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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 50 |
La conversione di Vladimir.
«Nell’anno 6494 (cioè 986 d.C.). …i Greci (cioè i romani di Costantinopoli o Roma sul Bosforo) mandarono a Vladimiro (principe di Kiev) un filosofo (un esperto) col seguente discorso: Abbiamo saputo che sono venuti da te i Bulgari del Volga e ti hanno insegnato come potresti apprendere la loro fede che profana il cielo e la terra. Essi sono maledetti fra tutte le altre genti tanto che li hanno paragonati agli abitanti di Sodoma e Gomorra sui quali Dio fece cadere pietre infuocate e li sommerse. Ecco! Li attende un giorno in cui saranno annientati quando Dio verrà a giudicare gli uomini e ad eliminare tutti coloro che hanno creato profanazione e disordine…». Questo è l’articolo della Cronaca dei Tempi Passati (CTP), fonte primaria di storia russa antica, che per molte righe continua a raccontare come l’esperto greco esponesse i più spiccioli fondamenti del Cristianesimo sottolineando le punizioni terribili per chi non si facesse battezzare e non preferisse la religione cristiana (versione costantinopolitana) all’idolatria dominante in quegli anni. Se da un lato fu Vladimiro a chiedere l’intervento, come mai l’Impero Romano d’Oriente ricorse ad un tale professionista della parola dopo tanti anni di collaborazione abbastanza amichevole (c’erano stati più trattati pregressi fra Kiev e Costantinopoli) con le Terre Russe pagane? Che cosa ci si aspettava da Kiev? La ragione è che siamo ai tempi dell’Imperatore Basilio II della dinastia Macedone in pressante lotta contro i Bulgari che saranno vinti in seguito giusto con l’aiuto degli armati russi mandati da Kiev… Siccome però non è nostro compito occuparci delle vicende dell’Impero d’Oriente, ma c’interessa capire che cosa si va trasformando nella situazione “russa”, ritorniamo sul Dnepr. Quasi esiliato dal padre Svjatoslav nell’estremo nord, a Grande Novgorod, Vladimiro era restato tranquillo fino alla morte del genitore (971) quando al trono kieviano era succeduto il fratellastro maggiore, Jaropolk, mentre all’altro fratellastro Oleg erano toccati i territori sulla riva destra del Dnepr. Poi questi due ultimi si erano scontrati e Jaropolk aveva sopraffatto e ucciso Oleg e Vladimiro per timore che gli accadesse la stessa sorte era fuggito in Svezia. Non per sempre però giacché i notabili locali novgorodesi (i bojari) avevano in mente un piano in cui si prevedeva di imbarcarsi nell’impresa di fondare uno stato con centro politico a Novgorod, con l’impiego di un buon contingente di guerrieri variaghi assoldati in Scandinavia. Il nostro intrepido alfine ritorna. Conquista prima la vicina Polozk che controlla la Dvinà (le rive del Mar Baltico dove questo fiume sfocia sono in mano ai Curoni e Livoni) eliminando il variago locale, Ragnvald (in russo Rogvolod), e sposandone la figlia Ragnhild (in russo Roghneda e da cui avrà molti figli, fra cui Jaroslav, il vero fondatore della Rus’ di Kiev), e finalmente, inglobati nella propria armata i variaghi di Polozk, giunge sotto Kiev ed elimina Jaropolk. Nel nord pagano una campagna militare di solito s’intraprende soltanto sotto l’auspicio degli dèi. Si tirano le sorti per sapere se il successo sia assicurato oppure no e, se il responso è incerto o sfavorevole, ci si rivolge alla protezione di dèi protettori più potenti o si rinuncia del tutto. E così fece anche Vladimiro alla conquista di Kiev. Una volta divenutone il padrone, naturalmente il suo primo dovere fu di far erigere un santuario agli dèi che lo avevano aiutato! Leggiamo dalla CTP che: «…Vladimiro diventò il principe unico a Kiev ed elevò sulla città alta degli idoli dietro al suo palazzo: Di legno quello di Perun con una testa d’argento e i baffi d’oro e poi di Hors, di Dazhbog, di Stribog, di Simarghl e di Mokosc’». Il cronachista aggiunge, per mettere in rilievo il paganesimo del nostro personaggio e della sua nuova sede, che «…chiamandoli dèi offrivano loro i figli e le figlie in sacrificio cioè vittime date ai demoni profanando la terra con queste cerimonie sacrificali». A parte il severo giudizio cristiano, questo è il primo olimpo pagano ufficiale che conosciamo in Terra Russa! Come si fa però a riconoscere nel nome per quale armata ogni dio ha combattuto? è un enigma importante e, sebbene ancora non completamente risolto, dall’esame linguistico dei nomi divini risulta che le armate del principe kieviano erano molto composite e non c’erano solo Variaghi svedesi, ma anche Krivici, Baltici e Alani. Malgrado ciò, constatiamo che con un atto arbitrario il cosiddetto Olimpo Vladimiriano d’ora in poi viene imposto a presiedere e proteggere il primo stato “russo”, convenzionalmente chiamato Rus’ di Kiev! Una cosa peraltro osserviamo: un dio ben noto (fra gli altri dèi slavi) nei documenti posteriori manca: è Veles o Volos che vanta una grande venerazione nella città bassa kieviana! Qui (il podol) risiedeva la maggioranza della popolazione (rispetto alla città alta dove invece risiedeva Vladimiro e la sua mafia armata) e l’assenza di Veles è un indicazione che il progetto novgorodese che prevedeva per il nostro eroe una Kiev assoggettata al nord forse fu accantonato proprio perché non tutta la città era d’accordo sulla scelta. Volos/Veles infatti, dio delle ricchezze contate in capi di bestiame e dunque allo stesso tempo il dio degli animali domestici, era il protettore dei mercanti, una classe cittadina molto variegata che però aveva moltissimo peso nelle decisioni collettive. A questo punto il nuovo stato ci sembra non nascere con molte buone prospettive e alla fin fine la Rus’ di Kiev appare nient’altro che una confederazione fra città-stato basata sui rispettivi interessi commerciali e tenuta insieme “forzatamente” da un pesante regime militare di cui il capo è Vladimiro. Vediamo un po’ meglio… Dall’informatissimo imperatore Costantino VII Porfirogenito sappiamo che il traffico con la Rus’ era in grande sviluppo nella seconda metà del X sec. Nel suo libro De Administrando Imperio narra come d’inverno, partendo da Kiev, un drappello di armati con a capo il variago di turno intraprendeva un giro all’interno della foresta nordica soffermandosi presso i villaggi dove costui, oltre a sfruttare l’occasione di dimostrare la propria autorità nel dirimere le liti fungendo da terzo giudice, raccoglieva merci pregiate fra cui il miele, la cera, gli schiavi e le pellicce pregiate da rivendere nella bella stagione. L’imperatore nomina varie città russe e il quadro che si ottiene combinando altre informazioni dalle fonte arabe è che la mafia variaga, con i vari caporioni, controllava tutta la serie di fortini-città lungo le rive dei maggiori fiumi (Dnepr, Volga e Dvinà di Polozk) lungo i quali correvano i traffici diretti a sud, mentre il compito di mantenere i rapporti tributari con le genti all’interno era riservato alla nobiltà locale (i bojari, sia slavi sia di altra etnia) che ogni volta compartecipava ai profitti. Ci domandiamo se si avesse un’idea delle risorse esistenti nel territorio viste le spese per mantenere i fortini lungo le correnti e gli sforzi per sottomettere i capi variaghi locali. Si potevano sostenere a lungo questi costi senza degli contatti più intimi con l’entroterra? Come si sfruttasse il territorio è un problema non secondario perché da esso dipende l’economia di mantenimento di uno stato e dai documenti appare instabile e debole da richiedere al più presto, almeno nel medio termine, delle migliorie di base. Quali? Per quei tempi, si vede che il tributo c’è e si può immaginare come venga esatto, ma non si capisce come è gestito e si sa che l’economia dipende giusto da quest’ultimo fattore. Fra gli armati variaghi (druzhinniki), c’erano coloro che avevano avuto la possibilità di osservare (più o meno) come funzionava lo stato romano a Costantinopoli e che avevano pure notato gli stretti legami con la religione cristiana e le sue gerarchie. è pure probabile che durante il suo soggiorno in Svezia Vladimiro abbia vissuto di persona come il potere funzionasse legato alla sacralizzazione della persona del sovrano e perciò avrà pensato che, prima di adottare altre formule diffuse da Roma sul Tevere nella Mitteleuropa o propagate nei Balcani dall’altra Roma sul Bosforo, occorresse verificare almeno le potenzialità del Paganesimo conosciuto e unificato come religione di stato nel suo nuovo dominio. Le Cronache indicano che ci furono annose discussioni sulla “riforma in senso cristiano” e che, dopo incontri ristretti nella città alta, alla fine si decise di convocare un’assemblea plenaria dei cittadini (la cosiddetta Vece) per una decisione… Le Cronache (russe e germaniche) aggiungono che uno stato esistesse già ai tempi di santa Olga, nonna di Vladimiro, benché appaia una voluta esagerazione. Sempre da Costantino VII sappiamo che Olga verso la seconda metà del X sec. si era recata a Costantinopoli per una visita ufficiale con un prete cristiano al seguito che fungeva da interprete e le era stato prospettato di adottare al più presto il modello di società organizzata cristiana battezzando, oltre a se stessa, tutte le genti a lei soggette! Le era stato spiegato che la chiesa con la sua capillare organizzazione avrebbe lavorato rafforzando nella coscienza dei sudditi il rispetto per la sua autorità e per i suoi discendenti. In più la Rus’ di Kiev sarebbe entrata nella grande famiglia cristiana con a capo l’Imperatore e gli affari sarebbero andati a gonfie vele! La riforma però non fu effettuata proprio per quest’ultimo aspetto che fu inteso come soggezione e conquista e fu rimandata sine die. Così, benché nelle carte dell’Impero già prima di Olga ai tempi del Patriarca Fozio (IX sec.) si parli del vescovo inviato a Kiev per i Rus’ e che da parte latina, stavolta nel 961 su richiesta di Olga stessa, ne fosse arrivato un altro dall’Impero dei Franchi, il sistema “mafioso” variago pagano restò tranquillamente al suo posto col pieno appoggio del di lei figlio, Svjatoslav, padre dei tre nominati Vladimiro, Jaropolk e Oleg. Sapere in sintesi tutto ciò è importante per il nostro percorso poiché con questi presupposti decollerà il sistema di propaganda del Cristianesimo ortodosso in Terra Russa. E non solo! Le informazioni date sono in gran parte tratte da una raccolta immensa di cronache semplicisticamente inglobate nell’acronimo CPT e scritte a partire dall’XI sec. già sotto la sponsorizzazione del già ricordato Jaroslav. Quest’ultimo aspetto spiega come i cronachisti non solo traevano il loro racconto degli eventi accaduti decine di anni prima e riferiti da nipoti e bisnipoti dei testimoni sedicenti oculari, ma ne facevano la cernita che non era sempre personale, del cronachista, ma dipendeva in ogni caso dall’approvazione del principe committente. Si diceva, secondo in stile bizantino, che le Cronache erano tese a diventare, più che un testo storico, una raccolta di racconti “edificanti” per colui che le studiava e di conseguenza andavano composte in un certo modo. Ciò che non si trova nelle CTP purtroppo è che la cristianizzazione fu un insieme di eventi traumatici per la gente dei villaggi che non viveva in stretto contatto con l’élite delle città e che questi eventi si fissarono per sempre nella memoria collettiva popolare trasformandosi in leggende eroiche espresse nelle famose byline russe o nel più famoso poema, il Cantare della Schiera di Igor! In tutta questa produzione popolare Vladimiro, gli dèi pagani e Cristo hanno dei ruoli fondamentali benché sovrapposti gli uni agli altri. A questo punto alla ricerca della Russia magica e pagana mettendo da parte le credenze delle altre etnie non slave, più antiche e altrettanto importanti e presenti nel territorio, diventa scelta obbligata seguire il filone storico slavo-russo. Ci costringe a ciò l’insufficienza delle fonti pagane propriamente autoctone e la necessità di ricorrere a quelle cristiane con le loro infinite limitazioni. D’altronde l’intento unico delle Cronache è di indicare la storia come un percorso temporale guidato da Dio lungo il quale l’uomo in sé non conta granché, ma è soltanto uno strumento divino che prepara il grande evento della Fine del Mondo. Né ci farà meraviglia se nelle CTP fu persino inclusa una leggenda (in tempi più tardi del XII sec.) in cui si dice che Kiev sia stata visitata nientemeno che da sant’Andrea e che l’apostolo avrebbe persino profetizzato che la Terra Russa dovesse diventare santa! Questa leggenda tendeva a porre Kiev sullo stesso livello di Costantinopoli, sede ecumenica dello stesso santo, ma addirittura riesce a far dire a Giovanni IV (il Terribile, sec. XVI) al gesuita Possevino che Mosca poteva far concorrenza a Roma sul Tevere su questo punto, visto che Andrea era il fratello di Pietro ed era il cosiddetto “primo-chiamato” da Cristo agli inizi della predicazione. A parte le manipolazioni, le posizioni ideologiche e strategiche del Patriarcato costantinopolitano vediamo che si ripetono come furono messe in atto dalla strategia di Cirillo e Metodio giacché con esse gli Slavi dei Balcani e perfino quelli che avevano occupato la Grecia fino sotto Tessalonica nel VII sec. d.C. erano stati ellenizzati col Cristianesimo e quindi non potevano fallire ora in Terra Russa. C’era invece la paura che l’Islam riuscisse a convertire gli Slavi prima che Costantinopoli potesse intervenire e ciò spingeva ad agire con maggiore efficacia e immediatezza, a volte ricorrendo a manovre dottrinarie molto azzardate. Ad esempio, con le genti in Terra Russa non fu riconosciuta la loro multietnicità che fu tenuta in conto di semplice barbarie e inciviltà e le diverse etnie furono costrette a sentirsi parti di un unico e grande popolo (almeno in fieri) con un’unica e sola lingua (lo slavone ecclesiastico, consacrato per iscritto dai detti Cirillo e Metodio). Tutte le genti “russe” venivano affidate nel loro destino al Principe kieviano, scelto e destinato a portare a termine insieme ai rampolli della sua dinastia i disegni imperscrutabili del dio cristiano! Naturalmente niente dovrà restare nella memoria della gente del suo nero passato pagano! Dobbiamo rassegnarci: sulle credenze pagane dei popoli della Pianura Russa con una visione totalizzante del genere le notizie relative sono e restano indirette e nebulose. Né la ricerca archeologica aiuta. Ad esempio a Novgorod le prime croci compaiono verso il XIII sec. negli scavi, ma non sappiamo dire se siano puri simboli cristiani o amuleti contro il malocchio. Alla stessa stregua l’incinerazione dei cadaveri stenta ad affermarsi nei villaggi e l’inumazione è praticata soltanto dall’élite convertita. Per consolarci possiamo dire che sono problemi comuni nel Medioevo di tutta Europa più o meno alla stessa epoca… Sediamoci però un momento come dei giganti al centro della regione russa odierna e spaziamo con lo sguardo sulle realtà religiose e politiche che esistevano alla fine del X sec. d.C. Il panorama più o meno è in grande ebollizione: A sudest c’è il paese dei Bulgari del Volga i quali da poco hanno abbandonato il Paganesimo per l’Islam. I loro vicini Ugro-finni, gelosi pagani, si sono invece ritirati nelle foreste, mentre più a sud i Cazari, potentissimo impero fino a qualche decennio prima, conservano la religione giudaica imposta dall’élite al potere benché ormai siano in decadenza dopo il duro scontro con Svjatoslav nel 965. A sud ci sono i nomadi turcofoni superficialmente islamizzati della steppa ucraina a stretto contatto con i contadini slavi che Vladimiro ha trasferito dal nord in massa per difendere i campi coltivati dalle incursioni e per collaborare affinché lascino libero il cammino verso il Mar Nero dei convogli commerciali. A nord prevalgono i Paganesimi cioè quello scandinavo, quello ugro-finnico e baltico e quello slavo che, possiamo dirlo, si compenetrano l’uno nell’altro da anni e anni di intimi contatti. Ci sono state recentemente le ribellioni degli Slavi Vendi soffocate nel sangue contro la penetrazione degli Ottoni verso l’oriente europeo (Drang nach Osten) e la formazione lungo le rive baltiche dei primi nuclei di stati polacchi… Jaroslav sarà la figura che tenterà l’unità politica dei centri russi e investirà le sue ricchezze e la sua intelligenza nella compilazione di un codice penale/civile nel quale il compromesso fra paganesimo e diritto canonico cristiano è chiarissimo. Per gli spettacoli del potere costruirà ben tre cattedrali. La più grande sarà naturalmente quella di Kiev (era la seconda maggiore chiesa cristiana in tutto il mondo cristiano!) mentre le altre, in ordine di grandezza, sono per Novgorod e per Polozk. La scelta è di dedicare le chiese alla Sapienza Divina (Santa Sofia) ed è molto opportuna sia perché tenta di imitare la Città dei Cesari sia perché non sono dedicate a Cristo o ad altre sue ipostasi, ma alla “neutra” sapienza che qualunque pagano poteva identificare con la maggiore delle divinità venerate dal sud al nord delle Terre Russe: la Madre Umida Terra. La simbologia è perciò molto chiara… Da queste chiese la Chiesa Russa irraggia le proprie azioni evangelizzatrici, sotto le direttive del Monastero delle Grotte sede del Vescovo Metropolitano (sembra che fosse in alternanza russo e greco, dopo un’aspra disputa dei principi kieviani col Patriarca) costruito su un terreno donato da Jaroslav vicino a Kiev. Convertire gli incolti barbari è un lavoro ben noto e ben sperimentato da Costantinopoli, come abbiamo detto, e, se ben diretto, dà sempre conversioni affidabili pur tenendo presente il problema dei “latini”. Nel Baltico infatti lungo le coste polacche cominciavano ad apparire i primi monaci cistercensi in compagnia di mercanti alla ricerca di affari annunciando nei prossimi anni impegni maggiori e diversi per le Terre Russe… Dobbiamo accennare al problema dell’indipendenza pretesa da Novgorod, centro produttivo importante, che sarà osteggiata in ogni occasione già a partire dalla conversione della città condotta con misure forti e violente che i novgorodesi avevano poi fissato nei loro proverbi ad eterna e popolare memoria contro il potere dei kieviani. A Polozk c’erano pure grosse contrarietà perché i documenti denunciano due morti premature e sospette, una dell’ex moglie Roghneda e l’altra del suo primogenito Izjaslav proprio qualche anno dopo il battesimo ufficiale. Non prova ciò una dura resistenza culturale e politica al Cristianesimo? E quando leggiamo che Vseslav, detto il Mago, nipote di Roghneda e cugino di Jaroslav, nel Cantare della Schiera di Igor è descritto - sebbene battezzato - come autentico pagano che persevera nelle pratiche magiche tanto che riesce a trasformarsi persino in lupo mannaro, non è questo un insuccesso? Anzi! Il Cantare denuncia persino nella steppa di Cernìgov nel sudest della Rus’ di Kiev la stessa situazione di mescolanze pagane e cristiane fra russi e loro alleati nomadi turcofoni. D’altronde il Paganesimo per secoli aveva aiutato i contadini ad affrontare problemi pratici come la maturazione delle messi, la condivisione del raccolto, l’allevamento delle bestie domestiche o sollecitare le piogge che ritardavano e tutti avevano creduto nell’efficacia di queste credenze. Come dice giustamente J. V. A. Fine jr. nella sua magistrale revisione critica della storia degli Slavi balcanici “…la religione dei contadini slavi nei Balcani (e in altri luoghi) deve essere orientata verso i problemi pratici e soprattutto trattare con le cose di questo mondo. Deve avere poca o nessuna dottrina e mettere la sua enfasi sulle cose pratiche principalmente, se non interamente, che tocchino scopi mondani: la salute e il benessere della famiglia, i raccolti e gli animali…” Ora arrivava il Cristianesimo e che cosa offriva di più? Metteva al primo posto la vita dopo la morte, ammessa pure l’esistenza di un’anima da premiare o da punire… A questo punto non c’è scelta. Vladimiro è chiamato a mettersi in prima fila nel lavoro di propagazione della nuova fede, se la vuole sostituire alla vecchia che finora l’aveva sostenuto a capo dei suoi, e così lo vediamo, con tutta la sua autorità, istituire banchetti in piazza, distribuzione di pane casa per casa di persona, etc. perché sa che solo così può consolidare la propria personale posizione di sovrano. Un suo grande sforzo dovette essere la rinuncia personale alla poligamia e probabilmente obbligò pure i suoi numerosi figli a capo delle guarnigioni nei diversi fortini-città a seguire le stesse direttive. Di certo consigliò di far lo stesso a suo zio Dobrynja attivo fra Novgorod e Polozk. Né la Rus’ di Kiev avrebbe dovuto fare la fine della Svezia o della Polonia che erano di fronte all’imponente penetrazione germanica e per questo motivo ebbe un occhio molto attento sugli ecclesiastici stranieri che arrivavano numerosi nella sua Kiev. Non avrebbe voluto che i greci si dessero troppo da fare in vista di un’eventuale soggezione del paese e premette affinché venissero formati degli ecclesiastici “russi” al più presto. D’altronde solo i “russi” erano in grado di interfacciarsi con efficacia coi popoli locali slavi e non slavi. Già si era notata la difficoltà di operare nel regno dei Bulgari del Volga i quali, passati all’Islam già nelle prime decadi del X sec., erano stati vinti, ma non conquistati da Vladimiro e non avevano rinnegato Maometto. Alla fine l’ostilità era tale che nel 1015 il figlio di Vladimiro, Gleb, fu ucciso mentre era da queste parti e fu santificato dalla Chiesa Russa per aver subito il martirio… Racconta la CTP che Vladimiro: «Ordinò di fondare chiese nelle città-fortino e di assegnarvi preti…», benché si notassero i problemi di reclutamento: «…mandò a cercare i figli delle famiglie più in vista e fece loro insegnare a leggere e a scrivere. Le madri di questi ragazzi non avevano ancora fiducia nella nuova religione e perciò piangevano al vedere i loro figli portati via come se andassero a morte».
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©2010 Aldo C. Marturano.