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a cura di Stefania Mola
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Le immagini: pag. 1 la scheda da leggere
Facciata della chiesa medievale
Uno
strano edificio L’equivoco è in agguato. Oggi, quando parliamo della chiesa di Santa Maria di Siponto, ci riferiamo senza ombra di dubbio ad un singolare edificio dalle forme anomale - pianta quadrata, due “chiese” indipendenti di cui una interrata come una cripta, due absidi a vista poste sulle pareti sud e est, un portale monumentale rivolto ad ovest verso la strada che entra in Manfredonia - evidentemente databile per le sue caratteristiche all’età medievale, unica emergenza monumentale nell’area un tempo occupata dalla città di Siponto. Un edificio di forte suggestione, intensamente percepito da tutti i viaggiatori che tra Sette e Ottocento si avventurarono nella piana sipontina alla ricerca delle perdute tracce della “Ravenna del Sud”. Un edificio che è sicuramente da identificare con l’erede prestigioso del titolo di cattedrale della città ma che forse non fu tale dalle origini, almeno non così presto come per lungo tempo si è ritenuto. La storia e le storie L’unica data documentata è il 1117, anno della solenne consacrazione e della reposizione delle reliquie di San Lorenzo sotto l’altare maggiore; sembrerebbe dunque anche l’anno di una sorta di “passaggio di consegne” tra l’antica gloriosa basilica con la stessa intitolazione (adiacente la chiesa ed oggi ridotta a testimonianza archeologica) ed un edificio nuovo di zecca probabilmente sorto su una precedente e “mitica” fase databile all’età altomedievale (così almeno fu interpretato lo spazio della chiesa inferiore). Una lunga tradizione di studi formulò negli anni una variegata gamma di ipotesi e ricostruzioni ideali della chiesa, senza riuscire a sciogliere del tutto i nodi più tenaci di una vicenda assai intricata e certamente compromessa dagli eventi e dalle lacune della documentazione scritta. Vennero poi i decisivi restauri condotti dalla Soprintendenza ai Monumenti tra 1973 e 1975 che, insieme ad alcune pietre, rimossero anche alcune di queste teorie, rivelando ad esempio che la cripta non era da considerarsi tale e dunque non era ciò che restava di un edificio precedente - bensì era stata scavata come un vero e proprio succorpo durante i lavori di edificazione della chiesa, costringendo a sollevare il pavimento di quest’ultima e a scendere al di sotto di eventuali resti di edifici antichi. A demolire ogni precedente residua certezza intervennero anche i frammenti di arredo marmoreo ritrovati reimpiegati nella scala d’accesso della cripta e all’interno della chiesa medievale, che andavano ad aggiungersi ad altri già rinvenuti nell’area della vicina basilica paleocristiana. Questi, ben lungi dal confortare l’ipotesi di una precoce elevazione della chiesa medievale al rango di cattedrale accompagnata dalla realizzazione di una degna suppellettile liturgica, rimettevano in discussione date, luoghi e protagonisti: uno degli elementi rinvenuti, infatti, datato inequivocabilmente 1039 e firmato dal ben noto scultore locale Acceptus, portò direttamente alla conclusione che tale sontuosa suppellettile fosse da attribuirsi all’arcivescovo Leone, personaggio chiave della storia di Siponto, sotto la cui guida nel 1023 l’antica diocesi era riuscita a riacquistare la propria autonomia grazie all’aiuto dei Bizantini, realizzando un gesto politico di chiaro segno antilongobardo ma anche attirando nella propria orbita il più importante centro politico e religioso della Capitanata, ovvero il santuario micaelico di Monte Sant’Angelo.
Particolare di mosaico relativo alla basilica paleocristiana I relitti e le memorie Sotto Leone, nella cui figura non è azzardato veder rivivere il mito del vescovo Lorenzo, la città di Siponto visse un momento di grande rinascita: nel segno della riconquistata autonomia, infatti, egli fece realizzare per l’antica chiesa di Santa Maria una nuova cattedra vescovile, un pulpito e un ciborio. I resti di tale corredo, pervenutoci in forma frammentaria, vennero ritrovati in parte nella vecchia basilica paleocristiana, in parte reimpiegati nella scala d’accesso della cripta e all’interno della chiesa medievale. Alcune iscrizione di tono celebrativo presenti su questi frammenti hanno restituito, oltre al nome del grande vescovo committente e alla data 1039, anche quelli degli artefici, Acceptus e David. Il primo è conosciuto per essere l’autore del pulpito della cattedrale di Canosa - probabilmente l’opera più antica a noi pervenuta - e dell’ambone del santuario di Monte Sant’Angelo, eseguito nel 1041 per lo stesso vescovo Leone, dove si firmò col titolo altisonante di sculptor. Accanto alla iscrizione di Acceptus e di Leone, una scritta in greco consente di ipotizzare l’appartenenza di alcuni frammenti al ciborio posto sull’altare maggiore. Un altro frammento, firmato da uno scultore di nome David, raffigura un piccolo leone dalle cui fauci fuoriesce un nastro ondulato inframmezzato da palmette contrapposte. Dall’antico ambone proviene invece un’aquila acefala, che stringe una testa umana tra gli artigli, del tutto simile a quella che Acceptus eseguirà per Monte Sant’Angelo. Altri frammenti, con palmette entro campi cuoriformi, potrebbero far parte della stessa struttura. La cattedra vescovile dovette essere realizzata in forma assai simile a quella di Canosa, per la quale avrebbe costituito un modello, essendo l’esemplare canosino realizzato intorno agli anni Settanta-Ottanta dell’XI secolo. Rara testimonianza di quest’opera è un poderoso leone modellato in un unico blocco marmoreo, con tracce di appoggio del sedile sul dorso. Da una recinzione presbiteriale provengono infine alcune lastre decorate con motivi a svastica attorno ad un fiore centrale, di marca bizantina, analoghe ad alcuni frammenti della basilica di Monte Sant’Angelo e ad un esemplare conservato a Benevento, che potrebbe essere stato realizzato nella stessa Siponto durante il periodo di unione delle due diocesi. Verso la verità? L’ipotesi era dunque che con Leone, e cioè prima del 1039, si fosse impostato l’impianto generale della nuova cattedrale, cui sarebbe seguito lo scavo della cripta e via via il resto; ma qualcosa nei conti continuava a non tornare. Sullo sfondo era rimasta quella basilica paleocristiana riportata alla luce a metà degli anni Trenta del Novecento e il buio assoluto sui possibili e plausibili rapporti intercorsi tra i due edifici; si cercò di ridurre le distanze ipotizzando che la chiesa medievale fosse sorta sui resti dell’antico battistero pertinente alla basilica; poi si appurò che anche alcuni frammenti di arredo rinvenuti all’interno della chiesa provenivano in realtà dalla basilica più antica da cui erano stati trasferiti, a seguito dei vecchi scavi, in data imprecisata, andando ad aggiungersi a quelli più famosi attribuiti alla mano di Acceptus; infine sembrò di poter dimostrare che la basilica paleocristiana, all’epoca di questa importante committenza, godeva ancora di ottima salute: Leone l’aveva restaurata ed in seguito dotata di un più consono arredo, ma era questo l’edificio protagonista della restaurazione della diocesi, più ricco e splendido che mai. Contestualmente si finì per accettare che contemporaneamente sorgesse nelle immediate vicinanze quella chiesa quadrata che ancor oggi noi vediamo, che fu consacrata nel fatidico 1117. Le ipotesi Una recente attenta rilettura della documentazione scritta suggerisce tuttavia prospettive nuove, che indicano inequivocabilmente nel 1117 l’anno di consacrazione di una chiesa restaurata e risanata dalle ferite inferte in un passato tumultuoso fatto di incursioni slave, saracene e longobarde: dunque l’antica basilica di Santa Maria, e non la “novella fabbrica, rampollo dell’antico duomo della vecchia Siponto” - menzionata nelle fonti per la prima volta solo nel 1508 - che corrisponde sicuramente alla chiesa che ancor oggi sopravvive, e che non poté fregiarsi del titolo di cattedrale se non assai tardi. Essa, impostata tra XII e XIII secolo sull’impianto di un edificio preesistente appartenuto all’area dell’antico duomo, e destinata ad un tormentato iter costruttivo risoltosi nella somma di anomalie ed incongruenze costruttive che ancor oggi possiamo osservare, sorse forse come cappella intitolata a S. Nicola: è la tesi suggestiva nata dalla rilettura delle fonti e da una serie di raffronti che coinvolgono fatti, personaggi e architetture dell’epoca, prima fra tutti la fabbrica barese di S. Nicola, la cui “cripta ad oratorio” (vasta aula indipendente estesa su un’ampiezza pari all’ambiente superiore) potrebbe aver fornito più di uno spunto nella fase di scavo della chiesa inferiore sipontina.
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- S. Mola, La chiesa di Santa Maria di Siponto, in Cattedrali di Puglia. Una storia lunga duemila anni, a cura di C.D.
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Le immagini che corredano questa pagina (ne sono autori Nicola Amato e Sergio Leonardi), sono tratte da volumi di Mario Adda editore, Bari.
©2002 Stefania Mola