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sul passato
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Capitanata Capitanata
a cura di Barbara
Di Simio
FINESTRA
SUL PASSATO:
pagina 2
Quando
i Frati Osservanti furono scacciati dal convento del SS. Salvatore, si
spostarono fuori le mura e decisero di dare vita ad una nuova struttura
religiosa lungo la strada che da Lucera conduceva a Troia, rinomato
centro cattolico. Poiché la città non aveva extra moenia
un convento di frati francescani, essi ottennero dal vescovo Pietro de
Petris il permesso di creare un nuovo centro di preghiera e di
assistenza spirituale a tutti quei pellegrini in viaggio verso i luoghi
sacri della nostra Provincia. Il
convento, ampliato di refettorio ed altre celle grazie alla munificenza
di Ascanio D’Elia, è situato a Nord-Est del centro abitato sul colle
Monte Sacro, fuori le mura lungo la strada che conduce a Manfredonia. Il
lato posto ad Oriente in via Grieco conduce fuori la città verso Monte
S. Angelo, lungo la via
Longobardorum che conduceva i fedeli al santuario di S. Michele di
Monte S. Angelo. Il lato Occidentale invece, situato su via Maria del
Peppo Serena, conduce a S. Marco in Lamis. Fu soppresso nel 1811. Riaperto dopo qualche anno, fu definitivamente abbandonato nel 1867 e fu
adibito a ricovero di mendicità e ad ospedale. La devozione per S. Francesco si espresse sin dal 1300 con
l’insediamento di Frati Minori Conventuali che aprirono le porte di
una città prima pagana e poi saracena e poi infedele al Cristianesimo.
Nel Cinquecento vennero fondati il convento e la chiesa di S. Maria
della Pietà, aperta al pubblico solo nel 1591 come recita
l’iscrizione latina incisa sull’architrave del sobrio portale: «Claudatur
diabolo, Aperiatur Christo, 1591»
. Agli
inizi del XV secolo oltre ai Conventuali giunsero in città gli
Osservanti che vivevano, invece, in piccole dimore rinunciando ai
privilegi apostolici. I Frati Osservanti si insediarono nel 1407 nel
convento del SS. Salvatore, detto anche S. Pasquale. I
Frati Riformati all’atto di occupare il convento del SS. Salvatore nel
XV secolo incontrarono l’ostilità degli Osservanti presenti nel
convento da ormai un secolo. I Riformati volendo, perciò, sfrattare gli
Osservanti e non riuscendo a trovare con loro un compromesso, ne
occuparono il convento con violenza, aiutati da alcuni contadini e
signorotti locali. Gli Osservanti però non si arresero e vollero
tornare a rioccupare lo stesso convento.
Stemma
dei Francescani Osservanti Nel
1625 lo lasciarono ai Riformati e andarono ad occupare il piccolo
convento di S. Maria della Pietà, fuori le mura. La chiesa della Pietà
era stata eretta nel luogo occupato nel Cinquecento da un’edicola
dedicata alla Madonna della Pietà. Il 3 maggio 1573 un cieco di Biccari,
recatosi a pregare in questo luogo sacro, ebbe il dono della vista. La
notizia del miracolo dilagò ovunque. Il nuovo edificio fu terminato nel
1591. Contemporaneamente alla chiesa fu iniziata la costruzione di un
convento, il cui progetto iniziale prevedeva una struttura più
imponente; ma a causa della mancanza di fondi si poté realizzare solo
una piccola costruzione che venne compiuta nell’arco di due secoli. Il
piano terra presentava sette stanze destinate ai frati, mentre il
secondo oltre ad otto stanze comprendeva anche la soffitta. Dopo
la soppressione del convento di Gesù e Maria di Foggia nel 1811, quello
della Pietà di Lucera divenne sede del Ministro provinciale per oltre
mezzo secolo e centro di studi. Più volte fu sede di Capitoli generali
fino al 1859. Il convento, proprio per queste sue continue attività,
divenne oggetto di interesse della polizia borbonica che, sottopose a
processo politico alcuni frati. Un caso eclatante fu la denuncia contro
l’ex provinciale P. Pierluigi Mele di S. Severo e il guardiano P.
Bernardino Di Giovine di Lucera, giunta nelle mani dell’Intendente di
Capitanata nel 1850, accusati
di aver tenuto presso il convento della Pietà una seduta segreta.
Accertata l’innocenza degli accusati, il caso si chiuse. Gli
eventi politici che portarono alla fine del regno borbonico e
all’instaurazione del governo nazionale determinarono anche la totale
soppressione degli Ordini religiosi e l’incameramento dei loro beni.
Il 14 dicembre 1862 il generale comandante della truppa attiva in
Capitanata destinò a Lucera mille e seicento uomini, ossia ben tre
battaglioni, i quali occuparono le strutture ecclesiastiche presenti
nella città. Il sindaco il 9 febbraio comunicò al prefetto di Foggia
la disponibilità del convento della Pietà anche se ancora occupato dai
monaci, alcuni dei quali
rimasero per officiare la chiesa, mentre gli altri vennero mandati
presso i conventi di Troia, Biccari, S. Severo e Pietra M. Corvino.
Poiché non era conforme alle regole conventuali concentrare frati di
Ordini diversi in uno stesso chiostro, a meno che non fosse concorsa la
spontanea volontà degli stessi religiosi, il Prefetto dovette
suddividere i frati in base all’Ordine cui appartenevano e chiedere la
disponibilità delle altre diocesi. Nel
novembre del 1864 il Comando militare chiese di occupare tutto il
convento. Dei ventisei religiosi ancora presenti otto vennero mandati al
convento di Stignano nel Gargano, chiuso per un lungo periodo a causa
del brigantaggio e riaperto nel 1864. I quattro frati rimasti a Lucera
andarono ad abitare in un quartino poco distante dal convento. La
Cassa Ecclesiastica diede il suo consenso. La chiesa doveva restare
aperta al culto; occorreva perciò provvedere all’ufficiatura. A
questo scopo il sindaco consentì la permanenza all’interno del
convento di due frati, Bernardino Di Giovine e Antonio Caizzi. Sembrò
questa una soluzione semplice e pratica che però urtava la politica del
governo mirante alla soppressione totale dei conventi. Nell’aprile del
1865 i Francescani della Pietà si videro respinta l’ultima richiesta
avanzata al Governo di riapertura del convento e perciò furono
definitivamente mandati via. Pochi
vani vennero lasciati per l’abitazione della piccola comunità dei
Padri Osservanti che vollero rimanere in questo luogo. Il resto divenne
luogo di esercitazione dell’arma della Cavalleria fino alla
Prima Guerra Mondiale; poi divenne palestra dei ragazzi della
Colonia Agricola che, denominata Luceria
Nova nel secondo ventennio del XX secolo, ha modificato e reso più
moderni i Locali. I Frati vi hanno vissuto fino a cinque anni fa ma, poi
a causa del continuo degrado e disfacimento delle infrastrutture, hanno
dovuto abbandonare il convento. Attualmente i suddetti locali, di
proprietà del Comune, appaiono alquanto pericolanti, ma ciò che più
preoccupa è il danno che il crollo del convento apporterebbe alla
chiesa di cui potrebbe
rovinare il lato Sud, già provato dalle infiltrazioni delle acque
reflue. Allo
scopo di non perdere la biblioteca dell’ormai soppresso convento, il
consiglio comunale di Lucera il 14 maggio del 1869 ne chiese
l’incameramento. Con un decreto del 28 giugno dello stesso anno, il
ministro Villani stabilì che essa insieme a quelle dei soppressi
conventi di S. Francesco, dei Cappuccini e del SS. Salvatore, confluisse
nella biblioteca pubblica della città; il fondo archivistico qualora
esistente, doveva essere affidato all’Archivio di
Stato di Lucera. Sul
lato Est prospettano i due ingressi della chiesa e del convento,
visibili a Nord della città lungo la via Appia a cento metri
dall’ingresso del borgo antico. La
chiesa cinquecentesca ancora oggi conserva lo stile originario non
avendo subito modifiche nel corso dei secoli.
Veduta
esterna della facciata di S. Maria della Pietà La
facciata rispecchia la volontà di S. Francesco di evitare ogni eccesso
con costruzioni non excendentia
paupertatis, evitando la curiositas,
la superfluitas, la sumptuositas, le notabiles
curiositates e le notabiles
superfluitates.
Essa
è un semplice rettangolo originale, umile e semplicissima nella sua
impostazione. Essa è un rettangolo nel quale si apre il portale
delimitato da due semicolonne scanalate recanti sui plinti lo stemma
francescano. Esse sostengono l’architrave con il fregio, ornato da
mostri alati e da due teste di angeli ai lati in bassorilievo. Al centro
un’iscrizione recita così: «CLAUDATUR DIABOLO -
APERIATUR CHRISTO – 1591».
L’epigrafe venne commissionata dal vescovo Pietro De Petris che volle
solennizzare l’anno di apertura della chiesa al mondo cattolico. Sopra
il timpano spezzato al centro dallo stemma francescano, in cui si
incrociano simbolicamente il braccio di Cristo e quello del Santo,
presenta un’iscrizione: «HIC ORBUS PRIMUM REGINAE
NUMINE CELI: LUMINA IAM CEPIT,
GLORIA MAGNA DEO: III MAIUS ANNO D. MDLXXX: HIC INDE ETRUSCUS PRAES IAM
TEMPLUM DICARE HIC IUSSIT PETRUS SACRA VOCE CANE XXV IANUARI ANNO D.
MDLXXX». La lapide fu fatta murare
dal vescovo Pietro De Petris (1553-1580). Un
rosone interrompe il rigore della facciata nella parte superiore. Il
cornicione è stato rifatto dopo il terremoto del 1980. A causa della
instabilità della struttura si decise di abbatterlo definitivamente.
Adiacente al lato sinistro della chiesa sorge il complesso conventuale
con il chiostro, cinquecentesco come la chiesa, oggi invaso da una fitta
vegetazione. L’ingresso del convento era lo stesso della Colonia
Agricola. I Frati potevano raggiungerlo anche dall’interno della
chiesa attraverso una porticina posta sul lato sinistro dell’abside
che dava su una scalinata che conduceva ai locali che si aprivano sul
chiosto: le cosidette “officine” quali cucina, lavatoio, ed i locali
adibiti ai lavori manuali (calzoleria, falegnameria, ecc…). Qui
si affacciavano anche le celle di estrema semplicità, dotate di letto,
un piccolo armadio e, solo per i predicatori, di uno studiolo o tavolino
con Crocifisso. La
fontana, che occupa la parte centrale del chiostro, è in stato di
totale abbandono, ricoperta da piante selvatiche come tutto il resto e
legname che aspetta di
essere rimosso durante i prossimi restauri. Percorrendo il corridoio
centrale del convento su cui si aprono le celle si nota una porta che dà
direttamente nella cantoria. Sul
lato Sud, le fabbriche, assai malridotte, sono puntellate da strutture
di sostegno. A ridosso dell’abside ad Ovest è collocato il campanile
circondato da alberi. Nel
1996 si decise di consolidare e restaurare la chiesa che, dopo il sisma
del 1980 appariva danneggiata in più parti. La maggior parte delle
lesioni esistenti sulle murature portanti verticali dipendevano dai
cedimenti fondali e dalle spinte degli archi, cosa a cui si è posto
rimedio con un allargamento delle fondazioni. I solai lignei, come pure
i tetti, sono stati consolidati con strutture reticolari in ferro.
All’interno un po’ ovunque erano rilevabili lesioni:
sull’intradosso delle finestre, sull’innesto degli archi con la
muratura perimetrale, sull’intradosso della cupola e sulla copertura
dell’abside. Perciò vennero eseguite delle cuciture con l’anima in
acciaio con diverse inclinazioni in modo da formare un reticolo capace
di collegare tutta la muratura portante. è
stato realizzato un percorso di canalizzazione per le acque che hanno
danneggiato fortemente gli interni, oltre all’intonacatura e al
rifacimento della muratura mancante con il metodo del cuci e scuci della
parte retrostante della chiesa. Il campanile, fatiscente e pericolante,
ha richiesto un intervento molto minuzioso allo scopo di non perdere una
parte dell’intera struttura che altrimenti sarebbe stata destinata a
cadere. Al suo interno le campane, sorrette da architravi in legno e
ferro, vengono fatte suonare con delle funi che partono da pianoterra e
forano tutti i solai del campanile. All’interno della cuspide del
campanile si è adottata la tecnica del cuci e scuci per motivi statici.
Interno:
veduta della navata, dell'altare maggiore e della zona absidale La
chiesa lunga 30 metri presenta una sola navata longitudinale.
Oltrepassata la soglia, ci troviamo subito sotto i tre archi che
sorreggono la cantoria delimitata da una balaustrata traforata bianca.
Al suo interno si erge il
pregevole organo, deteriorato dal tempo. I muri sono intonacati di
bianco. Procedendo oltre, possiamo osservare sui due lati della chiesa i
sei altari seicenteschi dedicati a S. Antonio da Padova, a Santa Maria
della Incoronata, alla Madonna dell’Immacolata, a S. Francesco, a S.
Matteo e a
S. Pasquale Baylon. Alzando
lo sguardo possiamo ammirare il settecentesco
controsoffitto dipinto con tre grandi tele riportate entro cornici
mistilinee, raffiguranti la “Pietà” al centro con “S. Michele
Arcangelo” e l’“Estasi di S. Francesco” ai lati. In alcuni punti
sono visibili tracce di umidità.
Altare
maggiore: presbiterio con altare policromo (1767).
Di
notevole interesse è l’altare maggiore in marmo che conserva un
paliotto con un affresco cinquecentesco con l’immagine della Beata
Vergine che tiene il Figlio privo di vita tra le braccia. La mensa
bronzea moderna raffigura “L’ultima cena”. Dietro l’altare
maggiore trova collocazione un’edicola con l’immagine della
“Vergine col Bambino”. Ai due lati si aprono tre nicchie con le
statue di Gesù, S. Lucia e S. Rosa. A destra dell’altare maggiore è
murata una lapide marmorea dedicata a Cesare Del Vecchio, che commissionò
uno dei sei altari. Il
catino absidale è diviso in cinque spicchi da sei costoloni, come nella
cattedrale della città. Dai grandi finestroni penetra la luce che
illumina la chiesa. Di pregevole valore è il coro di noce intarsiato,
unico nel suo genere in Capitanata. A destra dell’altare dell’Immacolata troviamo un’epigrafe con lo stemma della famiglia Bonghi che lo commissionò. A destra dell’altare di S. Francesco invece è posto, all’interno di un’epigrafe, lo stemma della famiglia Lombardi, devota alla Madonna della Pietà. Manca il pulpito di cui non si hanno notizie o verso di lui.
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5 Barbara Di Simio