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a cura di Stefania Mola
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Mosaico pavimentale: il mese di settembre
Il mosaico pavimentale Ancora più di Brindisi, Otranto si collocò sulla via degli scambi, soprattutto culturali, fra Occidente ed Oriente, riprendendone in maniera emblematica spunti poetici, culturali e storici e trasferendoli nel linguaggio allegorico del tappeto musivo si stende ancor oggi sull’intera navata ed il presbiterio, nel quale si concentrò tutto il fascino del colore cui la comunità otrantina doveva essere abituata con i rivestimenti di affreschi delle chiesette bizantine. Datato 1163, commissionato dall’arcivescovo Gionata e firmato da un prete Pantaleone che ne ideò il disegno e ne diresse i lavori, è lo specchio di un’epoca, la sintesi di un universo culturale in cui confluiscono - senza lasciare un solo spazio vuoto - tanto i temi e le voci dell’Occidente quanto l’eredità della tradizione orientale stratificatasi in loco. Ecco così, lungo i bracci di uno straordinario e gigantesco albero della vita sostenuto da una coppia di elefanti - che tiene conto, nella sua struttura, delle modificazioni spaziali realizzate a livello del transetto nel XII secolo - snodarsi scene inquiete e vitalissime tratte dall’antico Testamento, dai cicli cavallereschi della Tavola Rotonda, dalle leggende e dal repertorio classico, che si intrecciano indisciplinatamente e fantasiosamente con i segni zodiacali, le raffigurazioni del lavoro umano nei vari mesi dell’anno, l’Inferno, il Paradiso e i mostri dell’Apocalisse. Non un racconto coerente, né una narrazione organica; piuttosto una scelta di exempla significativi che puntano il dito sugli insuccessi e le aberrazioni dell’umano peccare di orgoglio, simboleggiato dalla presenza di Adamo ed Eva e confermato da quelle della Cacciata dall’Eden, della Torre di Babele e del quasi contiguo Volo di Alessandro Magno; o indicano la strada della salvezza attraverso alcuni episodi della storia di Giona, esprimendo una chiara concordanza simbolica con la Risurrezione di Cristo.
Il medaglione che raffigura il mese di giugno In tal senso, anche i dodici medaglioni con la figurazione dei mesi e i segni dello zodiaco rammentano come il tempo dell’uomo possa riscattare e ricondurre al tempo di Dio attraverso le fatiche del lavoro. A margine di questo filo conduttore, tutta una folla di sirene a doppia coda, di grifi, di centauri, cervi, capri e unicorni, leoni con una testa e quattro corpi, serpenti guizzanti talora vinti, talaltra vincitori, animali di latitudini lontane o di mondi improbabili, ora frutto di conoscenze smisurate, ora di timori incontrollabili, esseri realmente esperiti ma soprattutto fantasmi con sembianze ibride generati dal lato più oscuro della mente, figli di ataviche paure esorcizzabili solo nel tentativo di dar loro una forma. All'ombra dei Martiri Visioni paradisiache ed infernali, angeli, demoni, mostri, che aleggiano nella luce meridiana e che hanno suggerito storie e letteratura. Ancor oggi la luce che a mezzogiorno fende le viuzze del centro antico è popolata di questi fantasmi, che passeggiano per la città evocando storie di martìri, di violenze e di sacrifici «che rendono Otranto un luogo estremo, finis terrae, figlia del caso e dell’atrocità». L’atrocità che si compì dentro le mura il 12 agosto del 1480, quando Otranto cadde nelle mani dei Turchi ed ottocento otrantini furono decapitati sul colle della Minerva per essersi rifiutati di abiurare la fede cristiana. Oggi di quel massacro e di quei martiri è ancora viva la memoria; in cattedrale sette grandi armadi in noce nella cappella eretta al posto dell’absidiola laterale destra custodiscono i loro resti mortali come reliquie; sotto l’altare è il ceppo della decapitazione; e il mosaico - più fortunato di tante altre preziose e fragili suppellettili medievali che esistevano nella chiesa prima del tragico sacco - vorrebbe testimoniare come si può continuare a raccontare la mirabile avventura dell’uomo sulle tracce del riscatto e della salvezza pur avendo subìto l’oltraggio del fango, del sangue, degli zoccoli dei cavalli degli infedeli e delle preghiere in nome di Allah.
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©2002 Stefania Mola