Sei in: Mondi medievali ® Castelli italiani ® Toscana ® Provincia di Prato |
CARMIGNANELLO, ROCCA CERBAIA
a cura di Fernando Giaffreda
pag. 1
pag. 1 - pag. 2 scheda cenni storici video
Veduta della rocca.
Epoca: secolo XI - XII, edificata dai conti Alberti su concessione definitiva dell’imperatore Federico I, detto “il Barbarossa”.
Stato di conservazione: dopo lungo periodo di abbandono e di pericolo per crollo, il recente proprietario, Comune di Cantagallo, sta eseguendo il primo lotto1 (fig. 2) dei lavori per la messa in sicurezza, cui dovrebbero seguire, se le promesse di finanziamento permangono, il recupero e il riutilizzo veri e propri. La rovina e il diroccamento tuttavia rimarranno nell’aspetto anche dopo l’intervento pubblico.
Come arrivarci: in auto e poi a piedi. Dal capoluogo provinciale di Prato si percorre per una diecina di chilometri la SS 325 in direzione Bologna, che per sua buona parte si snoda a fianco del fiume Bisenzio, nell’omonima valle. Si parcheggia strettamente al km 61/II, giusto a fianco della villa Muzzarelli-Verzoni, anch’essa in corso di restauro; si attraversa il Bisenzio grazie all’antico e originario ponte medievale (almeno nell’impianto costruttivo), e si affronta il sentiero pratese del CAI n. 48, in salita per circa 1 km.
Quando
non appartengano alla letteratura ottocentesca, ovviamente sempre di stampo
leggendario o romanticheggiante, le poche notizie disponibili sulla Rocca di
Cerbaia si possono acquisire dalla storia generale della Toscana del Dugento e
del Basso Medioevo, oppure più sicuramente dai documenti catastali o notarili
che giacciono dispersi negli archivi privati e istituzionali, cioè mai
raccolti in una seria monografia dedicata. Esiste tuttavia un’interessante,
inedita tesi universitaria2
della dottoressa autoctona Veronica Vignolini, specifica per gli
interessantissimi aspetti archeologici a cui ha connesso il fortilizio.
La
storia della Rocca di Cerbaia andrebbe insomma ricostruita unitariamente,
anche facendo perno sulla nuova situazione immobiliare creatasi dopo il
recente atto di acquisto (1999), per soli 30.000 euro, circa, da parte del
Comune di Cantagallo, che l’ha rilevato dai proprietari stranieri, signori
Eldmann. Le motivazioni della compera infatti sono state benemerite: quella di
ricondurre all’uso pubblico un patrimonio storico specifico del territorio
d’appartenenza, per sottrarlo finalmente allo stato diruto,
all’insicurezza e all’abbandono in cui si trovava fino a ieri. Non solo,
proprio in connessione all’acquisto si sono potuti muovere i primi timidi,
ma seri e preziosi, lavori archeologici ufficiali3,
cui dovrebbero seguire quelli tesi a fondare il tipo di recupero e uso in atto
oggi (2005).
Il
nome Cerbaia rivela un toponimo antico, preesistente alla costruzione della
Rocca, che avviene presumibilmente all’inizio dell’Alto Medioevo nel
generale infeudamento (incastellamento) della regione ad opera di Goti e
Longobardi. La folta vegetazione di cerri è più probabile abbia dato origine
al nome del luogo più delle primitive colonie di cervi, anche se il mix
lessicale sarà stato probabilmente la soluzione più facile e sapiente per
connotare entrambe le situazioni. L’erto e acuto sperone di roccia (400m
s.l.m), il cospicuo Bisenzio sottostante, fiume di bacino, forza motrice e di
scolo, il vasto territorio di valle coltivabile, sia pur montano e
proto-etrusco, hanno giustificato l’edificazione già prima del Mille di una
fortificazione di controllo, di posizione e sfruttamento. Nel 1164 infatti
risulta assegnato da Federico Barbarossa ai Conti Alberti, presenti in tutta
questa parte della Toscana settentrionale, un vasto possedimento feudale nella
valle
del Bisenzio comprendente Cerbaia, Magona, Montato, Vernio,
Codilupo, oltre a Prato
ovviamente. Segno evidente che il conferimento
significa il riconoscimento diplomatico di una situazione di fatto esistente
in epoca post-carolingia. Non è fuori luogo ipotizzare, come si è già fatto
grazie ad alcuni ritrovamenti archeologici e razzie, che per l'imponenza
della costruzione, originariamente munita di tre cinte murarie di
cui oggi ne rimangono due, di un capiente pozzo
a volta per la raccolta dell’acqua piovana,
di torri
d'avvistamento, che le diverse generazioni degli Alberti vi
abbiano eletto qui una delle dimore principali almeno fino al 1361, quando
l’ultimo conte di Cerbaia, Niccolò d’Aghinolfo di Orso di Napoleone, la
vendé alla Repubblica di Firenze per 6.200 fiorini, quale atto estremo per
liberarsi delle pressioni e delle strategie politiche del periodo, e
presupposto della decadenza della casata albertesca in tutta la zona. I
Fiorentini vi stanziarono una legione che trasformò il castello in un
presidio militare a guardia e protezione da bolognesi e lombardi.
Eppure,
almeno dal XII secolo fino al XIV secolo, il nome dei Conti Alberti, padroni
della Rocca di Cerbaia, feudatari travolti dalla crescita politica della città
comunali, è legato a insediamenti importanti della storia di quel periodo, a
testimonianza del peso e del ruolo strategico del territorio dominato.
Completamente
priva di fondamento invece è da considerare la leggenda di stampo
cinque-ottocentesco imposta all’inizio del ‘900 dal cronista V. U. Fedeli,
e che si può ritrovare puntualmente scodellata in ogni scheda informativa
reperibile che riguardi la Rocca di Cerbaia, secondo la quale nel 1285 un
Dante ventenne, esule e fuggiasco da Firenze (!?), bussò al portone del
maniero albertesco per ripararsi da una notte nevosa (...!) che gli impediva
momentaneamente il viaggio verso Bologna; e gli fu negata offensivamente
l’ospitalità. Che invece trovò – continua la favola fedeliana – in un
misero mulino sottostante la rocca. In quanto tali, le fiabe parlano morbido
di se stesse quando un evento è completamente assente.
Al contrario invece, è grazie alla cronaca poetica di Dante che si possono raccogliere elementi preziosi per una deduzione storica attendibile circa, in questo caso, il regime della proprietà feudale intorno alla Rocca di Cerbaia. Alessandro e Napoleone, due rampolli gemelli degli Alberti, vissuti evidentemente poco meno prima di Dante, sono posti dal poeta nel girone infernale dei traditori dei parenti, così descritti:
Quand'io
m'ebbi dintorno alquanto visto,
[40]
volsimi a' piedi, e vidi due sì stretti,
che 'l pel del capo avieno insieme misto.
«Ditemi, voi che sì strignete i petti»,
[43]
diss'io, «chi siete?» E quei piegaro i colli;
e poi ch'ebber li visi a me eretti,
li occhi lor, ch'eran pria pur dentro molli,
[46]
gocciar su per le labbra, e 'l gelo strinse
le lagrime tra essi e riserrolli.
Con legno legno spranga mai non cinse
[49]
forte così; ond'ei come due becchi
cozzaro insieme, tanta ira li vinse.
E un ch'avea perduti ambo li orecchi
[52]
per la freddura, pur col viso in giue,
disse: «Perchè cotanto in noi ti specchi?
Se vuoi saper chi son cotesti due,
[55]
la valle onde Bisenzo si dichina
del padre loro Alberto e di lor fue.
D'un corpo usciro; e tutta la Caina
[58]
potrai cercare, e non troverai ombra
degna più d'esser fitta in gelatina.
(Inferno,
XXXII)
La
tradizione leggendaria che riferisce per la Rocca di Cerbaia questo supremo
riferimento poetico a misura di invalsa fama consisterebbe nel fatto che Dante
volle stigmatizzare gli Alberti con questo contrappasso infernale solo perché
gli negarono l’ospitalità in quella tempestosa notte del 1285. Il
ragionamento dantesco sugli Alberti fondiari in Val Bisenzio invece è un
altro, d’insieme come sempre, e forse più istruttivo circa la feudalità in
generale e la decadenza della casata. Posto che Alessandro e Napoleone si
uccisero ad un tempo per un forte conflitto sull’eredità di famiglia,
creando peraltro grande stupore e incredulità negli ambienti urbani
dell’epoca, Dante indica nell’avidità di danaro, nel veleno
mercantilistico e monetario di Firenze il germe e il fomite della corruzione,
del decadimento, anche futuro, della migliore e più antica gens
aristocratica. È la stessa tesi, questa, del Canto XVI del Paradiso, in cui
sono spiegati ugualmente i motivi della decadenza dei Conti Guidi a Montemurlo.
Da
un altro Canto del Paradiso (IX, 13-36) si viene a sapere inoltre che Cunizza,
discendente degli Alberti, dimorò nella Rocca di Cerbaia in espiazione e
carità alla fine di una vita sentimentale piuttosto tormentata, la cui devota
soluzione le valse il beneficio dell’elevazione paradisiaca. Cunizza era
figlia di Adelaide degli Alberti e di Ezzelino
III da Romano, l’empio ed
eretico alleato di Federico
II e signore di Verona. Aveva abbandonato il
marito, conte Rizzardo da Bonifacio, per dedicarsi a diversi amanti:
l’epilogo devoto del suo riscatto cristiano lo consumò interamente nella
Rocca di Cerbaia.
©
2002 Fernando Giaffreda, testo e foto; per la foto 24: © Aldo
Innocenti; per le foto 33 e 34: © Andrea Moni. Si ringrazia il
C.D.S.E. della Val di Bisenzio per la gentile concessione delle foto
25-34