a cura di Felice Moretti |
Cattedrale di Bitonto, portale centrale: il pellicano.
Se
il gallo,
simbolo della vittoria di Cristo e della sua Resurrezione, ha avuto bisogno, per
l'esplosione del suo simbolismo, dell'accostamento antitetico di altri animali
di oppositae
qualitates
come
il basilisco,
la cui sporcizia morale richiama il carattere della caduta, il pellicano invece
racchiude in sé solo una simbologia in senso verticale dove tutta la sua
immagine rinvia al desiderio d'elevazione, di sublimazione, al volo, il cui archetipo
profondo - come osserva il Durand - non è l'uccello animale ma l'angelo,
giacché «ogni elevazione è isomorfa a una purificazione perché
essenzialmente angelica».
Il
pellicano è un uccello difficile da vedere, ed è per questo che diventa pura
immagine dello spirito, una disincarnazione ascensionale che richiama al
pensiero la purezza, Cristo, il "nostro pellicano" come lo chiama
Dante quando si riferisce all'apostolo Giovanni: «Questi è colui che giacque
sopra '1 petto del nostro pellicano, e questi fue / di su la croce al grande
officio eletto».
La
purezza celeste è quindi il carattere precipuo di questo uccello che, simile
ad un angelo dalle ali spiegate, sormonta il portale principale della
cattedrale bitontina a simboleggiare la Redenzione, la Resurrezione e l'amore
di Cristo per le anime, espresso dal dono del suo sangue nell'Eucarestia.
Il pellicano che, nella simbologia cristiana significa il Cristo, è quell'animale che gli antichi Greci chiamavano Pelekos, da pelekus, l'ascia, perché l'apertura del suo becco smisurato, slargandosi a ventaglio, è simile ad una antica ascia. Dagli stessi Greci veniva chiamato anche Onocrotalo, perché il suo strano grido, krotos, era simile a quello di un asino. Vive nell'Europa orientale, nell'Asia sudoccidentale e nell'Africa e, secondo Plinio, nel mare del Nord. Nei Bestiari si legge che il pellicano apre il suo petto a colpi di becco per nutrire i suoi piccoli affamati, così come Gesù sulla croce aveva fatto dono del suo sangue per redimere l'umanità.
Antiche leggende raccontano che i suoi piccoli vengono al mondo talmente deboli da sembrare morti, o che la madre, tornando al nido, li trovi uccisi dal serpente. Il Fisiologo dice che il pellicano ama moltissimo i suoi figli: «quando ha generato i piccoli, questi, non appena sono un po' cresciuti, colpiscono il volto dei genitori; i genitori allora li picchiano e li uccidono. In seguito però ne provano compassione, e per tre giorni piangono i figli che hanno ucciso. Il terzo giorno, la madre si percuote il fianco e il suo sangue effondendosi sui corpi morti dei piccoli li risuscita».
I
teologi medievali lo identificano con Cristo in croce, e con Dio Padre che ama
al tal punto l'umanità da inviare i1 suo unico Figlio che resuscita dalla morte
il terzo giorno. Così il pellicano si presta ad una duplice simbologia; è
inteso sia come immagine di Cristo che si lascia crocifiggere e dona il suo
sangue per redimere l'umanità, sia come immagine di Dio Padre che sacrifica
suo Figlio e lo resuscita dalla morte dopo tre giorni.
Negli
ultimi tre secoli del Medioevo, non raramente lo spirituale uccello è stato
al centro dell'attenzione artistica. Rappresentato in scultura o in pittura
col nido dei suoi piccoli sulla sommità della croce e nell'atto di straziarsi
il petto con i colpi del suo becco, l'uccello esprime il tema della
purificazione del sangue di Cristo, sparso sul mondo per la nostra salvezza.
Ai
temi cristici della purificazione, redenzione e resurrezione, si aggiunge quello
dell'amore di Cristo per le anime, espresso dal suo sangue nell'Eucarestia.
Da leggere:
G. Frazer, Il ramo d’oro. Storia del pensiero primitivo. Magie e religione, Roma 1925.
G.
Durand, Le
strutture antropologiche dell’immaginario, Bari 1972.
Charbonneau-Lassay, Le Bestiaire du Christ, Arché, Milano 1980.
F. Moretti, Specchio del mondo. I ‘bestiari fantastici’ delle cattedrali,
Fasano 1996 (da cui è tratta l'immagine
di questa pagina).
©2004 Felice Moretti