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MEDIOEVO RUSSO |
a cura di Aldo C. Marturano, pag. 28 |
Vladimiro Monomaco
Non appena la voce della morte del Velikii Knjaz (principe anziano o Gran principe) Svjatopolk Michele si sparge per Kiev e il suo cadavere arriva in città, tutta la gente comincia ad essere in fermento. Tutti si chiedono: chi verrà al suo posto? Si ricomincerà a guerreggiare di nuovo per il potere in questa città? E non erano soltanto questi i
problemi che si stavano vivendo in quel lontano 1113! Dopo la morte di Svjatopolk
vennero fuori delle sporchissime faccende che costui aveva autorizzato
e gestito. Proprio così! A giustificazione della sua
proverbiale cupidigia, si trovò la cassa mezza vuota benché le
entrate non fossero tanto in diminuzione ai suoi tempi e benché si
fosse sempre vantato di aver rimesso in sesto il tesoro del terem
(quartiere o palazzo principesco). E come? In parte l’abbiamo già
detto! Aveva aumentato la pressione fiscale sui contadini attraverso i
bojari (i notabili proprietari terrieri) consenzienti, ma poi si era
imbarcato obbligatoriamente, vantandosi di ottemperare a uno dei suoi
doveri di Velikii Knjaz, in due o tre campagne militari che gli
erano costate un patrimonio e gli avevano fruttato ben poco bottino. E
gli uomini della sua druzhina (compagnia militare del principe)
volevano essere mantenuti! Così era ricorso ai prestiti ad interesse
e, essendo questi vietati ai cristiani come lui, si era rivolto agli
ebrei della città. Da questi aveva ricevuto i
finanziamenti, ma, quanto a restituirli c’era il grosso ostacolo di
non avere mai abbastanza oro e così col tributo che gli versavano i
bojari, pagava gli interessi sul prestito, ma senza riuscire a
restituire il capitale. Aveva allora pensato di riversare i suoi
debiti sui contadini, e sempre attraverso i bojari consenzienti, li
aveva obbligati a vendersi come schiavi… In questo modo, però,
diminuivano le forze lavoro nei campi! Insomma, non gli restò che
concedere dei privilegi direttamente agli stessi ebrei i quali li
utilizzarono come loro serviva, specialmente usando il diritto a loro
concesso del lavoro gratis della gente “in conto capitale del
principe”. Chiaramente in questo modo il
popolo meno abbiente, vedendo gli ebrei trattati meglio di chiunque
altro, cominciarono ad averli in antipatia. Un altro esempio? Di solito i
contadini per le coltivazioni mettevano da parte i semi migliori, ma
da quando la pressione su di loro era aumentata (anche a causa dei
saccheggi dei Polovzi) questi semi erano stati consumati per mangiare,
così che per riseminare dovevano ricorrere ai granai privati dei
bojari, i quali naturalmente li mettevano a disposizione, ma a prezzi
altissimi, pretendendo un enorme ritorno sul prossimo raccolto e
impoverendo sempre più i contadini. Questi ultimi per scontare il
debito si prestavano per lavoro gratuito a tempo determinato e
abbandonavano il lavoro dei campi e il ciclo economico peggiorava. Svjatopolk col passar del tempo
era arrivato a tali strette che addirittura si scoprì che torturava i
monaci dei conventi per farsi dire dove si trovavano le suppellettili
d’oro e d’argento che poi naturalmente portava via. Ed ancora: aveva applicato
un’alta tassa sul sale, impedendo così il lavoro a chi preparava
gli ortaggi in salamoia o il pesce sotto sale, a quei tempi un molto
proficuo commercio… Insomma si era giunti a tali
giri viziosi che la morte di Svjatopolk costituì persino per sua
moglie una liberazione. Costei infatti per non subire ulteriori guai
dai creditori più vicini e più opprimenti cominciò da subito a
liberarsi dei beni di cui suo marito s’era appropriato
indebitamente. Non bastò! Restava comunque tanta gente ancora
impegnata coi bojari e tanti bojari impegnati coi banchieri ebrei o
viceversa. Tutte queste soperchierie
portarono i bojari a discutere bene nella loro assemblea nel coro di
Santa Sofia su chi scegliere come prossimo signore di Kiev, mentre la
gente rimase fuori sullo spiazzo in attesa, ma cupamente mormorando. A quei tempi il problema di una
rivolta popolare non era come lo fu ai tempi della Rivoluzione
Francese dove si passò da un regime con monarca assoluto ad una
repubblica parlamentare. A Kiev si trattava soltanto di individuare un
knjaz cercandolo nel mucchio dei Rjurikidi fra quelli più
capaci di risolvere i problemi della città! Ai kieviani in quel
momento interessavano poco le beghe sull’anzianità (il sistema
della lestviza) o sul bene di famiglia (il demanio del principe
o vòtcina)… Alla fine fu scelto Vladimiro
Monomaco che fu invitato a Kiev dalla sua Perejaslavl, città a sud di
Kiev. Vladimiro però sapeva bene dei problemi esistenti e invocò le
regola della lestviza per passare la patata bollente a Oleg
figlio di Svjatoslav e dei suoi rampolli di Cernìgov, altra città
importante, che avevano più diritto di lui e alla richiesta dei
bojari rispose con un gentile, ma netto, rifiuto. Non l’avesse mai fatto!
All’improvviso tutta la città insorse… Naturalmente il primo bersaglio
della folla arrabbiata fu la seconda autorità della città, il
Chiliarca o Capo-dei-mille di nome Putjata al quale fu svuotata la
casa. Così si fece anche per gli altri capetti da lui dipendenti. Dopodiché la folla si diresse
alla Porta Giudìa e li fece man bassa sugli ebrei, anche qui
saccheggiando e devastando e minacciando tutti di morte. I
bojari, non riuscendo a
controllare la situazione e siccome nemmeno i figli di Oleg se la
sentirono di entrare in città per metter ordine con le armi, in tutta
fretta misero insieme una nuova missione che recò una nuova preghiera
a Vladimiro affinché salvasse la città e prendesse il posto di Velikii
Knjaz. Naturalmente Oleg e figli erano pienamente d’accordo di
cedere i loro diritti e lasciare che Vladimiro se la sbrogliasse da
solo… A questo punto non c’era molto
da pensare, Vladimiro entrò a Kiev. Fu accolto trionfalmente e la
gente gli espose tutte le proprie lamentele chiedendo di intervenire
subito e adeguatamente. Vladimiro non volle però
prendere delle decisioni affrettate che poi non avrebbero dato i
risultati che ogni parte s’attendeva. Per di più, essendo un gran
conservatore, non voleva neanche cedere sull’onda della rivolta alle
pressioni della gente inferiore (la gente nera, in russo cjorn).
Così si ritirò nel Monastero di campagna a Berjòstovo a pochi
chilometri dalla città insieme ai bojari kieviani più fidati che già
conosceva e quelli che aveva portato con sé dal sud e lì discusse
con loro presumibilmente a lungo sulle misure da prendere. Alla fine decise e deliberò. Gli interessi richiesti fino ad
allora erano stati esagerati, per cui quel creditore che li avesse già
incassati per tre volte sulla stessa somma prestata, doveva ritenersi
ormai pagato anche dell’intero capitale. Facciamo, per capirci
meglio, un esempio come ce lo riporta B. A. Rybakov. Se si prendevano
in prestito un valore di 6 grivne (questa era l’unità di
conto in vigore a Kiev che non corrispondeva ad una moneta sonante, ma
ad un peso equivalente in argento, in quanto il denaro metallico era
rarissimo), alla fine dell’anno occorreva versare 3 grivne di
interesse (rez) più il capitale (isto), se possibile.
In caso contrario al secondo anno si versavano ancora 3 grivne
e così nei seguenti. Dunque d’ora in poi chi avesse già pagato per
tre anni, era liberato dal debito contratto. Era accaduto infatti che
se non si avevano grivne, si ricorreva allo zakup e cioè
al lavoro gratuito equivalente alle grivne dovute! Se poi
pensiamo che già 6 grivne erano una somma enorme, possiamo
immaginarci l’asservimento dei meno abbienti a bojari e a
banchieri… Vladimiro sospese da subito
anche i pagamenti dei debiti per la gente più indigente e fissò i
montanti degli interessi massimi per il futuro credito incorporando
queste nuove regole nella sua famosa Pravda Rus’ka. La Comunità Israelitica di Kiev,
la più antica della regione, ebbe però paura che, oltre ai soldi
persi, la gente sterminasse per davvero tutti gli ebrei della città,
ma Vladimiro promise che lo avrebbe impedito e che avrebbe addirittura
rinunciato a confiscare i beni di coloro che avevano prestato il
denaro ad usura, ma… i membri della Comunità dovevano al più
presto lasciare la città e tornare da dove erano venuti! Avrebbe
pensato Vladimiro stesso a fornire i mezzi per il viaggio e la
protezione necessaria. Naturalmente in quel calderone
di misure prese c’erano anche i debiti pregressi del Velikii
Knjaz morto che… svanivano nel nulla! è opinione di qualche storico
russo che con questa posizione verso gli ebrei si chiudessero gli
ultimi contatti diretti con l’Occidente e che giusto da quel momento
la Rus’ scegliesse Costantinopoli (di cui poi ne divenne anche
l’erede) come unico e ufficiale referente culturale sul resto
d’Europa! Ad ogni buon conto la calma e la
fiducia finalmente tornarono in città, ma anche il resto della Rus’
aveva bisogno di pace per la ricostruzione (perestroika) di uno
stato unito. Perciò, oltre a riordinare le entrate e le uscite dello
stato kieviano, il Velikii knjaz si preoccupò che fra i
parenti non sorgessero ancora litigi e scontri. Avvertiamo il nostro lettore che
Vladimiro Monomaco è una figura centrale della storia medievale russa
e quindi val la pena fermarsi di più su di lui e sulle sue azioni. Kiev, come abbiamo visto, stava
cominciando a perdere di autorità e perciò il primo passo politico
era proprio quello: Ripristinare l’autorevolezza del Velikii
Knjaz! Da dove partire? I primi
avversari più testardi da piegare e più vicini a Kiev erano proprio
Oleg di Cernìgov e i suoi figli. Anzi! La frequentazione di
Tmutarakan (sul Mare d’Azov) e l’ambiente della vicina steppa gli
hanno procurato molti vantaggi ed inculcato nuove abitudini. Prima di
tutto è conosciuto ed apprezzato dai Polovzi (i nomadi della steppa
ucraina) e da tutti gli altri clan turchi, benché anni prima quegli
stessi Polovzi gli avessero fatto fuori il fratello e l’avessero
consegnato ai Cazari dell’Anticaucaso, quando si era insediato per
la prima volta sul Mar d’Azov. E’ naturale perciò che dopo la
morte della sua moglie bizantina, lo si trovi sposo di una figlia del khan
dei Polovzi, Osuluk, e legato sempre più al mondo della steppa. Oleg
ha ben quattro figli: Vsevolod, Igor, Svjatoslav e Gleb. Ricordiamoli,
questi nomi e queste parentele, perché si ripresenteranno nel seguito
del nostro racconto… Questa famiglia, detta anche gli
Svjatoslavidi (e poi degli Olgovidi), è perciò formata dai cugini più
ribelli che però sono necessari sia come amici sia come soggetti. Altri cugini irrequieti sono
quelli che risiedono nel nord, nella Terra dei Krivici, e cioè i
figli di Vseslav il Mago di Polozk. Novgorod invece non preoccupa
molto perché Mstislav, il primogenito del Velikii Knjaz,
sembra capace di ben governarla. Finché le cose rimangono così
come sono in quel 1113, la ricostituzione della Rus’ non sembra
irrealizzabile e Vladimiro vi si dedicherà sia con l’azione sia con
la mente. Con la mente perché rimane uno
dei principi più colti della storia russa e, per questa sua qualità
che si rispecchia nei numerosi scritti lasciatici, è notevole e
prezioso. Specialmente sul suo operato di Velikii Knjaz ci ha
lasciato moltissimo di scritto e con dovizia di particolari, in modo
talmente puntuale che noi possiamo conoscere tutti gli aspetti degli
eventi da lui vissuti che, in caso contrario, forse non riusciremmo ad
interpretare nel modo giusto. Famoso nella letteratura russa
è rimasto il suo Poucenie (Istruzione/Insegnamento)
perché in esso Vladimiro non soltanto descrive se stesso, ma delinea
anche l’ideale di principe che ha avuto sempre davanti agli occhi
come modello e che, non avendolo trovato in nessuno dei suoi parenti
contemporanei, vorrebbe che diventassero i suoi figli. Dai calcoli (le
Cronache
registrano sempre le morti e talvolta gli anni d’età, ma
rarissimamente le nascite) deve essere nato nel 1053 a Kiev mentre suo
padre Vsevolod si era fermato in città quando Jaroslav, dopo la morte
di Inghigherda, aveva presentito di dover morire di lì a poco. La sua nascita confortò il
nonno morente perché ciò significava un rafforzamento dei legami con
Costantinopoli ora che la principessa bizantina Maria, aveva messo al
mondo un bimbo. Dietro la guida di sua madre, Vladimiro imparò a
leggere e a scrivere, di certo almeno il greco e il latino, ma forse
anche qualche altra lingua, visto che suo padre era un poliglotta. Fu
orientato fin dall’infanzia a fissare i pensieri più importanti
nello scritto, proprio in quegli anni in cui si andava standardizzando
la lingua antico-russa. Da ragazzo si trovò a vivere a
Perejaslavl lungo il famoso Vallo Serpentino che il suo avo,
omonimo e santo, aveva fatto riparare e rafforzare e di lì cominciò
a conoscere il mondo della steppa proprio in quei frangenti quando i
nomadi Peceneghi stavano prendendo definitivamente la via per il
Danubio, abbandonando il loro spazio ai Polovzi. Su quel confine
Vladimiro rimase più o meno fino a trent’anni e, dobbiamo
aggiungere, nella zona, molto probabilmente durante la sua permanenza,
operarono i primi arcivescovi mandati da Bisanzio che ancora non
avevano una sede degna a Kiev e perciò conobbe il mondo della Chiesa
Bizantina meglio di chiunque altro per la sua spigliatezza nel parlare
greco. Poi suo padre lo chiamò vicino
a sé quando viveva all’ombra di suo fratello Jaroslav, diventato
ormai autoritario e dispotico, per avere una mano da lui nelle
faccende militari. Vsevolod infatti veniva mandato
continuamente dappertutto e Vladimiro ricorda che con suo padre aveva
condotto molte decine di spedizioni! Ricorda anche che a soli tredici
anni fece il suo viaggio più lungo da Perejaslavl fino a Rostov la
Grande, nella Terra dei Viatici nel bacino del Volga, in cui dovette
attraversare la paurosa e fittissima foresta di Brynsk (oggi Brjansk)
dove c’erano i più feroci briganti che non solo spogliavano i
viandanti inermi di qualsiasi cosa, ma poi li uccidevano e i loro
corpi li bruciavano in onore degli dèi pagani della foresta. Poi gli era stata assegnata Cernìgov
dove rimase finché non sopraggiunse Oleg Svjatoslavic’ a
reclamarla. A Cernìgov era già sposato con Ghita, la figlia del re
Aroldo figlio di Godwin. Costui, sconfitto da Guglielmo il Bastardo
alla battaglia di Hastings nel 1066, si era rifugiato a Kiev, visto
che Jaroslav era un suo stretto parente. A Cernìgov da due anni Ghita
aveva già avuto il primogenito, Mstislav. I 15 anni passati su questa riva
del Dnepr sono ricordati da lui quasi con nostalgia. Vladimiro
Monomaco li chiama gli anni più fecondi della sua vita e si
entusiasma a narrare come partecipasse a tutte le attività che si
svolgevano fra i suoi uomini e nella città. Ritenendosi un “cavaliere”
nel senso occidentale vero, Vladimiro si esercitava nel tiro
all’arco, nel tiro con la lancia andando a caccia con i suoi di
frequente e in questo modo si teneva sempre in esercizio e in forma
fisica perfetta. Conosceva dunque le tecniche del corpo-a-corpo o sul
come preparare gli agguati, acquistando famigliarità con tutte le
armi nuove, come l’arco turco, o imparando a conoscere il nuovo
grosso animale da guerra, il cavallo delle steppe, e l’uso della
staffa. Le sue disavventure con gli
animali selvaggi e le ferite che aveva ricevuto in un paio di duri
incontri con un uro o con una gigantesca alce nelle foreste, erano
proverbiali e sappiamo che d’inverno amava fare lunghissime
scivolate con gli sci. A questo proposito sembra che una volta avesse
coperto i circa 150 km da Cernigov fin sulla riva di fronte a Kiev, e
ritorno!, in una sola giornata… I suoi scontri coi Polovzi erano
da lui considerati come delle specie di crociate contro gli infedeli
(al contrario di suo cugino di Cernìgov) e nel 1111 convinse tutti i
principi di aggregarsi a lui per una spedizione punitiva e impose che
dovessero combattere giusto con quello spirito! La Rus’ aveva
bisogno non di morti, ma di battesimi!
Naturalmente questi erano i suoi
intenti, ma non sempre gli riuscirà a realizzarli! Notevoli sono invece i consigli che lascia ai figli nel suo Poucenie. Ne riportiamo qualcuno.
Oltre poi ad altri scritti, fra
cui la lettera di cui abbiamo detto indirizzata ad Oleg dopo che
questi gli ha ucciso il figlio, c’è addirittura una preghiera
ideata dallo stesso Vladimiro in cui si ricorda soprattutto Sant’Andrea
e la famosa leggenda che aveva visto questo apostolo, mandato in
Scizia (ossia la Rus’) sulle colline, dove avrebbe poi dovuto
sorgere Kiev, proclamare ai suoi accompagnatori che questa terra
sarebbe stata un grande e potente regno cristiano! Un uomo dunque di alta statura
culturale, ma capace pure di governare un paese così frammentato
geograficamente e abitato da genti tanto diverse fra loro. Sicuramente avendo collaborato
tanti anni per mantenere le Terre Russe unite, malgrado i litigi e le
altre difficoltà, dovette restare deluso quando alla morte di suo
padre invece di poter sedere al suo posto, fu costretto a cederlo a
Svjatopolk. Chiaramente anche durante questo periodo, Vladimiro impose
la sua autorità di uomo sapiente… ma non fu la stessa cosa che
agire da vero e proprio Velikii Knjaz. Evidentemente allora non
contava abbastanza amici fra i bojari kieviani… Questa poca collaborazione fra Velikii
Knjaz e bojari kieviani aveva per lui una lunga storia che
cominciava proprio da suo padre. C’era stato troppo arbitrio in
tutte le decisioni che suo padre aveva preso a suo tempo e che
Svjatopolk aveva poi esasperato succedendogli. Poco veniva discusso
fra principe e bojari nelle famose dume (consiglio principesco),
diventate sempre meno frequenti nel coro della cattedrale di Santa
Sofia. Le divergenze su come collaborare con questi magnati
diventarono talmente stridenti che Vladimiro, mentre si creava la fama
del vero difensore della Rus’ di Kiev, fece ad ogni occasione tutti
i tentativi possibili per avvicinarsi a loro (almeno ai bojari a lui
più simpatici) e, quando fu il momento in cui lo pregarono di fare il
Velikii Knjaz, esitò proprio perché non era sicuro che
potesse ricevere un ampio consenso in quell’ambiente! Come figura popolare, vicina
alla gente minuta, Vladimiro Monomaco è al contrario molto sfumato.
Nel Cantare della Schiera di Igor viene eletto ad eroe
popolare, solo perché è confondibile con il grande avo omonimo che
aveva cercato di avvicinarsi al popolo in tutti i modi possibili, ma,
purtroppo!, il poema fu composto molto dopo la sua morte e perciò i
giudizi sono fuori luogo! Una frase che svela invece la
sua volontà di presentarsi come paladino della gente umile e dei
contadini è quella pronunciata, quando ci fu la riunione per decidere
di scendere in campagna militare in primavera e i bojari respinsero la
proposta. Disse infatti Vladimiro: Sono però parole dette
all’interno di un circolo chiuso e non nella Vece cittadina
dove Vladimiro non parla mai e lascia la parola alla sua matrigna o ai
preti. L’altra grande impronta,
l’abbiamo visto, Vladimiro la lascia nella legislazione, nella Pravda
Rus’ka (il primo Codice Civile russo) ancora un po’ primitiva,
è vero!, ma già avanzata per una società in rapida trasformazione
come era quella della Rus’ di Kiev. Nel complesso l’azione
politica di Vladimiro Monomaco è assolutamente positiva. Una specie
di riunificazione delle Terre Russe e la definizione dei confini
relativi ci sono! In più Vladimiro assegna al Velikii Knjaz un
compito finora bellamente ignorato: Il knjaz deve legiferare e
non governare secondo il proprio buon senso! Alle sue leggi tutti si
devono poter riferire e conformare, ma queste leggi devono essere
fissate e promulgate… Con lui, più che con i suoi
predecessori, tutta l’Europa comincia veramente ad apprezzare il
fatto che al di là del Bug e dei Carpazi esistesse una grande nazione
europea governata modernamente (per quei tempi) che costituisse
persino un saldo baluardo per la fede cristiana ai confini con
l’Islam e contro il paganesimo delle steppe. Per Vladimiro Monomaco
chi non è cristiano (e non compreso nel territorio che domina) non è
da considerarsi un uomo e quindi può essere eliminato persino
fisicamente. Un esempio rimasto famoso su
questo tipo di atteggiamento è l’uccisione a sangue freddo per suo
ordine nel 1095 dei messi polovzi a Perejaslavl, Kytan e Itlar. Quando arriva al trono di Kiev
ha già sessant’anni che, per quei tempi, è un’età veneranda e
la sua prima misura è la nomina di suo figlio Mstislav a luogotenente
(namestnik) di Novgorod. Forse per
sua fortuna, nel 1115 muore Oleg il capofamiglia degli Svjatoslavidi
e, quasi come epitaffio, riportiamo
tranquillamente i versi del Cantare della Schiera di Igor, che
parlano di lui (il testo è di Eridano Bazzarelli, v. bibliog.): Liberato
dalla presenza di Oleg, vengono fuori nuove beghe con la Terra di
Polozk. Che cosa era successo dopo la
morte di Vseslav il Mago? La regione era stata divisa in udel
(porzioni di territorio governate da un principe) diversi e data ai
suoi figli, fra i quali il più irrequieto, Gleb di Minsk, sognò di
allargare i confini conquistando nuove terre al sud fino al Dnepr, ad
occidente fino al Bug e ad oriente fino a Pskov e Novgorod. Il primo passo di Gleb è quello
di avere il controllo di due località importanti dal punto di vista
economico: Druzk (e vedremo quale peso ha questa cittadina, poco più
in là) e Orscia che si trova sullo spartiacque fra i fiumi che
scendono da Novgorod verso Kiev. Ciò fatto, comincia a mandare i suoi
(e talvolta ad andare lui stesso) nei villaggi per sottometterli col
pugno di ferro. Le Cronache insistono sulla crudeltà di questo Gleb,
ma in realtà il suo comportamento non è diverso da quello di
qualunque altro signore locale di quel tempo. Non appena lo viene a sapere,
Vladimiro Monomaco vede in ciò la buona occasione per rimettere
Polozk e il resto della Terra dei Krivici sotto l’egemonia di Kiev.
Cerca prima la via pacifica rimproverando Gleb per il comportamento
malvagio e poi ricorre alla leva del Metropolita. Quest’ultimo
giunge alla misura estrema della scomunica, ma neanche questo basta:
il principe di Minsk non desiste e continua le sue azioni di
conquista! A questo punto Vladimiro deve
intervenire con la forza e, chiamati a sé Davide di
Cernìgov e gli altri figli di Oleg, con un’armata attraversa
il Poljese e nel 1116 riprende Orscia. Gleb però non si ferma
e nel 1119 Vladimiro interviene ancora, ma stavolta decide di farla
finita e, istruito per bene suo figlio Jaropolk, lo manda al nord.
Jaropolk riesce ad assicurarsi persino l’aiuto di un principe
lituano che voleva vendicarsi di Gleb penetrato indebitamente nelle
sue terre. Notiamo quest’ultima presenza perché con il diminuire
dell’influenza politica di Kiev, crescerà la potenza dei lituani… Occorre mettere in difficoltà
il traffico di Minsk. Solo così si può smontare Gleb e Jaropolk
pensa bene di attaccare la città di Druzk, il più grosso centro
della vendita degli schiavi bambini, una “merce” ad altissimo
valore aggiunto di quel tempo. Druzk fu rasa al suolo e gli abitanti
trasferiti di forza al sud, a Perejaslavl. Gleb è catturato e portato
a Kiev e messo nello stesso carcere sotterraneo dove una volta
era stato suo padre. Probabilmente però non avendo gli stessi poteri
magici del padre, dopo un po’ muore e per il momento la faccenda
“Polozk” sembra così conclusa. In questo decennio che va fino
alla morte di Vladimiro Monomaco la situazione della Rus’ appare
stabile intorno a Kiev. Ormai tutti i principi vicini e lontani
riconoscono l’autorità del Velikii Knjaz al quale chiedono
sempre consiglio prima di agire in qualsiasi direzione e tutti
sembrano capire l’importanza dell’unità intorno ad una sola
capitale per apparire (ed essere?) una grande nazione europea,
versando il loro contributo in denaro alla riconosciuta Madre delle
Città Russe. Rivediamo la situazione. Mstislav, il figlio maggiore è
a Novgorod dove è amato e stimato, (ha sposato, dopo esser rimasto
vedovo della sua moglie svedese, la figlia di un bojaro locale) perché
sa tenere sotto controllo le acque del Mar Baltico e quelle dei laghi
dove spesso le popolazioni locali si ribellano allo sfruttamento
intensivo dei novgorodesi. L’altro figlio, Giorgio detto
Lungamano, si trova a Rostov dove tiene sott’occhio i Bulgari della
Kama e la cui politica è quella di colonizzare tutte le terre che può
in quest’area (di qui il nomignolo). Jaropolk infine è presso la
corte di Cernìgov dove ha stretto amicizia con Davide e
congiuntamente continuano ad intraprendere spedizioni nella steppa. Tuttavia ci sono ancora delle
terre russe di confine che danno qualche problema. Ad esempio quelle governate dai
Rostislavidi (altra famiglia di parenti) che cercano, lontani dallo
sguardo di Kiev, di allargare il loro dominio a spese dei polacchi.
Anche qui l’intervento di Kiev sarà decisivo. Poi però in Vladimiro Monomaco
si risveglia il desiderio di riuscire a mettere sotto controllo la
costa del Mar Nero fino a Costantinopoli, ora che la steppa è
pacificata e che addirittura i Polovzi cominciano a diventar parte
delle nazioni russificate. Se ciò si realizzasse dal Mar d’Azov
fino al Bosforo sarebbe tutta una costa russa e i Turchi Selgiuchidi
che si affacciano sulla sponda opposta avrebbero ora a che fare con la
potente Rus’ di Kiev! Infatti dopo la sfortunata
battaglia di Manzikert dove Romano IV Diogene era stato clamorosamente
battuto, si era sparsa nel mondo mediterraneo orientale l’idea che
ormai Costantinopoli era finita e quale migliore occasione per Kiev
che aveva sempre ammirato e imitato la grande capitale sul Bosforo di
prenderne ora il posto? Se teniamo presente che
d’altronde sembra confermata la disperazione dell’Imperatore sulla
situazione disastrosa in cui l’Impero si trovava da una lettera che
Alessio Comneno avrebbe mandato al Papa di Roma e ai regni cristiani
d’Occidente chiedendo aiuto, è strano invece che nessun aiuto fu
chiesto a Vladimiro Monomaco! Dunque il tentativo di far
diventare la Rus’ di Kiev qualcosa di più di un regno
vassallo a nord del Bosforo fu tranquillamente intrapreso. Una delle figlie di Vladimiro,
di nome Maria, aveva sposato un certo Leone, figlio appunto di Romano
Diogene. Questo Leone, sicuramente aiutato da Kiev e dai Polovzi,
comparve nel 1116 lungo il delta del Danubio, riconquistando alcune
città bulgare. Ciò mise in allarme Alessio Comneno, il quale a
Dorystolon (Dristra) riuscì a farlo
uccidere da un sicario. Questa dovette essere la scusa per Vladimiro
Monomaco per intervenire direttamente in difesa di sua figlia e di suo
nipote, il figlio di questa, Basilio. Mandò in zona dapprima un suo
uomo che riconquistò delle città dove pose a capo dei russi.
Dorystolon però passò di nuovo in mani bizantine, tanto che
Vladimiro fu costretto stavolta a mandare sul Danubio suo figlio
Vjaceslav. Niente da fare! Dorystolon rimase in mano greca! Alla fine, benché le fonti non
ci dicano molto su come andò veramente a finire, vediamo che, morto
Alessio Comneno e successogli suo figlio Giovanni, nel 1122 ci sono
degli accordi fra Costantinopoli e Kiev sigillati dal matrimonio fra
la figlia di Mstislav (il primogenito di Vladimiro, rimasto vedovo) ed
un principe bizantino. Maria e il figlio Basilio invece vengono
accolti definitivamente a Kiev dove rimarranno per il resto della loro
vita. Nel 1124 Kiev subisce una delle
più grandi disgrazie delle città russe di quel tempo: Un incendio
durante l’estate che durò ben due giorni! Le fiamme, dal Podol,
giunsero fino alla Città Alta, ma guarda caso, distrussero
completamente proprio le case degli ebrei!! E non era finita perché ci
furono poi le cavallette… E Vladimiro? A 74 anni, il 19 maggio del
1125, Vladimiro Monomaco muore.
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Estratto ed adattato dal libro:
RASDRABLIENIE, STORIA DELLA RUS’ A PEZZI, di Aldo C. Marturano, 2005.
©2006 Aldo C. Marturano.