbe mai uno sbocco per uscire dalla Città. Consentiva, infatti
di accedere a Largo Tassiello denominato successivamente piazza Duca della
Verdura (dal nome di Francesco Benso Duca della Verdura, Intendente della
provincia di Basilicata dal 1842 al 1847. Il Regolamento di Polizia Urbana e
Rurale stabilì che dal 1845 nel largo si dovesse svolgere la vendita della
carne e del pesce. Il sito era centrale, ma piuttosto angusto, malsano,
inospitale; era invaso dalla spazzatura, non era pavimentato e di giorno e
di notte circolavano animali in cerca di cibo. Nel luglio del 1943, a
seguito dei lavori di ampliamento del Largo Tassiello, la Porta Trinità fu
sostituita da una sorta di vicolo virtuale. Gli ultimi lavori di
sistemazione furono realizzati in appalto sulla base di un progetto di
completamento del novembre del 1843. Già nel settembre del 1844 furono
realizzate due gradinate in pietra da taglio: una per il collegamento con
Via Pretoria e un'altra per l'uscita sulla strada poderale (la strada di
confine che correva lungo le mura di cinta della città, l'attuale Via del
Popolo)».
http://www.comune.potenza.it/index.php/le-qporteq
«La Torre è oggi un edificio spoglio, ma il suo passato vanta gloriosi natali e fin dal principio le sue vicende seguirono molto da vicino quelle della classe politica del capoluogo lucano. Essa era la torre d’avvistamento, o maschio, di un bel castello di cui oggi solo in pochi si ricordano. Tale costruzione fu edificata intorno all’anno Mille dai Longobardi e questo dato è stato ottenuto confrontando i materiali da costruzione della Torre stessa con quelli utilizzati per la costruzione di altre strutture coeve; si tratta di una tipologia di pietra ricavata in prossimità del letto del fiume Basento. Secondo alcuni il castello venne edificato sui ruderi di un precedente complesso fortificato, forse una struttura di detenzione. La prima testimonianza scritta riguardante la Torre è quella dello storico Rivello, che così riferisce: "Si narra che l’antica dimora dei conti sia stata una volta l'antico castello con la sua altissima merlata ed inaccessibile torre, segnacolo di potenza e di minaccia sia per gli abitanti della città, che per i nemici, la quale fatta logora e screpolata dal lavorio dei secoli e dalla forza dei terremoti venne più volte mozzata dal piccone del fabbro, nella stessa guisa che la forza del progresso e la folgore della rivoluzione distrussero il dominio feudale degli antichi signori". Nel tredicesimo secolo, e più precisamente dopo la rovinosa sconfitta di Corradino di Svevia a Tagliacozzo nel 1268, i nobili potentini che lo avevano appoggiato, furono uccisi, accecati o imprigionati dentro il castello. L’amministrazione della città e dei suoi dintorni passò in quell’occasione a un feudatario scelto da Carlo d’Angiò e più tardi, nel 1301 al nobile Ugo di Sanseverino.
Con l’avvento degli Aragonesi il cambiamento politico portò i suoi frutti anche a Potenza e l’amministrazione del feudo passò dalla famiglia degli Artendolo a Don Indico de Guevara. Ad egli succedettero Don Antonio, secondo conte di Potenza e don Giovanni, terzo conte di Potenza. Durante la dominazione spagnola si registrarono due eventi di rilievo: le guerre contro Carlo VIII e Luigi XII; guerre a parte, i reggenti degli Aragonesi fu caratterizzata da un periodo di buona amministrazione generale, tanto che la Torre viene ancora oggi ricordata come Torre Guevara proprio perché l’amministrazione di questa casata non fu invisa al popolo. Il sesto conte della città, Don Alfonso, maritò sua figlia Beatrice ad Enrico di Loffredo, marchese di S.Agata e di Trevico, e così la città, che costituiva la dote nuziale, passò ai Loffredo che già vi erano stati signori in epoca Normanna. Dopo la concessione della contea di Potenza ad Innico di Guevara, i feudatari presero dimora fissa nel palazzo della contea, abbandonando il castello, il quale non venne più curato dai suoi padroni. Fu così che venne ceduto nel 1626 ai Cappuccini, che decisero di utilizzarlo come convento e poi come ospizio per i pellegrini che da Napoli decidevano di percorrere la Basilicata attraverso i santuari più famosi e poi giungere e Bari e a Brindisi per dirigersi in Terra Santa. Successivamente, il Conte Carlo Loffredo, figlio di Beatrice de Guevara, lasciò ai Cappuccini una considerevole somma di denaro per permettere loro di fondare nel Castello una chiesa ed un monastero. Nel 1810 il re delle Due Sicilie Gioacchino Murat decise di rinnovare il complesso istituendovi l'Ospedale San Carlo. Con tale funzione il castello venne ampliato nel 1927, ma già alla fine degli anni ’50 del nostro secolo, tutto il complesso fu abbattuto per costruire l'Istituto Tecnico Commerciale Leonardo da Vinci. A testimonianza dei tempi andati oggi resta solo la Torre, che ha resistito a circa mille anni di storia e ai rovinosi terremoti del 1273, del 1694, del 1857 e del 23 novembre 1980».
http://www.astroala.it/chi_siamo/storia_torre.htm
a cura di Vincenzo Zito
Ruoti (palazzo Ruffo o del principe)
«Il paese di Ruoti è situato su di un'altura, dominante il corso della fiumara di Avigliano. Le sue origini sono remote e probabilmente risalgono al VI sec. a.C., quando il centro fu edificato lungo un'antica rete stradale che collegava Metaponto con la valle del Sele. Ruoti fu una roccaforte lombarda appartenente alla Contea di Conza e successivamente fu ceduta dai Normanni alla Contea di Conversano. Nel feudo si susseguirono vari signori e nel periodo angioino vi dominarono prima i Sanseverino e poi i Ferillo di Muro. Nel 1511 accolse anche una colonia di profughi albanesi. Nel 1583 fu dominata dai Caracciolo, ed è proprio in quel periodo che Ruoti ottenne gli Statuti Cittadini. Infine il centro appartenne ai Capece Minulto e poi ai Ruffo di Bagnara. Per le vie del centro storico si possono ammirare pregevoli portali di antichi palazzi».
http://www.comune.ruoti.pz.it/index.php
Ruvo del Monte (castello Gesualdo)
«Sorse, con molta probabilità, durante le guerre tra i Longobardi ed i Bizantini per il dominio della contea di Conza e per la riconquista dei loro antichi territori perduti (avvenute dal 600 d.C. in poi). Di esso, infatti, si ha menzione già in documenti dell’anno 1000. In epoca medievale Ruvo venne quasi certamente distrutta nel 1348, ad opera delle orde degli Ungari di re Luigi, calato nel meridione d’Italia per vendicare la morte del fratello Andrea, provocata con subdole arti e con trame ordite a corte dalla Regina Giovanna I di Napoli. Sotto la giurisdizione del Conte di Conza, fin dal 1161, Ruvo fu feudo delle famiglie Balvano, Del Balzo e Gesualdo. Ricostruito il borgo, esso fu dotato di nuovo castello, ma vennero entrambi distrutti e dati alle fiamme nel 1435 dall’ufficiale Caldora, angioino, perché il feudatario di Ruvo, Antonello Gesualdo, era partigiano del re aragonese Alfonso. I Gesualdo ricostruirono nuovamente Ruvo. Nel 1652 fu venduto al duca di Bisaccia, Ettore Pignatelli, infine passò ai Caracciolo di Torella e rimase a questa famiglia fino all'abolizione del feudalesimo nel 1806, con cui vennero abolite le giurisdizioni e i proventi baronali ed espropriate le terre ecclesiastiche. Oggi il castello, affiancato da una possente torre circolare di epoca angioina che conserva ancora le originali merlature, è stato diviso tra vari proprietari che hanno in parte modificato le antiche strutture, ancora tutte racchiuse tra due grandi porte con le loro mura, il fossato e la vestigia dei ponti levatoi, che in caso di pericolo, isolavano, a difesa, il castellano. All’interno è possibile ammirare un bel cortile con relativa porta, sovrastato dallo stemma dei Gesualdo. Dal belvedere del Castello è possibile ammirare l’intero panorama dell’abitato sottostante, le campagne e le colline che lo circondano, le vallate del torrente Liento e del fiume Ofanto, come pure i Fronti di Ruvo verso il Vulture, fino a sconfinare verso il maniero federiciano di Lagopesole verso sud, e i paesi di Rapone e Calitri, verso Ovest. Da anni tutte le Amministrazioni comunali si sono interessate a valorizzare e acquisire il complesso del “castello” con annessa Torre, che rappresenta il simbolo del paese; fino ad oggi, però, non si è riusciti a farlo e si spera che, nel tempo, ci si impegni a dare importanza al monumento, che è stato dichiarato, dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, con decreto 14 ottobre 1985, di interesse particolarmente importante e sottoposto a tutte le disposizioni di tutela perché rappresenta “un significativo esempio di complesso residenziale fortificato, variamente articolato in coerenza con la morfologia del luogo". ...».
http://castelliere.blogspot.it/2012/10/il-castello-di-mercoledi-17-ottobre.html
San Chirico NUOVO (resti del castello, palazzo Padula)
«L’attuale San Chirico risale probabilmente al 960 d.C., ad opera di una colonia greco-bizantina sfuggita alle persecuzioni iconoclastiche nel loro paese. Qui si riparò raggruppandosi attorno ad una torre, costruita dagli stessi bizantini verso l’826 d.C. Da una bolla pontificia di Niccolò II del 1068 si rileva che tale centro faceva già parte della arcidiocesi di Acerenza. Con la conquista normanna la difesa di San Chirico venne assegnata alla famiglia Sanseverino, che fece costruire un castello di cui non restano tracce, se non una torre. ... Il Castello, sorto intorno all’826 d.C. per servire da avamposto e avvistamento ad opera dei Greci-Bizantini e ampliato verso il 1160 al tempo dei Normanni, si può dire che non esiste più, se non una torre, povera di decorazioni, con balconi del 1700 dalle ringhiere in ferro battuto. Gli altri resti del castello sono stati demoliti nel 1957 quando fu costruito il municipio e bitumata la Piazza Europa, una volta denominata “largo Castello”. In piazza Roma è ubicato il Palazzo Padula, realizzato intorno al 1700 e che ha subito varie trasformazioni. La parte rimasta intatta è quella che si affaccia direttamente su Piazza Roma. Importante dal punto di vista artistico è la scalinata di accesso, con gradini sagomati e decorati; il portale è abbastanza semplice ad eccezione della chiave di volta. La facciata che dà sulla piazza presenta una loggetta con tre arcate, motivo architettonico ricorrente nell’edilizia locale del XVIII sec. Il palazzo nel 1799 è stato teatro di una vicenda storica: l’omicidio del presidente».
http://www.cfp-sanchiriconuovo.it/il-paese
San Chirico Raparo (resti del castello, torre San Vito)
«Caratteristico è il
centro storico, ove si notano le case costruite lungo linee di livello che
formano strade concentriche, collegate tra loro da rampe e scalinate e
qualche palazzo signorile con portale in pietra. Andando lungo la salita di
Via Duomo si giunge alla Chiesa della Madonna Addolorata o delle Lacrime,
del XVI secolo, che poco conserva della sua struttura originaria.
Interessante è il Palazzo Barletta, che custodisce, nelle stanze riccamente
decora-
te, arazzi e mobili d’epoca. In Piazza Roma si trovano il Palazzo del
Municipio, il Palazzo Ferrara e la Chiesa di Sant’Anna del Settecento. ...
Nella parte più alta del paese, di fronte ai ruderi del Castello (forse
opera dei Bizantini per difendersi dai Saraceni), sorge la Chiesa Madre
dedicata ai SS. Pietro e Paolo, riedificata sui resti di una precedente
chiesa alla fine del ‘700. ... Fuori del paese è ubicata la torre di San
Vito, torre di avvistamento a base quadrata, costruita tra il Cinquecento e
il Settecento. Attualmente è in restauro, perché sarà adibita dal Comune ad
attività varie».
«Potremmo dire che storicamente il legame di San Fele con la regione del Vulture si è consolidato sulla base di una sorta di complementarietà che trova anche dei curiosi spunti storici come la vicenda del Castello di cui oggi re stano solo alcuni ruderi, ma che costituisce l’elemento cardine attorno al quale si è poi sviluppato l’impianto urbano di San Fele. Melfi e Lagopesole quindi, due caposaldi di un’area piuttosto ampia, ma sostanzialmente identificabile con il sistema del Vulture, si legano in modo indissolubile con i castelli federiciani ed in particolare con la figura di Federico II, trasmettendo una immagine del tutto accattivante, legando i due superbi esempi di architettura militare ad aspetti altrettanto interessanti sull’operato della dinastia degli Svevi e sulla personalità dell’imperatore (le costituzioni melfitane, i trattati e le speculazioni sulla caccia, la passione per l’architettura). Il Castello di San Fele diventa, invece, prigione che svolge un ruolo importante nell’estinzione del dominio svevo, in quanto tra gli altri vi viene detenuto Enrico, figlio di Federico II. Ma già la ratio della sua costruzione, costituisce un elemento destinato a condizionarne le sorti nei secoli a venire. San Fele nasce come fortezza costruita, nel 969 dell'Era Cristiana, da Ottone I di Sassonia, avamposto di frontiera fra due mondi, per bloccare l’avanzata del dominio bizantino con tutto ciò che esso rappresentava in termini di visione economica, politica, culturale e religiosa, opposta ed antagonista a quella dei popoli venuti dal nord come i Longobardi e i Sassoni. Successivamente la fortezza viene utilizzata come luogo di detenzione sia nello scontro tra Normanni ed Angioini che in seguito nel periodo del dominio Durazzesco-Aragonese. Doveva essere certamente un carattere peculiare quello dell’austerità, ispirato da una natura di questo territorio, allo stesso tempo aspra per l’aspetto delle montagne, superba per la presenza di boschi rigogliosi, ma anche serena e tranquilla come il rigoglio dei torrenti, per far sì che l’opera di predicazione di Guglielmo da Vercelli trovasse un luogo di dimora. Infatti, nel 1189, si decide di dare inizio alla costruzione della chiesa di S. Maria di Pierno, esattamente aipiedi di Monte Pierno, in territorio di San Fele».
Sant'Arcangelo (resti del palazzo baronale La Cavallerizza)
«Il Palazzo della Cavallerizza è un edificio storico che si trova in agro del Comune di Sant'Arcangelo (PZ), a tre chilometri dal centro abitato. In un luogo vicino al greto del fiume Agri, si possono ammirare le maestose mura di quello che fu un importante ed originale Palazzo del Medioevo lucano, centro residenziale delle famiglie feudali che lo possedettero e sede di uno degli allevamenti di cavalli più importanti del Sud Italia. Il Palazzo venne edificato dalla famiglia Della Marra da cui passò ai Carafa, poi ai Colonna ed infine alla famiglia Scardaccione, attuale proprietaria. Il Palazzo della Cavallerizza, in una descrizione di Sant'Arcangelo, che ci perviene da un manoscritto di Mandello di Diano, in una cronaca del XVI secolo viene descritto in questo modo: "...vedesi la terra di S.Archangelo benché fra balze, situata in piano con buone habitationi, e un ordine ben'inteso, si che rassembra più tosto Città, che terra di montagna. .... Il popolo vi è molto numeroso il quale pur della bambagia che raccoglie riceve grande utile, non vi mancando gentilhuomini che agiatamente vivono della rendita loro, dimostrandosi in tutte l'occorrenze cortesi e gentili. Nella parte più bassa del distretto alla ripa del fiume Acri vedesi un suntuoso edificio chiamato il Palazzo, quivi fabricato dai signori Principi di Stigliano, padroni del luogo per stanza e ricetto della razza de lor cavalli, famosa non pur in questa provincia ma in tutto il regno...". Recenti studi hanno evidenziato che la costruzione del Palazzo risale al XIV secolo, certamente ad opera della famiglia Della Marra giunta da Barletta che in quel periodo iniziò a manifestarsi come una delle famiglie feudali più importanti della Basilicata giungendo a possedere circa cento feudi tra cui Aliano, Roccanova, Stigliano, Cirigliano, Serino, Solofra, Accettura, Gorgoglione, ecc. ... L'edificio presentava una forma a C, con all'interno vari saloni affrescati, la sala del trono, ed attiguo alle scuderie vi era la carriera ad archi, coperta, lunga più di 200 metri e larga 8, utilizzata per l'allenamento dei cavalli per il dressaggio guerresco».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_della_Cavallerizza
Sant'Arcangelo (torre Molfese)
«La Torre Molfese sorge nella media Valle dell’Agri in Sant’Arcangelo, popoloso paese agricolo di Basilicata. Edificata nel XV-XVI secolo, viene menzionata in una pergamena del 1616, sorge su una collina tra uliveti e vigne in frazione San Brancato contrada Mederico, domina il fiume Agri ed è situata sulla mulattiera (un tempo piena di boschi), che da Sant’Arcangelo portava al Monastero di Santa Maria di Orsoleo. Era utilizzata per proteggere il Monastero, il territorio e le strade che ad esso portavano, oltre che i viandanti e i monaci, che giornalmente si recavano al convento. La Torre Molfese, costruita con mattoni e pietre il piano terra, e solo in mattoni a vista il secondo e terzo piano), fu dotata anche di una cappella votiva dedicata alla Santa Croce che serviva agli armigeri come luogo di preghiera, ma anche ai numerosi monaci e viandanti. All’interno dell’edificio vi era un rudimentale camino, utilizzato per preparare il cibo ed una scala che permetteva il collegamento tra i piani. Annessa alla Torre vi era una “nevera” dove veniva ammassata e compressa la neve durante l’inverno; era una buca di forma circolare rivestita di mattoni con una apertura superiore usata per introdurre la neve che veniva compressa con lunghi bastoni di quercia. ... Tra le altre pertinenze vi era un “catogio” (ambiente ipogeo scavato in parte nel terreno) che serviva come deposito e riparo per i quadrupedi utilizzati per esplicare il servizio di guardia. La torre era autosufficiente per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico, dal momento che poco distante esisteva una sorgente di acqua fresca, Fontana Mederico, ancora parzialmente in uso. ... L’edificio, con il passare del tempo, perse la sua importanza, dal momento che il vicino monastero di Santa Maria d’Orsoleo fu sempre meno frequentato dai monaci, fino a quando un incendio distrusse la biblioteca e tutti i libri salvati dalle fiamme furono trasferiti presso la Badia di Cava dei Tirreni. Con la chiusura del monastero, avvenuto nell’anno 1891, anche per la Torre iniziò il degrado insieme a quello delle sue pertinenze. Per salvare dalla distruzione l’importante insediamento ai primi degli anni ’80, per volere della signora Camodeca Giuseppina de’ Coroney, arberesche di Castroregio (CS) fu ricostruita la cappella, della quale restavano solo le nude fondamenta. ... Attualmente nella torre restaurata è stata ubicata la sede del Centro Regionale Lucano dell’Accademia di Storia dell’Arte Sanitaria che, tramite il Centro Studi sulla Popolazione, oltre ad indagini e studi sul territorio, svolge anche ricerche di Medicina Popolare e di Storia della Medicina».
http://www.torremolfese.org/files/MOLFESE_DEPL_APRILE_2005.pdf
Sasso di Castalda (ruderi del castello)
«Probabilmente un primo nucleo del paese sorse, in epoca incerta, sul costone a sud dell’attuale abitato, denominato Pietra Castalda, ossia Rupe Fortificata, a strapiombo sul torrente Fiumicello, che confluisce nel Pergola per passare infine sotto il castello di Brienza. Di quel primo insediamento non restano che poche pietre ... Roccaforte normanna esistente già nella metà del XII sec., individuata su una carta del 1068 come Saxo Forte, probabilmente fu per molti secoli solo un Casale, ossia un feudo minore del feudo principale, costituito da Pietrafesa - attuale Satriano - prima, e da Brienza poi, sotto i Caracciolo. Proprio con i Caracciolo (quindi dal XV sec. in poi) una cospicua immigrazione di coloni comportò l’ingrandimento del nucleo urbano e l’aumento della popolazione, fino ad allora assai esigua e costituita prevalentemente da pastori alloggiati in capanne di legno e pagliai. Ai Conti Gaetani d’Aragona, che successero ai Minutolo nella signoria del paese, si deve probabilmente la costruzione del castello, di cui non rimangono che pochi ruderi. ... Proseguendo per via Castello, ci si addentra nell’antico nucleo del paese, probabilmente risalente al 1500, fatto di vicoli e vicoletti caratteristici, ancora in parte abitati. Di qui, attraverso una scalinata e poi un antico tratturo, è possibile risalire verso il costone roccioso, denominato “Sassi”, su cui sono in parte ancora visibili i resti dell’antico Castello, appartenuto ai Gaetani d’Aragona. Sul percorso si incontra una vecchia cappella, ben conservata, dedicata a San Nicola. Di modeste dimensioni, qualcuno ritiene che fosse la Cappella del Castello. Sulla effettiva dimensione e funzione dell’antica rocca, ci sono pareri contrastanti. Per alcuni, infatti, più che un castello vero e proprio, essa fu solo una torre di avvistamento, risalente già al XII secolo. Lo dimostrerebbe lo strettissimo viottolo di accesso, molto scosceso e percorribile solo a piedi, poco adatto ad un castello feudale destinato ad essere abitato, e la sua posizione isolata in questo posto di selvaggia natura. Visibili sono, oggi, lungo tutta la cima del promontorio su cui sorge, le tracce delle antiche mura della torre e i muretti dei parapetti del bastione».
http://www.basilicata.cc/chiese/sassoc/Tscritto/sasso.htm (da Le valli del Melandro, 1998)
Satriano di Lucania (castello Guarini, palazzi gentilizi)
«Il nome attuale fu adottato nel 1887, quando si decise di abbandonare definitivamente il vecchio toponimo di Pietrafesa o Pietrafixa, e di riconoscere, quindi, che l’origine del paese affondava le sue radici nella distruzione dell’antica città di Satrianum, i cui abitanti, intorno al 1420, si riversarono nei centri vicini, ripopolandoli. Il suffisso Fixa, ossia “spaccata”, del toponimo originale derivava probabilmente da una grossa spaccatura che si apre in un monte vicino, formando un burrone che serve da passaggio a chi da Satriano si reca a Potenza. L’antica Pietrafesa si sviluppa lungo le pendici e le falde di tre rocce, o pietre, dette Castello, Piesco e Madonna della Rocca, sfiorate dal fiume Melandro. Di qui passava il tracciato dell’antica Via Herculea, strada romana che fungeva da collegamento tra l’Appia e la Pompilia, consentendo di raggiungere questi luoghi così interni ed aspri. Fu contea normanna e, fedele agli Svevi, partecipò alla rivolta ghibellina del 1268 contro gli Angioini. Ridotta alla ragione da Carlo d’Angiò, fu da questi infeudata a signori a lui devoti, decadendo al rango di casale di Satrianum. Successivamente al 1420, fu assegnata da Alfonso d’Aragona ai Caracciolo. Partecipò ai moti insurrezionali del 1799, combattendo valorosamente contro i borbonici. Cosa vedere. La visita si presenta interessante per alcuni edifici baronali del XVII e XVIII secolo, tra cui si segnalano palazzo Abbamonte, in via Piazzile, dal portale settecentesco, semidistrutto dal terremoto del 1980; Palazzo Pignatelli, con portale del 1542; il bel Palazzo Loreti, in via De Gregorio, appartenente ad una ricca famiglia del ‘700, recentemente ristrutturato e oggi sede del Municipio [è detto anche castello Guarini]; il Castello o La rocca dei Poggiardo, in via Castello, anch’esso gravemente danneggiato dal sisma dell’‘80».
http://www.basilicata.cc/lucania/satriano
Satriano di Lucania (ruderi della torre)
«La Torre di Satriano si eleva su di un colle difficile da scalare, tra Satriano e Tito. È una torre alta, di base quadrata, situata fra i ruderi di una città abbandonata. La nascita della prima Satriano è fatta risalire, soltanto grazie a ritrovamenti di frammenti di ceramiche trovate sui pendii e ai piedi della collina, tra il X e il VII sec. a.C. Infatti la collina, nota con il toponimo di Torre di Satriano, sulla linea di confine tra i moderni comuni di Satriano e Tito, è sede di una complessa stratificazione storica che data dall'età del Ferro sino alla fine del Medio Evo, con diverse e significative soluzioni di continuità. Sulla distruzione della città la leggenda narra che la crudele regina di Napoli, Giovanna II, sorella di re Ladislao, fece condurre da Terlizzi, in terra di Puglia, una giovane dama di compagnia scortata da milizie del Regno.Quando il drappello attraversò la città di Satriano, la nobile donna venne rapita a causa della sua bellezza e Giovanna II, dopo l'affronto subito, ordinò una tremenda vendetta. L'abitato, infatti, venne ridotto in cenere da uno spaventoso incendio che risparmiò solo la torre normanna ed alcuni muri di edifici».
http://www.aptbasilicata.it/Sito-di-Torre-di-Satriano.472.0.html
«Il castello chiamato anche "rocca" è il monumento più rappresentativo di Savoia. Posto alla sommità di uno sperone, a 740 metri di altitudine, domina con la sua mole l'intero abitato di cui costituisce l'origine stessa. Intorno ad esso e attraverso un processo storico secolare, infatti, si è venuto a sviluppare il borgo medievale di cui è testimonianza, come già detto, l'intrinseca trama di vicoli che da esso si spande e caratterizza l'intero nucleo di Savoia. Il castello è perciò importante non solo come monumento in sé, inteso come testimonianza architettonica, ma soprattutto perché è fulcro urbanistico della città. Nonostante abbia subito manomissioni e trasformazioni, il suo impianto è abbastanza compatto e si inserisce nel tessuto urbano circostante con una logica che rispecchia pienamente i caratteri dell'architettura medievale. La facciata principale, che prospetta su piazza Marconi, s'impone con linearità piatta interrotta da aperture disposte senza un criterio di omogeneità e dal portale in pietra con un arco a tutto sesto, mentre peculiare agli altri lati e la mancanza di uniformità. La costruzione rappresenta un impianto trapezoidale che sviluppa intorno ad una corte interna: negli spigoli che delimitano Vico I del Popolo sono presenti due torri; una terza è posta tra l'ingresso della corte e del giardino esterno. L'intero edificio si articola all'interno di un perimetro di 130 metri e si sviluppa su due piani fuori terra e uno interrato sulle due ali laterali, mentre sulle ali principali si sviluppa su tre livelli. Attualmente tutto il castello è inagibile e pertanto non è stato possibile visitare l'interno e descrivere i vari ambienti. Si sa comunque che venne frazionato in varie unità abitative, per lo più dislocate ai piani superiori, mentre al piano seminterrato e a piano terra vi sono prevalentemente depositi agricoli e cantine.
Sulla sua origine non si sa molto come poche sono le notizie riferite alla sua evoluzione e trasformazione architettonica. Francesco Paternoster nel suo volume L'antica Salvia oggi Savoia di Lucania scrive: "…di sicuro rimonta all'epoca feudale e, precisamente, al tempo delle dominazione normanna e di Ruggero II…", e aggiunge che "...nel dicembre del 1239 Robertus de Salvia doveva provvedere alla custodia di alcuni prigionieri longobardi". All'epoca però, il castello aveva dimensioni molto più ridotte dal momento che doveva assolvere ad una funzione prettamente militare. Di sicuro non aveva la tipologia a corte, qual è quella attuale, ma ad L. I primi lati costruiti sono stati quello a Sud e quello ad Ovest; successivamente fu aggiunto il lato Est intorno all'androne di accesso assumendo l'attuale conformazione. L'ipotesi della costruzione in fasi diverse ha trovato conferme nella letteratura dei danni provocati dal sisma del 23-11-1980. Nella relazione allegata al progetto di restauro, trasmesso alla Soprintendenza nel 1986, redatto dall'architetto Pasquale Pucciarelli, è riportato che l'ala Nord del fabbricato, che si ipotizza sia stata costruita per ultima, oltre ad avere i muri meno spessi, ha subito, proprio lungo i lati di attacco alle altre ali, i danni più gravi per la mancanza di connessioni delle strutture murarie tra loro. Inoltre, il lato Est si configurava come difesa naturale costituito dallo strapiombo che ora è occupato dal giardino e dalle case sottostanti. Con il passare del tempo, l'impianto è variato, passando da edificio adibito a scopi militari, a centro della vita del paese: l'antico casale, diventato un tipico borgo feudale, si era ripopolato con l'arrivo dei profughi della città di Satriano, distrutta nel 1430, e da qui, forse, nacque l'esigenza di avere più sicurezza e si pensò di chiudere a corte l'originaria fabbrica. L'ampliamento avvenne, con ogni probabilità, nei secoli XV e XVI quando il castello era posseduto dalla famiglia Caracciolo; a quell'epoca si fa risalire anche la costruzione della galleria. ...».
http://www.comune.savoia.pz.it/Guidaalpaese/tabid/11807/Default.aspx?IDDettaglio=4540
Senise (castello Sanseverino o torre Capalbo)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Costruito nel 1200, fu ricostruito intorno al 1400 e si fregia di torri e merlature. La fondazione dell'attuale centro abitato di Senise è da farsi risalire al periodo normanno quando fu edificato un primitivo castello, dipendente dai Sanseverino di Chiaromonte, parte di un complesso sistema difensivo creato a difesa della valle sottostante. Col trasferimento del maniero, di cui sono visibili parti delle mura perimetrali e torri, in posizione più elevata, il tessuto urbano arrivò ad occupare tutta la collina formando un triangolo, definito a valle dal torrente Serapotamo ed ai lati da due profondi valloni, ottime difese naturali. I frati minori conventuali, giunti a Senise, inizialmente abitarono alcuni ambienti del Castello messi a loro disposizione da Margherita Sanseverino, contessa di Chiaromonte. Nel 1270 sorse il convento di San Francesco d'Assisi. A fianco del castello i frati, nel corso dei secoli XIV-XVI, fabbricarono altre costruzioni attorno ad un chiostro che comunicava col castello e con il convento. Sostanzialmente, dalla metà del 1500 alla fine del 1800, l'impianto urbanistico di Senise rimase pressoché inalterato, tutto compreso nella cerchia delle mura, registrandosi semplicemente una crescita su sé stesso del centro urbano, con operazioni di sostituzioni edilizia o di accorpamento di più edifici, per la realizzazione, a partire dal XVIII secolo, dei palazzi nobiliari-signorili della borghesia agraria nata dal disfacimento e dall'abolizione dei privilegi feudali».
http://castelliere.blogspot.it/2011/07/il-castello-di-mercoledi-27-luglio.html
TEANA (centro storico, palazzo baronale dei Lecce)
«Il centro urbano esisteva al tempo dei Longobardi, i quali vi costruirono una fortezza e vi istituirono un Gastaldato. ... È probabile che Teana rivestisse un ruolo di una certa importanza nel Latiniano; vi furono eretti da Beniamino due monasteri (S. Basilio e S. Filippo) dipendenti dal grande monastero di Carbone. Nella seconda metà del XI sec. Teana rientrava nella vasta contea di Chiaromonte ed apparteneva alla diocesi latina di Acerenza; alla fine del XII sec. divenne feudo dei Sanseverino di Bisignano ai quali restò confermata fino al 1343, quando Eufrasia la portò in dote a Giacomo di Missanello. Nel 1267 contava 400 abitanti, 954 abitanti nel 1521 e nel 1561 toccava il massimo storico di 2604 abitanti, dopo di che iniziava un netto decremento demografico a causa di carestie, epidemie (nel 1562), peste nera (1576, 1656) e terremoti (nel 1561, 1584, 1592) tanto da raggiungere il minimo storico di 306 abitanti nel 1669. Al 1683 risale la relazione che il perito D'Urso fece per incarico del marchese Domenico I Missanello: nel centro di Teana esistevano 4 chiese e 6 cappelle, il castello era adibito a carcere; la situazione economica dei contadini era drammatica. I Missanello, pur se residenti a Napoli, per mezzo di un governatore controllavano il paese ed esercitavano il potere seguendo la consuetudine feudale con prepotenze e vessazioni di ogni genere. Nel 1690 parte della popolazione di Teana, stanca di sopportare i soprusi del marchese, preferì rifugiarsi nelle confinanti terre del principe di Bisignano, dove fondò il nuovo borgo di Fardella. Nel 1693 un grande incendio danneggiò gravemente numerosi edifici, tra cui il castello le cui pietre furono utilizzate per le nuove costruzioni. Dopo più di quattro secoli di appartenenza alla casata dei Missanello, nel 1770 Teana passò ai Donnaperna di Senise» - «Il centro storico è di struttura medioevale ed è situato nella zona intorno al castello, del quale è rimasto ben poco. Nelle vie lunghe e strette, con case a primo piano, di gusto raffinato pur nella semplicità contadina, si notano vari palazzi gentilizi, tra cui l’antico palazzo baronale della famiglia Lecce [ha pianta rettangolare e finestre con cornici superiori aggettanti]. In Via Domenico Breglia il cesellato portale settecentesco in pietra locale del Palazzo Chiurazzi è un’opera artigianale di grande prestigio».
http://www.comune.teana.pz.it/teana/oc... - http://www.vacanzeinbasilicata.it/Basilicata/Potenza/Comuni/Teana/Teana.pdf
«A resti di una fortificazione si possono attribuire resti di muratura realizzati in blocchi irregolari di puddinga, ossia roccia con elementi tondeggianti uniti ad abbondante cemento siliceo, e ricorsi di laterizi, intorno alla piccola rocca (a 808 m. s.l.m.), in particolare sul lato sud-est; il resto potrebbe essere andato distrutto o, meglio, inesistente data l’inaccessibilità naturale del luogo sul versante nord-ovest, secondo l’espressione “Natura precipue munitissime”: il pendio molto ripido a nord rendeva, infatti, inutile una difesa, come a Satrianum che presenta una cinta muraria assente proprio a nord, e il borgo (la Terra) era escluso da tale difesa come a Brienza. L’impostazione urbanistica di Teana richiama quella di un kastellion, fortificazione di una parte del villaggio a differenza del kastron, ossia l’abitato fortificato, come il caso del vicino Castronuovo. A Teana si può ben individuare la rocca o avamposto anche come sistema di fortificazione urbana: il borgo era escluso dalla fortificazione ma in essa la popolazione poteva, comunque, rifugiarsi in caso di pericolo. La fortificazione dello sperone roccioso isolato rinsaldava ciò a cui già naturalmente la rocca era chiamata: controllo del territorio, vero e proprio punto di osservazione, sito strategico, a controllo della vallata del Serrapotamo ancor oggi chiamato dai locali Castiell, la tradizione toponomastica non ha cancellato quel monumento sostituito, nella seconda metà del XIX sec., da un serbatoio d’acqua. La scelta di questo sito ben risponde alle prescrizioni dei trattati bizantini d’architettura che raccomandavano il ricorso a difese naturali per rinforzare sicurezza e risparmiare sul costo della murature, la solidità difensiva era legata e dipendente dal sito e dalla sua posizione naturale. La tessitura muraria, per fortuna rimasta a noi, è poco leggibile data la profonda erosione della faccia a vista mentre evidenti sono una serie di piani di orizzontamento con coppi e tegole fratte a intervalli regolari. Le murature sono realizzate a scarpa e presentano uno spessore di circa 120 cm. Difficile stabilire un orizzonte cronologico data la mancanza di ritrovamenti ulteriori e dalla presenza, sul sito, del grosso deposito idrico che ha obliterato e distrutto qualsiasi altra memoria storica precedente. ...».
http://consiglio.basilicata.it/consiglioinforma/files/docs/30/77/00/DOCUMENT_FILE_307700.pdf (a cura di Antonio Appella)
Tolve (arco delle Torri, fortificazioni)
«In epoca medievale Tolve è un borgo fortificato, sormontato da un castello a tre torri – l’attuale stemma del paese –, e circondato da un fossato che lo difende dagli attacchi nemici. È citata in un documento del 1001, contenente la richiesta avanzata da Tricarico al catepano bizantino Selenziano perché ristabilisca i confini violati dai tolvesi: in tale periodo, infatti, il paese si trova sulla linea di confine fra domini bizantini e domini longobardi. Dagli Aragonesi viene concessa ai Pignatelli. Nel 1583 Tolve chiede ed ottiene di passare al Regio Demanio, cioè alle dirette dipendenze della Corona senza l’intermediazione del barone. Riscattatasi dal giogo feudale, Tolve è una delle poche cittadine demaniali dell’Udienza di Basilicata rimaste tali sino all’eversione della feudalità. Nel 1799 i contadini invadono le terre ed appoggiano l’iniziativa del nuovo sindaco, il giacobino Oronzo Albanese, il quale pianta l’albero della libertà e accorre a Potenza per cercare di porre argine alla reazione. Fino al XVI secolo Tolve mantiene il caratteristico aspetto di centro fortificato con sviluppo urbanistico concentrato intorno alle mura di cinta della città, con la chiesa di S. Nicola e due baluardi fortificati: a nord-est il castello arroccato sul colle e ad ovest il monastero di S. Pietro. L’edificazione successiva è avvenuta ancora intorno alle mura, ma soprattutto nell’area orientale, tra la chiesa di S. Nicola ed il castello, mantenendo inalterati i percorsi che dalla collina si snodano verso i varchi delle mura. A partire dalla seconda metà del XVI secolo si ebbe una fervente attività edilizia dovuta a vari fattori come l’aumento demografico, i gravi danni provocati dal terremoto del 1561, i nuovi assetti politici. L’esigenza di costruire dimore padronali, case gentilizie e palazzi all’interno delle mura modifica l’originaria destinazione delle abitazioni, mentre all’esterno della cinta muraria si viene formando il primo nucleo abitativo del Casale dove trovano sistemazione i vecchi abitanti e i contadini. L’attività di rinnovamento edilizio all’interno delle mura si conclude nel 1638 con la costruzione delle nuove carceri e degli alloggi per il contingente militare e per la Corte di giustizia.
http://www.cmaltobradano.it/cmaltobradano/detail.jsp?sec=100066&otype=1011&id=100095
«La visita può cominciare dal borgo medievale nel quale si entra attraverso l’arco delle Torri (XVII – XVIII secolo), collocato nella cinta muraria del XII secolo della quale rappresentava uno dei varchi principali. Da via Marsala è visibile l’arco in pietra bugnata databile ai secc. XVII e XVIII, ricostruito probabilmente quando venne ristrutturata l’antica cinta muraria e, sulla sua sinistra, una delle tre torri superstiti. Superato l’arco si passa sotto una volta a botte che sorregge parte delle costruzioni che, negli anni, si sono addossate alle mura. Qui si affaccia la chiesa di S. Pietro, forse anticamente appartenente ad un monastero benedettino oggi scomparso, di cui parlano già alcuni documenti dei secc. XII e XIII. L’edificio attuale è costituito da una piccola chiesa monoaulata, eretta lungo il perimetro fortificato dell’abitato medievale. Adiacente alla chiesa, l’ex palazzo governativo, oggi palazzo del pellegrino, edificio di modeste dimensioni, arricchito da un portale in pietra lavorata, mensole e loggia, databile al XVI secolo. Al suo interno si conservano ambienti coperti da volte a crociera. Nel palazzo sono stati recentemente trasferiti i numerosi ex voto a S. Rocco prima conservati nella sagrestia della chiesa di S. Nicola. ... In via Palestro è palazzo D’Erario, residenza dell’omonima famiglia presente a Tolve fin dal XV secolo. L’edificio è impreziosito dal bel portale di ingresso in pietra bugnata a punta di diamante: manufatto di chiara impronta rinascimentale ad arco a tutto sesto, inquadrato in un rettangolo con cornici di coronamento e stemma della famiglia. Nei pressi del palazzo incontriamo l’arco D’Erario, una delle quattro porte dell’antica cinta muraria. Alla sua destra è la casa della mammana, riconoscibile dallo stemma del Comune e dalle tracce del foro circolare attraverso il quale venivano fatti passare i neonati abbandonati. Il palazzo Florenzano, ubicato tra corso Garibaldi e via S. Giovanni, prende il nome da una delle famiglie più antiche del paese, insediatasi a Tolve dalla II metà del ‘400 insieme ai d’Erario, ai Cavallo, ai Pappalardo e ai Fiore. ... In corso Vittorio Emanuele è palazzo Ruzzi del XVIII secolo. L’edificio, su due piani, ha la facciata scandita da lesene aggettanti, con basamento in pietra, che la inquadrano in un ordine gigante nel quale sono inseriti i portali del piano terra e i balconi del primo piano».
http://www.cmaltobradano.it/cmaltobradano/detail.jsp?sec=100066&otype=1011&id=100095
Trecchina (resti del castello o palazzo baronale)
«Il castello di Trecchina è situato in posizione eminente e circondato da folti e rigogliosi castagneti. Ivi convennero spesso dame e gentiluomini dai feudi vicini, per cacce e altri divertimenti del tempo, coi quali il duca cercava di alleviare le sofferenze delle giovini spose. Molte spesso, oltre alle tristi leggende, tuttora in voga tra il popolo, di signori tirannici, di scene di sangue, di trabocchetti, di veleni, vi sono fatti mondani, come sembra accertato a Trecchina (al contrario di molti altri feudi della Provincia), che non ebbe feudatari oppressori, ma signori che non si avvalsero mai dei privilegi odiosi, che la civiltà del tempo pur loro conferiva a diritto. Più che di un castello, si deve parlare di un palazzo baronale, che fu fatto costruire nel 1530 dal feudatario Antonio Palmieri, barone di Latronico. Piccolo il feudo, piccolo il castello, formato di due piani: quello a piano terra, composto di otto vani e di un lungo corridoio centrale: era addetto agli armati, ai familiari, ai depositi, alle cucine; e quello superiore addetto al feudatario, composto di sei vani e di un vasto salone. In esso immetteva la lunga gradinata interna, che si partiva da una specie di peristilio, compreso fra il corridoio e il portone d'ingresso. Sui lati sud e nord lunghe file di feritoie, insieme ad una torretta merlata posta sulla parte centrale del palazzo e ad un'altra torre posta sulla strada d'accesso, difendevano la dimora del signore, mentre sul lato est, strapiombante sulla valle, s'aprivano gli ampi e soleggiati veroni. Il castello non era una ricca e splendida dimora, poiché abitato dal feudatario solo nelle saltuarie e brevi visite alle terre, né una solida costruzione perché già verso la fine del 1750 era in rovina, prima cioè che lo spaventoso terremoto del 1783 ne abbattesse le ultime vestigia. Anche la sua posizione assai elevata lo rendeva maggiormente esposto all'opera deleteria del tempo».
«Il centro antico sorge sulle pendici sud-orientali di Serra San Bernardo sul rilievo del Monte Cenapora. Il borgo, probabilmente sorto intorno ad una fortezza normanna, presenta forma ellittica o fusiforme di chiara origine alto-medievale. L’impianto urbano antico si sviluppa lungo tre assi viari disposti in direzione nord-ovest sed-est, lastricati con pietra arenaria locale; in corrispondenza del crinale si snoda l’asse principale Via di Sopra (in seguito via Comizi, attuale via Roma), lungo il quale è situata la Chiesa Madre, intitolata a S. Pietro Apostolo, risalente al XVI secolo. La struttura urbanistica è, inoltre, caratterizzata dalla Via di Mezzo (oggi via Vergara) e dalla Via di Sotto (attuale via Buonarroti) che, insieme a via Roma, confluiscono ai vertici del fuso, in prossimità delle due porte di accesso al borgo fortificato. Lungo via Roma si allineano le case dei signori locali, ancora oggi testimoniate dalla presenza di numerosi portali in pietra calcarea e di pregevoli balconate con gattoni in pietra e ringhiere in ferro battuto. I tre assi sono tra loro collegati trasversalmente da stretti vicoli, sormontati talora da strutture ad arco, facenti parte di un sistema difensivo comune agli insediamenti alto-medievali che lasciano ipotizzare un’origine longobardo-normanna. Le ridotte dimensioni trasversali consentivano, infatti, il passaggio di una sola persona per volta, garantendo, così, una migliore difesa del borgo fortificato. Questi vicoli, che si innestano sugli assi principali secondo uno schema “a spina di pesce”, si presentano come stradine scalettate per accedere al nucleo antico dalle strade esterne al perimetro della cinta muraria.
Ai vertici del fuso vi sono due piazze, piazza del Popolo e piazza Municipio, dove sono situate le due porte di città note come U’ Spuort e Porta Vecchia. La prima è incorporata nel Palazzo Baronale e presenta, dal lato di piazza dei Caduti, un arco ogivale di pregevole fattura in pietra locale. Tre archi a tutto sesto, posti in sequenza rispetto al primo, sorreggono due volte a crociera poste a copertura del passaggio fortificato che si conclude verso piazza del Popolo con una struttura voltata a botte, anch’essa in pietra a vista. La porta presenta una pianta a sviluppo non lineare, ad angolo retto, ed una pavimentazione originaria in basole regolari disposte a formare, in corrispondenza dell’asse mediano, un compluvio per la raccolta e lo smaltimento delle acque meteoriche. L’edificio monumentale si articola intorno ad un cortile interno al quale si accede, da piazza del Popolo, attraverso un ampio portale a tutto sesto in conci lapidei squadrati. Il fronte orientale del complesso denota i caratteri del palazzo per la presenza di un ordine di aperture regolari, incorniciate da conci in pietra squadrata e da una trabeazione modanata. In adiacenza alla porta di accesso al borgo, vi è un grande arco a tutto sesto, in pietra calcarea, che costituiva, probabilmente, l’antico ingresso alle scuderie. Nel complesso monumentale, secondo alcune fonti, vi era anche una piccola cappella dedicata alla Immacolata Concezione. Fino al 1761, il Palazzo era utilizzato dagli arcivescovi come alloggio durante le visite pastorali; con la soppressione del feudalesimo, l’edificio venne venduto a privati cittadini e suddiviso in abitazioni. La cinta difensiva, che ingloba il Palazzo Baronale, è disposta sul versante meridionale ed è costituita da elementi fortificati e contrafforti naturali: le mura costeggiano via Roma, sviluppandosi lungo la direttrice est-ovest che segue il crinale naturale del monte Cenapora, e terminano in corrispondenza della Porta Vecchia, costituita da un arco a tutto sesto in pietra arenaria. Il versante nord del Borgo antico, invece, non presenta alcun elemento fortificato e sembra inaccessibile per la morfologia stessa del terreno».
http://www.comune.vagliobasilicata.pz.it/?page_id=28
a cura di Vito Bianchi
Le foto degli amici di Castelli medievali
Viggiano (ruderi del castello feudale)
«Il Castello, edificato in epoca medievale per la sede del feudatario, per le sue originarie esigenze di difesa occupa il punto più alto del paese, dal quale è possibile dominare visivamente l’intero territorio circostante e l'intera Valle del fiume Agri. Situato a 1023 metri di quota sul livello del mare, recava, sul muro di levante, un marmo simboleggiante Mitra, della quale si ebbe culto a Grumento, dalle cui rovine o da quelle della contrada Marcina, sembra dovesse provenire. Nello stemma del comune si notano tre torri marrone, fondo cielo su monti color terra. Gravemente danneggiato dal terremoto del 1857, è andato gradatamente deperendo fino a raggiungere l’attuale conformazione. Restano dell’antico Castello tratti delle Mura, parti significative delle Torri Angolari e il Perimetro Murario che ne evidenzia la mole. Al di sotto di esso, sorge il Borgo con edifici di epoca medievale, come la Chiesa di S. Benedetto, case tipiche con giardini ed elementi architettonici ed artistici di particolare rilievo. Non sappiamo se fu lo stesso Berengario, generale dell’imperatore Giustiniano, o un altro feudatario a trasformare il sistema di Torri di avvistamento longobarde in quel complesso unitario che definiamo Castello, abituale Residenza del Signore ma capace anche di assolvere alle funzioni di avvistamento e di difesa e del quale attualmente rimangono solo pochi ruderi. La trasformazione in Castello delle preesistenze longobarde sembra sia stata effettuata in epoca normanna, ma ha subito delle modifiche anche in epoca angioina».
http://www.comuneviggiano.it/storia/il_castello.htm
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