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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 49 |
Il villaggio slavo di Gross Raden (da F. Schlette, 1982)
Lo schema tradizionale di una religione come si deve vuole che, per dare la dovuta dignità classica al Paganesimo slavo, occorre individuare i luoghi di culto, gli dèi venerati e le loro funzioni e, soprattutto, le gerarchie sacerdotali poiché queste ultime, secondo la concezione cristiana paneuropea, sono il segno di una superiorità culturale. Senza gerarchie è il caos o il Pandemonio! Noi qui cercheremo di seguire lo stesso schema investigativo districandoci nel poco materiale a disposizione, salvo fare qualche considerazione preliminare che ci aiuterà a capire come il mondo cristiano, da cui apprendiamo le nostre notizie, affrontava il problema di individuare templi e preti pagani nel nord d’Europa. In realtà la storia è complicata poiché non è possibile inglobare il Paganesimo nordico in un’unica religione e, quanto a apparenze esterne con templi e sacerdoti, sarebbe errato contemplarlo allo stesso modo mescolando le realtà slave e germaniche e, all’interno di ciascuna di queste etnie, non distinguere Germani da Germani e altrettanto Slavi da Slavi. E la verità storica è che non riuscire ad individuare il capo di un gruppo pagano, rendeva difficile e costosa l’eventuale vittoria finale con le armi in pugno o con il tradizionale metodo romano-bizantino di cercare di annientare il nemico con blandizie e doni, risparmiando le forze armate (talvolta insufficienti). Tipico è quel che accadde quando si trattò di assegnare degli ecclesiastici che accompagnassero Harald di Danimarca ad evangelizzare i Danesi nell’IX sec. d.C. Nessuno degli abati sollecitati dall’Imperatore dei Franchi Ludovico ebbe il coraggio impegnarsi in una peregrinatio tam peligrosa, come dice nel suo latino Rimberto, autore della Vita di sant’Anscario, e che Anscario si offrisse alla missione spontaneamente rimase per i suoi contemporanei una cosa davvero inesplicabile! Eppure i traffici commerciali c’erano, l’esigenza di assoggettare i nordici pericolosi e selvaggi (Vichinghi! Slavi Obodriti!) c’era pure… Per la Chiesa Cristiana, sedicente erede dell’Impero Romano, evangelizzare (ossia assoggettare all’Impero, alla fin fine) non significava costruire chiese e riempirle di nuovi fedeli, ma soprattutto cercare e distruggere i simboli pagani a partire dai più appariscenti ossia dai luoghi di culto! Quando si venne a sapere che templi così non ce c’erano o che occorreva cercarli nelle foreste e che non c’erano gerarchie sacerdotali vere e proprie da eliminare, le missioni nel nord diventarono una vera ossessione. Come risulta dai documenti dell’epoca (IX-X sec. d.C.) il quadro diventa più chiaro e più libero da inutili pregiudizi, se si assumono le premesse seguenti: 1. Non si trattava di convincere la gente minuta, cioè la società produttrice di beni di consumo e di servizi, a nuove idee, ma di distruggere le concezioni già esistenti e la Chiesa aveva un limitatissimo interesse in un lavoro che fosse troppo impegnativo e diluito nel tempo in zone a bassa densità abitativa. 2. Occorreva trovare i capi pagani per assimilarli e convertirli in un progetto a medio termine di qualche anno e, se non se ne trovavano o erano troppi, se ne dovevano creare di nuovi e più potenti visto che i locali conoscevano la situazione meglio di qualsiasi missionario straniero incaricandoli da parte dell’Imperatore di “mantenere l’ordine cristiano”. 3. Quanto ai capi (e ai prelati cristiani mandati da Roma che li avrebbero sostenuti) occorreva realizzare una congrua e attraente ricompensa (gloria, grandi onori e la santificazione per una vita eterna in beatitudine), secondo il provatissimo schema del potere che viene da Dio e che in questi anni si andava meglio affermando. Per quanto riguarda i templi, mentre il Cristianesimo alleato del potere, grazie alla sua crescente potenza economica e politica in quei secoli, poteva disporre di basiliche dismesse o costruire chiese sontuosissime ovunque fosse possibile (ricordiamo che i raids dei Vichinghi erano proprio diretti sulle abbazie piene di ricchezze), per il Paganesimo il culto continuava ad essere celebrato in radure speciali nella foresta dove crescevano uno o più alberi sacri oppure in un qualche circolo sacro più o meno addobbato del villaggio. Helmold di Bosau nel XII sec. d.C. racconta (nella sua Chronica Slavorum) che presso Lubecca: «…capitò che in un attraversamento della foresta giungessimo ad una radura, forse l’unica nella zona perché si stendeva in piano per un buon tratto. Lì vedemmo il recinto di vecchissime querce dedicato al dio locale Proven (Perun?). Il recinto era circondato da una palizzata ben curata con due porte opposte. Questo era il santuario di tutta la regione poiché, oltre al dio regionale, c’erano i simulacri degli dèi locali di cui ogni villaggio ha i suoi, e c’era un unico sacerdote che curava le offerte e le festività. Ogni martedì qui si riunivano il principe locale con il sacerdote e la comunità per tenere una corte di giustizia. A nessuno è permesso entrare in questo ambito sacro, salvo al sacerdote e a chi volesse portare offerte o che si rifugiassero perché in pericolo di morte e quest’ultima misura rimase sempre in vigore per chiunque». Titmaro di Merseburgo, vescovo del X sec. d.C. che visitò addirittura Kiev, racconta che presso gli Slavi c’erano tanti templi quante erano le diverse tribù sparse nell’odierna Polonia e Bielorussia, ma senza accennare a grandi costruzioni. Insomma per sacrari, templi o santuari è consigliabile rifarsi ai lavori degli archeologi. Dagli scavi sappiamo che c’erano santuari a Rügen (Arkona, santuario di Svantevit), a Rethra (Santuario di Radegast), nel Meclemburgo, a Rostov-la-Grande (Santuario di Veles), a Novgorod-la-Grande (Santuario di Peryn’) o a Kiev (Santuario misto di Perun e di Veles) e sono delle grandi aree sacre con qualche costruzione coperta mentre gl’idoli di solito si trovano sotto le stelle. E infatti a Gross-Raden nel 1974 l’archeologo E. Schuldt e la sua équipe hanno scavato un villaggio slavo (vendo) situato sulla penisola orientale del Lago Interno (Binnensee) e vi hanno trovato un tempio i cui resti ancora oggi si possono ammirare a chi fosse interessato a far visita al Borgo Slavo (Slawenburg). Naturalmente la costruzione è di legno e i resti di oggi sono le tracce dei pali che lo formavano, ma la tipicità della forma e la sua posizione rispetto al villaggio e rispetto al “forte” dove la gente si rifugiava in caso di attacco nemico dà l’idea di come fossero i villaggi fortificati slavi in generale e come in essi si inserisse a volte un luogo di culto. E’ un ritrovamento notevole forse unico del suo genere. Intorno al tempio quadrato (al centro della figura) sono infisse nel terreno ad intervalli regolari dei pali con figure umane scolpite in cima che probabilmente facevano da guardiani al recinto sacro. Non si sa che cosa il tempio coperto contenesse perché risulta devastato e in seguito abbandonato, ma di sicuro vi si custodivano i tesori del villaggio o, come ci raccontano altre fonti, gl’idoli (in russo kumiry) degli dèi maggiori o dell’eponimo, sebbene gli Slavi venerassero più spesso gli antenati nelle proprie case dove riservavano loro un angolo speciale. Altri tipi di santuari, stavolta circolari e posti in isole, se ne trovano numerosi lungo i fiumi russi. Quello scoperto da V.V. Sedov e la sua équipe nel 1951-52 è forse il più interessante. Nel XVII sec. il visitatore tedesco Adamo Olearius rilevava che a Novgorod una volta esisteva un tempio dedicato a Perun al posto del quale era stato costruito un monastero che ancora ai suoi tempi conservava il nome di quel dio pagano. Il monastero (esistente ancora oggi) si trovava giusto alle sorgenti del Volhov, il fiume della città che sgorga dal Lago Ilmen’, su un’elevazione (detta holm) che, quando il livello del lago era sufficiente, risultava circondata dalle acque. Incuriositi dal racconto gli archeologi moderni decisero di iniziare gli scavi sotto le costruzioni del monastero. E qui vennero alla luce i resti che vedevano un sacrario disegnato in forma circolare con al centro il posto per un idolo di legno e tutt’intorno all’esterno della circonferenza ben altre otto fosse con i resti di fuochi una volta ardenti. Il santuario aveva la forma di un enorme fiore che, come l’archeologo Sedov suggerì, poteva essere l’Iris germanica (o Giaggiolo) visto che porta ancora il nome di Fiore di Perun (in russo Perunika). La cosa più notevole è pure che nel seguito degli scavi lungo una linea retta furono scoperti (a distanza uguale l’uno dall’altro) altri due sacrari simili in forma e dimensioni a riprova inconfutabile che Novgorod era stata fondata intorno al IX sec. d.C. per un accordo fra le tre etnie locali: Slava, Finnica e Baltica assolutamente ancora pagane e che si erano riservate luoghi di culto separati! Sempre in area russa B. Rybakov ha riconosciuto in un santuario ucraino un tempio dedicato alla dea Mokosc’ delle funzioni della quale si sa molto poco. Secondo la ricostruzione dello storico il tempio era circolare con al centro tre idoli fra cui il più alto era quello di Mokosc’ e gli altri due più piccoli al fianco delle rozhanizy (Lada e Leli?) aiutanti. Mokosc’ dagli ulteriori raffronti con materiali della cultura tradizionale potrebbe essere la Madre delle Messi. Visto il periodo medievale che stiamo esaminando, dobbiamo però capire quali rapporti ci fossero fra il credo pagano e l’autorità politica. Purtroppo le fonti non danno alcuna indicazione particolare sul ruolo del sacerdote, al di là di previsioni e divinazioni astrologiche fatte al proprio principe. Tutt’al più era incaricato di annunciare e celebrare gli inizi e le chiusure dei periodi dell’anno destinati alle diverse attività umane per impetrare il favore degli dèi e di indire le feste solenni della stirpe con l’approvazione del principe. Titmaro di Merseburgo a questo proposito informa che nel santuario di Rethra in condizioni politiche di forte pressione del Cristianesimo al tempo degli Ottoni le feste solenni erano occasioni di assemblee generali dei capi slavi dove addirittura si decideva se sostenere un’alleanza o rispondere agli attacchi dei “latini cristiani”! A causa di ciò il vescovo li vedeva come veri e propri “centri eversivi” che andavano eliminati! Ciò che infatti avvenne, dopo numerose crociate contro gli Slavi, e che culminò con la distruzione nel 1168 del più importante Santuario di Sventovit a Rügen da parte di Valdemaro, re di Danimarca, e con l’esultanza del papa Alessandro II. Nelle Cronache Russe leggiamo che nel Santuario di Perun a Kiev nel X sec. d.C. si confermavano i trattati internazionali con il giuramento solenne che il sacerdote in carica sanciva. Non solo! Qui costui benediceva i guerrieri che partivano per un’impresa militare! Nei templi slavi un elemento è da notare: La presenza frequentissima del fuoco eterno! Era il primo compito del sacerdote che, se avesse mancato nel tenerlo acceso, pagava con la morte la sua trascuratezza! La più importante cerimonia nel mondo pagano slavo (che noi abbiamo chiamato di ringraziamento) aveva luogo proprio in questi santuari al Solstizio d’Inverno per acclamare la rinascita del mondo. Perché mai rinascita? Il contadino slavo, osservatore attento dei fenomeni atmosferici, notava bene che la luce solare dopo l’Equinozio di Primavera aumentava, culminava in durata e forza con il Solstizio d’Estate (particolarmente appariscente con le Notti Bianche nel nord) e successivamente diminuiva continuando a ridursi fino al Solstizio d’Inverno. A questo punto c’era da temere che il Sole non dovesse più ritornare a splendere nel firmamento come infatti accadeva nella Notte Polare dei Lapponi e dei Finni. Aggiungiamo che di solito a queste latitudini il cielo verso la fine di dicembre è limpido, ma, guai!, se fosse stato al contrario nuvoloso e tanto oscuro da nascondere la poca luce solare, sarebbe stato un auspicio ancor più negativo… Le paure collettive sulla fine del mondo dunque crescevano e la Mitologia Pagana interveniva spiegando che, almeno questo era il mito più accreditato presso gli Slavi orientali, il fenomeno solstiziale corrispondeva alla lotta per il predominio fra due divinità celesti.
Il santuario di Peryn’ scavato da V. Sedov Una versione raccontava che Perun, dio della folgore e delle tempeste (da identificare col baltico Pérkunas, il finnico Pérkele, il mordvino Pùrghine-paz e il ceceno Piriò), dall’alto della sua residenza sulle montagne (Carpazi? Urali? Caucaso?) aveva sorpreso Veles (o Volos, in seguito considerato il dio della ricchezza intesa sotto forma di mandrie di animali, e probabilmente da accostare al celtico Beles/Belenos) a rubargli le mandrie e così si era precipitato per recuperare gli animali e scontrarsi con l’avversario. In un’altra versione Veles gli aveva rapito la sposa, Madre Umida Terra, e il dio adirato si era scagliato contro il rivale. Naturalmente si tifava per Perun… Come sapere della vittoria o della sconfitta dell’uno o dell’altro dio? Occorreva aspettare qualche giorno dopo il Solstizio (di solito in numero magico) e, se la luce fosse ritornata e si fossero visti i giorni allungarsi di nuovo, era il segno che Perun aveva vinto. In caso contrario la fine dell’universo era assicurata o, almeno, lo scambio di posto fra gli dèi e un conseguente nuovo ordine del mondo… Dal folclore possiamo ricostruire la celebrazione del 25 dicembre-6 gennaio (oggi infatti sono diventati 12 giorni e il numero non è più magico) nel seguente allestimento del festino sacro (pirsc’estvo): Si sceglievano degli animali da sacrificare dopo la vittoria, di solito porci maschi e tori e forse anche un gallo oppure un bimbo o un uomo (prigioniero non riscattato o volontario?!). Si raccoglieva l’idromele (bevanda sacra fatta dal miele tenuto a fermentare e a maturare a lungo e perciò molto alcolico) da spargere per gli dèì nelle libagioni e berne quando è il momento della rinascita. A questo tutti i membri della comunità erano chiamati ad implorare la salvezza nel santuario comune o, se non c’era o era troppo rischioso recarvisi, sull’ùliza, spiazzo pavimentato con qualche cranio di cavallo e sassi morenici che fungeva anche da aia nel villaggio, e qui era stato già preparato un aggeggio di pietra che avrebbe fatto trapelare il primo raggio solare della nuova alba. La gente attendeva trepidante l’esito finale dello scontro cosmico, augurandosi adesso che fosse per la continuazione della vita, senza riguardo per chi avesse vinto. Alla fine, se la vittoria avesse arriso a Perun, questi sarebbe salito trionfante nel cielo ormai padrone del mondo e avrebbe inviato Avsen (la dea dell’Aurora) che con la sua apparizione avrebbe annunciato il nuovo mondo. Veles invece, il serpente sconfitto, sarebbe fuggito nel profondo preparandosi ad un’eventuale vendetta. Tutti gioivano quando il raggio di sole riappariva (fra i Finni del nord ciò avveniva dopo sei mesi di notte polare!) e la grande festa iniziava. Le vittime sacrificali erano arrostite (gli esseri umani probabilmente venivano bruciati e basta o, se dobbiamo credere ad Erodoto, anche mangiati mescolati con l’altra carne) e consumate solennemente da tutti i partecipanti fino all’orgia collettiva in cui era prevista l’ebbrezza degli astanti. Un’altra versione diceva al contrario che occorreva attendere che il tuono rimbombasse annunciando le prime piogge primaverili (importantissime per l’agricoltura a queste latitudini) per sapere della vittoria di Perun, in tal modo rimandando la Festa del Ringraziamento direttamente all’Equinozio di Primavera cioè al dì della dea Zhiva. Con grande probabilità la festa si può identificare con la Màsleniza (a parte la collocazione cronologica nell’arco dell’anno), festa agricola slava molto popolare, ma tracce sono riconoscibili fin nel Thanksgiving Day anglosassone e nelle tradizioni dei doni portati da San Nicola o da Ded Moroz o Babbo Natale. Bibliografia:
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©2009 Aldo C. Marturano.